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Full text of "Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physiologie"

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HARVARD UNIVERSITY. 


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OF THE 


MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. 


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Internationale Monatssehrift 


für 


Anatomie und Physiologie. 


Herausgegeben 
von 


R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan, S. Ramön y Cajal 
in Madrid, H. F. Formad in Philadelphia, C. Golgi in Pavia, S. Las- 
kowski in Genf, A. Macalister in Cambridge, G. Retzius in Stockholm 


E. A. Schäfer L. Testut 
in Edinburg in Lyon 
und 
Fr. Kopsch 
in Berlin. 


Band XXVIII. 


Ion EP ZO ISO 


Verlag von Georg Thieme. 


Inhalt. 


Dr. Giovanni Vitali, Le espansioni nervose nel tegumento sotto- 
corneo o membrana cheratogena dello zoccolo del cavallo. 
(Con tavole I, II) . RR) e 

Sergius Michailow, Der Bau der zentralen sympathischen 
Ganglien. (Mit Tafeln III—VI und 1 Textfigur) 

Fr. Kopsch, Referat . a Es dM. 

Franz Dietrich, Beiträge zur Histologie der D nach 
Untersuchungen am Gürteltier (Dasypus villosus Desm.). 
(tie Deus WALL, AT) DER 

W. Martinoff, Zur Frage über das in (lit a Tafel IX) 

Dr. Amatore De Giacomo, Sull'ipertrofia compensatoria e sui 
fenomeni cellulari nei reni dopo la legatura di un uretere. 
(Con la Tay. X.) CERO de 

Hugo Sellheim, Das Gauss’sche „Prinzip vom kleinsten Zwange“ 
in der Mechanik der Geburt . RI RA RITO 

Alfred Carrasco, Contribution à l'étude des cellules intercalaires 
du revêtement endothelial du mésentère de la grenouille. 
(Avec la planche XI) 


Dr. Antonio Gasbarrini, Sulla struttura e uu delle - 


„Monster cells“ di Minot. (Con Tav. XII). 

Dr. Antonio Gasbarrini, Su una forma particolare di reazione 
della mucosa uterina in seguito ad alcuni traumi. (Pla- 
centazione artificiale di Leo Loeb.) (Con Tav. XIII) . 

Serafino d’Antona, Contributo allo studio del connettivo lamellare. 
(Con Tav. XIV, XV). 


Seite 


117 
196 


208 


233 


237 


250 


259 


268 


Fr. Kopsch, Referate N AGES 

E. T. Bell, The Interstitial Granules of Striated Muscle and 
their Relation to Nutrition. (With Plate XVI) . 

Dr. Bernardino Lunghetti, Sopra un pulcino mostruoso di 
200 ore di sviluppo. (Con 6 Fig.) . 

Prof. Dr. J. Boeke, Beiträge zur Kenntnis der motorischen 
Nervenendigungen. (Mit 4 Figuren im Text und mit 
56 Figuren auf Tafel XVII/XXIIT) 

Fr. Kopsch, Referat. 


Seite 
295 


297 


348 


317 
444 


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hysiologie 


Herausgegeben 
von 


ae in Galway, C. Arnstein in CS Ed. van Beneden 


-G. Retzius in Sheila 


E. A. Schäfer L. Testut 


in Edinburg in Lyon 
und 
Fr. Kopsch 
in Berlin. 


Band XXVIII. Heft 1/3. 


LEIPZIG 1911 


Verlag von Georg Thieme. 


Inhalt. 


Dr. Giovanni Vitali, (Le, espansioni nervose nel tegumento sie -corneo 0 
membrana cheratogena dello CELA del cavallo. (Con tavole I, II) . 1 

Sergius Michailow', Der Baw der zentralen sympathischen Ganglien. (Mit 
Tafeln III— VI, und ni piis punc Aw LO 

Fr. Kopsch, Referät . DPA LOS toa por mea ee UD 


Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsätzen 50 Sonderabdrücke frei, 


eine grössere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise. — 


Seite 


Frankierte Einsendungen in lateinischer, französischer, italienischer, englischer oder . 


deutscher Sprache für die „Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physio- - 


logie“ werden direkt an die Redaktion: Prof. Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdorf bei Berlin, 
Prinzregentenstr. 59, erbeten. 


Reprints. Contributors desiring more ihan 50 extra copies of their articles 


can obtain them at reasonable rates by application 10 the publisher Georg Thieme, 
Leipzig, Rabensteinplatz 2, Germany. 


Contributions (French, English, German, Italian or Latin) should be sent to 


the associate editors or to the al Dr. Fr. a Wilmersdorf by Berlin, Prinz- 
regentenstr. 59. : iti i 


Avis. Les auteurs des mémoires insérés dans ce journal qui désireront plus de 


50 tirages à part de leurs articles, les obtiendront à des prix modérés en s'adressant | 


à M. Georg Thieme, libraire-éditeur, Leipzig, Rabensteinplatz 2, Allemagne. 


Les articles écrits en allemand, en anglais, en français, en italien ou en latin 
doivent étre adres-és à l'un des Professeurs qui publient le journal, ou à M. Fr. Kopsch 
à Wilmersdorf prés de Berlin, Prinzregentenstr, 59. 


,- Die bisher erschienenen Bände kosten: . 


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XIV Fe 48.30. 


Ba. I—XXV stai M. 1706. 30 | nur M. 1200.— bar. 


Ar 


Istituto Anatomico della R. Università di Siena. 
(Diretto dal Prof. S. Bianchi.) 


Le espansioni nervoss nel tegumento sotto-corneo o 
membrana cheratogena dello zoccolo del cavallo 


Dottor Giovanni Vitali, 
Assistente e Libero docente. 


(Con tavole I, II.) 


In una nota preliminare, pubblicata negli Atti della R. Accademia 
dei Fisiocritici in Siena, riassunsi molto sommariamente le varie forme 
di espansioni nervose, che si ritrovano nel tessuto podofilloso dello 
zoccolo del cavallo. 

Mi riserbavo di parlarne un po’ più estesamente quando fossi riuscito 
ad ottenere dei preparati più dimostrativi di quelli che in allora 
possedevo, nelle altre parti della membrana cheratogena. 

Questo mi è stato possibile solo a prezzo di una grande pazienza 
in causa della durezza del tessuto e per la difficoltà di procurarmi 
materiale fresco. 

Il metodo impiegato è quello di Fischer, modificato dal Ruffini. 

Per eseguire la reazione nelle varie parti, che compongono la 
membrana cheratogena, procedevo nel seguente modo. Con dei tagli 
frontali, rispetto alla parete dello zoccolo, dividevo questo in fette di 
circa un centimetro di spessore. Poi con un coltello robusto sezionavo 
ogni fetta in due porzioni uguali, con la precauzione che il taglio cadesse 
nel mezzo del segmento, che corrispondeva alla forchetta, e ciascuna 
metà così ottenuta la suddividevo, con tagli comprendenti tanto il derma 
che lo strato corneo, nelle varie parti di cui risulta la membrana chera- 
togena: e cioè, cheratogeno della matrice, del podofilloso, della sola e 


della forchetta. 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 1 


2) Giovanni Vitali, 


In ciascuno dei segmenti cosi ottenuti assottigliavo lo strato corneo, 
e poi lo suddividevo in piccoli pezzetti, che sottoponevo alla reazione. 

Per la buona riuscita di questa ho dovuto modificare abbastanza 
i tempi, perchè ben presto mi persuasi che coll’aumentare della con- 
centrazione dell'acido formico non riuscivo nell'intento, poichè non otte- 
nevo la penetrazione dell’acido formico stesso e solo rovinavo completa- 
mente le parti periferiche dei pezzetti. 

D'altra parte facendovi agire una soluzione d'acido formico al 25 
o 309/, anche per due o tre ore, non si ottiene l'acidificazione dei 
pezzetti, pur cambiando qualche volta il liquido. 

Ho ottenuto delle buone reazioni soltanto quando adoperavo una 
soluzione di acido formico al 25°/, per 24 ore, cambiandola soltanto 
una volta e mezzora prima di sottoporre i pezzetti all’azione del 
cloruro d'oro. Per il resto ho completamente seguito la tecnica solita. 


* * 
* 


Consultando la letteratura ho visto che se molto numerosi sono 
gli autori, che si sono occupati della struttura dello zoccolo del cavallo, 
per quanto mi risulta, solo Leisering e Hartmann, De Martini, Ciaccio, 
Paladino, Nórner, Fogliata, Piana e Bossi hanno avuto di mira anche 
lo studio delle espansioni nervose. ; 

Prima peró di addentrarmi nella descrizione di queste, credo utile 
riassumere in poche parole, servendomi specialmente dei trattati di 
Chauveau et Arloing, Renaut, Barpi e del lavoro di Bossi, la confor- 
mazione e la struttura della membrana cheratogena, e di questa piü 
specialmente quanto riguarda il derma al quale soltanto si riferiscono 
le mie ricerche; perché, come ognunosa, il metodo da me impiegato 
stacca lepidermide dal derma, e non permette perció di osservare come 
si comportano i nervi in corrispondenza dell’epitelio. 

La membrana cheratogena ricopre come un manicotto, su cui si 
adatta perfettamente lo zoccolo, dice Chauveau ,l'estremità del dito, 
distendendosi sull'espansione terminale del tendine dell'estensore princi- 
pale delle falangi per mezzo di una fascia fibrosa, dipendenza delle carti- 
lagini laterali; sulla metà inferiore della faccia esterna di queste carti- 
lagini, sul bulbo del cuscinetto plantare, il corpo piramidale, la parte 


Le espansioni nervose nel tegumento sotto-corneo o membrana etc. 3 


anteriore della faccia plantare della terza falange, e sulla faccia anteriore 
dello stesso osso“. Si continua colla pelle della regione digitata a 
livello di una linea circolare, diretta obliquamente dall’avanti all’indie- 
tro e dall’alto in basso, al di sotto della quale, sulla parte anteriore 
e su quelle laterali, presenta un rigonfiamento che ha il nome di cercine, 
cutidura, matrice. 

La parte che ricopre il cuscinetto plantare e la faccia inferiore 
dell’osso del piede, e che, in corrispondenza dei bulbi del cuscinetto 
plantare stesso, si continua con le estremità della cutidura prende il 
nome di tessuto vellutato; mentre per tessuto podofilloso s'intende tutta 
quella parte della membrana cheratogena situata sulla faccia anteriore 
della terza falange, al di sotto della matrice. 

Cutidura o matrice. Forma una salienza arrotondata che incor- 
nicia il limite superiore del tessuto podofilloso, dal quale è separata 
per mezzo di una zona biancastra. Superiormente è limitata dal derma 
della regione digitale per mezzo di una piccola salienza, larga 2 o 
3 mm., che ha il nome di cercine perioplico, e dal quale & separata 
mediante un solco, detto solco perioplico, che serve a ricevere l'orlo 
superiore della parete. I due estremi, più sottili ,arrivano vicino ai 
bulbi del cuseinetto plantare, e si ripiegano al di sotto di quelli nelle 
lacune laterali del corpo piramidale, dove si confondono col tessuto 
vellutato“ Chauveau. È munita di papille o villi, che posseggono un’estre- 
mità esilissima, e son tanto più sviluppate quanto più son vicine al 
margine inferiore, dove misurano 5 o 6 mm. di lunghezza, mentre in 
corrispondenza del margine superiore sono lunghe un mezzo millimetro. 
Hanno diametro differente anche nella stessa zona. 

Bossi ha osservato, per circa un quarto della lunghezza della base del 
villo, delle papille secondarie, che nel maggior numero dei casi rico- 
prono tutta la base del villo e sono più manifeste negli individui adulti. 

Le papille sono formate da connettivo fibroso, con cellule affusate 
e stellate; vi si ritrovano esili fibre elastiche, piuttosto scarse di numero 
(Mobilio). Gli spazi intervillosi sono pochissimo sviluppati nella zona 
superiore; nella media e nell’inferiore hanno invece delle dimensioni 
molto maggiori, e presentano da 2 a 5 papille, più sviluppate negli 


individui adulti e di grandezza differente: in un puledro di sei mesi, 
1* 


4 Giovanni Vitali, 


secondo Bossi, le loro dimensioni oscillavano tra mm. 0,026 e 0,050 
per l'altezza, e mm.: 0,015 a 0,025 per la larghezza in corrispondenza 
della base. Un corpo papillare può esistere, ma non costantemente, 
anche negli spazi intervillosi della zona superiore. 

Lo strato profondo della matrice è rappresentato da una mem- 
brana connettiva, molto robusta, formata da fasci fibrosi riuniti in 
gruppi. Alcuni di questi sono diretti dall’alto al basso, altri hanno 
direzione circolare, altri si incrociano in varia foggia. Questa membrana 
aderisce per mezzo di connettivo lasso alle parti più profonde ed è 
provvista abbondantemente di nervi e vasi. 

Tessuto podofilloso. Riveste la faccia anteriore della terza fa- 
lange, ed è compreso tra il bordo inferiore di quest’osso ed il bordo 
inferiore della cutidura. È ricoperto da quella parte dello zoccolo, 
che appare all’esterno quando il piede poggia sul suolo e che ha il nome 
di parete. La sua ‘altezza diminuisce andando dal mezzo della parte 
mediana verso i lati, e posteriormente si continua, al di sotto dei bulbi 
del cuscinetto plantare, con il tessuto vellutato. 

La sua superfice è munita di creste, in numero di cinque o sei- 
cento, dirette dall’alto al basso e parallele tra loro. Sono separate da 
solchi profondi, che accolgono creste analoghe della faccia interna della 
parete, ed aumentano di larghezza dall’alto al basso, diminuendo però 
di altezza in vicinanza del margine inferiore. Sulle loro facce si inse- 
riscono molto obliquamente della creste secondarie, in numero di sessanta 
circa, scoperte da Brauel (citato da Nörner). 

Seconde Bossi le creste secondarie sarebbero circa un centinaio, e 
negli individui adulti qualcuna di esse si presenta provvista di altre 
dieci o dodici lamelline. 

Le creste del podofilloso si ingranano esattamente con i foglietti 
della faccia interna della parete. Ha la stessa struttura della matrice. 
Al di sotto delle creste, nel cui piano mediano si osservano abbondanti 
fibre elastiche, si ritrova lo strato profondo del corion podofilloso o 
strato vascolare, caratterizzato dalla sua ricchezza in vasi, e formato 
da connettivo fibrillare con abbondanti fibre elastiche, che si incrociano 
in tutti i sensi, si accumulano specialmente attorno ai vasi e son più 
abbondanti in vicinanza del margine inferiore (Nòrner). 


Le espansioni nervose nel tegumento sotto-corneo o membrana etc. 5 


Anche nelle lamelle secondarie il tessuto elastico è abbondante, e 
le sue fibre sono dirette dal margine aderente verso l'opposto; altre 
sì portano verso le facce e qualcuna penetra nelle lamelline se queste 
sono presenti (Mobilio). 

Tessuto vellutato. Con questo nome si intende quella parte della 
membrana cheratogena, che riveste la regione plantare della terza fa- 
lange ed il cuscinetto plantare, di cui ricopre i bulbi ed il rigonfiamento 
piramidale (Chauveau). 

È composto di due regioni: una mediana, in corrispondenza del 
corpo piramidale del cuscinetto plantare, e ricoperta da quella porzione 
centrale della faccia inferiore dello zoccolo che per la sua forma caratte- 
ristica prende il nome di forchetta. Questa parte si continua, sui bulbi 
del cuscinetto plantare con le estremità dei due cercini della matrice, 
e principalmente col cercine perioplico. 

L'altra regione è disposta perifericamente alla precedente e si 
estende fino al margine inferiore del podofilloso. È rivestita da quella 
porzione semilunare dello zoccolo che prende il nome di sola. Come 
nella matrice, di cui ha la stessa struttura, anche nel tessuto vellutato 
ritroviamo delle papille numerose di dimensioni ineguali. Le più lunghe, 
che misurano fino a 5 o 6 mm. sono situate in vicinanza del margine 
periferico. Anche nel tessuto vellutato le grosse papille presentano 
delle papilline secondarie, e delle basse rilevatezze in forma di papille 
si osservano negli spazi intervillosi, che sono molto estesi in corri- 
spondenza della zona di passaggio dalla sola al podofilloso. 


* * 
* 


Già da molto tempo è noto, per i lavori di Leisering e Hartmann, 
de Martini, Paladino, Ciaccio e Piana, che in corrispondenza della 
membrana cheratogena della forchetta si possono riscontrare corpuscoli 
di Pacini. Paladino dice che sono in maggior numero in quella parte 
del derma sotto ungueale, che ricopre il tratto posteriore delle branche 
del corpo piramidale ed hanno forma svariatissima; ed osserva „che 
luna delle due fibre che talora si mostrano nella clava non giunge 
fino all'estremità, ma si ferma nel terzo medio con un rigonfiamento 
terminale piriforme ... e che qualche volta la fibra centrale può con- 


6 Giovanni Vitali, 


tinuare a doppio contorno per un tratto della clava“. Paladino si associa 
a Krause e Kölliker nel ritenere quest'ultima di natura connettiva, e 
questo in base ad osservazioni fatte nel cavallo, dove si può vedere 
la ,clava formata da notevoli corpuscoli di tessuto connettivo intra- 
mezzati da sostanza omogenea“. 

Nörner nega la presenza dei corpuscoli di Pacini nel tessuto vel- 
lutato. Per lo studio delle espansioni nervose Nörner adoperò l’acido 
osmico ed il cloruro d’oro secondo Lévit; ma in verità non riusci a 
metterle in evidenza. Constatò solo che nel margine della sola le fibre 
intrapapillari si originano da fasci decorrenti alla base delle papille, e 
che dopo essere ascese per un tratto nella papilla stessa compiono 
un arco ritornando nuovamente alla sua base; oppure che può penetrare 
„nella papilla un filamento nervoso risultante di due fibre, che ascende 
ugualmente per un tratto nell’interno della stessa, si divide, e l'una, 
spesso la fibra più sottile, quando erano due fibre di grossezza ineguale, 
prosegue in alto verso la punta della papilla; mentre l’altra fa un 
arco, riprende di nuovo il suo decorso verso il basso ed abbandona la 
papilla“. 

Secondo Nörner ,,i filamenti nervosi formano nel luogo di passaggio 
dalle creste alle papille nel margine della sola, incrociandosi replicata- 
mente, dei veri e piccoli plessi. Di qui i nervi procedono secondo due 
direzioni, da una parte verso le creste, dall'altra nelle papille. Nelle 
papille del margine della sola il nervo penetra per lo più sotto forma 
di due fasci, che frequentemente, nel luogo di entrata nella papilla, si 
incrociano tra loro, scambiandosi delle fibre“. Dopo avere aggiunto 
che di regola l’un fascio contiene più fibre dell’altro; che anche sin- 
gole fibre possono penetrare nelle papille, e che la parte terminale si 
rinviene con grande difficoltà“ determinata in parte per la posizione 
delle papille spesso arcuata o contorta, ed inoltre perchè la sostanza 
colorante, cloruro d’oro e acido osmico, tinge così fortemente le giovani 
cellule cornee, che circondano la parte superiore della papilla, da 
mascherare le terminazioni dei nervi“ ed anche dal fatto „che la punta 
della papilla in causa del trattamento impiegato (cloruro d’oro e ri- 
duzione con acido formico) va spesso perduta“, conclude, che le fibre 
«terminano finalmente sotto le cellule della rete di Malpighi, rigon- 


Le espansioni nervose nel tegumento sotto-corneo o membrana etc. Ti 


fiandosi prima alquanto*. Ed aggiunge che da questo rigonfiamento 
sì origina un filamento, che si spinge fra le cellule; ma che il rigon- 
fiamento della fibra, prima che essa termini sotto forma di filamento 
fra le cellule, può anche mancare. 

Per le creste del podofilloso i risultati ottenuti dall'A. „si limitano 
a questo, che i nervi, in forma di fasci più grossi o più piccoli, decorrono 
dall’alto al basso nello strato vascolare della parete sempre ad una certa 
distanza dall’ origine delle creste“. Soltanto nel punto di passaggio 
dal podofilloso alla sola l'A. ha visto che verso il margine delle creste 
decorrono delle fibre, che terminano sotto forma di filamenti, sotto le 
cellule epiteliali; mentre nel piano mediano di quelle ha incontrato 
anche dei fasci più grossi. 

Nella matrice e nelle altre parti del tessuto vellutato della sola 
ha osservato gli stessi fatti che nel margine di questa. 

Piana costatò nuovamente la presenza di corpuscoli di Pacini in 
corrispondenza della forchetta, e vide che erano in maggior quantità 
dove abbondano le ghiandole a gomitolo, e che hanno una forma molto 
allungata. Egli in una sezione ne contò quattordici disposti fra i 
gomitoli delle ghiandole. Inoltre osservò che spesso se ne ritrovano 
diversi „compresi in un invoglio comune di tessuto connettivo com- 
‘patto, che li riunisce in una sola massa“. Fino ad otto corpuscoli di 
Pacini possono esser compresi, secondo Piana, dentro un unico invoglio. 

Fogliata, citato da Bossi, notò soltanto elementi nervosi, sezionati 
in vario modo fra il connettivo del tessuto podofilloso. 

Anche Bossi, come già Nörner, dové riconoscere le grandi difficoltà, 
che presenta la membrana cheratogena a chi voglia indagare il modo 
come i nervi in essa si terminano. Egli che confessa, nel suo lavoro 
sull'apparato tegumentario del piede del cavallo, di essersi dedicato 
per circa due anni, impiegando il cloruro d’oro, allo studio dei nervi 
del podofilloso, ruisci ad osservare solo che „lo strato profondo del 
corion sotto ungueale podofilloso è attraversato da numerosi nervi, i 
quali alcuni vengono sezionati trasversalmente, altri in senso longitu- 
dinale. Questi nervi, alcuni sono costituiti dall'unione di poche fibre ner- 
vose (da 3 a 6 a 8), altri da un numero molto maggiore“. E subito 
dopo aggiunge: „non posso definire con certezza come queste fibre 


8 Giovanni Vitali, 


entrino nella lamina podofillosa: ho osservato però come queste, ridottesi 
allo stato di fibra elementare si distribuiscono alle lamelle secondarie. 
Queste fibre, le quali sono abbastanza bene evidenti, per la colorazione 
speciale che assumono, mentre raggiungono le parti più periferiche si 
suddividono a vicenda, e lungo il loro decorso formano delle anse, le 
quali si anastomizzano le une con le altre. Si terminano inoltre me- 
diante un piccolo rigonfiamento, il quale generalmente presentasi di 
forma clavata. Questi rigonfiamenti terminali, che sono a contatto 
dell'epitelio, che ricopre le lamelle secondarie, mi parvero di una 
grandezza varia, da mm. 0,001 e mm. 0,002.“ 

Anche il Mongiardino‘) nella sua traduzione del trattato di Chau- 
veau et Arloing (che ho potuto consultare solo quando riguardavo le 
bozze di stampa di questo lavoro) a proposito dei nervi del tessuto 
podofilloso dice: ,,Non si conosce ancora bene il Joro modo di terminare; 
mai fino ad oggi è stato possibile mettere in evidenza il minimo cor- 
puscolo tattile.“ 


Riassunte così le notizie che, da cid’che ho potuto vedere, si riferi- 
scono all'argomento, passerò subito alla descrizione delle espansioni ner- 
vose nelle varie parti della membrana cheratogena. 


Matrice. 


Nello strato profondo della matrice decorrono numerosi tronchi 
nervosi, dai quali si originano tronchicini di varia grossezza, che ne 
attraversano lo spessore dirigendosi, con decorso per lo più obliquo, 
verso le parti superficiali, e scambiandosi nello spessore stesso del derma 
numerosi rami anastomotici. Giunti poco al di sotto della base delle 
papille, si suddividono in vari ramuscoli, alcuni dei quali, anastomizzandosi 
con rami similari, compongono un ricco plesso mielinico nella parte alta 
del derma, altri penetrano nelle papille stesse. I nervi di queste pro- 

1) A. Chauveau e S. Arloing, Trattato di Anatomia comparata degli animali 
domestici. 


Seconda traduzione italiana di T. Mongiardino, Unione Tip. Ed, Torinese 1910, 
Vol. II°, | 


Le espansioni nervose nel tegumento sotto-corneo o membrana etc. 9 


vengono altresi dal plesso mielinico superficiale. Molto spesso si vedono 
dei rametti nervosi, provenienti dalle parti profonde, che, dopo aver 
fornito diramazioni al plesso mielinico superficiale, si dispongono tan- 
genzialmente alla linea di impianto delle papille, inviando in queste, 
durante il loro percorso, delle fibre o dei fascettini di tre o quattro 
fibre. 

Non è infrequente l’osservare che dai rami, che entrano nelle papille, 
e che possono risultare anche di sei o sette fibre, si originano delle fibre 
o dei fascettini di due o tre fibre, che ritornano in basso nel plesso 
mielinico superficiale; il ramo ascendente e quello discendente si scam- 
biano anastomosi mieliniche, costituendo un plessicino nell'interno della 
papilla. Anche quando non vi sono fibre, che ripiegano in basso, ma 
invece il tronchicino, penetrato nelle papille, si scompone, a mano che 
ascende, nelle varie sue fibre, si osserva che queste si scambiano ana- 
stomosi. 

Corpuscoli di Pacini. Sono abbastanza numerosi e distribuiti in 
tutto lo spessore dello strato profondo della matrice. Hanno grandezza 
variabile ed i più piccoli, in generale, sono situati nelle parti superficiali. 
Hanno forma varia, ma per lo più ovoidale o reniforme; ed in generale 
sono raggruppati. Possono essere intimamente a contatto l'uno del- 
l’altro ed involti da una capsula di connettivo compatto; oppure esser 
semplicemente ravvicinati; spesso sono anche strettamente addossati 
ad un tronco nervoso. 

Ne ho visti dei gruppetti di sette od otto, di dimensioni differenti, 
nella parte mediana dello spessore del derma. Il numero delle capsule 
può variare da quattro a sei a dieci nei piccoli corpuscoli ed in quelli 
di grandezza media; mentre quelli molto più sviluppati, che si ritro- 
vano nelle parti profonde, sono muniti di un involucro capsulare di 
18—25 capsule. La clava centrale apparisce per lo più granulosa, ma 
non è infrequente osservarne di quelli in cui ha un aspetto nettamente 
fascicolato. 

La fibra nervosa perde la guaina mielinica prima di attraversare 
le capsule periferiche; in certi casì si vede molto chiaramente che le 
altre guaine accompagnano il cilindrasse fin nella clava centrale. Nel- 
l'interno di questa, la fibra, ridotta allo stato di cilindrasse nudo, tiene 


10 Giovanni Vitali 


un decorso o rettilineo o leggermente ondulato, e termina per lo più 
con un piccolo rigonfiamento; oppure attraversa il corpuscolo e penetra 
in un altro. Alle volte però, specie nei piccoli corpuscoli che si ritro- 
vano negli strati superficiali, forma un lasso gomitolo. 

Strato papillare. È addirittura sorprendente la ricchezza dell’in- 
nervazione delle papille della matrice. 

Come dissi già, in questa si distinguono delle grosse papille o 
villi, e delle piccole papille, che si elevano di poco negli spazi inter- 
villosi. Tra i vasi capillari di queste ultime, le quali hanno sempre 
delle piccole dimensioni, si osserva una reticella amielinica, proveniente 
da fibre del plesso superficiale già descritto, e che è estesa anche a 
tutto lo spazio intervilloso. In qualche preparato questa reticella 
amielinica si osserva anche al di sotto delle grosse papille. 

Quest'ultime presentano vari tipi di espansione; le più piccole, che, 
come si sa, sono nella parte superiore, in vicinanza del cercine perioplico, 
posseggono una o due clave di Krause, che non offrono nulla di carat- 
teristico. 

Nelle altre bisogna distinguere le espansioni che si fanno nella 
parte superficiale della papilla, subito al di sotto dell’epitelio, da quelle 
che occupano lo spessore della papilla stessa. Le prime presentano 
queste caratteristiche. 

Fig. 10. Un fascetto di fibre mieliniche penetra nella papilla e 
subito si divide in due fascetti, le singole fibre dei quali, mano che 
ascendono si allontanano dalla direzione primitiva diventando più super- 
ficiali; si fanno amieliniche, si suddividono ripetutamente e danno luogo 
ad una ricca rete amielinica, che si estende a tutta quanta la superfice 
della papilla ed è situata subito al di sotto dell’epitelio. Dai rami di 
questa rete si originano dei filuzzi, che circondano in forma di anse i 
vasi capillari delle piccole papille, che si elevano dalla superfice della 
parte inferiore dei villi. 

Alcune delle fibre mieliniche, che penetrano in una papilla si 
portano verso l’alto, disponendosi in tutta vicinanza dell’arteria di 
questa, e si scambiano dei rami che le girano attorno e dai quali 
partono dei filuzzi amielinici, molto sottili, che si insinuano tra gli 
elementi della tunica media. 


Le espansioni nervose nel tegumento sotto-corneo o membrana etc. iLL 


Le fibre, che si distribuiscono con le loro terminazioni nell’interno 
delle villosità possono offrire i due tipi seguenti. 

Nell’uno un fascetto di fibre mieliniche penetra nella papilla e 
subito si divide in tre o quattro diramazioni, che a lor volta suddivi- 
dendosi si scambiano rami anastomotici, si fanno più superficiali, di- 
ventano amieliniche, e si risolvono in un numero grandissimo di sud- 
divisioni, che si uniscono tra loro, formando qua e là delle maglie 
rotondeggianti di varia grandezza, da cui partono filuzzi, che ricadono 
in basso come i rami di un salice, presentando piccole varicosità spinose 
o a placchetta lungo il loro decorso. Fig. 3. 

Nell'altro un tronchicino nervoso penetra nella papilla, disponendosi 
lungo l’asse mediano di questa, in vicinanza cioè dell’arteriola che la 
percorre. Subito alla base della papilla si vrigina da esso un fascetto 
di due o tre fibre, il quale si allontana dal ramo principale, facendo 
con esso un angolo molto acuto, e ben presto si suddivide. Le fibre 
che risultano si scostano, suddividendosi a lor volta, dalla linea mediana, 
ed attraversano molto obliquamente lo spessore della papilla per farsi 
più superficiali. Nel contempo diventano amieliniche si scambiano 
filuzzi anastomotici, e terminano sotto forma di grossi aggrovigliamenti 
a gomitolo o di piccoli arboscelli a rami molto grossolani. Il tronchi- 
cino seguita indiviso per breve tratto; ma ben presto da esso si ori- 
gina una fibra, che si porta nell’altra metà della papilla, dove diviene 
amielinica e suddividendosi forma un gomitolo molto lasso e allungato, 
dai cui filamenti partono ramuscoli, che costituiscono gomitoli più piccoli 
o terminano con piccole varicosità, occupando nell'insieme il terzo in- 
feriore circa della metà di papilla a cui si son distribuiti e ricongiun- 
gendosi per mezzo di filuzzi al resto dell'espansione nervosa. Le rima- 
menti fibre del fascio nervoso seguitano ad ascendere lungo l’asse 
mediano, e presentano sul decorso dei rami amielinici, in cui ben presto 
si suddividono, dei piccoli anellini, che divengono tanto più sottili e 
delicati, quanto più l'espansione si avvicina verso la parte superiore 
della papilla. Da questi anelli partono dei filuzzi ad arcata, che li 
riuniscono a quelli vicini; oppure che, dopo un decorso più o meno lungo, 
sì terminano con un ingrossamento o con un piccolo gomitolo. Fig. 1. 

Quest’espansione nervosa si estende alla metà inferiore circa della 


i Giovanni Vitali, 


papilla; ma è presumibile, dato il modo graduale con cui va diminuendo 
che debba estendersi anche alla parte affatto superiore, che spesso, per 
la natura del tessuto, o non era penetrata o era bruciata dall’acido 
formico. 

Nelle papille più piccole le cose sono più semplici; penetra in esse 
in primo luogo solamente un fascio risultante di 2 o 3 fibre, che, dive- 
nute amieliniche, si suddividono e formano dei grappoli o dei gomitoli, 
che in qualche caso sono addossati strettamente l’uno all’altro. Fig. 2. 


Podofilloso. 


Strato vascolare. Tutto lo spessore dello strato profondo o vas- 
colare del podofilloso è attraversato da tronchicini nervosi, che sì ori- 
ginano dai rami più grossi decorrenti profondamente, e che con decorso 
un po’ ondulato si portano, suddividendosi ripetutamente, verso la base 
delle creste, dove mutano direzione, decorrendo parallelamente alla base 
delle creste stesse, e si suddividono in ramuscoli, alcuni dei quali pene- 
trano nelle creste, altri si ripiegano ad arcata riapprofondandosi nel derma. 

In questo si osservano due forme di espansione nervosa: gli albe- 
relli ed i corpuscoli di Ruffini. 

Alberelli. Fig. 6. Hanno gli stessi caratteri di quelli descritti 
da Dogiel e da me nel derma dell'unghia umana, e son molto simili a 
quelli già osservati da Nicoladoni nella sinoviale del ginocchio del co- 
niglio (almeno per quello che mi é sembrato leggendo il lavoro di 
Regaud) e da Dogiel stesso nelle membrane sierose e nell'endocardio 
e poi nei tendini dei muscoli dell'addome e nel centro frenico del dia- 
framma dell'uomo e di diversi mammiferi. 

Anche da Ceccherelli e da altri autori sono stati descritti in varie 
parti, il che credo mi autorizzi a non entrare in dettagli. 

Osserverò solo che, nello strato vascolare del podofilloso, queste 
forme di espansioni nervose sono fornite per lo più dai ramoscelli che 
si originano ad arcata dai tronchi, che decorrono alla base delle creste, 
come avviene nel derma sotto ungueale dell’uomo. 

Sono disseminati per tutto lo spessore dello strato profondo, ma 
abbondano maggiormente in vicinanza dell'origine delle creste, e si 
possono osservare anche nella parte inferiore di una cresta. 


Le espansioni nervose nel tegumento sotto-corneo o membrana etc. 13 


La ricchezza dell’arborizzazione è svariatissima, tanto che se ne 
osservano alcuni molto piccoli e semplici, altri invece molto complessi. 
Spessissimo diversi di essi possono anche esser ravvicinati tra loro, e 
le arborizzazioni riunite da filamenti. Anche il tessuto di sostegno in 
alcuni è appena accennato, e questo fatto può essere o no concomitante 
con una maggior povertà di ramificazioni. 

Corpuscoli di Ruffini. Sono distribuiti per tutto lo spessore dello 
strato profondo; il loro asse maggiore presenta le direzioni più svariate; 
variabilissima ne è pure la grandezza e la forma. Una sola fibra può 
fornire l'espansione per diversi di questi corpuscoli. Fig. 13. 

I più piccoli sono situati per lo più superficialmente, nello spazio, 
che intercede fra le creste; ma si osservano anche alla base di 
queste. 

Osserveró solo che lapparato capsulare ed in generale anche il 
tessuto di sostegno sono molto più sviluppati nei corpuscoli di piccole 
dimensioni; per il resto credo inutile diffondermi maggiormente sulla 
descrizione di queste forme ben note a tutti. 

Creste del podofilloso. Sono abbondantemente provviste di nervi, 
specie in corrispondenza del margine inferiore, i quali si originano per 
la massima parte da quei tronchicini, che ho già detto decorrono paralle- 
lamente alla linea di impianto delle creste stesse. Tali ramoscelli de- 
corrono dal basso all’alto e formano nell’interno della cresta un plesso 
mielinico a maglie larghe di forma per lo più rettangolare. Fig. 15. 
Verso la parte superiore della cresta le maglie di tale plesso sono 
costituite solo da una o due fibre; si fanno più strette e più allungate, 
disponendosi in modo da aver l’asse maggiore parallelo all’apice della 
cresta. 

Da questo plesso si originano delle fibre mieliniche, che dopo un 
decorso più o meno lungo, perdono le guaine e danno origine ad una 
reticella amielinica i cui rami piuttosto varicosi si dispongono tra le 
maglie della rete capillare, spesso addossandosi ai rami di questa e 
penetrando anche nelle creste secondarie. Fig. 16. 

Come ho già detto nella parte inferiore. delle creste si possono 
osservare anche delle espansioni ad alberello. 


14 Giovanni Vitali, 


Tessuto vellutato della sola. 

Strato profondo. 1 tronchi nervosi di cui è abbondantemente 
provvisto il tessuto vellutato, e che sono in numero molto maggiore in 
corrispondenza della zona di passaggio al podofilloso, attraversano lo 
strato profondo per portarsi verso le papille e nella parte superficiale 
del derma formano un plesso mielinico. Numerosi tronchicini, da essi 
originatisi, penetrano anche però direttamente nelle papille. 

In corrispondenza delle arterie abbandonano dei ramoscelli che 
ad esse si accollano, e che suddividendosi formano attorno alle arterie 
stesse tanti plessicini. Questa tendenza è molto più manifesta nella 
parte superficiale del derma, subito al di sotto cioè della base delle 
papille, dove spesso si vede che tali plessi accompagnano le arterie 
intrapapillari nel loro decorso dentro le papille. 

Nello strato profondo del cheratogeno della sola non si ritrovano 
corpuscoli di Pacini; ma dal plesso mielinico, che si forma nella sua 
parte più vicina alle papille, si originano fibre, che nella zona di pas- 
saggio al podofilloso hanno un comportamento differente da quello di 
tutta la rimanente parte. 

Qui singole fibre mieliniche o fascettini di due o tre fibre decor- 
rono orizzontalmente nello strato subpapillare, dove le fibre mieliniche 
si terminano o sotto forma di piccoli gomitoli privi di capsule, i quali, 
in alcuni casi, possono anche esser situati nella parte inferiore di una 
papilla; oppure, fattesi amieliniche, si dividono in un numero grandis- 
simo di fili, che con suddivisioni ripetute formano una rete amielinica, 
che si estende non solo allo strato subpapillare, ma anche si diffonde 
alla parte più alta del derma. 

Nella zona di passaggio al podofilloso, dove in realtà i fascettini 
non costituiscono un vero e proprio plesso superficiale, ma decorrono 
orizzontalmente alla base delle papille, non si riscontrano gomitoli. Si 
osserva invece che buon numero delle fibre mieliniche, perdute le guaine, 
sì suddividono ripetutamente, formando tante piccole espansioni in forma 
di arboscello, a ramuscoli varicosi, molteplici, riunite l'una all'altra da 
filamenti pure varicosi; di modo che tutto l'insieme piglia l'aspetto di 
una vasta rete amielinica, di cui gli arboscelli rappresentono delle parti 
più addensate. In corrispondenza di tali arboscelli il derma non pre- 


Le espansioni nervose nel tegumento sotto-corneo o membrana etc. 15 


senta nessuna modificazione; si possono assomigliare a quelli descritti 
da Sfameni nei genitali femminili esterni. Inoltre tra le fibre dei fas- 
cetti, che decorrono alla base delle papille, se ne osservano alcune 
molto piü sottili delle altre, amidollate, che decorrono per un certo 
tratto accollate ad esse, accompagnandole anche quando penetrano nelle 
papille. Negli spazi interpapillari, che qui sono molto sviluppati, e 
provvisti come nella matrice di piccole papille, pochissimo rilevate, 
queste fibre piü sottili, allontanandosi dal fascettino, penetrano tra i 
capillari, dove, suddividendosi, danno luogo ad una rete amielinica, a 
punti nodali ingrossati, che invade anche la parte inferiore delle grosse 
papille. Oppure, suddividendosi in fascettini amielinici, penetrano nelle 
rilevatezze papillari summenzionate, dove con le loro suddivisioni si 
dispongono attorno ai vasi capillari, di cui quelle sono riccamente 
provvedute, formandovi in parte complicate anse avvitieciate, in parte 
delicate reticelle pericapillari. Fig. 14. 

Ho potuto persuadermi che tali fibre piü sottili si originano sempre 
dalle fibre piü grosse; e precisamente é una fibra grossa, che, perdute 
le guaine, diventa ad un tratto molto piü sottile, decorrendo poi tra 
le altre fibre del fascio e comportandosi nel modo sopra detto. 

Strato papilare. Anche per ció che riguarda il corpo papillare 
del cheratogeno della sola, le espansioni nervose nella zona di pas- 
saggio al podofilloso sono differenti da quelle, che si riscontrano nelle 
rimanenti parti di questa regione. 

Nella zona di passaggio raramente penetrano nelle papille singole 
fibre isolate; ma per lo più sono riunite in fascetti d2a3a4a6 
fibre nervose midollate, molto grosse. In generale le papille posseggono 
due di tali fascetti, ciascuno dei quali percorre una metà della papilla, 
e per lo più contiene un numero di fibre differente dall'altro: due o 
tre nell’uno, quattro o cinque nell’altro. 

A varie altezze della papilla, ma in generale con una certa rego- 
larità di intervallo, ciascuna fibra si scosta un po' dal fascetto, perde 
le guaine e presenta un rigonfiamento pre-espansionale del cilindrasse 
molto grosso ed allungato. La fibra, divenuta amielinica, si risolve in 
un numero considerevole di diramazioni, che a lor volta si suddividono 
ripetutamente, presentando delle parti molto assottigliate, che si alter- 


16 Giovanni Vitali, 


nano senza ordine con parti ingrossate e di varia forma; originando 
perciò un’arborescenza, che alcune volte è più sviluppata in lunghezza 
che in larghezza e collasse maggiore disposto secondo l'altezza delle 
papille, oppure può presentare una forma conica. Fig. 9. 

Il tessuto connettivo della papilla non presenta nessuna modi- 
ficazione in rapporto di tali espansioni nervose. 

Anche quando le fibre non si riuniscono in un fascetto, ma pene- 
trano invece isolatamente nella papilla, danno luogo ad espansioni 
nervose della forma sopra descritta. 

Queste arborescenze hanno dimensioni molto maggiori e sono molto 
più intrigate di quelle descritte da Sfameni nelle papille dei polpastrelli 
del cane. 

Solo molto raramente ho osservato che una fibra, fattasi amie- 
linica appena entrata in una papilla, si divideva in due o tre rami, 
che prendevano un decorso orizzontale, si suddividevano a lor volta in 
poche ramificazione grossolane, riunite tra loro da filuzzi anastomotici, 
le quali invadevano tutta la parte inferiore della papilla, terminando 
con piccoli grappoli di aspetto grossolano. 

Le arborescenze, che sopra ho descritto, possono essere anche 
molto più sviluppate. In questo caso non sono fornite da una sola 
fibra, ma da due o tre fibre, che con le loro ramificazioni, riunite ed 
intrecciate insieme, concorrono a formarle. Fig. 11. 

Nelle papille della zona di passaggio al podofilloso oltre le fibre 
grosse, il cui comportamento ho già descritto, penetrano, accollate a 
queste, altre fibre più sottili e amidollate. Ho già detto che anche 
negli spazi intervillosi si osservano nei fascettini, che decorrono orizzon- 
talmente, di tali fibre, che vanno a costituire reti tra i capillari e che 
si originano dalle fibre più grosse, decorrendo poi per un tratto abba- 
stanza lungo tra le fibre del fascetto stesso. Queste delle papille 
hanno la stessa origine e formano anche qui una rete a larghe maglie, 
con punti nodali ingrossati, che occupa tutta quanta la papilla e dai 
cui filamenti si originano fibrille, che suddividendosi successivamente o 
costituiscono maglie di dimensioni più piccole o terminano con corte e 
delicate suddivisioni. Fig. 7. 


La loro sottigliezza è del resto relativa e non confrontabile certa- 


La espansioni nervose nel tegumento sotto-corneo o membrana etc. 17 


mente con quella delle fibre amidollate descritte da Sfameni nelle papille 
dei genitali femminili esterni, e da lui considerate come simpatiche; 
né tanto meno con quella delle sottilissime fibre osservate da Perroncito 
nei fusi neuromuscolari e nelle piastre motrici dei rettili. Per la loro 
provenienza da una grossa fibra midollata, e per il loro modo di ter- 
minazione si devono ritenere come fibre sensitive. | 

Nelle papille della rimanente parte della membrana cheratogena 
della sola penetrano fibre in minor quantità, che danno origine a reti 
superficiali, simili a quelle osservate nelle papille della matrice, però 
molto meno ricche di queste e più grossolane. 


Tessuto vellutato della forchetta. 


Strato profondo. Im questa parte del derma sotto ungueale i 
nervi si comportano, nella loro distribuzione, in modo molto simile a 
quelli del tessuto vellutato della sola. 

Anche qui perciò tronchicini nervosi attraversano lo spessore del 
derma e nella parte superficiale di questo compongono un ricco plesso 
mielinico i cui rami risultano di 2. 3. 4. fibre; oppure, in proporzione 
minore, penetrano nelle papille, spesso dopo aver decorso per un certo 
tratto orizzontalmente alla base di queste. 

Dal plesso mielinico superficiale si originano tanto fibre intra- 
papillari, quanto, ma in molto minor numero fibre, che raggiungono 
Yepitelio degli spazi interpapillari. Sul decorso di quest'ultime non 
posso dir nulla, perchè, come è noto, col metodo da me usato, l’epitelio 
nelle manipolazioni si stacca dal derma sottostante. 

Come nella sola, le arterie sono circondate da fibre mieliniche 
anastomizzate in plessi. 

Nel derma di questa regione si osservano frequentemente i corpus- 
coli di Pacini, che, come giustamente aveva già notato Paladino, sono 
molto più abbondanti in quella parte che ricopre il tratto posteriore 
delle branche del corpo piramidale; e che, come più recentemente aveva 
osservato Piana, si accumulano in corrispondenza delle ghiandole a gomitolo. 

Le dimensioni possono essere le più svariate; quelli molto piccoli 
sono situati nelle parti superficiali del derma. 


Possono essere ovali, reniformi, oppure cilindrici molto allungati. 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 2 


18 Giovanni Vitali, 


Il numero delle capsule varia da 8—11 per i piccoli fino a 20—25 per 
quelli grossi. Come dice Piana diversi di essi possono essere stretta- 
mente addossati tra loro e circondati da un involucro capsulare comune, 
che ne può contenere da due o tre fino a otto, dieci, dodici di dimen- 
sioni differenti. Possono anche essere però molto ravvicinati tra loro, 
ma non avere un involucro in comune. 

Sono disseminati per tutto lo spessore del derma, per fino al di 
sotto subito delle papille!), e spessissimo si vedono addossati ai tron- 
chicini nervosi o situati anche tra le fibre di questi. 

Non è infrequente l’osservare un tronco nervoso, che attraversa il 
derma dal basso all’alto, da cui si originano ramuscoli, che posseggono 
tutti, in vicinanza del punto in cui si staccano da esso, dei veri grup- 
petti di corpuscoli di Pacini, per lo più piccoli ma anche di media 
grandezza, e che in tutti possono arrivare anche a 20—25. 

Specie in quelli di piccole dimensioni, ed in quelli molto allungati, 
si vede chiaramente che la clava centrale è costituita da connettivo 
fascicolato e che la fibra conserva il doppio contorno fin nell’interno 
di essi. Il cilindrasse, penetrato nella clava centrale, può decorrere 
rettilineo o presentare delle leggere curvature; può terminare con un 
estremo rigonfiato o no; può presentare degli ingrossamenti sferici lungo 
il suo decorso, e suddividersi in due o tre diramazioni, che spesso si 
intrecciano fra loro. Può percorrere tutta la clava o arrivare appena 
a metà di essa, specie in quelli di piccole dimensioni. 

In quelli cilindrici, molto allungati, che, oltre che nelle parti pro- 
fonde e addossati strettamente ai tronchi nervosi, si riscontrano anche 
subito al di sotto dalle papille, dove possono decorrere orizzontalmente 
o verticalmente, si vedono qualche volta penetrare due fibre, che hanno 
ciascuna una sottilissima clava centrale ed un sistema di capsule 
proprie, e che terminano, con un estremo ingrossato, a diversa altezza, 
ma molto prima di raggiungere il polo opposto a quello da cui son 
penetrate. 

Nella parte superficiale del derma, si osservano anche, ma non 
molto numerosi i corpuscoli di Golgi-Mazzoni di forma rotondeggiante 


1) Anche Jobert nella pelle dell’orso lavatore osservò corpuscoli di Pacini 
piccoli e con poche capsule immediatamente sotto le papille. 


Le espansioni nervose nel tegumento sotto-corneo o membrana etc. 19 


od ovoidale; lo strato subpapillare presenta anche in questa regione una 
rete amielinica, i cui filamenti penetrano anche tra i vasi capillari delle 
basse papille degli spazi intervillosi. 

Nella parte superficiale del derma si osservano anche, in verità 
molto raramente, delle fibre mieliniche, che si dividono ad angolo ottuso 
in due, ciascuna delle quali, fattasi amielinica, si risolve in ramoscelli 
di calibro uniforme, che si riuniscono tra loro ed a quelli provenienti 
dall'altra fibra, dando luogo ad una arborizzazione molto povera e senza 
addensamento di tessuto. 

Strato papillare. Nelle papille giungono tanto fibre nervose iso- 
late che riunite in tronchicini di 3 o 4 fibre. Da questi ultimi si 
originano delle reti amieliniche superficiali, situate poco al di sotto 
dell'epitelio, con gli stessi caratteri di quelle delle papille del tessuto 
vellutato della sola. 

Le fibre dei tronchicini, cle penetrano nelle papille possono però 
anche terminarsi nell'interno di queste o sotto forma di piccoli corpus- 
coli di Krause, rotondeggianti, muniti di due o tre capsule; oppure 
sotto forma di gomitoli sprovvisti di apparato capsulare, dai quali spesso 
si origina un filamento che si può seguire per un certo tratto. 

Le fibre isolate, che giungono alle papille si espandono nella parte 
affatto inferiore di queste in larghe arborescenze, i cui rami non pre- 
sentano molte suddivisioni, nè parti molto assottigliate che si alternino 
con ingrossamenti di varia forma, come invece abbiamo visto nelle 
arborescenze delle papille della zona di passaggio tra la sola ed il 
podofilloso. Fig. 12. Anche in corrispondenza di queste non si nota 
nessuna modificazione da parte del connettivo della papilla. Queste 
forme sono state da me riscontrate solo di rado. 


* * 
* 


Per gli studi di Boas, Gegenbaur, Kölliker, Curtis è stabilita l’omo- 
logia tra le varie parti di cui risulta il rivestimento cutaneo delle 
estremità delle dita dell'uomo e quelle che compongono lo zoccolo dei 
solipedi. 

Anche Renaut ammette tale omologia e dice che „nello zoccolo 


la parte che corrisponde al lembo ungueale porta il nome di parete, 
2* 


20 Giovanni Vitali, 


la sola rappresenta l’angolo dell’unghia, le cui dimensioni si sono accre- 
sciute per fornire una base di sostegno conveniente. Infine al di dietro 
della sola esiste la forchetta, che rappresenta esattamente la polpa 
sotto ungueale, per quanto, respinta in addietro ed in alto dall’angolo 
dell’unghia, essa abbia perduto in seguito qualsiasi relazione con il 
lembo ungueale.“ 

Se confrontiamo ora linnervazione del derma di queste parti nel 
cavallo con quella delle parti corrispondenti nell'uomo, troviamo una 
maggior somiglianza tra linnervazione dello strato profondo del derma 
della parete del cavallo e quella dello strato profondo del derma sotta 
ungueale dell’uomo (presenza in ambedue dei corpuscoli di Pacini, di 
quelli del Ruffini, di alberelli e rete amielinica subpapillare), di quello 
che non sia per linnervazione delle papille; mentre nelle creste tanto 
nell'uno che nell’altro ritroviamo delle reti amieliniche. 

Le papille della matrice del cavallo posseggono infatti forme libere 
molto dissimili da quelle parimente libere delle papille del derma sotto 
ungueale dell'uomo; nelle quali poi si riscontrano, come io misi in 
evidenza, le forme capsulate, che sono presenti nella pelle del ‘polpa- 
strello; mentre quelle della matrice del cavallo sono provviste solo di 
clave semplici di Krause. 

Per la sola e per la forchetta in rapporto rispettivamente all'an- 
golo dell'unghia ed al polpastrello dell'uomo, abbiamo qualche cosa di 
raffrontabile solo nello strato profondo del derma, nella presenza cioé di 
una rete amielinica subpapillare, e nell'esistenza anche nel derma della 
forchetta del cavallo di corpuscoli di Pacini e di quelli di Golgi Maz- 
zoni. 'Tra linnervazione del derma della forchetta del cavallo e quella 
del polpastrello della scimmia non troviamo un pò di raffronto che 
nella presenza in ambedue dei corpuscoli di Pacini e della rete amie- 
linica subpapillare. 

L’innervazione poi dello strato papillare e subpapillare del derma 
della forchetta ricorda quella dei corrispondenti strati del polpastrello 
del cane e del gatto solo per la presenza dei corpuscoli di Krause e 
della rete amielinica subpapillare. 


* * 


Le espansioni nervose nel tegumento sotto-corneo o membrana etc. 21 


Conclusioni. 

Le mie osservazioni confermano l’esistenza dei corpuscoli di Pacini 
nella membrana cheratogena della forchetta e quanto hanno riferito 
Paladino e Piana a proposito della loro struttura e distribuzione. 
Mettono inoltre in evidenza: 

1° Nella matrice: corpuscoli di Pacini nello strato profondo del 
derma ed una rete amielinica negli spazi interpapillari, estesa anche 
allo strato subpapillare; nelle papille clave di Krause, reti sotto epite- 
liali e ricche e complicate espansioni libere, la cui forma non può esser 
qui brevemente riassunta. 

2° Nel podofilloso: corpuscoli di Ruffini ed alberelli ed una rete 
amielinica nell’interno delle creste. 

3° Nel tessuto vellutato della sola: rete amielinica subpapillare e 
gomitoli privi di capsule nello strato profondo e nella parte inferiore 
delle papille; in queste, reti amieliniche situate superficialmente poco 
sotto l’epitelio. 

4° Nella zona di passaggio dal tessuto vellutato della sola al 
podofilloso: terminazioni libere di Sfameni e reti amieliniche negli spazi 
interpapillari; nelle papille: ricche arborescenze ed una rete amielinica 
che ne occupa lo spessore. 

5° Nel derma sottoungueale della forchetta, oltre i corpuscoli 
di Pacini anche quelli di Golgi Mazzoni; inoltre terminazioni libere in 
forma di arborescenze ed una rete amielinica che occupa gli spazi inter- 
papillari e si estende anche al di sotto delle papille. Nelle papille 
di questa regione: corpuscoli di Krause ed espansioni libere in forma 
di gomitoli, di arborescenze e di reti amieliniche superficiali. 


Spiegazione delle figure. 


Tutte le figure sono state disegnate a mezzo della camera lucida Abbe-Apathy e col 


lang. I 
Pie, | 
Fig. 3 
Fig. 4 
Fig. 5 
Fig. 6 
Die 
Fig. 8 
Fig. 9 
Fig. 10 
Fig. 11 
Pis? 


tubo del microscopio chiuso. 


Porzione di papilla della matrice. Le fibre di un tronchicino nervoso 
danno luogo nell’interno di essa ad una ricca espansione, risultante di 
arboscelli e di gomitoli di varia grandezza, riuniti tra loro per mezzo 
di filuzzi. Koristka oc. 4, ob. 2. 

Papilla della matrice; vi si osservano due espansioni nervose, l’una sotto 
forma di gomitolo molto allungato ed addensato, l’altra costituita dalla 
riunione di espansioni a grappolo. Koristka oc. 3, ob. 3. 

Porzione di papilla della matrice. Un fascetto di fibre mieliniche dà 
luogo nel suo interno ad una ricchissima e delicata espansione libera. 
Koristka oc. 3, ob. 5. 

Rete amielinica in uno spazio intervil oso del tessuto vellutato della sola. 
Koristka oc. 3, ob. 5. 3 

Vi è disegnato un gruppetto di quattro corpuscoli di Pacini. Strato 
profondo della matrice. Koristka oc. 3, ob. 2. 

Espansione ad alberello dello strato profondo del tessuto podofilloso. 
Koristka oc. 3, ob. 3. 

Porzione di papilla del margine della sola. Vi sono disegnate le fibre 
grosse e la rete amielinica. Koristka oc. 3, ob. 5. 

Corpuscolo di Ruffini dello strato profondo del podofilloso. Koristka 
oc. 4, ob. 3. 

Porzione di papilla della zona di passaggio dal tessuto vellutato della 
sola al podofilloso. Una fibra si espande in forma di ricca ed estesa 
arborescenza. Koristka oc. 3, ob. 6. 

Porzione di papilla della matrice. Vi è disegnata la rete amielinica 
superficiale fornita da diversi tronchicini. Koristka oc. 4, ob. 2. 
Porzione di papilla della zona di passaggio dal tessuto vellutato della 
sola al podofilloso. Vi si vedono tre fibre mieliniche provenienti dallo 
stesso fascio concorrere tutte alla formazione di un’arborescenza molto 
estesa. Koristka oc. 3, ob. 5. 

Arborescenza alla base di una papilla del tessuto vellutato della forchetta. 
Koristka oc. 3, ob. 5, 


Giovanni Vitali, Le espansioni nervose nel tegumento sotto-corneo etc. 93 


Fig. 13. 


Fig. 14. 


Fig. 15. 


Fig. 16. 


Una fibra nervosa fornisce l’espansione di 6 corpuscoli di Ruffini. Ko- 
ristka oc. 4, ob. 3. 

Anse avviticciate delle basse papille degli spazi intervillosi della zona 
di passaggio dal tessuto vellutato della sola al podofilloso. Koristka 
oc. 3, ob. 5. 

Segmento di cresta del podofilloso visto di faccia. Vi è disegnato il plesso 
mielinico. Koristka oc. 2, ob. 2. 

Segmento di cresta del podofilloso visto di faccia. Vi è disegnata por- 
zione della rete amielinica. Koristka oc. 4, ob. 5. 


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(Aus dem neurologischen Laboratorium der psychiatrischen und Nervenklinik der 
Kaiserl. Militär-Medizinischen Akademie zu St. Petersburg. 
Vorstand: Prof. Dr. Akademiker W. v. Bechterew.) 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien.!) 
Von 


Sergius Michailow. 


(Mit Taf. III—VI und 1 Textfig.) 


I. Historische Literaturübersicht. 


Die Mehrzahl der Anatomen des XVIII. Jahrhunderts glaubte 
(s. Ludwig, Scriptor. neurologici minor. T. I. Lipsiae 1791), dass alle 
grösseren Nervenstämme, also sowohl die sympathischen als auch die 
cerebrospinalen Nerven von den Organen des zentralen Nervensystems, 
d. h. Gehirn und Rückenmark, ihren Beginn und Austritt nehmen. 
Allein auch sie waren schon der Meinung, dass die sympathischen 
Nerven sich dadurch von den gewöhnlichen cerebrospinalen unter- 
scheiden, dass sie auf ihrem Wege durch Ganglien hindurchziehen, in 
denen sie manche Veränderungen erfahren. 

Aber auch schon im XVIII. Jahrhundert äusserten manche Autoren 
Ansichten, in welchen, freilich noch unerkannt und nicht genügend 
gewürdigt, aber immerhin schon der Kern der ausserordentlich wich- 
tigen Lehre von dem Ursprung der sympathischen Nerven nicht aus 
dem zentralen Nervensystem, sondern aus selbständigen nervösen 
Zentren — den sympathischen Ganglien — enthalten war. Wir haben 
hiermit die Untersuchungen Petits [1] im Auge. Dieser Autor notierte 


1) Mitgeteilt in der Gesellschaft der russischen Ärzte zu St. Petersburg, den 
27. November 1908, mit Demonstration der entsprechenden Präparate. 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. zur 


bei sorgfältigen Untersuchungen von Nerven, und zwar hauptsächlich 
des Nervus abducens und trigeminus, dass die Stämme dieser Nerven 
sich unterhalb der Stelle, an welcher zu ihnen sympathische Fasern 
hinzutreten, verdicken und sich oberhalb derselben verdünnen. Petit 
war der Meinung, dass eine derartige Umfangsvergrösserung der 
Nervenstämme das Resultat des Hinzutrittes von sympathischen 
Fasern sei. 

Eine noch genauere Formulierung der eben angeführten Ansicht 
finden wir in einer Arbeit des XVIII. Jahrhunderts von /wanoff [3] 
— über den Ursprung der Interkostalnerven. Er war der erste, der 
sich in ganz klarer Weise dahin aussprach, dass eben die Ganglien 
die Ursprungsstätten der sympathischen Nerven seien. Allein diese 
neue Lehre, die erst 50 Jahre später eine wirklich wissenschaftliche 
Begründung erhielt, entbehrte zu jener Zeit noch einer anatomischen 
Grundlage, weil Zwanoff den Verlauf der Nervenfasern weder an den 
Vereinigungsstellen der sympathischen mit cerebrospinalen Nerven, noch 
bei ihrem Austritt aus den Ganglien untersucht hatte. 

Ebenso neigten auch viele andere nachfolgende Forscher zur Meinung 
hin (Fontana |4], E. H. Weber [5], G?ltay [6], Bidder [7] u. a.), dass die 
sympathischen Nerven aus Ganglien entspringen und dann selbständig 
bis zu ihrem Vereinigungsort mit den aus dem Rückenmark oder Ge- 
hirn stammenden Nerven verlaufen. Dann treten sie zu diesen letzteren 
hinzu und ziehen, den Anteil eines solchen cerebrospinalen Nerven 
bildend, zur Peripherie. Diese Autoren arbeiteten an verschiedenen 
Hirn- und Rückenmarksnerven verschiedener Säugetiere, jedoch wies 
ihre Methodik eine Lücke auf, welche ihre Arbeit entwertete — das 
Fehlen mikroskopischer Untersuchungen. 

Ein ähnliches Fehlen anatomischer Begründung finden wir bei der 
Entstehung einer anderen Lehre noch — von dem Faseraustausch 
zwischen sympathischen und cerebrospinalen Nerven. Die Anfänge 
dieser Lehre finden wir noch in der Arbeit van Deens [8] über die 
Unterschiede und den Zusammenhang zwischen den Nerven des orga- 
nischen und tierischen Lebens. Auf Grund physiologischer Unter- 
suchungen glaubte er, dass an den Vereinigungsstellen von sympa- 
thischen oder organischen und cerebrospinalen oder animalen Nerven 


28 Sergius Michailow, 


ein gegenseitiger Austausch von Eigenschaften zwischen diesen statt- 
finden müsse. Diese beiden Ansichten fanden ihre Bestätigung und 
eründliche Bearbeitung erst in den späteren Arbeiten zahlreicher 
Forscher und hauptsächlich in den Arbeiten Remaks. 

In der Wissenschaft jener Zeit war die in der Arbeit vom Leben 
und Tod [9] dargelegte Ansicht Bichats sehr im Gange, nach welcher als 
notwendig hingestellt wurde, zwei Kategorien von Lebenserscheinungen 
im Organismus zu unterscheiden: 1. Erscheinungen, die zum Zwecke 
die Beschützung der Existenz des betreffenden Individuums haben — 
pflanzliche oder vegetative Erscheinungen, und 2. Erscheinungen, die 
zu Zwecken dienen, welche ausserhalb des betreffenden Individuums 
liegen — tierische oder animale Erscheinungen. Diese zwei Kategorien 
von Erscheinungen wurden als vollständig selbständige und voneinander 
unabhängige betrachtet, und jede von ihnen besitzt im tierischen Körper 
ein entsprechendes Nervensystem: die animalen Erscheinungen —- das 
zentrale. Nervensystem mit seinen peripheren Nerven, die vegetativen 
Erscheinungen — das ganglionäre oder sympathische Nervensystem. 
Bald nach ihrem Erscheinen erhielt diese Ansicht Bichats solide ana- 
tomische Unterstützung und Begründung durch die Entdeckungen 
Ehrenbergs und Remaks. 

Damals fehlte noch eine höchst wichtige anatomische Begründung, 
um den sympathischen Ganglien die Bedeutung von Nervenzentren 
beizulegen, weil nämlich in ihnen noch gar keine Nervenzellen nach- 
gewiesen waren. Die Ehre, sie in diesen Ganglien entdeckt zu haben, 
gehört gerechterweise Ehrenberg. Im Jahre 1833 wies er darauf 
hin, dass die sympathischen Ganglien sich aus drei Arten nervöser 
Elemente zusammensetzen: dicke zylindrische Nervenfasern und dünne 
zarte, wie mit Perlen besetzte Fäden („perlschnurartig“ aussehende), 
die sich unter einander verflechten und das Gefässnetz des Ganglion 
umgeben (,Blutgefássnetz^); ausserdem aber sah er in den Maschen 
dieses Netzes noch besondere Körperchen, welche denen ähnlich waren, 
die die Netzhaut bedecken und sich an den (zentralen) Enden cere- 
 brospinaler Nerven finden [10]. 

Diese äusserst wichtige Entdeckung wurde schon im nächsten 
Jahre durch Zauth [11] bestätigt, der das Ganglion cervicale superius 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 29 


untersucht hatte. Er fand, dass die Mehrzahl der Fasern dieses Gan- 
glion dünne, zarte, variköse Fasern sind, und dass nur in bedeutend ge- 
ringerer Zahl sich hier auch dickere zylindrische Nervenfasern finden. 
Zwischen den Fasern fand Lauth die von Ehrenberg entdeckten 
Körperchen, welche nach diesem Autor eine rundliche Form hatten 
und jenen ähnlichen Körperchen analog waren, die in den Intervertebral- 
ganglien zu finden sind. 

Ungefähr fast die gleichen Angaben finden wir bei Valentin [12]. 
Nach diesem Autor bilden die Nervenfasern in den sympathischen 
Ganglien eine sehr komplizierte, verwickelte und dichte Verflechtung, 
in welcher sich besondere ganglionäre Kórperchen („Ganglienkugeln“) 
von runder oder länglicher Form finden. Jedes solche Körperchen 
besitzt einen Kern, in dem ein Nukleolus zu sehen ist. Valentin weist 
darauf hin, dass die Nervenfasern und die ganglionären Körperchen- 
kugeln nicht ineinander übergehen, sondern dass sie sich im Zustande 
der gegenseitigen Berührung, des Kontaktes („Juxtaposition“) be- 
finden. | 

Unter den Nervenfasern unterscheidet Valentin zwei Gruppen: 
die einen von ihnen ziehen einfach durch die Ganglien hindurch 
(durchtretende Nervenfasern“), während die änderen die genannten 
ganglionären Zellen umspinnen („umspinnende Nervenfasern“). Dieser 
Autor sowohl als auch Eihrenberg war der Meinung, dass die Färbung 
der sympathischen Nerven von der Anwesenheit dieser Körperchen 
auf ihrem Wege herrühre. | 

In seiner darauffolgenden Arbeit bestätigte Ehrenberg von neuem 
seine Entdeckung von 1833, wobei er als charakteristisch für die sym- 
pathischen Fasern ihr variköses Aussehen hielt, obgleich er auch an- 
erkannte, dass diese Varikositäten Artefakte seien. Er notierte ausser- 
dem, dass die Zellen der sympathischen Nerven nicht auf ihrem ganzen 
"Wege verstreut liegen, sondern dass sie sich zu Häufchen zusammen- 
tun und dass eben diese Zusammenhäufungen das Vorhandensein von 
lokalen ganglionären Verdickungen der sympathischen Nerven erklären. 

Die zweite wichtige Tatsache, die, wie es besser nicht möglich war, den 
Anschauungen Bichats und seiner Anhänger entgegenkam, war die durch 
Remak vollzogene Entdeckung einer besonderen, für das sympathische 


30 Sergius Michailow, 


Nervensystem charakteristischen und spezifischen Nervenfaser. Im 
Jahre 1838 beschrieb er zuerst in seinen Observationes anatomicae et 
microscopicae de systematis nervosi structura [15] besondere „graue 
organische oder kernhaltige“, wie er sie nannte, Nervenfasern, welche er 
in riesiger Anzahl sowohl in grossen ganglionären Verflechtnngen der 
sympathischen Nerven als auch in zahlreichen mikroskopischen Ganglien 
sah. Diese Fasern besitzen nach dem genannten Autor keine Hülle 
und sind stets von einer bedeutenden Anzahl von Kernen begleitet, 
wodurch sie sich scharf von den Nervenfasern des cerebrospinalen 
Nervensystems unterscheiden. ÆRemak war der erste, der die Ansicht 
äusserte, dass die Färbung der sympathischen Nerven nicht von der 
Anwesenheit von Ganglienzellen auf ihrem Wege, wie Ehrenberg und 
Valentin meinten, sondern von dem eben beschriebenen Bau jener 
Fasern herkomme, welche quantitativ den bedeutendsten Bestandteil 
dieser Nerven bilden. 

Die organischen Nervenfasern zeigen nach Remak auf ihrer Ober- 
fläche eine Längsstreifung. Sie vermengen sich stets mit cerebro- 
spinalen Nerven und ziehen zum Herzen, den Gefässen, dem Magen und 
den Drüsen, zu den Lungen, zur Leber, zur Milz und zu den Nieren, auch 
zu allen Schleim- und serösen Häuten und zur Hautdecke. Diese 
organischen Fasern besitzen nach Remak ausser vielen anderen Eigen- 
schaften noch die motorische und innervieren die glatte Muskulatur. 
Ausserdem zeigte Remak in der gleichen Arbeit, dass die von ihm 
entdeckten grauen oder organischen Fasern aus den zuerst von Ehren- 
berg in den sympathischen Ganglien nachgewiesenen Nervenzellen 
stammen, wobei er ursprünglich auf Grund seiner an jungen Tieren, 
besonders an Kaninchen, gemachten Beobachtungen der Meinung war, 
dass für diese Zellen zum Unterschiede von cerebrospinalen Nerven- 
zellen die Anwesenheit von zwei Kernen charakteristisch sei. Allein 
später kam er zur Überzeugung, dass in dieser Beziehung zwischen 
sympathischen und cerebrospinalen Nervenzellen ein Unterschied nicht 
existiert. Infolge aller dieser äusserst wichtigen und folgenreichen 
Entdeckungen war Remak mit Recht der Ansicht, dass die sym- 
pathischen Ganglien selbständige Zentren des organischen Nerven- 
systems seien. 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 31 


Diese äusserst inhaltsreiche Arbeit Remaks, die er als Dissertation 
vorlegte, eröffnete eine neue Ära in der Lehre vom Bau des sympa- 
thischen Nervensystems. Diese allgemeine Frage zerfiel schon in 
dieser Arbeit in drei mehr histologische Fragen, auf welche sich 
die Aufmerksamkeit aller nachfolgenden Forscher des sympathischen 
Nervensystems konzentrierte, und solcher Forscher gab es sehr viele, 
weil diese interessante, obgleich auch äusserst schwierige Frage von 
jener Zeit und bis zum heutigen Tage nicht aufhört, die Forscher zu 
interessieren. 


Die drei erwähnten Fragen sind die folgenden: 


1. Der Bau der Remakschen marklosen Nervenfasern; 

2. die Frage nach den zweikernigen sympathischen Zellen und 
ihrer Bedeutung; 

3. die Frage nach den Fortsätzen der sympathischen Zellen 
und ihren gegenseitigen Beziehungen. 


ad 1. Die in der Remakschen Arbeit angeführten Tatsachen 
wurden sogleich zahlreichen Nachprüfungen unterzogen, und wurden 
teils bestätigt, teils zurückgewiesen. Der erste, welcher sich gegen 
diese Angaben Remaks aussprach, war Valentin [12]. Er wies 
darauf hin, dass die von Æemak beschriebenen Fasern nicht Aus- 
läufer der Ganglienzellen (Ganglienkugeln) seien, sondern dass sie 
Fortsätze der Hülle dieser Ganglienzellen seien und die aus den 
letzteren austretenden Nervenfasern umgeben. Er neigt sogar zur 
Meinung hin, dass eben von der Anwesenheit dieser Hüllen die 
Färbung der sympathischen Fasern abhängt. Den Abgang solcher 
Ausläufer von den Ganglienzellen konnte er nie beobachten. 

Aber im gleichen Jahre bestätigte Rosenthal in seiner Dissertation 
die nervóse Natur der ZAemakschen Fasern, verhielt sich aber 
ablehnend gegenüber der Ansicht, dass diese Fasern von Ganglien- 
zellen abgehen. Mit dieser Meinung war natürlich auch Purkinje ein- 
verstanden, weil ja Rosenthal unter seiner Leitung arbeitete. 

Diese Meinung Purkinjes und Rosenthals wurde in den nächsten 
Jahren fast ohne wesentliche Veränderungen in den Arbeiten auch 
anderer Autoren, wie Henle [17], Gerber [15] und Hassall [19] zum 


32 Sergius Michailow, 


Ausdruck gebracht, wobei dieser letztere es sogar für möglich hielt, 
dass solche organische Fasern von Zellen spinaler Ganglien ausgehen, 
was, wie uns scheint, aus Folgendem ersichtlich ist: in seiner mi- 
kroskopischen Anatomie des menschlichen Körpers sagt er, dass die 
spinalen Ganglien aus Ganglienzellen, markhaltigen und marklosen 
Nervenfasern bestehen; er will aber nicht entscheiden, welche von 
diesen Fasern von solchen Zellen abstammen, hält es aber für be- 
sonders wichtig, dass irgendwelche von ihnen doch abstammen. 

Diese Misserfolge der anderen Forscher waren natürlich die Ur- 
sache, dass es üblich ist, den Zusammenhang der Nervenfaser mit 
der Nervenzelle erst seit den Untersuchungen Helmholtz’ [14] und 
Hannovers |15| als festgestellt zu betrachten, obgleich diese letzteren 
Autoren ihre Untersuchungen erst vier Jahre nach Erscheinen der 
zitierten Arbeit Remaks veröffentlichten. 

In ihrer gemeinschaftlichen Arbeit über die Selbständigkeit des 
sympathischen Nervensystems weisen Bidder und Volkmann |20] darauf 
hin, dass sie ebenfalls nie die Abstammung der Remakschen Fasern 
von Ganglienzellen feststellen konnten, zumal sie auch nie in 
sympathischen Ganglien Nervenfasern sahen, welche diese Ganglien- 
zellen umspinnen würden („umspinnende Nervenfasern“). Diese letz- 
teren erkannte, wie oben gesagt, Valentin an. Bidder und Volkmann 
schliessen sich im übrigen vollkommen der Meinung Remaks an und 
sind ebenso wie er der Ansicht, dass die Färbung der sympathischen 
Nervenfasern von der Färbung der grauen Fasern selbst abhängt. 
Sie sahen in den sympathischen Ganglien bloss durchtretende Nerven- 
fasern. 

Allein Beck [21] war der Meinung, dass die marklosen Remakschen 
Fasern tatsächlich von den Zellen der sympathischen Ganglien ab- 
stammen und aus den letzteren durch die grauen Rami communicantes 
(„grey rami“) zum cerebrospinalen Nervensystem ziehen. 

Endlich, 15 Jahre nach dem Erscheinen seiner berühmten Arbeit 
von 1838, kontrollierte und bestätigte Remak noch einmal vollauf alle 
seine früheren Hauptangaben. In der Arbeit über die ganglionösen 
Nervenfasern des Menschen und der Säugetiere [73] behauptet er mit 
Überzeugung aufs neue, dass alle diejenigen Fasern, die er früher und 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 33 


jetzt beschrieben hat, zweifellos nervöser Natur seien. Er macht den 
Vorschlag, diese Fasern, die er früher organische graue Nervenfasern 
nannte, fernerhin „ganglionöse Nervenfasern“ zu nennen und behauptet 
von neuem, dass sie alle von Ganglienzellen abstammen. 

Für spätere Autoren war die Abstammung dieser Remakschen 
Fasern von ganglionösen Zellen eine schon gelöste Frage, und sie 
richteten ihre Arbeit darauf, genauer und detaillierter den feinsten 
Bau dieser Nervenfasern aufzuklären. 

Früher als den anderen gelang es Max Schultze [22], nachzu- 
weisen, dass die marklosen Remakschen Fasern von einer besonderen 
Hülle, welche Kerne enthält und der Schwannschen Scheide mark- 
haltiger Nervenfasern ähnlich war, umgeben sind. Dieser Autor wies 
auch trotz seiner einfachen Methodik zuerst darauf hin, dass die 
Remaksche Faser selbst eine grosse Anzahl höchst feiner Fäserchen 
in sich enthält. 

Diese Angaben Max Schultzes wurden bald von einem anderen 
hervorragenden Histologen, Waldeyer |23], bestätigt. Dieser letztere 
Forscher betrachtete die marklosen Remakschen Fasern als Bündel 
feinster Fibrillen, die vollkommen den Fibrillen des Achsenzylinders 
markhaltiger Nervenfasern entsprechen. Ausserdem sind nach Waldeyer 
diese marklosen Nervenfasern in der Tat, wie es auch Schultze be- 
tonte, von einer zarten kernhaltigen Scheide umgeben, entbehren aber 
vollständig einer Markhülle. 

Diese Ähnlichkeit der Remakschen Fasern mit den Achsenzylindern 
markhaltiger Nervenfasern erschien den Forschern der sechziger Jahre 
als eine so vollständige, dass Bidder einfach meinte, die marklosen 
Fasern seien nichts anderes als nackte Achsenzylinder [7]. Manche 
von den nachfolgenden Autoren jedoch (Ranvier, Key, Retzius, Boveri) 
machten Angaben, welche mit den Angaben der eben angeführten 
Forscher nicht übereinstimmten und weisen ausserdem auf einen be- 
deutend grösseren Unterschied zwischen den marklosen und mark- 
haltigen Fasern hin, als es den oben zitierten Autoren schien. 

In seinem technischen Lehrbuch der Histologie gibt Ranvier [29] 
an, dass die marklosen Nervenfasern nach Bearbeitung mit einer 


2°/,igen Lösung Ammon. bichrom. mit Verdickungen von verschiedener 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 3 


34 Sergius Michailow, 


Grösse, Form und Aussehen oder Varikositäten besetzt werden. Er 
konnte ebenfalls den fibrillären Bau dieser Fasern feststellen, wobei 
er der Meinung war, dass eine feinste marklose Faser bloss aus einer 
Fibrille bestehen könne, während für gewöhnlich eine jede solche 
Faser ihrer mehrere enthält. Diese Fibrillen sind in das Protoplasma 
der Faser eingebettet, wobei im ersteren Falle diese Protoplasma- 
schicht in gewissem Sinne eine Scheide für die in ihr enthaltene 
Fibrille bildet, während im zweiten Falle das Protoplasma zwischen 
die Fibrillen dringt und das Fibrillenbündel auch von der Oberfläche 
her umgibt, die einzige Hülle der marklosen Nervenfaser bildend. In 
dieser oberflächlichen Protoplasmaschicht liegen nach Ranvier auch 
die Kerne, welche zu der Schwannschen Scheide schon aus dem ein- 
fachen Grunde in gar keiner Beziehung stehen, als nach diesem Autor 
die marklosen Remakschen Fasern eine Scheide überhaupt nicht be- 
sitzen. Dass die marklosen Fasern einer Scheide entbehren, gaben 
auch schon Key und Retzius in ihrer gemeinsamen umfangreichen 
Arbeit über die Anatomie des Nervensystems und des Bindegewebes 
an [25]. Nach diesen Autoren enthalten die marklosen Fasern Fibrillen, 
welche in die perifibrilläre protoplasmatische Substanz eingeschlossen 
sind. Was die durch die oben angeführten Autoren beschriebenen 
Kerne anbetrifft, so fanden sie Key und Retzius ebenfalls beständig 
an der Oberfläche markloser Remakscher Fasern, wobei sie bemerkten, 
dass an beiden Enden dieser Kerne, die gewöhnlich eine ausgezogene 
längliche Form besitzen, sich kórniges Protoplasma anhäuft. Sie geben 
an, dass der minimale Durchmesser dieser Fasern 1,6—2,9 u be- 
trägt [25]. 

M. Schultze, Ranvier, Key, Retzius und später auch Kölliker [26] 
und Schiefferdecker [27] äusserten also die Meinung, dass die Kerne 
bloss an der Oberfläche der marklosen Nervenfasern liegen. Allein 
Boveri stimmte nicht mit diesen Autoren überein und wies im Jahre 
1885 darauf hin, dass diese Kerne auch im Inneren der marklosen 
Faser liegen. 

In der Mitte der neunziger Jahre endlich erschien unseres Wissens 
die letzte Arbeit, welche dem Studium der Struktur markloser Nerven- 
fasern gewidmet ist. In dieser Arbeit Tucketts [25] finden wir An- 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 35 


gaben, welche teils die Beobachtungen der früheren Autoren bestätigten, 
teils als neue Tatsachen erschienen, die freilich auch bis heute noch 
keine Bestätigung gefunden haben. Tucket kam auf Grund seiner 
Beobachtungen zum Schlusse, dass die Remakschen Fasern einen Durch- 
messer von 1,5—2 u, eine Scheide und Inhalt besitzen. Dieser Inhalt 
ist die Fortsetzung der Ausläufer nervöser ganglionärer Zellen, während 
die Scheide die Fortsetzung von deren Kapsel ist. Nach dem Tode platzt 
die Scheide und zerfällt in Bündel von Fibrillen, und eben diese Bilder 
veranlassten, nach Tuckett, die früheren Autoren, die Remakschen 
Fasern als ein Bündel von Fibrillen zu betrachten, was in der Tat 
nicht der Fall ist. 

Vor 12 Jahren natürlich konnte man immerhin noch ernst über 
die Angaben der T'uckettschen Arbeit reden und schreiben, heutzutage 
jedoch, wo dank der zahlreichen elektiven Fibrillendarstellungsmethoden 
die Lehre von dem fibrillären Bau des Nervensystems so fest begründet 
steht, ist es kaum noch móglich, zu derartigen Behauptungen erst 
Stellung zu nehmen. 

In der gegenwärtigen Histologie basiert die Lehre von der Struktur 
der marklosen Remakschen Fasern auf den tatsächlichen Beobachtungen 
Remaks, Max Schultzes und der anderen oben angeführten Autoren. 

ad 2. Indem wir zur Erórterung der Frage über die zwei- 
kernigen sympathischen Zellen übergehen, muss zunächst darauf hin- 
gewiesen werden, dass die Forscher, welche sich mit dieser Frage an 
Sáugetieren bescháftigten, stark durch den Stand der analogen Frage 
hinsichtlich der sympathischen Zellen bei Batrachiern überhaupt und 
beim Frosche besonders beeinflusst wurden. 

Remak |13] war es, der zuerst dem Umstande Beachtung schenkte, 
dass sich in den sympathischen Zellen einiger Säugetiere je zwei 
Kerne mit Kernkörperchen finden. Indem er an Kaninchen arbeitete, 
meinte er sogar ursprünglich, dass eine solche Zweikernigkeit für die 
sympathischen Zellen charakteristisch und spezifisch sei, allein als er 
viele andere Tiere in dieser Richtung untersuchte und zur Überzeugung 
kam, dass die Zweikernigkeit der sympathischen Zellen keine konstante 
Erscheinung ist, gab er diese Meinung auf. 


Nach den Arbeiten Remaks wurde diese Frage in der entsprechen- 
3* 


36 Sergius Michailow, 


den Literatur im Laufe von etwa drei Dezennien nicht mehr erörtert. 
Zu dieser Zeit erfolgte bekanntlich die Veröffentlichung zahlreicher 
Arbeiten hinsichtlich der Struktur sympathischer Zellen beim Frosche, 
Arbeiten, in denen diese Frage ausserordentlich detailliert und genau 
behandelt wurde. Viele unter den Autoren dieser Arbeiten (Arnold [29] 
u. a.) wiesen unter anderem darauf hin, dass der gerade Forsatz der 
sympathischen Zellen beim Frosche unmittelbar verbunden ist oder 
übergeht in den Kern und das Kernkörperchen dieser Zellen. 

Es ist natürlich, dass manche Forscher sich an die Lösung der 
entsprechenden Frage auch an Säugetieren machten. Courvoisier [30] 
fand hierbei, dass die sympathischen Zellen der Säugetiere multipolar 
sind, und dass jeder ihrer Fortsätze, ebenso wie beim Frosche, un- 
mittelbar in den Kern übergeht. 


Guye [31] untersuchte die sympathischen Eanelien des Fins 


bei Bearbeitung mit Chromsalzen. Er wies darauf hin, dass alle Zellen 
dieser Ganglien bipolare Zellen sind und je zwei Kerne mit Kern- 
körperchen enthalten. Diese zwei Tatsachen stehen ausserdem nach 
Guye in unmittelbarem gegenseitigen Zusammenhang. Nach diesem 
Autor geht jeder der beiden Fortsätze in einen der beiden Kerne über, 
wobei die Achsenzylinder mit den Kernkörperchen verbunden erscheinen. 
Guye fand bloss ab und zu zweikernige Zellen in den sympathischen Gan- 
glien des Hundes, die Mehrzahl der Zellen besitzt einen Kern. Allein 
zwei Jahre später wurden diese Angaben Guyes schon nicht bestätigt von 
seiten Schwalbes [32], welcher die erwähnte Frage wieder in denjenigen 
Stand zurückversetzte, in dem sie Remak zurückliess. Nach Schwalbe 
sind in den sympathischen Ganglien des Kaninchens, die er mit Hilfe 
der Isolationsmethode und mittels der Bearbeitung mit Osmium- und 
Essigsäure, Färbung mit Karmin usw. behandelte, bipolare Zellen sehr 
selten anzutreffen, und auch dann, wenn sie dennoch angetroffen 
werden, stellt es sich heraus, dass solche Zellen je einen Kern be- 
sitzen. Schwalbe ist der Meinung, dass die sympathischen Zellen des 
Kaninchens multipolar sind und mitunter zwei Kerne enthalten, in 
deren jedem sich zwei oder mehr Kernkörperchen finden. Er meint, 
dass sogar diejenigen Zellen, die bipolar zu sein scheinen, in der Tat 
multipolar sind und bloss bei der Isolierung beschädigt wurden. Die 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 37 


Fortsätze stehen in keinerlei direkter Beziehung zum Kern und Kern- 
körperchen. In betreff der Frage über die Bedeutung solcher Bilder 
(Zweikernigkeit der sympathischen Zellen) äussert Schwalbe zwei Ver- 
mutungen: entweder sind die zweikernigen Zellen aus einkernigen 
durch Teilung des ursprünglich einzelnen Kernes hervorgegangen, oder 
aber sie sind entstanden durch Vereinigung zweier einzelner einkerniger 
Zellen zu einer zweikernigen. Ausser beim Kaninchen fand Schwalbe 
zweikernige Zellen nur noch in den sympathischen Ganglien des Meer- 
schweinchens. 

Die Angaben Guyes wurden aber später zum Teil wieder von 
Bidder [7] wiederholt. Dieser Autor teilte mit, dass es ihm gelang, den 
Abgang von Fortsätzen multipolarer sympathischer Zellen einiger Säuge- 
tiere teils vom Zellkörper, teils vom Kern zu sehen. Die Fortsätze dieser 
zweiten Kategorie zogen weiter durch den Körper der Zelle, traten aus 
ihr heraus und gingen in marklose Nervenfasern über. Dieser Autor 
sah konstant zweikernige Zellen im Ganglion coeliacum des Kaninchens 
und begegnete einer solchen Zelle bloss einmal in dem entsprechenden 
Ganglion der Katze. Ausserdem sah sie Bidder nur sehr selten im 
Ganglion Gasseri des Kaninchens. Auf Grund aller dieser Angaben 
gelangte Bidder zu dem Schlusse, dass die zweikernigen Zellen als 
eine dem sympathischen Nervensystem des Kaninchens zukommende 
Besonderheit betrachtet werden müssen. Manches Mal sah dieser 
Autor, dass die beiden Kerne einer Zelle durch einen feinen Faden 
— „Kommissurenfaden* — verbunden sind, was er auch auf Fig. 10 
an dem Ganglion coeliacum des Kaninchens abbildet. Ebenso erscheinen 
auch die beiden Kernkörperchen mittels eines Kommissuralfadens mit- 
einander verbunden. Die zweikernigen Zellen sind nach Bidder eine 
weitere Entwicklung der einkernigen, allein der Unterschied zwischen 
ihnen ist mehr ein funktioneller als ein auf Altersunterschied, d. h. 
-auf verschiedene Stadien in der progressiven Entwicklung der Zelle 
zurückzuführender. 

Die Existenz zweikerniger Zellen in den sympathischen Ganglien 
des Kaninchens, des Hundes, der Katze und des Menschen hat S. Mayer 
notiert [33]. Er bestätigte auch die Angaben Bidders über die Existenz 
von Verbindungsfáden zwischen den Kernen einer Zelle, wobei er sie 


38 Sergius Michailow, 


„Kernkommunikationsfäden“ nannte. Mayer wies auf solche Bilder 
in den sympathischen Ganglien hin und bildete eine von ihnen ab, 
welche jetzt als Anastomosen zwischen zwei Nervenzellen oder als 
dasjenige Teilungsstadium einer gegebenen Zelle, in welcher der Kern 
sich schon vóllig geteilt hat, das Protoplasma der beiden Tochterzellen 
aber noch durch eine mehr oder minder breite Brücke. verbunden 
bleibt, betrachtet werden (s. meine Arbeiten über sympathische Zellen: 
Internat. Monatsschr. für Anatomie und Phys., Bd. 25; Archiv für 
mikroskopische Anatomie, Bd. 72; Arbeiten des Vereins russischer 
Ärzte in Petersburg fürs Jahr 1907 und Archiv der Veterinärwissen- 
schaften 1908 [russ.]); allein er war der Meinung, dass solche Bilder 
eine Folge von Beschädigung bei der Präparation sind. Mayer sah 
nie eine Verbindung der Fortsätze mit dem Kern oder Kernkörperchen. 

Zweikernige Zellen in den sympathischen Ganglien von Kaninchen, 
Maulwurf und Meerschweinchen sah auch Arndt [34], wobei dieser 
Autor beim Kaninchen auch mehr als zwei Kerne in einer Zelle sah 
— vielkernige sympathische Zellen mit 6, 8, 10 Kernen, was er auch 
auf Fig. 14 seiner Arbeit abbildet. Bei anderen Säugetieren (Hund, 
Ochs, Mensch u. a.) sah er in den sympathischen Ganglien weder zwei- 
kernige noch vielkernige Zellen. 

Beim Kaninchen aber fanden zweikernige sympathische Zellen 
ferner Key und Retzius [25]. 

Hiermit haben wir kurz die Ansichten, soweit uns bekannt, aller 
derjenigen alten Autoren, welche sich auf diese oder jene Weise in 
ihren Arbeiten über die Frage der zweikernigen und zum Teil viel- 
kernigen sympathischen Zellen bei Säugetieren äusserten, referiert und 
es bleibt uns noch übrig, bevor wir die historische Übersicht der 
hierher gehörenden Arbeiten abschliessen, zweier neuerer Arbeiten Er- 
wähnung zu tun, derjenigen von Apolant und Huber. Im diesen zwei 
Arbeiten finden wir freilich nichts wesentlich Neues, allein sie kon- 
trollieren von neuem fast alle Tatsachen der zitierten Autoren, ob- 
gleich sie auch, wie es scheint, viele der von ihnen mitgeteilten Tat- 
sachen als originelle betrachten, da sie sich nicht auf die oben an- 
geführte Literatur beziehen. 

Apolant [36| untersuchte verschiedene sympathische Ganglien von 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 39 


. Kaninchen, Meerschweinchen, Hase, Eichhörnchen, Ratte und Maus, 
indem er Zupfpräparate von frischem Gewebe in Jodserum bereitete. 
Zunächst äussert er sich dagegen, dass die Zweikernigkeit als Kenn- 
zeichen der sympathischen Ganglien dienen könne. Ferner unter- 
suchte er die Beziehung der Zweikernigkeit der sympathischen Zellen 
des Kaninchens zum Alter dieser Tiere. In dieser Hinsicht führt 
Apolant folgende Tatsachen an: im Ganglion cervicale superius finden 
sich schon. bei drei Wochen alten Embryonen zweikernige Zellen, 
während sich andererseits bei alten Exemplaren einkernige Zellen 
finden. Sehr selten fand er Zellen mit drei Kernen. Die einzelnen 
Ganglien verhalten sich verschieden in bezug auf das Vorkommen 
zweikerniger Zellen: in sympathischen Ganglien, die in Verbindung mit 
cerebrospinalen Nerven stehen (Ganglion sphenopalatinum, oticum, sub- 
maxillare), sind alle Zellen sogar bei alten Tieren einkernig, und Zellen 
mit zwei Kernen sind hier ebenso selten wie in den spinalen Ganglien. 
Zweikernige Zellen traf Apolant ausser beim Kaninchen noch in den 
sympathischen Ganglien des Meerschweinchens und Hasen an, bei 
Nagern, wie Maus, Ratte, Eichhörnchen, fand er stets bloss Zellen mit 
einem Kern. Auf Grund aller dieser Tatsachen weist Apolant die 
Entstehung der zweikernigen Zellen aus einer einkernigen zurück und 
meint, dass wir es in dieser Frage mit einem Verschmelzungsprozess 
einzelner Nervenzellen untereinander zu tun haben, und diese Ver- 
schmelzung vollzieht sich auf die Weise, dass zwei Zellen sich ur- 
sprünglich in Kontakt befinden, welcher später eine solide Anastomose 
mit nachfolgender Verschmelzung oder Zusammenfliessen der Zellkörper 
ersetzt wird. Apolant betrachtet die zweikernigen Zellen als das Ent- 
wicklungsziel, zu dem ursprünglich die einkernigen Zellen streben. 
Er gibt allein an, dass eine direkte Teilung der Kerne sympathischer 
‚Zellen vorkommt, was dieser Autor in den thorakalen sympathischen 
Ganglien eines dreimonatigen Kaninchenembryos (Fig. 5 b, c, d seiner 
Arbeit) beobachtete. Ausserdem sah Apolant im Ganglion cervicale 
superius eines viermonatigen Hasen zwei Zellen mit einer Brücke 
in der Mitte und einem Kern in jedem Teil; der Autor meinte, dass 
dies ein zufälliges Bild gewesen sei (Fig. 7 und 8 seiner Arbeit). 
Endlich fand Huber [37] in mit Methylenblau gefärbten Präpa- 


40 Sergius Michailow, 


raten, in den Ganglien des Plex. solaris vom Meerschweinchen multi- 
polare Zellen, in denen fast immer je zwei oder drei Kerne enthalten 
waren. Er fand ausserdem in verschiedenen Ganglien bipolare sym- 
pathische Zellen, die bald ein-, bald zweikernig waren und beschrieb 
und bildete ab (Fig. III D seiner Arbeit) Zellen mit einer Protoplasma- 
brücke und zwei Kernen. 

ad 3. Die Tatsache der ununterbrochenen Verbindung der Nerven- 
zelle mit der Nervenfaser, d. h. diejenige Tatsache, welche die Existenz 
zweier verschiedener spezifischer Elemente in dem Nervengewebe — der 
Nervenzelle und Nervenfaser — zurückweisen liess und im Gegenteil 
auf die Notwendigkeit, im Nervengewebe bloss ein spezifisches Gewebs- 
element — die Nervenzelle mit ihren Fortsätzen — anzunehmen, hin- 
wies, diese Tatsache wird als wissenschaftlich festgestellt erst seit den 
Arbeiten Helmholtz’ [14] und Hannovers [15] betrachtet. Allein, wie 
schon oben angegeben, wurde in bezug auf das sympathische Nerven- 
system diese Tatsache noch vor den Arbeiten der beiden letzt- 
genannten Autoren von Remak nachgewiesen und energisch in die An- 
erkennung der Zeitgenossen eingeprägt.  Aemak eben wies darauf 
. hin, dass jene „grauen, organischen, kernhaltigen Fasern“, die er zuerst 
entdeckt hatte, und die sich als charakteristisch und spezifisch für 
das sympathische Nervensystem erwiesen, dass diese Fasern von sym- 
pathischen Ganglienzellen. abstammen, d. h. deren Fortsätze sind. 

Hannover |15] bestätigte diese Ansicht Remaks hinsichtlich des 
sympathischen Nervensystems, wobei er sich in bestimmter Weise 
dahin ausdrückte, dass die vegetativen Nervenfasern von den Zellen 
in mehreren Exemplaren abgehen. 

Robin [88] fand in den sympathischen Ganglien der Säugetiere 
bloss bipolare Zellen mit zwei Fortsätzen, wobei er auf Grund der 
Zellgrösse selbst und der Dicke ihrer Fortsätze zwei Typen unter 
diesen Zellen unterschied: a) grosse Zellen von sphärischer Form. 
Von einer jeden solchen Zelle geht von den entgegengesetzten Polen 
je ein Fortsatz ab, der weiter in typische breite Nervenfasern über- 
geht; b) kleine Zellen von Eiform, von deren entgegengesetzten Polen 
je ein Fortsatz abgeht, der später den Charakter schmaler dünner 
Nervenfasern erlangt. 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 41 


Kölliker [26] wies darauf hin, dass in den sympathischen Ganglien 
apolare Zellen vorkommen, d. h. solche, die gar keine Fortsätze be- 
sitzen. Ausserdem teilte er mit, dass er neben solchen apolaren Zellen 
auch solche Zellen zu sehen Gelegenheit hatte, die mit Fortsätzen 
versehen waren, welche weiter in feinste Nervenfasern übergingen. 
Von Kólliker auch wurde schon im Jahre 1844 auf die Tatsache hin- 
gewiesen, dass einer der Fortsätze sympathischer Zellen bei Säuge- 
tieren (er sah das im vierten Thorakalganglion der Katze), nachdem 
er eine kürzere oder längere Strecke verlaufen ist, in eine typische 
markhaltige Faser übergeht. Diese Tatsache wurde später von vielen 
Forschern bestritten und wird es von manchen noch bis zu heutigen Tage. 

Arman [39] fand, dass die sympathischen Ganglien aus ovalen, 
etwas abgeplatteten Zellen bestehen, von denen nur selten zwei 
Fortsätze, öfter einer abgeht, oder sogar, dass diese Zellen überhaupt 
keine solchen besitzen. 

Remak 13] jedoch fand bei seinen wiederholten Untersuchungen des 
sympathischen Nervensystems von neuem nicht die von Kölliker u. a. 
angegebenen apolaren Zellen. Er gab wiederum an, dass die Mehr- 
zahl der sympathischen Zellen mehrere (3—12) Fortsátze besitzt, d. h. 
dass es multipolare Zellen sind. Diese Fortsätze verzweigen sich und 
nehmen den Charakter und die Eigenschaften von Achsenzylindern an, 
‘welche sich später mit einer Myelinschicht bedecken, d. h. in typische 
markhaltige Nervenfasern übergehen. Neben solchen multipolaren 
Zellen gelang es jedoch Remak, in den betreffenden Ganglien auch 
noch bi- und unipolare Zellen zu beobachten, die sich von derartigen 
Zellen der spinalen Ganglien dadurch unterscheiden, dass ihre Fort- 
sätze sich stark verzweigen, während das bei den Zellen der spinalen 
Ganglien nicht beobachtet wird. 

Hinsichtlich der Zahl der von den sympathischen Zellen abgehen- 
den Fortsätze ist mit den Angaben Armanns auch Gerlach [40] voll- 
kommen einverstanden. 

Leydig [41] fand, dass die Mehrzahl der sympathischen Zellen 
mit mehreren Fortsätzen versehen ist, die in Nervenfasern übergehen. 

Frey [42] sah in sympathischen Ganglien apolare, unipolare, bipo- 
lare und multipolare Zellen, 


42 Sergius Michailow, 


Courvoisier [30] fand, wie schon oben angeführt, bloss multipolare 
Zellen in den sympathischen Ganglien der Säugetiere, wobei er angab, 
dass die Fortsätze aus dem Kern der Zelle austreten. 

Guye [31] sah beim Kaninchen bloss bipolare Zellen. 

Polaillon |43] erkennt die Existenz apolarer Zellen nicht an. 
Was die unipolaren Zellen anbetrifft, so hält er sich, obgleich er solche 
nie mit Deutlichkeit gesehen hat, dennoch nicht für berechtigt, ihre 
Existenz entschieden zurückzuweisen. Er sah stets bloss bi- und 
multipolare Zellen, unter denen er, wie auch Robin, grosse und kleine, 
mit breiten, dicken und schmalen, feinen Fortsätzen unterscheidet. 

Kollmann und Arnstein [44] fanden bloss multipolare Zellen. 
Fast gleichzeitig mit dieser Arbeit Kollmanns und Arnsteins erschien 
eine Mitteilung Fraentzels [45], in welcher darauf hingewiesen wurde, 
dass es bei Bearbeitung der Ganglien mit einer Lösung von Silber- 
nitrat nach den Regeln, wie sie zur Darstellung der Epithelzellen- 
grenzen angewandt wird, deutlich zu sehen ist, dass die Kapsel der 
sympathischen Zellen immer von einer Schicht flacher, vieleckiger, 
epithelialer Zellen ausgekleidet ist. 

Allein wenn wir die Literatur über den Bau der sympathischen 
Ganglien in den Jahren, die dem Erscheinen der Fraentzelschen Arbeit 
vorhergingen, durchsehen, so stellt es sich heraus, dass schon bedeutend: 
früher als er auch andere Autoren die gleiche zellige Auskleidung 
der Innenfläche der Kapsel sympathischer Zellen gesehen und erwähnt 
haben. Vor Fraentzel aber hat niemand ihre Natur aufgeklärt, und 
eben in dieser Beziehung, d. h. darin, dass er zuerst gezeigt hat, dass 
es sich um epitheliale Zellen handelt, gebührt das Verdienst diesem 
Forscher. 

Remak [15] sagte schon, dass die Kapsel der sympathischen 
Zellen ebenso wie diejenige der cerebrospinalen Ganglien aus einer 
dünnen Zellschicht und einer festen Membran besteht. In der Valentin- 
schen Arbeit |72] über die Kapseln ganglionöser Zellen wird ebenfalls 
auf die Anwesenheit von Zellen (oder wenigstens Zellkernen) in der 
Kapsel dieser Zellen hingewiesen. Die gleichen Angaben finden sich 
in der allgemeinen Anatomie von Henle (1841). 

Schramm [46] war der Meinung, dass der innere Teil der Kapsel 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 43 


ganglionéser Zellen zuerst aus spindelfórmigen Zellen besteht, die 
später zu besonderen flachen „Plattenzellen“ auswachsen. Erst nach 
diesen ursprünglichen Angaben kommt in der chronologischen Reihen- 
folge die Arbeit Fraentzels. 

Die Angaben Fraentzels wurden schon im nächsten Jahre in vollem 
Umfange durch Henle und Merkel [47] bestätigt, welche hierbei noch 
die Angabe machten, dass es ausser diesen noch andere Zellen gibt, die 
zwischen Kapsel und Zellkörper eingebettet liegen. Schwalbe [52] 
meinte, dass diese Zellen nicht epithelialer, sondern endothelialer Natur 
seien, und dass die Kapsel folglich aus endothelialen Plättchen besteht. 
Auch die nachfolgenden Autoren Arndt [34], Key und Retzzus [55] 
bestätigten die Tatsache, dass die Kapsel sympathischer Zellen innen 
von Epithel ausgekleidet ist, wobei Arndt noch notierte, dass diese 
Kapsel vom Zellkörper noch auf die Fortsätze übergeht. - 

Noch einmal zur Frage über die Fortsätze der sympathischen 
Zellen der Säugetiere zurückkehrend, muss zunächst darauf hin- 
gewiesen werden, dass Kölliker [26] im Jahre 1867 in seinem Hand- 
buch der mikroskopischen Anatomie die Angabe machte, dass die 
Mehrzahl dieser Zellen je einen Fortsatz besitzt und dass bloss ab 
und zu unter ihnen solche vorkommen, die je zwei Fortsätze besitzen, 
und solche, die ihrer vollständig entbehren. 

Schwalbe [32] im Gegenteil behauptete, dass alle sympathischen 
Zellen multipolar seien und wies darauf hin, dass sich eben durch 
ihre Multipolarität die Zellen der sympathischen Nerven von den Zellen 
der spinalen Ganglien unterscheiden. Er untersuchte zahlreiche Säuge- 
tiere (Kalb, Schaf, Katze, Kaninchen, Meerschweinchen, Maus, Maul- 
wurf u. a.), wobei er natürlich bloss über die einfachen alten, nicht für das 
Nervengewebe elektiven Bearbeitungsmethoden verfügte, wie die Essig- 
und Osmiumsäurebehandlung, Karminfärbung usw. Aus diesem Um- 
stande erklärt es sich, dass es Schwalbe nicht gelang, den Verlauf der 
Fortsätze zu ermitteln, und bloss in einem Falle gelang es ihm (bei 
der Katze), einen Nervenfortsatz und einige Dendriten zu sehen. Diese 
Einteilung der Fortsätze sympathischer Zellen lässt Schwalbe mit der 
Einteilung der Fortsätze, welche kurz vordem Deiters für die Rücken- 
markszellen vorgeschlagen hatte, übereinstimmen. Durch diese Angabe 


44 Sergius Michailow, 


trug Schwalbe in die Frage über die Fortsätze der sympathischen 
Zellen etwas Neues hinein — und darin liest die Hauptbedeutung 
seiner Arbeit. 

Bidder [7| untersuchte das Ganglion coeliacum von Katze, Hund 
und Kaninchen, indem er es in Jodserum mazerierte und mit Essig- 
säure, Chromsäure, Chlorgold und ähnlichen Mitteln bearbeitete Er 
fand hier bipolare Zellen, wobei er nicht genau entscheiden konnte, 
ob sich diese beiden Fortsätze in markhaltige oder marklose Fasern 
fortsetzen, meinte jedoch, dass diese Zellen gewissermassen in den 
Verlauf eines markhaltigen Nerven eingeschlossen erscheinen und hielt 
sie für sensible Zellen. Den Unterschied zwischen sympathischen und 
spinalen bipolaren Zellen, auf welchen Remak hinwies, konnte Pidder 
nicht feststellen, weil auf seinen Präparaten die Fortsätze stets gleich 
bei ihrem Austritt aus der Zelle abrissen. Unipolare Zellen fand 
Bidder nicht bei der Katze, sah aber zahlreiche Zellen von Quadrat- 
oder unregelmässig abgerundeter Form, welche fast kettenfòrmig, in 
Reihen einander berührend, gelagert sind; auf Präparaten von Hunden 
gelang es Didder, zu sehen, dass von den sich berührenden Flächen 
dieser Zellen zahlreiche Fortsätze abgehen. Dieser Forscher fand 
noch Zellen (im Ganglion coeliacum des Hundes) von Keulenform mit 
einem Fortsatz (Fig. 17 seiner Arbeit), welcher in Form eines ver- 
breiterten Kegels an der Zelle beginnt, dann sich allmählich ver- 
‘Jiingt und in ein Nervenstämmchen eintritt. Er empfahl den Zeit- 
genossen, auf diese Zellen besonders ihr Augenmerk zu richten. Oben 
sind schon die Angaben Didders über die Verbindung der Fortsätze 
multipolarer sympathischer Zellen mit dem Kern angeführt worden. 

Hoffmann [48] behauptet, dass es ihm gelungen ist, die Ver- 
bindung der Fortsätze mit dem Nukleolus der Zellen zu beobachten, 
wobei man mitunter hat sehen können, wie aus dem Nukleolus eine 
Faser austrat, den Kern durchdrang und sich später im Protoplasma 
des Zellkörpers verlor. Er war der Meinung, dass diese Zellen je 
zwei Fortsätze haben. 

Mayer [33] beobachtete stets, dass die sympathischen Zellen eine 
ovale, runde, Birn- oder Spindelform besitzen und von verschiedener 
Dimension sind. Er wies in Übereinstimmung mit den ersten Angaben 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 45 


Köllikers darauf hin, dass es apolare Zellen gibt, war jedoch der 
Meinung, dass die Mehrzahl der Zellen multipolar ist. Ein Teil der 
Fortsätze dieser Zellen geht nach Mayer in Nervenfasern über, 
während der andere Teil derselben zur Verbindung der Zellen unter- 
einander dient. Beim Kaninchen sah dieser Forscher im Ganglion 
coeliacum Zellen, unter deren Fortsätzen man zwei Typen unter- 
scheiden konnte: a) sich etwas üppig verzweigende Fortsätze und 
b) zwei andere Fortsätze, die sich in einiger Entfernung vom Zell- 
körper mit einer Myelinscheide bedecken und also zu Achsenzylindern 
werden. Eine Verbindung der Fortsätze mit dem Zellkern oder dem 
Nukleolus hat Mayer nie gesehen. 

Key und Retzius [25] sahen ebenfalls stets sympathische Zellen 
von der Form, wie sie Mayer zeigte, wobei nach diesen Autoren Zellen 
von dieser Form stets multipolar sind. 

Eine neue Ansicht über die Bedeutung der Zahl der Fortsätze 
sangliöser Zellen wurde von Arndt [34] ausgesprochen. Er unter- 
suchte die sympathischen Ganglien des Kaninchens, Maulwurfs, Hundes, 
Schweines, Ochsen, Menschen und anderer Säugetiere bei Bearbeitung 
mit den Mitteln seiner Zeit. Auf solchen Präparaten fand er runde, 
eckige oder polygonale Zellen, deren Mehrzahl mit vielen Ausläufern 
versehen war; mitunter traf er jedoch auch bipolare, unipolare und 
apolare Zellen an. Arndt meinte, dass die apolaren Zellen unent- 
wickelte Formen der sympathischen Zellen darstellen, dass die bipo- 
laren und multipolaren Zellen ganzen Zellenkomplexen entsprechen 
und bloss die unipolaren gewöhnliche einfache Zellen sind. Diese 
Ansicht Arndts erhielt keine Unterstützung und weitere Ausbildung 
in den nachfolgenden Arbeiten. 

Schmidt [49] gab an, dass die sympathischen Zellen zweierlei 
Fortsätze besitzen: a) 2—4 grobe Fortsätze, die weiter wahrschein- 
lich in Achsenzylinder markhaltiger Nervenfasern übergehen, und 
b) einige feine zarte Fortsätze, die aus 1—2 Fibrillen bestehen. Diese 
letzteren Fortsätze bilden nach Schmidt in der Kapsel der Zelle ein 
besonderes Netzwerk. 

In einer anderen Arbeit teilten Key und Retzius [25] mit, dass 
sie in sympathischen Ganglien sowohl multi- als unipolare Zellen be- 


46 i Sergius Michailow, 


obachtet haben, was sie auch auf Abbildungen darstellten. Ausser- 
dem wiesen die genannten Autoren in der gleichen Arbeit darauf hin, 
dass es ihnen jetzt gelungen sei, solche quadratförmige, in Reihen 
gelagerte Zellen zu sehen, wie sie Didder beschrieben und abge- 
bildet habe. 

Mayer [53] wiederholt in seiner Arbeit über die peripherischen 
Nervenzellen und das sympathische Nervensystem aufs neue dieselben 
Angaben über diese Frage, die sich auch in seiner eben zitierten 
früheren Arbeit finden, wobei er zum Schlusse kommt, dass es in der 
Struktur des sympathischen Nervensystems nichts qualitativ Spezi- 
fisches gibt. 

Ranvier [24] bearbeitete die sympathischen Ganglien mittels 
Osmiumsäure und fand, dass bei Säugetieren alle diese Ganglien zu- 
sammensetzenden Zellen — multipolar sind. Ihre zahlreichen Fort- 
. sätze gehen weiter in typische Remaksche Fasern über. Sie tragen 
alle den gleichen Charakter, und deshalb ist unter den Fortsätzen des 
sympathischen Nervensystems eine Unterscheidung von protoplasma- 
tischen Fortsätzen oder Dendriten und eines achsenzylinderhaltigen 
Fortsatzes oder Neuriten, wie das in bezug auf die Zellfortsätze des 
zentralen Nervensystems üblich ist, nicht durchführbar. 

Wir haben hiermit kurz, soweit uns bekannt, die Ansichten aller 
Forscher angeführt, welche sich nach Kräften um die Aufklärung der 
Frage über die Struktur der sympathischen Ganglien bemüht haben. 
Alle diese Autoren führten ihre Forschungen mit Hilfe alter, primi- 
tiver und nicht für das Nervensystem spezifischer Bearbeitungs- 
methoden aus — sie arbeiten vor dem Erscheinen der Methode der 
Chromsilberimprägnation des Nervengewebes nach Golgi. Als Resultat 
dieser riesigen summarischen Arbeit wurde eine sehr wichtige Er- 
rungenschaft gemacht — die Feststellung der Tatsache, dass die Zellen 
der sympathischen Ganglien mit Fortsätzen versehen sind. Schon 
beim ersten Versuche, sich mehr Klarheit in der Frage über die Fort- 
sätze: a) ihre Zahl, b) den Charakter dieser Fortsätze — zu ver- 
schaffen, gehen die Meinungen der verschiedenen Forscher auseinander; 
die sympathischen Zellen werden bald als multipolar, bald als bipolar, 
bald als unipolar angesehen, manche Forscher weisen ausserdem noch 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 47 


auf das Vorkommen von apolaren Zellen hin. Was ferner die Frage 
über den Charakter dieser Fortsätze anbetrifft, so gehörte für die Mehr- 
zahl der alten Autoren die Lösung dieser Frage gar nicht in den 
Plan ihrer Untersuchungen hinein; von seiten der übrigen erfolgten 
auch auf diese Frage verschiedene Antworten: bald meinte man, dass 
diese Fortsätze weiter in marklose, bald, dass sie in markhaltige 
Nervenfasern übergehen. Endlich die vierte, von Schwalbe aufgestellte 
und die Unterscheidung zweier Arten von Fortsätzen unter den Fort- 
sätzen sympathischer Zellen — Dendriten und Nervenfortsatz — be- 
treffende Frage wurde bloss leicht berührt oder richtiger angedeutet 
in einer äusserst geringen Anzahl von Arbeiten alter Autoren. Alle 
diese eben angeführten Fragen gingen auf diese Weise, ohne eine 
Lösung erfahren zu haben, in die neue Epoche der Lehre vom Bau 
des sympathischen Nervensystems über, eine Epoche, die geschaffen 
wurde durch das Erscheinen neuer Untersuchungsmethoden des Nerven- 
systems, welche eine fast elektive und vollkommene Färbung und 
also Differenzierung der Nervenelemente gestatteten. Als solche Me- 
thoden erwiesen sich: die Methoden der Silberimprägnation von Golgi 
und Ramon y Cajal und die Methode der vitalen Färbung nervöser 
Elemente mittels Methylenblau von Ehrlich. Mit diesen Methoden 
arbeitete in unserer Zeit über die Frage nach dem Bau der sympa- 
thischen zentralen Ganglien eine ganze Reihe glänzender hervorragen- 
der Histologen: Kölliker, Ramón y Cajal, Retzius, Lenhossek, Van Ge- 
huchten, Marinesco. 

| Killiker [260] war der erste, der Ende der achtziger Jahre die 
Methode der Chromsilberimprágnation nach Go/gi zum Studium der 
Struktur sympathischer Ganglien anwandte. Im Ganglion cervicale 
superius des Kalbes fand er, dass alle Zellen ohne Ausnahme mit 
zahlreichen Fortsätzen versehen waren, welche man vom Körper 
der Zelle bis auf eine grosse Entfernung hinaus verfoleen konnte. 
Unter diesen langen Fortsätzen unterschied Kölliker zwei Gruppen an 
jeder Zelle: a) einige sich wiederholt teilende und hierdurch progressiv 
verjüngende Fortsátze, und b) einige sich wenig und fast gar nicht 
teilende Fortsitze. Auf Grund dieser Untersuchungen war Kölliker 
der Meinung, dass von jeder sympathischen Zelle mehrere proto- 


48 Sergius Michailow, 


plasmatische Fortsätze oder Dendriten und ebenfalls mehrere Achsen- 
zylinderfortsätze oder Neuriten abgehen. 

Ramon y Cajal [50] untersuchte die sympathischen Ganglien beim 
erwachsenen Hunde und der Katze auch unter Anwendung der Golgi- 
schen Methode. Er fand, dass die diese Ganglien zusammensetzenden 
Zellen multipolar sind. Die überwiegende Mehrzahl dieser Zellen ist 
versehen: a) mit mehreren kurzen Fortsätzen oder Dendriten, 1—20 an 
der Zahl. Die meisten dieser Fortsätze enden in einiger Entfernung 
vom Körper der Zelle mit Endverzweigungen, welche die benachbarten 
Zellen umgeben und umspinnen, perizelluläre Nester (,,nids pericellu- 
laires“) um sie bildend; b) mit einem langen Achsenzylinderfortsatz, 
der weiter in eine Remaksche Faser übergeht. 

Van Gehuchten [51] untersuchte das Ganglion cervicale superius 
vom erwachsenen Hunde, von neugeborener Katze und Hund und auch 
von einem 25 cm langen menschlichen Fetus. Er gebrauchte die 
Golgische Methode, wobei er befriedigende Imprägnation bloss bei der 
zwei- und dreifachen Wiederholung der Methode nach den allgemein be- 
kannten histologischen Regeln erhielt. An solchen Präparaten sah Van 
Gehuchten stets multipolare, mit 4—12 und mehr Fortsätzen versehene 
Zellen. Diese Fortsätze gehen bald von allen Seiten des Zellkörpers, bald 
in Form eines Bündels von einer Seite ab. Als eine besonders wich- 
tige betrachtete Van Gehuchten die folgende Frage: ob alle diese 
Fortsätze sympathischer Zellen die gleiche Bedeutung haben? — Er 
beantwortet diese Frage in negativem Sinne, da er unterschied: 
a) kurze, zentripetale („cellulipetes“), sich stark verzweigende, unweit 
der Zelle endende Fortsätze, und b) einen langen Fortsatz — den 
wahren Achsenzylinder (,cylindraxil^) —, der in seinem Verlauf den 
ursprünglichen Durchmesser behält und nie Kollateralen im gleichen 
Ganglion, in dem er selbst begann, abgibt. Dieser Fortsatz beginnt 
meistens direkt am Körper der Zelle, mitunter geht er aber auch 
von einem der protoplasmatischen Fortsätze ab. Dieser Fortsatz ist 
ein zentrifugaler („cellulifuges“). Infolgedessen weist Van Gehuchten 
auf die Analogie im Bau der Elemente des sympathischen und cere- 
brospinalen Nervensystems hin, und darauf, dass nicht alle Fort- 
sätze sympathischer Zellen in Æemaksche Fasern übergehen. Dieser 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 49 


Forscher sah in sympathischen Ganglien Fasern, welche während 
ihres Verlaufes Kollateralen abgaben, konnte aber nicht entscheiden, 
welchen Ursprungs diese Fasern sind. Auch konnte er nicht ent- 
scheiden, ob als perizelluläre Nester Ramon y Cajals die protoplasma- 
tischen Fortsätze, der Neurit oder die Kollateralen enden, denn ob- 
gleich er auch mitunter solche perizelluläre Nester beobachtete, so 
schlossen dennoch immer die sie zusammensetzenden Fasern mit einem 
freien Ende ab, und es gelang ihm nie, sie bis zu einer Zelle zu ver- 
folgen. An die Bilder solcher perizellulärer Nester erinnern mitunter 
sehr Verzweigungen der protoplasmatischen Fortsätze, die zwischen 
benachbarten Zellen gelegen sind und diese gewissermassen umflechten, 
doch haben diese Bildungen nach Van Gehuchten keine spezielle Be- 
deutung, sondern entstehen zufällig, denn die Ästchen liegen inter- 
zellulär. Aus allem diesem zieht Van Gehuchten am Ende der Arbeit 
den Schluss, dass alle Angaben hinsichtlich des Zusammenhanges 
verschiedener Ganglien und der Endigung der Fortsätze als noch sehr 
unvollkommen erscheinen. 

Sala [58] untersuchte das Ganglion stellatum von Embryonen und 
neugeborenen Kaninchen, Hund, Ochs und auch von zweimonatigem 
Hund und Katze. Wie die vorhergehenden Autoren wandte auch er die 
Golgische Methode an und konnte feststellen, dass in dem genannten 
Ganglion multipolare Zellen verschiedener Dimension vorhanden sind. 
Unter den zahlreichen Fortsätzen dieser Zelle unterscheidet er einen 
Nervenfortsatz, alle anderen Fortsätze hält er für Dendriten. Diese 
letzteren verjüngen sich allmählich unter reichlicher Verzweigung und 
werden schliesslich unsichtbar. In dem gleichen Ganglion fand Sala 
zweierlei Fasern. Die einen, varikösen, sind Fortsätze der eben be- 
schriebenen sympathischen Zellen, während die anderen, bloss in ge- 
ringerer Zahl vorhandenen und hauptsächlich an der Peripherie des 
Ganglion gelegenen Fasern einen anderen Ursprung haben und im 
genannten Ganglion Kollateralen abgeben. Die Fasern der zweiten 
Art haben nie variköse Verdickungen und erscheinen gröber als die 
Fasern der ersten Art, wodurch sie sich von diesen letzteren auch 
unterscheiden. Die von den Fasern der zweiten Art abgehenden 


Kollateralen sind sehr fein und verlaufen auf komplizierten Wegen 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 4 


50 Sergius Michailow, 


zwischen den Zellen des Ganglion, sie bilden ein Netz, das alle Zwischen- 
räume zwischen den Ganglienzellen erfüllt. An der Bildung dieses 
Netzes haben die kurzen Fortsätze der sympathischen Zellen nicht 
den geringsten Anteil und folglich hat dieses Netz nach Sala nichts 
Gemeinsames mit den perizellulären Netzen Ramon y Cajals (s. oben). 
Bei aufmerksamem Studium dieses Netzes kann man sehen, dass seine 
feinen Endfäserchen bald sich teilend, bald nicht, die Ganglienzellen 
umwinden. Mitunter umgeben mehrere Nervenfasern dieses Netzes 
(8—20 und mehr) von verschiedenem Kaliber diese oder jene Nerven- - 
zelle vollständig, wobei sie, miteinander anastomosierend und sich mit- 
einander verflechtend, ein kleines Netz um diese Zelle herum bilden. 
Jedoch in der Mehrzahl der Fälle enden diese Fasern nicht mit einem 
Netz um die Ganglienzellen. sondern, nachdem sie um diese einige 
Touren gemacht haben, setzen sie ihren Verlauf fort. Sala konnte 
nicht entscheiden, ob diese perizellulären Netzchen unter der Kapsel 
oder an ihrer Aussenfläche liegen. Auch konnte er nicht die Frage 
nach dem Ursprunge der Fasern der zweiten Art entscheiden, d. h. der- 
jenigen, die Kollateralen abgeben, meinte aber, dass diese Fasern aus 
dem Zentralnervensystem ins Ganglion treten. 

Retzius |25] versuchte die vitale Methylenblaufärbung der nervösen 
Elemente nach Ehrlich zum Studium des Baues der sympathischen 
Ganglien anzuwenden, kam jedoch zu der Überzeugung, dass diese 
Methode nicht die Möglichkeit gibt, sich über den Charakter der Fort- 
sätze zu orientieren. Viel eher führt nach Retzius die Golgische 
Methode zum Ziele, nach welcher er auch die sympathischen Ganglien 
eines siebenmonatigen Hundes bearbeitete. ÆRetzius erhielt an solchen 
Präparaten Resultate, die vollkommen die Angaben Ramon y Cajals 
bestätigten, denn er sah, dass von den sympathischen Zellen stets ein 
Nervenfortsatz und mehrere Dendriten abgingen, die sich wiederholt 
teilten und mit ihren Endverzweigungen die Körper der benachbarten 
Zellen umflochten. In der letzten Auflage seines klassischen Lehr- 
buches der mikroskopischen Anatomie äusserte Kölliker [26] die An- 
sicht, dass die Zellen sympathischer Ganglien multipolare Zellen sind. 
Ausser solchen Zellen finden sich in diesen Ganglien noch: a) mark- 
lose, von diesen Zellen stammende Nervenfasern, b) feine markhaltige 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 51 


Nervenfasern. die ebenfalls von diesen Zellen stammen, c) dicke mark- 
haltige Fasern, die in die sympathischen Ganglien aus den entsprechen- 
den Rami communicantes übertreten. Diese letzteren Fasern sind 
zweierlei Art: «) motorische, zentrifugale Fasern und 2) sensible, zentri- 
petale Fasern, die in den vorderen und hinteren Rückenmarkswurzeln 
verlaufen. In dem gleichen Jahre gab auch Ramon y Cajal [50] in 
seiner Arbeit: „Neue Darstellung vom histologischen Bau des Zentral- 
nervensystems“ ebenfalls ein allgemeines Schema der Struktur der 
sympathischen Ganglien: a) die sympathischen Zellen sind multipolar. 
Unter den Fortsätzen kann man einen Nervenfortsatz und mehrere 
Dendriten unterscheiden, die kurz sind und frei in dem gleichen 
Ganglion enden, in welchem sich die Zelle selbst befindet. b) Die 
Längskommissuren des sympathischen Nervensystems sind durch Nerven- 
fasern dargestellt, die von den Zellen eines Ganglions entspringen und 
mit feinen varikösen Verzweigungen enden, welche sich um Zellen und 
deren kurze Fortsätze in anderen Ganglien lagern. c) Aus dem Rücken- 
mark verlaufen durch die vorderen Wurzeln zentripetale Fasern, die 
ebenfalls frei in jedem Ganglion enden. d) Die Längs- und inter- 
ganglioniren Kommissuren besitzen, wenn auch selten, Kollateralen, 
durch welche die gegebene sympathische Zelle mit vielen anderen be- 
nachbarten Zellen in Verbindung treten kann. Diese Kollateralen sind 
bei Säugern gering an Zahl oder färben sich vielleicht nicht. e) Der 
Nervenfortsatz geht stets in eine Remaksche Faser über. 

Im nächsten Jahre schrieb Kölliker [26] wiederum über den Bau 
der sympathischen Ganglien. In dieser Arbeit gab er seine frühere 
Meinung, dass von jeder Nervenzelle mehrere Nervenfortsätze abgehen, 
auf, und erkannte an, dass von einer jeden solchen Zelle bloss ein 
Nervenfortsatz abgeht. Ausser multipolaren finden sich hier auch 
noch unipolare Zellen. Die Dendriten der sympathischen Zellen. ver- 
zweigen sich reichlich in der Umgebung der Zelle, von der sie ab- 
stammen und ziehen dann weiter als feine, frei endende Ästchen 
zwischen den benachbarten Zellen. Der Nervenfortsatz tritt aus dem 
Ganglion heraus und zieht weiter zur Peripherie. 

Juschtschenko [54] untersuchte nach Golgi die sympathischen 


Ganglien verschiedener Säugetiere: Er fand hier multipolare Zellen. 
4* 


52 Sergius Michailow, 


Ihre Dendriten verzweigen sich reichlich und enden entweder frei 
zwischen den Zellen oder umflechten diese letzteren auf Art der Ramon 
y Cajalschen perizellulären Nester. Die Dendriten verlassen nie das 
Ganglion, zu dem die betreffende Zelle gehört. Die ins Ganglion ein- 
tretenden Fasern umflechten die Zellen, wobei diese „Endkörbchen“ 
peripherischer liegen als die perizellulären Nester. 

Lenhossek [52] untersuchte das Ganglion cervicale superius der 
neugeborenen Maus an horizontalen Schnitten der Schädelbasis. Er 
behandelte die Präparate nach der Golgischen Methode: An solchen 
Präparaten sah Lenhossek stets multipolare Zellen, unter deren Fort- 
sätzen er stets einen Nervenfortsatz und 5—10 Dendriten unterschied. 
Diese letzteren waren dick, kurz und teilten sich mitunter ein- oder 
zweimal. Solche Bilder fand er auch beim erwachsenen Kaninchen 
und schloss daraus, dass diese Dendriten nicht bloss unentwickelte 
Formen der Nervenfortsätze, wie man es hätte vermuten können, sind. 
In den oberflächlichen Schichten des Ganglion fand er Zellen, deren 
Dendriten sich zur Ganglionkapsel begaben und neben ihr mit End- 
knópfchen endeten. Der Nervenfortsatz geht nach Lenhossek in der 
Regel nicht vom Körper der Zelle, sondern von einem der Dendriten 
ab. Kollateralen hat er nie gesehen. Der Nervenfortsatz zieht weiter- 
hin entweder peripher oder in die ventralen Rückenmarkswurzeln, 
jedoch nie in die dorsalen Wurzeln und ihre Ganglien.. 

Huber [37] untersuchte verschiedene sympathische Ganglien von 
Säugetieren mittels Injektion von Methylenblaulösungen in die Vena 
jugularis und Nachfärbung der Präparate mit Boraxkarmin. Er sah 
mitunter in diesen Ganglien unipolare und bipolare Zellen, die Mehr- 
zahl derselben besass jedoch viele Fortsätze Die bipolaren Zellen 
fanden sich gewöhnlich an denjenigen Polen des Ganglion, an denen 
die Nervenstämmchen in dieses eintreten oder austreten. Die Den- 
driten teilen sich. wiederholt und bilden interzelluläre Verflechtungen 
(„intercellular Plexus“), wobei freie Räume für die Zellen zurück- 
bleiben, was eben nach Hubers Meinung Ramon y Cajal als peri- 
zelluläre Nester beschrieben hat. Die Dendriten, die also diese Zellen 
wegen ihrer Lage und nicht aus speziellen Gründen umflechten, bleiben 
von letzteren durch Kapseln getrennt. Ausserdem gelang es aber 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 53 


Huber als erstem, wahre interzelluläre Netze an den sympathischen 
Ganglienzellen der Katze, des Kaninchens und Meerschweinchens zu 
sehen, Netze, die schon als speziell für ihren Zweck bestimmt er- 
scheinen. Die Netze lagen nach Auber unterhalb der Kapsel hart am 
Körper der Zelle selbst („intrakapsulär“). Mitunter wanden sich die 
solche Verflechtungen bildenden Fasern spiralig und dann kamen kom- 
pliziertere Verflechtungen zustande. Eine und dieselbe Verflechtung 
wurde mitunter durch die Verzweigungen mehrerer Fasern gebildet, 
die von markhaltigen Nervenfasern abstammten. 

Im Jahre 1905 wandte Ramon y Cajal [50] zum Studium der 
Struktur sympathischer Ganglien die von ihm schon einige Jahre vor- 
her vorgeschlagene photographische Methode der Silberimprägnation 
nervöser Elemente an. Er untersuchte die sympathischen Ganglien 
des erwachsenen Menschen und fand, dass man in diesen Ganglien 
drei Typen von Zellen, je nach der Länge ihrer Dendriten, unter- 
scheiden kann: I. Typus: die Zellen sind gross, mittelgross oder klein, 
wobei sie dadurch charakterisiert sind, dass sie kurze Dendriten 
zweierlei Art und einen langen Nervenfortsatz besitzen. Die Den- 
driten der ersten Art — intrakapsuläre („Dendritas intercapsulares“) — 
sind sehr fein und liegen entweder mit birnförmigen oder runden Ver- 
dickungen der Kapsel an oder winden sich unter der Kapsel und enden 
einfach frei, oder treten endlich (bei jungen Subjekten) an die Kapsel 
heran und umgeben sie von innen, indem sie um die Zelle eine an- 
sehnliche Zahl von Windungen und Ringen machen, wodurch eine Art 
Dendritennest zustande kommt („el nido dendritico“). Die Dendriten 
der zweiten Art — glomeruläre („Dendritas glomerulares^) — sind 
dick, gehen unterhalb der Kapsel komplizierte Teilungen ein, ver- 
" wickeln sich und bilden einen „Glomerulus“. Zur Beherbergung- dieses 
letzteren stülpt sich gewöhnlich die Zellkapsel sack- oder zapfenartig 
hervor. Die Endverzweigungen der glomerularen Dendriten gehen 
sewöhnlich in oliven- (,olivar^) oder spindelfórmige Verdickungen 
über, von denen mitunter noch feine Ästchen abgehen. Zwischen den 
Dendriten dieser zwei Arten gibt es allmähliche Übergänge, Gradationen. 
Ramon y Cajal gibt noch an, dass an der Bildung eines Glomerulus 
2—3 und mehr Zellen teilnehmen können, wobei dann bizelluläre usw- 


54 Sergius Michailow, 


Glomeruli zustande kommen. Die bizellulären Glomeruli entstehen 
durch Vereinigung zweier monozellulärer Glomeruli, wobei die Ver- 
zweigungen des einen von ihnen sich unmittelbar und organisch mit 
den Verzweigungen des anderen verbinden, d. h. ineinander übergehen, 
was er auch auf den beigegebenen Abbildungen zur Darstellung bringt. 
Auf solche Weise entstehen Komplexe von Zellen, die zu eines zu- 
sammengelötet sind, und solche Komplexe werden von einer gemein- 
samen Kapsel umgeben. II. Typus: die Zellen dieses Typus sind da- 
durch charakterisiert, dass sie ausschliesslich lange Dendriten und 
einen langen Nervenfortsatz besitzen. Diese langen Dendriten (,,Den- 
dritas largas“) treten unterhalb der Kapsel hervor und ziehen, sich 
verzweigend, über längere oder kürzere Strecken. Sie verlassen 
dennoch nie den Bereich des Ganglion, zu dem die betreffende Zelle 
gehört, wobei sie in diesem Ganglion entweder in Form spindelförmiger 
Verdickungen, von denen feine variköse Fäserchen abgehen, oder wieder- 
um in Form glomerulärer Verflechtungen oder aber in Form perizellu- 
lärer Nester um die benachbarten Zellen, was Ramon y Cajal beim 
erwachsenen Hunde sah, enden. Die eben erwähnten glomerulären 
Verflechtungen entstehen .nach Ramon y Cajal auf folgende Weise: 
zwei lange, von verschiedenen Zellen abstammende Dendriten begegnen 
sich an irgendeiner Stelle, verzweigen sich und ihre Endverzweigungen 
bilden bizelluläre Glomeruli der gleichen Form, wie die Dendriten zweiter 
Art der Zellen des I. Typus, bloss mit dem Unterschied, dass sie jetzt 
ausserhalb der Zellkapsel liegen. III. Typus: dieser Typus ist ein ge- 
mischter. Seine Zellen charakterisieren sich dadurch, dass sie sowohl 
kurze als auch lange Dendriten und auch noch einen langen Nervenfort- 
satz besitzen. Alle diese Dendriten sind der gleichen Art wie die oben 
beschriebenen, nur erscheinen sie nicht so klar und typisch aus- 
gesprochen, wie bei den Zellen des I. und II. Typus. Der Nerven- 
fortsatz bleibt stets marklos und geht in eine Remaksche Faser über, 
wobei er oft (bei Zellen des I. Typus) nicht vom Körper der Zelle, 
sondern von einem der Zweige des Glomerulus beginnt. Wie es ver- 
schiedene Typen von Zellen gibt — sagt Ramon y Cajal —, so gibt 
es auch verschiedene Arten der Endigung nervóser Fasern an diesen 
Zellen. Er unterscheidet zwei Kategorien solcher Endigungen: a) Ver- 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 55 


zweigungen um Zellen, die kurzer Dendriten entbehren, und b) Ver- 
zweigungen um Zellen, die mit kurzen, subkapsulären Dendriten 
versehen sind. ad a. Diese Zellen sind gewöhnlich arm an End- 
verzweigungen der an sie herantretenden Fasern. Diese letzteren 
teilen sich, nachdem sie an die Zelle herangetreten sind, wiederholt 
dichotomisch, gehen in feinste Fäserchen über und umschlingen sie in 
verschiedenen Richtungen, auf solche Weise ein Netz oder einen Knäuel 
(„ovillo“) bildend. Dieses Nest liegt stets in einiger Entfernung vom 
Körper der Zelle und geht in nebendendritische Verflechtungen über. 
ad b. An Zellen, die ausser langen auch noch kurze Dendriten be- 
sitzen, unterscheidet Jamón y Cajal drei Arten von Endigungen: 
a) ,Nids pericellulares^ oder Verzweigungen am Dendritennest (,el 
nido dendritico“). Auf Fig. 9A seiner Arbeit ist eine solche Ver- 
zweigung abgebildet. Sie wird von mehreren Nervenfasern, feinen und 
dicken, gebildet, wobei die letzteren von markhaltigen Nervenfasern 
abstammen. Nachdem sie einigemal die Kapsel umzogen haben, dringen 
alle diese Ästchen in das Innere der Kapsel, wo sie auf eine sehr kompli- 
zierte Weise eine Verflechtung bilden, welche mit den kurzen sub- 
kapsulären Dendriten in Kontakt tritt. 5) Eine intra- und periglome- 
ruläre Verflechtung. Die eine solche Verflechtung bildenden Fasern 
ziehen zur Zelle, spiralig ihre langen Dendriten umwindend. Weiter 
dringen sie unter die Kapsel und schlängeln sich unter reichlicher Ver- 
zweigung zwischen den Ästen der glomerulären Dendriten, wobei sie 
ebenfalls fast jeden Ast spiralfórmig umwinden (Fig. 20, 11e und 12e). 
y) Nervenverästelungen um die langen Dendriten in Form von Spiralen. 
Ausser diesem allem findet sich in der angeführten Arbeit Ramon y Cajals 
noch die Beschreibung und Abbildung besonderer nervöser Endigungen 
in Form von kugelartigen Verdickungen oder Keulen (13, 14\. Ramon 
y Cajal erschienen diese Bilder dann sonderbar und er beschrieb sie 
folgendermassen: es handelt sich hier um homogene birnförmige Organe, 
die an der Oberfläche der Zellen gelagert sind und augenscheinlich 
die Fortsetzung terminaler Nervenfäserchen bilden. Die Dimensionen 
dieser kugelförmigen Verdickung variieren stark, da auch solche von 
beträchtlicher Grösse (Fig. 14) und äusserst kleine, wie gewöhnliche 
Varikositäten, vorkommen. Diese kugelförmigen Verdickungen rät der 


56 Sergius Michailow, 


spanische Histologe nicht mit gewöhnlichen Verdickungen zu ver- 
wechseln, die auch von ihm an Dendriten beschrieben und abgebildet 
worden sind, und ist der Meinung, dass diese kugelförmigen Ver- 
dickungen oder Keulen das periphere Ende des Nervenästchens dar- 
stellen, welches von den ins Ganglion tretenden und schliesslich wohl 
von Fasern abstammt, die zu den markhaltigen gehören. Ramon y Cajal 
fand solche Endigungen nur bei Leuten, die über 60 Jahre alt waren, 
allein er will nicht entscheiden, ob diese Endigungen eine normale, 
pathologische oder senile Erscheinung sind. 

Mit Hilfe der gleichen photographischen Methode der Silber- 
imprägnation nach Ramon y Cajal untersuchte in der letzten Zeit die 
sympathischen Ganglien des Menschen auch Marinesco [53]. Er fand 
hier Zellen, deren Dendriten denselben Charakter wie auch die Den- 
driten der Zellen des I. Typus Ramon y Cajals trugen. Sie bildeten 
ebenfalls ein dendritisches Nest und einen Glomerulus, wobei auch 
Marinesco betont, dass solche Glomeruli mitunter von zwei und drei 
Zellen gebildet werden, worauf auch Ramon y Cajal hinweist. Ausser- 
dem erhielt Marinesco Bilder, welche mit denjenigen übereinstimmten, 
die unter anderem auch schon vom Madrider Professor beschrieben 
worden sind: so sah Marinesco periglomeruläre Endigungen, die von 
feinen, spiralig gewundenen Fäserchen gebildet wurden. Ausserdem 
sah er auch an Zellen oder zwischen ihren Fortsátzen Endigungen 
in Form von Kugeln (,boules^), mit welchen irgendwelche Fäserchen 
endeten. Solchen kugelförmigen Endigungen begegnete Marinesco mehr 
bei alten Individuen, einmal sah er sie aber auch bei einer zwanzig- 
jährigen Frau. 

Hiermit haben wir die möglichst vollständige Übersicht der Arbeiten 
über den Bau der Ganglien des sympathischen Nervensystems, und 
zwar dessen zentralen Ganglien abgeschlossen. Wir sehen, dass un- 
geachtet der grossen Zahl diesbezüglicher Arbeiten, die im Verlaufe 
vieler Jahrzehnte von verschiedenen Autoren veröffentlicht worden sind, 
ungeachtet dessen, dass zur Bearbeitung dieser Frage schon viele 
Färbungs- und Differenzierungsmethoden des Nervengewebes angewandt 
wurden, diese Frage auch jetzt noch wenig eeklärt ist. Das sieht 
man zunächst daraus, dass es äusserst schwer, ja sogar unmög- 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 57 


lich ist, jene Vielfältigkeit und Verschiedenheit der Funktionen, die 
dem sympathischen Nervensystem eigen sind (obgleich auch diese 
Frage ihrerseits noch nicht genügend durchgearbeitet ist) bei der 
Einfachheit und sehr weniger Komplizität im Bau der Zentren dieses 
Abschnittes des Nervensystems (wie dieser Bau von den Autoren 
beschrieben worden ist) zu verstehen; zweitens zeigen meine eigenen 
Untersuchungen über den feineren Bau der zentralen sympathischen 
Ganglien, wie mir scheint, deutlich, dass in der Tat bis zum heutigen 
- Tage diese Frage noch zu wenig geklärt ist. 

Jetzt gehe ich zur Beschreibung meiner Resultate über, möchte 
aber zunächst einige Bemerkungen über die Methodik, mit Hilfe derer 
ich diese Resultate erhalten habe, vorausschicken. 


II. Untersuchungsmethodik. 


Beim Studium des feineren Baues der zentralen sympathischen 
Ganglien interessierte mich am meisten die Morphologie der paren- 
chymatösen Elemente dieser Ganglien. Allein ausserdem wurde eine 
spezielle Untersuchung auch der interstitiellen Elemente dieser Ganglien, 
also deren Stroma unternommen, weil, soweit mir bekannt, dieser 
Punkt bisher unberücksichtigt blieb. Ein solches Studium der 
Struktur des Stroma in zentralen sympathischen Ganglien gab einer- 
seits die Möglichkeit (wie aus den nachfolgenden Erörterungen zu 
sehen ist), einige Fragen, die mit der Vaskularisation dieser Ganglien 
verbunden sind, aufzuklären, und andererseits gestattete es dieses 
Studium, sich leichter und genauer hinsichtlich der topographischen 
Verteilung der nervösen Elemente (z. B. der nervösen Endapparate) 
in verschiedenen Teilen dieser Ganglien zu orientieren. 

Als Material zu vorliegenden Untersuchungen dienten mir ver- 
schiedene zentrale (d. h. solche, die nicht in irgendwelchen Organen 
[periphere sympathische Ganglien] liegen, sondern eine selbständige 
Lage im Körper haben [laterale und kollaterale Ganglien Gaskells, 55]) 
sympathische Ganglien, hauptsächlich verschiedene Ganglien des Plexus 
solaris, des Ganglion cervicale superius, inferius, Ganglion stellatum, 
Ganglion mesentericum inferius und Ganglion hypogastricum. Diese 
Ganglien wurden einem eben getöteten Tiere (Pferd, Hund, Katze, 


[A 


58 . Sergius Michailow, 


Kaninchen, Meerschweinchen u. a.) entnommen und weiter nach ver- 
schiedenen Methoden bearbeitet. 

Zum Studium der Stromastruktur fixierte ich Stückchen von 
Ganglien grosser Tiere und ganze Ganglien kleiner in 96°/, Alkohol, 
in gesáttigter Sublimatlósung (als Lósungsmittel diente physiologische 
Kochsalzlósung) und in der in der histologischen "Technik üblichen 
Mischung von Sublimat mit Pikrinsäure. Die nachfolgende Färbung 
wurde ausgeführt mit: 1. Hämatoxylin und Eosin, 2. Hámatoxylin und 
Pikrofuchsin nach Van. Gieson, 3. Weigertschem Hämatoxylin mit 
Eisenbeize nach Heidenhain, 4. Orcein zur elektiven und spezifischen 
Färbung der elastischen Fasern. 

Zum Studium der Struktur der parenchymatösen Elemente der 
sympathischen Ganglien benutzte ich hauptsächlich die Methode der 
vitalen (ohne vorhergehende Fixation) Methylenblaufärbung in der- 
jenigen ihrer Modifikation, die von mir vorgeschlagen wurde [56]. 
Zu diesem Zweck wurden die genannten Ganglien in isotonische 
auf 37—38° C erwärmte Ringer-Locksche Lösung (Kalium chlo- 
ratum [KCl] 0,02°/,, Natrium chloratum [NaCl] 0,9°/,, Natrium bicar- 
bonicum [NaHCO,] 0,02°/,, Calcium chloratum [CaCl,] 0,02°/,, Saccharum 
uvicum [C,H,,0,] 0,1°/,) getaucht. Aus einzelnen Ganglien, die ich aus 
der Flüssigkeit nahm, fertigte ich mit dem Rasiermesser Schnitte an, 
welche ich auf dem Boden Kochscher Glasschalen, der mit mit eben- 
falls erwärmter Ainger-Lockscher Lösung befruchtetem Filtrierpapier 
bedeckt war, ausbreitete. Dann folgte die Färbung selbst mit schwachen 
Methylenblaulösungen, die auf folgende Weise zubereitet wurden. 
‘200 cem der erwähnten Ringer-Lockschen Lösung wurden bis zu 60° C 
erwärmt und dann in derselben unter allmählichem und in Zwischen- 
räumen erfolgendem Zuschütten von 1g Methylenblau rectific. nach Ehr- 
lich (von Dr. Grübler in Leipzig) aufgelöst. Auf diese Weise erhielt ich 
eine \/,°/ ige Lösung, aus welcher bei der gleichen Temperatur nach 
der üblichen Rechnungsweise noch viele schwächere Farblösungen be- 
reitet wurden. Diese letzteren Lösungen wurden auch ausschliesslich 
Che "15 — "s2°/o) zum Zwecke der Färbung der nervösen 
Elemente sympathischer Ganglien benutzt. Die Färbung wurde mittels 
bis zur Körpertemperatur erwärmter Lösungen im Thermostaten bei 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 59 


37—39° C vorgenommen. Die Farbe wurde in eine Pipette auf- 
gesogen, aus der dann die am Boden der Kochschen Schalen liegen- 
den Schnitte berieselt wurden. 

Die Zubereitung der Farbstofilösung erfolgte deshalb bei erhöhter 
Temperatur, weil bei niedrigerer Temperatur auch viel schwächere 
als '/,°/,ige Lösungen einen Niederschlag geben, d. h. gesättigt sind. 
Zur Färbung der Gewebe wurden aus dem Grunde schwächere Methylen- 
blaulösungen benutzt, weil konzentriertere Lösungen oft eine diffuse 
Färbung aller Gewebe, auf die sie eingewirkt haben, bewirken, ohne 
diesem oder jenem einen Vorzug zu geben, während schwächere 
Lösungen nicht gleichzeitig und nicht gleich intensiv alle Gewebe 
färben, sondern es kommt eine mehr oder weniger elektive Färbung 
bloss der nervösen Elemente zustande. Ausserdem gestatten schwächere 
Lösungen, ohne die Gewebe überflüssig zu überfärben, das Übergiessen 
der Schnitte mit den Farbstofflösungen in bestimmten Intervallen 
(15—20—30 Minuten) zu wiederholen, was seinerseits einen doppelten 
Sinn hat: 1. ein solches wiederholtes Hinzubringen geringer Farbstoff- 
mengen gestattet die Färbung der nervösen Elemente fein und behutsam 
zu regulieren (was mit dem Mikroskop bei schwachen Vergrösserungen 
kontrolliert werden kann) und sie im gewünschten Moment zu be- 
endigen; 2. es hat zum Zweck ein wiederholtes Berieseln der Schnitte 
mit der Flüssigkeit, die ihre Vitalität unterhält und ein Eintrocknen 
an der Oberfläche nicht zulässt. 

Diesem letzteren Zwecke diente auch das Benetzen des den Boden 
der Kochschen Schalen bedeckenden Filtrierpapiers, was seinerseits 
den Schnitten die Möglichkeit nahm, am Boden der Schalen umher- 
zugleiten und sie unbeweglich machte, ausserdem aber saugte diese 
Unterlage den Überfluss an Farbstoff auf, mit dem die Schnitte über- 
gossen werden. Dieser letztere Umstand, der auf den ersten Blick 
unwesentlich und unbedeutend erscheinen mag, hat aber tatsächlich 
eine grosse Bedeutung, weil in dem Falle, wenn die Schnitte in die 
Methylenblaulösung getaucht sind, eine diffuse Färbung fast aller 
anderen Gewebe eintritt, und nur die nervösen Elemente bleiben un- 
gefärbt. 

Es bleibt mir nun bloss noch ein Moment der von mir benutzten 


60 Sergius Michailow, 


Methodik der Methylenblaufärbung nervöser Elemente zu beleuchten: 
weshalb benutze ich Ringer-Locksche Lösung? Diese Lösung erwarb 
sich jetzt in den pharmakologischen und physiologischen Experimenten 
den Ruf der vollkommensten künstlichen Nährflüssigkeit für tierische 
Gewebe; nach ihrer chemischen Zusammensetzung der Zusammen- 
setzung des Säugetierblutserums nahestehend, bildet sie ein Mittel, das 
sehr günstig auf die Gewebe im Sinne des Überlebens ihrer Ele- 
mente wirkt. Andererseits, um eine vitale Methylenblaufärbung der 
nervösen Elemente zu erhalten, ist es unbedingt notwendig, wie auch 
die Benennung der Methode selbst zeigt, die Vitalität des Gewebes 
zu unterhalten und zu bewahren. 

Die einfache Schlussfolgerung also, die mit logischer Notwendigkeit 
aus den angeführten zwei Voraussetzungen gezogen werden muss, 
berechtigt und nötigt in der von mir angewandten Methodik das er- 
wähnte Moment zu berücksichtigen. Das gleiche fordern auch die er- 
langten Resultate. Es scheint mir, dass die Rolle der Ringer-Lockschen 
Lösung in meiner Methodik darauf hinausläuft, dass sie die absterben- 
den nervösen Elemente auf derjenigen Stufe ihres chemischen Zerfalls, 
in demjenigen Zustande unterhält und zurückbehält, auf der sie aus 
irgendeinem Grunde sich besonders vollkommen mit Methylenblau 
färben. Auf eine solche Auffassung der hier vor sich gehenden Pro- 
zesse weist meiner Ansicht nach auch noch folgender Umstand hin: 
Die besten Resultate, sowohl qualitative als quantitative, treten bei 
Methylenblaufárbung der nervósen Elemente in dem Falle ein, wenn 
das zu fárbende Gewebe dem Tiere eine gewisse Zeit (1—2 Stunden) 
nach dem Tode entnommen wird; Gewebe, die einem eben getöteten 
Tiere entnommen und gleich gefärbt worden sind, geben weniger voll- 
kommene Resultate. 

Diesen Umstand, der von sehr wesentlicher Bedeutung ist, gelang 
es mir an einem riesigen Material im Verlaufe einiger Jahre fest- 
zustellen, und ich glaube, dass es sich ebenfalls dadurch erklärt, 
dass das Methylenblau besonders vollkommen solche nervöse Elemente 
färbt, die sich bereits von dem Momente des Todes an in einem be- 
stimmten Stadium des chemischen und molekulären Zerfalls befinden. 

Nachdem die Färbung beendet war, musste sie fixiert werden, 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 61 


und ebenfalls musste man das Gewebe fixieren, wozu eine 7—8—10°/,ige 
wässerige Lösung von molybdánsaurem Ammonium benutzt wurde, in 
der die Schnitte bis 24 Stunden lang verblieben. 

Weiter folgten eine gründliche Spülung in Wasser, Entwässerung 
in Alkohol, Aufhellung in Xylol und Einschluss des fertigen Präparates 
(zwischen zwei Gläser) in Damar-X ylol. 

Ausser der Fárbung der sympathischen Ganglien nach der eben 
beschriebenen Methode bearbeitete ich sie noch nach den Methoden 
von Ramon y Cajal und Rachmanow. 

Die Methode von Ramon y Cajal benutzte ich in derjenigen ihrer 
Modifikation, die am nächsten der in der speziellen technischen Arbeit 
Ramon y Cajals vom Jahre 1907 [50] angeführten dritten Formel 
steht. Allein bei einigen Momenten der Bearbeitung musste ich diese 
oder jene Veränderungen anbringen. In allgemeinen Zügen bestand diese 
Methode in Fixation des Gewebes in absolutem Alkohol unter Bei- 
fügung von Ammoniak, in Durchtránkung des Stückchens mit Silber- 
nitrat (1,5°/,) und Reduktion des Silbers in einer Mischung, bestehend 
aus Pyrogallolsáure, Formalin und Wasser. Ich verweile nicht länger 
bei der Beschreibung dieser Methode, da ich das schon in einer meiner 
früheren Arbeiten über die Neurofibrillen der sympathischen Ganglien- 
zellen bei Sáugetieren [56] getan habe. 

Die Methode von Rachmanow [57] endlich wurde nach folgender 
Formel angewandt: 

1. Kleine Ganglienstückchen wurden in 96°/, Alkohol fixiert und 
nach Passage durch Xylol und Xylolparaffin in Paraffin eingebettet. 
Dann folgten Anfertigung von Schnitten mittels des Mikrotoms, Auf- 
kleben mittels Wasser auf Objektträger, die gewöhnliche Prozedur der 
Befreiung der Schnitte vom Paraffin, Abspülen in Wasser. 

2. Eintauchen der Objektträger mit den Schnitten in eine 5°/,ige 
wässerige Argentum nitricum-Lósung auf 24 Stunden bei einer Tempe- 
ratur von 37° C. 

3. Gründliches Abspülen im Verlauf von 5 Minuten in Aq. dest. 

4. Begiessen der Schnitte mit einer genügenden Menge Flüssigkeit 
von folgender Zusammensetzung: Natrii sulfurosi 4,0, Kalii carbonici 3,0, 
Hydrochinoni 0,5, Aq. dest. 60,0. Die Schnitte werden sofort gelb. 


62 Sergius Michailow, 


5. Wiederum Abspülen in Wasser. 

6. Eintauchen der Schnitte für einige Minuten in eine ex tempore 
bereitete Mischung, die sich aus gleichen Teilen von 1°/, wässeriger 
Natrium bisulfurosum-Lösung und 2°/, wässeriger Natrium hyposulfu- 
rosum-Lösung zusammensetzt. 

7. Schliesslich gründliche Abspülung, Entwässerung, Aufhellung 
und Einschliessen der Präparate in Kanadabalsam oder Damar-Xylol. 

Wie aus den nachfolgenden Erórterungen deutlich zu ersehen ist, 
wird es bloss mit Hilfe der Methylenblaufárbung möglich, den Bau 
der sympathischen Ganglien als nervóser Zentra aufzuklären, während 
die beiden letzteren Methoden hauptsächlich zur Feststellung des 
feineren Baues der Nervenzellen, und zwar ihres fibrillären Apparates 
dienten. 


III. Das Stroma der zentralen sympathischen Ganglien. 


Die Gewebselemente der sympathischen Ganglien gruppieren sich 
verschieden, je nachdem, welcher Tierspezies diese Ganglien angehören. 
Unter den von mir untersuchten Tieren kann man zwei Typen unter- 
scheiden, nach denen die zentralen sympathischen Ganglien gebaut 
sind. Ich werde nicht genauer die mikroskopischen Bilder be- 
schreiben, welche an den Präparaten der einzelnen von mir unter- 
suchten Tiere zu sehen sind, sondern werde mich damit begnügen, 
dass ich im allgemeinen die Stromastruktur der genannten Ganglien 
bei zwei Tieren, bei denen die beiden erwähnten Typen der Struktur 
besonders deutlich ausgesprochen sind, beschreibe. Zu dem einen, 
einfacher gebauten Typus gehört die Katze, zum anderen, komplizierteren, 
das Pferd. 

Die sympathischen Ganglien besitzen eine aus zwei Schichten 
bestehende Kapsel oder Hülle. Die äussere dieser Schichten‘ besteht 
aus lockerem Bindegewebe mit locker gelagerten Bündeln von Binde- 
gewebsfibrillen, die stellenweise einzelne Bindegewebszellen enthalten, 
die zum Typus der ruhenden Fibroblasten gehören. 

Bei Färbung der Schnitte mit Orcein gelingt es, in dieser Schicht 
ab und zu in geringer Menge auch elastische Fasern anzutreffen, die 
sich zwischen den kollagenen Bündeln schlängeln. Grössere Blutgefässe 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 63 


fehlen gewöhnlich in der äusseren Kapselschicht, in der Kapillaren 
prävalieren, die ein ziemlich dichtes Netzwerk bilden; letzteres färbt 
sich mitunter an überfärbten Präparaten prächtig und vollkommen 
mit Methylenblau. Die innere Schicht der Ganglienhülle ist bedeutend 
solider. Die Struktur ihres Bindegewebsgerüstes näherte sich dem 
Typus des faserigen Bindegewebes. Kollagene Fasern sind in dieser 
Schicht in grösserer Zahl vorhanden und lagern sich hier mehr parallel 
zueinander, mehr oder weniger dicke und solide Bündel bildend. Diese 
Bündel enthalten weniger zellige Bindegewebselemente. In dieser 
inneren Kapselschicht liegen die grössten Blutgefässe, die sich hier 
reichlich verzweigen und gewissermassen nestförmig das ganze Ganglion 
umflechten. Diese innere Kapselschicht ist auch an elastischen Ele- 
menten besonders reich. Diese letzteren bilden hier ein ganzes Filz- 
werk, das mitunter eine bedeutende Dicke erreicht und sich durch 
grosse Dichtigkeit auszeichnet. 

Besonders viele elastische Fasern finden sich im Gewebe, das die 
grossen Blutgefässe umgibt, so dass es den Eindruck macht, als ob 
die elastischen Fasern ihrer Lagerung zu diesen Gefässen angepasst 
sind. Diese beiden Schichten der Ganglienhülle gehen unmerklich 
und allmählich ineinander über, wobei ein mikroskopisches Bild ent- 
steht, als ob von der inneren Schicht Blutgefässe, elastische Fasern 
und Bindegewebsbündel in Form von Ausläufern zur Peripherie zögen 
und sich hier miteinander durchflechtend und durchmengend die mehr 
lockere äussere Schicht der Kapselhülle bilden. Mitunter sind in diese 
äussere Kapselschicht noch Gruppen von Fettzellen eingeschlossen, 
durch welche sie noch mehr aufgelockert wird; öfter häuft sich aber 
das Fettgewebe an der Peripherie der Kapsel an, ein periganglionäres 
Fettzellgewebe bildend. In diesem letzteren ziehen zum Ganglion 
die grossen Blutgefàsse. Das Vorhandensein eines solchen periganglio- 
nären Zellgewebes lässt sich ófter an grossen Ganglien (Plexus solaris 
und anderen) und ausserdem öfter bei grossen Tieren, z. B. Pferd, be- 
obachten. Hier beginnt schon der obenerwähnte Unterschied in der 
Struktur der Ganglien bei verschiedenen Tieren, der jedoch schärfer 
in folgendem zum Ausdruck kommt: bei der Katze und anderen Tieren 
ziehen kollagene Fasern von der inneren Kapselschicht in die zentralen 


64 Sergius Michailow, 


Ganglionpartien in Form von feinen, nur selten einzelne elastische 
Fasern oder aber kleine Gruppen derselben — in den peripheren Teilen 
des Ganglion — enthaltenden Biindelchen. Diese Bündelchen bilden 
feine Zwischenschichten von Bindegewebe zwischen den Kapseln der 
Ganglienzellen selbst, wobei sie stets Blutgefässkapillaren und nur 
äusserst selten kleine Venen und Arterien enthalten. Bei grösseren 
Tieren, als deren Repräsentant in dieser Beziehung das Pferd er- 
scheint, sendet die innere Kapselschicht zentralwärts grosse und mächtige 
Trabekel, die im allgemeinen die Struktur dieser Kapselschicht auf- 
weisen und grosse Blutgefässe und elastische Fasern enthalten. Diese 
Bindegewebstrabekel dringen in die zentralen Partien des Ganglion 
ein, verzweigen sich, anastomosieren miteinander, Querspangen bildend, 
und zerlegen so die kompakte Masse der nervösen Ganglienzellen in 
einzelne Gruppen. Die Stromastruktur solcher einzelner Nervenzellen- 
gruppen in einem Ganglion ist von demselben Typus wie die Struktur 
des Bindegewebsgerüstes in den Ganglien kleiner Tiere. So stellt es 
sich heraus, dass die grossen sympathischen Ganglien gewissermassen 
als aus mehreren kleineren, einfacheren, einzelnen zusammengesetzt 
erscheinen, d. h. einen Gruppenbau aufweisen. 

Bevor ich die kurze Beschreibung des Stroma der sympathischen 
Ganglien schliesse, möchte ich noch einige Worte über die Innervation 
der Blutgefässe dieser Ganglien sagen. Da ich mich früher speziell [56] 
mit der Frage über die Innervation der Blutgefässe beschäftigte, so 
ist es natürlich, dass ich auch bei den vorliegenden Untersuchungen 
nicht wenig Mühe und Aufmerksamkeit der Klärung dieser F rage 
widmete. Dazu bewog mich auch der Umstand, dass noch bis zum 
heutigen Tage die Frage, ob die Blutgefässe nervöser Zentra mit vaso- 
motorischen oder vasosensorischen Nervenfasern versehen sind oder 
keine selbständige Innervation besitzen, in morphologischer Hinsicht 
offen und unentschieden bleibt. Von allen Methoden, die ich zur Be- 
arbeitung der Präparate anwandte, konnte die Methylenblaufärbung 
in der Beziehung die besten Resultate liefern; allein auch an solchen 
Präparaten, wo die Methylenblaufärbung der nervösen Elemente nichts 
mehr zu wünschen übrig liess, auch an solchen Präparaten habe ich 
nie weder Nervenendigungen noch Nervenfasern, die speziell für die 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 65 


Blutgefässe sympathischer Ganglien bestimmt wären, gesehen, wenn- 
gleich auch Sala [58] solche Nerven an nach Golgi behandelten Prä- 
paraten auf Fig. 9 seiner Arbeit abbildet. Infolgedessen halte ich es 
für möglich, dass die Blutgefässe der sympathischen Ganglien keine 
selbstándige Innervation besitzen und sich bloss passiv infolge von 
Hyperàmie erweitern, während eine Verengerung ihres Lumens wahr- 
scheinlich bloss unter dem Einfluss der natürlichen Eigenschaften der 
oben beschriebenen Anhäufungen elastischer Fasern eintritt. 

Ausserdem müssen zum Stroma der zentralen sympathischen Ganglien 
auch diejenigen Gewebsbildungen gerechnet werden, die, wenngleich 
sie auch in direkter Beziehung zu den nervösen Ganglienzellen selbst 
stehen, immerhin nicht zum Nervengewebe gehören. 

Neben den sympathischen Zellen kann man begleitende Zellen 
sehen, die in verschiedenen Fällen in verschiedener Anzahl vorhanden sind, 
wie das auch hinsichtlich aller anderen Nervenzellen der Fall ist. 
Jede sympathische Zelle erscheint mit ihren Begleitzellen von einer 
Kapsel umgeben, die den folgenden Bau aufweist: Die Innenfläche 
dieser Kapsel ist mit einer Schicht Endothelzellen bedeckt, die mit 
ihrer peripheriewärts gerichteten Seite einer feinen, strukturlosen, 
homogenen und durchsichtigen, sich manches Mal mit Methylenblau 
in einem zarten Hellblau färbenden Membran anliegen; peripheriewärts 
von dieser Kapsel liegt schon das Bindegewebe des Ganglion, d. h. 
Gebilde, die sich aus dem mittleren Keimblatt entwickelt haben. Ich 
móchte es betonen, dass diese Kapseln sympathischer Ganglienzellen 
folglich ihrer Lage nach (zwischen von verschiedenen Keimblättern 
abstammenden Elementen) vollkommen den Membranae propriae der 
Drüsen entsprechen. Ist das nicht ein Hinweis auf die Möglichkeit 
einer inneren Sekretion von seiten der sympathischen Zellen, der Begleit- 
zellen oder des die Innenfláche solcher Kapseln bedeckenden Endo- 
thels? . . . Die kollagenen Fasern richten ihren Verlauf nach der 
Lage der beschriebenen Hüllen und umflechten sie von aussen in 
mehreren Lagen. In diesen Bindegewebsschichten findet sich stets 
eine bedeutende Anzahl von Blutgefüsskapillaren, die in Form von Nestern 
die Kapseln der sympathischen Zellen umgeben, was mitunter prächtig 


an mit Methylenblau überfárbten Prüparaten zu sehen ist. 
Internationale Monatssehrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 5 


66 Sergius Michailow, 


Derart ist in allgemeinen Zügen die Struktur des Stroma sym- 
pathischer Ganglienzellen beider Typen, wobei natürlich eine strenge 
und unbedingte Grenze zwischen den letzteren sich natürlich nicht 
aufstellen lässt, da mitunter die grossen Ganglien der Katze ein Stroma 
vom Typus desjenigen des Pferdes besitzen und andererseits die kleinen : 
Ganglien des letzteren vom Strukturtypus derjenigen der Katze sein 
kónnen. : 
Das derartig gebaute interstitielle Gewebe der sympathischen 
Ganglien grenzt kleine, sphárische Ráume ab, in denen die parenchy- 
matósen Elemente, d. h. Nervenzellen liegen. Ausserdem findet sich 
noch im Stroma der Ganglien, wie es sich herausstellte, eine be- 
trächtliche Zahl sensibler Nervenendapparate von verschiedenem Typus, 
d. h. dieses Stroma ist reich innerviert. Zur Beschreibung der ner- 
vósen Ganglienelemente will ich jetzt übergehen. 


IV. Die Nervenelemente der zentralen sympathischen Ganghen. 


In meinen früheren Arbeiten über die feinere Struktur der peri- 
pherischen sympathischen Ganglien (Herz, Harnblase) habe ich bewiesen, 
dass man mit Hilfe meiner Modifikation der Eihrlichschen Methode 
Präparate erhalten kann, an denen die Endapparate der Fortsätze 
sympathischer Zellen zu sehen sind. Es gelang mir, mehrere Typen 
solcher verschieden gebauter Endapparate zu finden, und auf Grund 
derselben stellte ich in denselben Arbeiten fünf Grundtypen der sym- 
pathischen Zellen in peripheren Ganglien fest. Ferner habe ich in 
der Arbeit über den feineren Bau der Ganglien der Harnblase gezeigt, 
dass, wenngleich auch verschiedene periphere sympathische Ganglien 
nach demselben Plan gebaut erscheinen (sofern es die sie zusammen- 
setzenden Nervenzellen anbetrifft), so brauchen immerhin die einzelnen 
Zelltypen keinen Anteil an der Bildung von in verschiedenen Organen 
liegenden Ganglien zu nehmen. 

Diese bereits vor drei Jahren begonnenen Untersuchungen des 
Baues der zentralen sympathischen Ganglien bestätigten aufs beste 
die eben angeführten Thesen und zeigten, dass diese Thesen überhaupt 
für alle von mir untersuchten sympathischen Ganglien verschiedener 
Säugetiere anwendbar sind. Diese letzte Behauptung konnte schon 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 67 


auf Grund jener kurzen Mitteilung der Ergebnisse der vorliegenden 
Untersuchungen aufgestellt werden, die im Anat. Anzeiger, Bd. 33, 
veröffentlicht worden ist, sie hat aber jetzt noch viel mehr für sich, 
da ich nach Veröffentlichung der genannten Arbeit meine Unter- 
suchungen fortsetzte und zu vielen neuen Resultaten kam. 

Ich werde die Resultate gesondert beschreiben, die an Präparaten 
erhalten wurden, welche 1. nach meiner und 2. nach den Methoden 
von Ramon y Cajal und Rachmanow behandelt worden sind. 


1: 


Auf Grund der nach meiner Methode mit Methylenblau behandelten 
Präparate muss man den Schluss ziehen, dass es in den zentralen 
sympathischen Ganglien von Säugetieren wenigstens acht Typen von 
Nervenzellen gibt; in Anbetracht dessen aber, dass in den sympathischen 
Herzganglien Nervenzellen von noch einem Typus vorkommen, deren 
Nachweis in zentralen sympathischen Ganglien mir nicht gelang, muss 
angenommen werden, dass es überhaupt in den sympathischen Ganglien 
mindestens neun Grundtypen von Nervenzellen gibt. 


I. Typus. 

Die Beschreibung des I. Typus dieser Zelle werde ich überhaupt 
weglassen, weil es mir nicht gelang, eben diesen Typus in den zen- 
tralen sympathischen Ganglien zu finden, und ich glaube, in Anbetracht 
der vollkommenen Färbung der nervösen Elemente auf meinen Präpa- 
raten, dass dieser Typus in den zentralen Ganglien des sympathischen 
Nervensystems nicht vorkommt, wie er auch in manchen peripherischen 
sympathischen Ganglien (z. B. den Ganglien der Harnblase) fehlt. 
Ich habe ihn in der Arbeit „Über die Herzinnervation im Lichte der 
neuesten Untersuchungen“, die bald erscheinen wird, beschrieben. 


II. Typus (Fig. 1). 
Der Körper der Zellen dieses Typus hat gewöhnlich eine rund- 
liche oder ovale Form und es gehen von ihm stets mehrere Fortsätze 
ab; die Zellen des II. Typus sind folglich stets multipolar. Die 


Fortsätze gehören zu drei verschiedenen Gruppen: 1. ein Nervenfort- 
5* 


68 Sergius Michailow, 


satz, 2. mehrere kurze keulenförmige Dendriten und 3. mehrere lange, 
mit Bündeln variköser Fäden endende Dendriten. 

ad 1. Der Nervenfortsatz geht gewöhnlich vom Körper der Zelle 
entweder schon von vornherein in Form eines mehr oder weniger 
feinen und glatten Fadens ab, oder aber bildet ursprünglich eine 
kegelförmige Verdickung, die mit ihrer Basis nach dem Zellkörper 
gerichtet ist, mit ihrer Spitze in den Nervenfortsatz selbst übergeht. 
Mitunter geht aber der Nervenfortsatz erst von diesem oder jenem 
Dendriten der ersten Art ab, und ich habe im Gegenteil nie gesehen, 
dass der Nervenfortsatz von 
Dendriten der zweiten Art 
der Zellen dieser Typus ab- 
gehen würde Ein solcher 
Nervenfortsatz zieht dann 
weiter, ohne sich zu teilen 
und gleichmässige und glatte 
Konturen aufweisend, zu die- 
sem oder jenem Bündel der 
das Ganglion passierenden 
Nervenfasern, schliesst sich 
ihm an und verlässt mit ihm 
zusammen das Ganglion. In 


manchen hierzu. günstigen 


Fig. 36. - 


Fällen kann man seinen 
weiteren Verlauf verfolgen und dann gelingt es mitunter, festzustellen 
(ich sah das in den Ganglien des Plexus solaris von Hund und Pferd), 
dass der Nervenfortsatz der Zellen des II. Typus in den Achsen- 
zylinder einer markhaltigen Faser übergeht, welche alle typischen Be- 
sonderheiten zeigt (d. h. er weist eine Myelinscheide, Ranviersche Ein- 
schnürungen usw. auf). 

ad 2. Die kurzen Dendriten stellen Dendriten erster Art von 
sympathischen Zellen des II. Typus dar. Die Zellen dieses Typus 
haben eine verschiedene Anzahl solcher Dendriten (von 1—12), 
meistens gibt es ihrer 5—6—7. Die auf Fig. 1 abgebildeten Zellen 
des II. Typus besitzen neun Dendriten der ersten Art; das kommt 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 69 


jedoch nicht so oft vor. Die Dendriten dieser Art liegen stets mit 
allen ihren Teilen unter der Kapsel, d. h. sind vollständig subkapsu- 
läre Gebilde. Sie beginnen vom Körper der Zelle als mehr oder 
weniger dicke Faser, die bald in ihren retorten- oder keulenförmigen 
Endapparat übergeht. Mitunter haben zwei Dendriten der ersten 
Art von sympathischen Zellen des II. Typus einen gemeinsamen Beginn, 
d. h. eine Faser, die von der Zelle abgeht, teilt sich weiter in zwei, 
von denen jede mit dem genannten Endapparat endet, wie aus Fig. 15 
ersichtlich ist. Dieser letztere besitzt eine äusserst vielgestaltige, 
bald mehr, bald weniger regelmässige Form, prävaliierend ist jedoch 
eine fast kugelförmige oder aber ellipsoide Form dieser Apparate. 

Es ist interessant, dass sich in den Endkeulen der Dendriten 
dieser Art mit einer grossen Konsequenz und einer jetzt noch unver- 
ständlichen Gesetzmässigkeit Pigment anhäuft. Dieses letztere findet 
sich hier bald in Form feinster Körnchen, bald erscheinen diese 
Körnchen zu Häufchen und Schollen von Pigment gesammelt, bald 
endlich erscheint die zentrale Partie des Endapparates der Dendriten 
erster Art von Zellen des II. Tppus von einer Vakuole besetzt, deren In- 
halt in die Farbe des Pigments, d. h. in ein Gelb verschiedener Schattie- 
rungen tingiert ist (an mit Methylenblau gefärbten Präparaten bekommt 
das Pigment mitunter einen grünlichen Schimmer). 

ad 3. Einen ganz anderen Charakter zeigen die Dendriten der 
zweiten Art der sympathischen Zellen des II. Typus. Diese Dendriten 
gehen stets vom Zellkörper selbst ab und haben die Form bald mehr, 
bald weniger feiner Fäden. In ihrem weiteren Verlauf schlängeln 
sich diese Fortsätze zwischen den benachbarten Nervenzellen und ein 
Teil von ihnen gesellt sich den Nervenstämmchen des Ganglion bei, 
mit welchen zusammen er das letztere verlässt, während der andere 
Teil dieser Fortsätze in demselben Ganglion endet, von dessen Zellen 
diese abstammen. Sie enden mit besonderen Apparaten in Form von 
kleinen Besen oder Bündeln, die aus mehreren (4—10—24) mit (rosen- 
kranzartig angeordneten) Verdickungen besetzten Endästchen bestehen. 
Diese Verdickungen sind von sehr verschiedener Grösse und variieren- 
der Form. Gewöhnlich sind sie stark abgeplattet und haben das 
Aussehen von Endblättchen oder aber grosser Varikositäten (s. Fig. 1). 


70 Sergius Michailow, 


Was diejenigen Dendriten zweiter Art von sympathischen Zellen des 
II. Typus anbetrifft, welche das ihnen als Ursprungsstätte dienende 
Ganglion verlassen, so sah ich mitunter, wie solch ein Dendrit aus 
einem Ganglion des Plexus solaris beim Pferd heraustrat, dann in 
einem Nervenstämmchen als typische marklose Remaksche Faser weiter- 
zog und in den Bereich eines anderen Ganglion desselben Plexus solaris 
eintrat. Dort angelangt, setzte der betreffende Fortsatz zwischen 
den nervösen Elementen des Ganglion seinen Weg fort, wobei in da- 
für passenden Fällen folgendes zu sehen war: er zweigte mitunter 
Seitenästchen ab, die in dem Ganglion mit den typischen Endbesen 
und Bündeln endeten, und in einem Falle sah ich, dass ein solcher 
Fortsatz schliesslich selbst mit dem beschriebenen Endapparat ab- 
schloss. 

Hinsichtlich der Zahl der Dendriten zweiter Art von Zellen des 
II. Typus muss bemerkt werden, dass sie nie, für die einzelne Zelle 
berechnet, gross ist, gewöhnlich gibt es deren 1, 2, 3, 4. 

Die Zellen dieses Typus färben sich schwer mit Methylenblau in 
den zentralen Ganglien des sympathischen Nervensystems, und bei 
Anwendung dieser Färbungsmethode in der alten Form, in der sie bis 
zum Erscheinen meiner Modifikation existierte, konnte ich diese Zellen 
überhaupt nicht beobachten. Erst die Anwendung meiner Methode 
schaffte die Möglichkeit, diese Zellen sichtbar zu machen, wenn auch 
nicht besonders oft; es ist aber möglich, dass Zellen dieses Typus 
überhaupt nur in geringer Zahl in den zentralen sympathischen Ganglien 
vorhanden sind. 


III. Typus (Fig. 4, 10, 16, 23, 26). 


Der Körper der Zellen ist recht oft von unregelmässiger Form, 
indem er eckig und in einer Richtung so ausgestreckt ist, dass mit- 
unter der Längsdurchmesser des Zellkörpers sich zum Querdurchmesser 
wie 1:5, ja sogar wie 1:7 verhält. In solchen Fällen erscheint der 
Zellkörper als ein gewöhnlich mehr oder weniger welliges Band, an 
dessen einem Ende der Zellkern liegt. Es ist interessant, dass beide 
Endpole der Zelle in diesem Falle nicht gleichbedeutend sind, wie es 
scheint, sondern dass der Kern stets in der Nähe desjenigen von ihnen 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. val 


liegt, von dem der Nervenfortsatz abgeht. Wenn der Körper der 
Nervenzelle die beschriebene Form hat, so ist es oft schwer, mit Ge- 
nauigkeit zu entscheiden, wo der Körper der Zelle aufhört und ihre 
Fortsätze beginnen. Besonders schwer ist das in den Fällen, wo solche 
Zellen ein- oder zweipolig sind. In dem ersteren Falle geht der Körper 
der Zelle unmittelbar und allmählich in den einzigen umfangreichen 
Dendritenfortsatz über, von dem sich später der Nervenfortsatz ab- 
zweigt. Im zweiten Falle geht von demjenigen Pol der Zelle, an dem 
der Kern liegt (s. Fig. 23), ein feiner Nervenfortsatz ab, während am 
anderen Pole der Körper einer solchen Zelle sich ebenfalls mehr oder 
weniger allmählich in einen dicken umfangreichen Dendriten fortsetzt. 
Allein öfter sind die Zellen des III. Typus multipolar, d. h. mit einer 
grossen Zahl von Fortsätzen versehen. Unter diesen letzteren lässt 
sich gewöhnlich ein Nervenfortsatz unterscheiden; alle anderen Fort- 
sätze sind Dendriten. 

Wir sahen schon, dass mitunter der Fortsatz erst von dem ein- 
zigen Dendriten einer unipolaren sympathischen Zelle des III. Typus 
beginnen kann; es muss jetzt darauf hingewiesen werden, dass auch 
der Nervenfortsatz multipolarer Zellen dieses Typus sich mitunter nicht 
vom Körper der Zelle, sondern von einem ihrer Dendriten abzweigt, 
wie sich das mit Bestimmtheit z. B. hinsichtlich des auf Fig. 4 ab- 
gebildeten Präparates behaupten lässt. Diese Behauptung ist auf der 
Tatsache begründet, dass der auf Fig. 4 bloss auf einer kurzen Strecke 
von seinem Beginn an sichtbare Fortsatz auf dem Präparat ein grosses 
Stück weiter verfolgt werden kann, wobei zu sehen ist, dass dieser 
Fortsatz, nachdem er sich recht weit vom Zellkörper entfernt hat, 
ein Myelinscheide erhält und mit Zanvierschen Einschnürungen ver- 
sehen erscheint, d. h. sich in eine typische markhaltige Faser um- 
wandelt; Dendriten haben nie den Charakter markhaltiger Nerven- 
fasern, und folglich ist der von mir beschriebene Fortsatz in der Tat 
ein Nervenfortsatz. Allein gewöhnlich beginnt bei sympathischen 
Nervenzellen des III. Typus der Nervenfortsatz unmittelbar von dem 
Körper der Zelle selbst, wobei er in solchem Falle in seinem Beginn fast 
nie die kegelförmige Verdickung besitzt, welche ich oben für den vorher- 
gehenden Zelltypus beschrieben habe. Die unmittelbar vom Körper 


12 Sergius Michailow, 


der Zelle abgehenden Nervenfortsätze bedecken sich mitunter eben- 
falls mit einer Myelinscheide. 

Was die Dendriten der Zellen dieses Typus anbetrifft, so muss 
zunächst bemerkt werden, dass sie alle mit Apparaten enden, die im 
Prinzip nach ein und demselben Plan gebaut sind, und deshalb ge- 
hören alle Dendriten der sympathischen Zellen des III. Typus zu ein 
und derselben Art. Sie haben eine sehr verschiedene Länge und 
Breite, und die Art ihrer Verzweigung ist sehr variierend. Bald kann 
man sehen, dass alle Dendriten der Zellen dieses Typus in End- 
apparaten auslaufen (d. h. in wirkliche und natürliche Endstücke, und 
nicht so, wie das früher beobachtet wurde, als man für das Ende der 
Nervenzellenfortsätze diejenigen Punkte hielt, an welchen einfach die 
Färbung aufhörte) im Bereich desselben Ganglions, zu dem die Zelle 
selbst gehört, bald gelingt es festzustellen, dass bloss ein Teil der 
Dendriten dieser Zellen im gleichen Ganglion endet, während ein 
anderer Teil derselben dieses mit diesem oder jenem Nervenstämmchen 
verlässt (s. Fig. 10) und, nachdem er eine mitunter grosse Strecke 
zurückgelegt hat, in die diesem Typus eigenen Endapparate ausläuft, 
die entweder auf dem Wege des Nervenstämmchens selbst liegen, 
in dem diese Dendriten verliefen, oder aber die Dendriten treten erst 
in ein anderes Ganglion, in dem sie dann enden. Mitunter lassen sich 
auch solche Beziehungen beobachten, die in keine der beschriebenen 
Kategorien einzureihen sind. Es ist nämlich mitunter zu beobachten, 
dass nicht nur einzelne Dendriten eine so verschiedene Länge haben, 
dass die einen im Bereich des gleichen Ganglion, die anderen ausser- 
halb desselben enden, sondern dass auch verschiedene, durch Ver- 
zweigung des gleichen Dendriten entstandene Äste den gleichen Unter- 
schied in der Länge und ihrem Endigungsorte aufweisen. Ich habe 
deshalb mehr oder weniger lange und genau bei den Angaben über 
die Länge der Dendriten sympathischer Zellen ein und desselben 
Typus in den zentralen Ganglien verweilt, weil Versuche gemacht 
worden sind, Klassifikationen der sympathischen Zellen in peripheren 
Ganglien zu schaffen, und in der Tat auch solche geschaffen wurden 
(siehe meine Arbeiten über den Bau der peripheren sympathischen 
Ganglien), denen als Grundlage der Unterschied in der Länge, 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 73 


Dicke und dem Charakter der Verzweigung der Dendriten dieser 
Zellen diente, d. h. Klassifikationen, die augenscheinlich nicht an- 
nehmbar sind, da wir jetzt 1. die Möglichkeit haben, die sympathi- 
schen Zellen nach den Endapparaten zu klassifizieren, mit denen 
ihre Fortsätze enden (ich glaube, dass natürlich sowohl vom ana- 
tomischen als vom physiologischen Standpunkte aus der Endapparat 
eine grössere Bedeutung hat als die Länge, Dicke und Verzweigungs- 
art der Fortsätze, da durch ihn die Funktion der Nervenzelle bestimmt 
wird, während die angeführten Eigenschaften der Fortsätze bloss von 
den allgemeinen Entwicklungsbedingungen des Organismus abhängen), 
ausserdem kann jetzt diese auf den oben angeführten Eigenschaften 
der Fortsätze sympathischer Zellen begründete Klassifikation auch noch 
deshalb nicht angenommen werden, weil 2. sie keinen besonderen Sinn 
hat, da sie sich bloss auf Fragmente der genannten Zellen bezieht 
und nach ungenügend gefärbten Präparaten aufgebaut ist (die End- 
apparate der Fortsätze blieben ungefärbt). Ich bin auch noch deshalb 
etwas genauer bei der Beschreibung der Länge der Fortsätze sym- 
pathischer Zellen eines Typus vorgegangen, weil schon aus dieser 
Tatsache eine Analogie und sogar Identität (im Prinzip) im Bau der 
zentralen sympathischen Ganglien, wie er jetzt von mir beschrieben 
wird, und der peripheren sympathischen Ganglien, wie ich ihn schon 
in meinen früheren Arbeiten |56] beschrieben habe, zutage zu treten 
beginnt. 

Die Dendriten — von so verschiedener Länge — des genannten 
Typus sympathischer Zellen beginnen vom Körper der Zelle gewöhn- 
lich in Förm ziemlich umfangreicher Fortsätze (Fig. 4, 10, 16, 23, 26). 
Diejenigen von ihnen, die alsbald in ihre Endapparate übergehen, be- 
halten oft auch während ihres ganzen weiteren Verlaufes bis zu ihren 
Endapparaten fast die ursprüngliche Dicke (Fig. 26). Allein öfter 
verjüngen sich diese Dendriten unter allmählicher Aufzweigung, und 
diejenigen von ihnen, die die grösste Länge besitzen und über die 
Grenzen ihres Ganglion hinaustreten, nehmen den Charakter typischer 
markloser Remakscher Fasern an, den sie bis zu ihrem Übergang in 
den diesen Dendriten eigenen Endapparat behalten. 

Was jetzt den für alle Dendriten sympathischer Zellen vom 


74 Sergius Michailow, 


III. Typus charakteristischen Endapparat anbetrifit, so muss gesagt 
werden, dass er stets das Aussehen einer Endplatte von sehr ver- 
schiedener Form und Grösse hat. Ich will nicht einmal versuchen, 
diese Endapparate zu beschreiben. weil diese Beschreibung sonst nie 
zu Ende kommen würde: so variabel ist die Form einzelner von ihnen. 
Besser als eine Beschreibung zeigen das die auf Fig. 4, 10, 16, 23, 26 
und Textfig. 36 dargestellten Abbildungen. Wir sehen folglich, dass es 
von solchen Endapparaten zwei Arten gibt: die einen, einfacheren, 
wenn die Nervenfaser direkt mit einer Platte endet, und die anderen, 
komplizierteren, wenn von solch einer Platte wiederum ein feiner 
Faden abgeht, die von neuem mit einer Platte, bloss von anderer 
Form, endet. Die Form der für die Dendriten sympathischer Zellen 
vom III. Typus charakteristischen Endapparate wird noch dadurch 
kompliziert, dass die Endplatten sich mit verschiedenen Teilen in ver- 
schiedenen Ebenen lagern, d. h. gebogen erscheinen. Mitunter kann 
man in diesen Endapparaten die Anwesenheit von Pigment (Fig. 16) 
konstatieren, analog demjenigen, welches oft auch im Körper von 
Nervenzellen zu finden ist. 

Die beschriebenen Endapparate in Form von Endplatten liegen 
in denjenigen Fällen, wenn sie sich im Bereich dieses oder jenes 
Ganglions befinden, frei im bindegewebigen Stroma des Ganglions 
zwischen seinen kollagenen Faserbündeln. Mitunter aber, und zwar 
recht oft, erscheinen diese Endplatten ihrer Lage nach an die benach- 
barten Nervenzellen des Ganglions angepasst. In solchen Fällen lagern 
Sie sich auf der Aussenfläche der Nervenzellenkapsel, wobei sie dieser 
letzteren so dicht anliegen, dass an der entsprechenden Nervenzelle 
sogar eine besondere Einpressung zustande kommt (s. Fig. 4) In 
anderen Fällen, wenn die beschriebenen Endapparate schon ausserhalb 
der Grenzen des Ganglions liegen, finden sie sich an den Nerven- 
stàmmchen, wobei sie entweder innerhalb dieser, zwischen den Nerven- 
fasern, oder aber, was ófter vorkommt, an der Peripherie dieser 
Stämmchen gelagert sind. 

Ich móchte hier besonders darauf aufmerksam machen, dass sich 
in gewissen Stellen des sympathischen Nervensystems (besonders im 
Plexus solaris) riesige Anhäufungen von plattenfórmigen Endapparaten 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 15 


finden. Die Frage über die Bedeutung dieser Endplatten, die schon 
von vielen Autoren hauptsáchlich in den Ganglien der hinteren Rücken- 
markswurzeln gefunden worden sind, hat bekanntlich in den letzten 
Jahren das Erscheinen einiger, speziell dieser Frage gewidmeter 
Arbeiten verursacht. Ich werde ebenfalls diese Frage genauer in 
einer besonderen Arbeit behandeln; jetzt will ich bloss einige dies- 
bezügliche Tatsachen anführen. An den Nervenstämmchen, die die 
einzelnen Ganglien des Plexus solaris beim Pferde (z. B. Ganglion 
coeliacum und Ganglion mesentericum sup.) verbinden, konnte ich 
fast stets nach meiner Methode mit Methylenblau viele Tausende dieser 
Endapparate färben (s. Fig. m. Sie nehmen hier mitunter einen 
Raum von 5, 6, 7 cm Lànge bei 1 cm Breite und 0,5 cm Höhe ein, 
d. h. einen Raum, der schon nicht mehr mikroskopisch ist. Diese End- 
apparate erweisen sich stets als die Endigungen markloser Nerven- 
fasern, d. h. solcher, in die stets auch die Dendriten der sympathischen 
Zellen vom III. Typus übergehen. Sehr oft natürlich kann man eine 
solche Faser nicht auf einer grösseren Strecke verfolgen, die mit der 
beschriebenen Endplatte endet, und deshalb kann man auch nicht 
die Abstammung einer solchen Faser von einer sympathischen Zelle 
des genannten Typus feststellen; allein in Anbetracht: dessen, dass 
1. die beschriebenen plattenförmigen Endapparate ihrer Form, ihrem 
Aussehen, Charakter und Grösse nach vollständig denjenigen End- 
apparaten analog sind, mit denen die Dendriten der sympathischen 
Zellen vom III. Typus enden, dass 2. mit diesen plattenförmigen End- 
apparaten die marklosen Fasern enden, und dass es 3. dennoch in 
vielen Fallen zu sehen gelingt, wie die Dendriten der sympathischen 
Zellen vom III. Typus das Ganglion verlassen, in ein Nervenstämmchen 
treten, mit ihm eine grössere oder kleinere Strecke zurücklegen und 
schliesslich in seinem Verlaufe mit plattenförmigen Endapparaten 
enden (s. Fig. 10), in Anbetracht alles dessen schliesslich, dass alle 
die Endplatten, die in Tausenden von Exemplaren im sympathischen 
Nervensystem angeháuft sind, sind sie wahrscheinlich Endapparate 
von Dendriten sympathischer Zellen des III. Typus. Ausserordentliche 
Ausnahmen im Bereich des sympathischen Nervensystems sind solche 
Endplatten, mit denen markhaltige Nervenfasern enden. Diese Fasern 


76 Sergius Michailow, 


treten in das sympathische Nervensystem wahrscheinlich aus den 
spinalen Ganglien über und stellen Fortsätze vor deren Zellen dar. 
Es ist interessant, dass man mitunter beobachten kann (s. Fig. 2), 
wie mit den beschriebenen Endapparaten. an dieser oder jener sym- 
pathischen Zelle gleichzeitig eine marklose und markhaltige Faser 
endet, in vereinfachter Form an jene doppelten nervösen End- 
apparate erinnernd, von denen ich genauer in meinen anderen Arbeiten 
gesprochen habe |56]. 


IV. Typus (Fig. 5, 8, 13). 


Der Körper sympathischer Zellen vom IV. Typus ist gewöhnlich 
von verschiedenster Grösse, Form und Aussehen, deren genauere Be- 
schreibung ich für überflüssig halte. Vom Körper der Zelle geht an 
seinen verschiedenen Punkten eine äusserst verschiedene Zahl von 
Fortsätzen ab, die dann in allen möglichen Richtungen verlaufen. 
Unter diesen Fortsätzen gibt es stets einen Nervenfortsatz, während 
alle anderen die Dendriten dieser Zellen sind. 

Die sympathischen Zellen des IV. Typus sind oft pigmentiert, 
wobei sich in ihnen das Pigment gewöhnlich an gewissen bestimmten 
Stellen anhäuft, obgleich es natürlich auch Ausnahmen von dieser Regel 
gibt. Ein solcher, sozusagen Lieblingsort für die Anhäufung von 
Pigment in den Zellen dieses Typus ist derjenige Pol der Zelle, von 
dem der Nervenfortsatz abgeht. 

Ich hatte nur selten Gelegenheit, zu sehen, dass der Nerven- 
fortsatz sympathischer Zellen des IV. Typus in den Achsenzylinder 
einer markhaltigen Nervenfaser übergeht, obgleich das mitunter auch 
vorkommt. Er tritt gewöhnlich in dieses oder jenes Nervenstämmchen 
oder geht an das nächstliegende oder ein entfernteres Ganglion des 
gleichen Plexus heran und dringt in dasselbe ein, wobei man sowohl 
im ersteren als auch im zweiten Falle, wenn es auch gelingt, den 
weiteren Verlauf dieses Fortsatzes zu verfolgen, nie überzeugt ist, 
dass man ihn nicht mit einem anderen unter vielen Tausenden der 
hier vorhandenen Nervenfasern verwechselt hat. 

Was jetzt die Dendriten von sympathischen Zellen des IV. Typus 
anbetrifft, so muss zunächst darauf hingewiesen werden, dass hinsichtlich 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 77 


ihrer Länge, Dicke und dem Charakter ihrer Verästelung diejenigen 
Angaben volle Geltung behalten, die ich über die diesbezügliche Frage 
bei der Beschreibung des III. Typus der sympathischen Zellen gemacht 
habe. In der Mehrzahl der Fälle besitzen Zellen von diesem Typus 
1—4—6 Dendriten, es kommen aber einzelne Exemplare vor, die auch 
eine grössere Anzahl derselben besitzen. Nachdem sie von der Zelle 
abgegangen sind, verzweigen sich diese Fortsätze reichlich, und mit 
ihren Verzweigungen einen grossen Raum einnehmend, vergrössern sie 
sehr das Gebiet der Neuronen dieses Typus. Ich hatte Gelegenheit, 
zu sehen, wie von einer Zelle des IV. Typus einige Fortsätze abgingen, 
wobei ein Teil der Dendriten mit den ihnen eigenen Endapparaten 
im Bereich des Ganglion mesentericum superius (der Körper der Zelle 
lag ebenfalls in diesem Ganglion) endete, während der andere Teil der 
Dendriten, nachdem sie dieses Ganglion verlassen hatten, sich buch- 
stäblich nach verschiedenen Ganglien verstreute, die nicht nur den Plexus 
solaris, d. h. dasjenige Gebiet, zu dem auch das Ganglion mesentericum 
superius gehört, bilden, sondern auch auf das Gebiet des sympathi- 
schen Nierenplexus mit seinen zahlreichen Ganglien übertrat. 

Der Bau des Endapparates, mit dem die Dendriten der sym- 
pathischen Zellen vom IV. Typus enden, ist etwas komplizierter als 
derjenigen Endapparate, mit denen die Dendriten des vorhergehenden 
III. Typus dieser Zellen enden, wobei er sehr charakteristisch ist. 
Wenn man diesen oder jenen Dendriten von einer Nervenzelle dieses 
Typus verfolgt, kann man sehen, dass er mitunter, ohne sich vor- 
her zu teilen, unter üppiger Verästelung auf einem geschlängelten, 
verwickelten und komplizierten Wege zwischen den anderen Nerven- 
zellen des Ganglions endlich bis zu seinem Endabschnitt gelangt. Hier 
schon beginnt er sich wiederholt di- und trichotomisch zu teilen, wo- 
bei die durch solch eine Teilung entstandenen Endästchen mit Ver- 
dickungen an ihren Enden versehen erscheinen (s. Fig. 18). Die Form 
dieser letzteren ist sehr verschieden, und ich halte es für überflüssig, 
sie genauer zu beschreiben; ich will bloss bemerken, dass sie oft von 
rundlicher Form, birn- oder eifórmig sind; haben sie aber eckige Um- 
risse, so erinnern sie an kleine Bláttchen mit sonderbaren Konturen. 
Alle Endverästelungen eines Dendriten mit den an ihren Enden sitzenden 


78 Sergius Michailow, 


knopfförmigen Verdickungen bilden zusammen einen Endapparat, der 
wieder seinerseits je nach der Zahl dieser Verästelungen und ihrem 
Reichtum an den genannten Verdickungen, sehr verschieden nach Form, 
Aussehen und Grösse sein kann. Bald hat er die Form eines Pfötchens 
oder Ästchens, das mit seinen Blättern dicht denjenigen Gewebs- 
elementen anliegt, neben welchen ein solches Endpfötchen oder Ästchen 
liegt (s. z. B. Fig. 5), bald ist dieser Apparat traubenförmig (s. z. B. 
Fig. 8), bald, in noch komplizierteren Fällen, erinnert er an das blätter- 
tragende Ende eines grossen Baumastes (s. Fig. 18) oder wenn er das 
komplizierte Bild sich durchflechtender Endfäserchen an einem Pol 
irgendeiner Nervenzelle darstellt, erinnert er an ein Endkörbchen, in 
dem wie eine Eichel in ihrem Schälchen die Nervenzelle liegt. So- 
wohl dieser komplizierte Endapparat als auch überhaupt alle End- 
apparate der Dendriten sympathischer Nervenzellen des IV. Typus 
lagern sich stets an die Aussenfläche der Kapsel einer oder mehrerer 
benachbarter Nervenzellen des IV. Typus, die bald zu demselben Ganglion 
wie die betreffende Nervenzelle vom IV. Typus selbst, bald zu anderen 
Ganglien gehören (Fig. 8). Mitunter bleiben diejenigen Zellen, auf 
welchen sich die genannten Endapparate lagern, ungefärbt, aber in 
der Mehrzahl solcher Fälle kennzeichnet sich die Anwesenheit dieser 
bloss an der betreffenden Stelle ungefärbt gebliebenen Zellen durch 
ihr gelbes und typisches Pigment (s. Fig. 5 und 18). 


V. Typus (Fig. 21 und 24). 


Der Körper der Zellen des V. Typus ist bald rund, bald oval, 
bald ausgezogen und von unregelmässiger Form. Es gehen von ihm 
Fortsätze dreierlei Art ab, wobei nach den Endapparaten, mit denen die 
Dendriten der sympathischen Zellen des V. Typus enden, diese letzteren 
eine Mittelstellung zwischen dem II. und III. Typus der sympathischen 
Zellen einnehmen. Unter den Fortsätzen kann man unterscheiden: 
1. einen Nervenfortsatz, 2. einige kurze Dendriten mit kolben- oder 
keulenförmigen Endigungen, 3. einige längere mit Endplatten endende 
Dendriten. Die Zellen von diesem Typus sind folglich stets multipolar. 

ad. 1. Der Nervenfortsatz geht gewöhnlich vom Körper der Zelle 
ab, mitunter beginnt er aber, wie bei Zellen vom II. Typus, erst von 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 79 


einem der Dendriten erster Art von sympathischen Zellen des V. Typus. 
Weiter tritt er in ein Nervenstämmchen, verlässt gewöhnlich das Ganglion, 
zu dem diese Zelle selbst gehört, und verschwindet aus den Augen 
des Beobachters, sich mit den vielen anderen Fasern, die das Nerven- 
stàmmchen zusammensetzen, durchmengend. 

ad. 2. Die Dendriten erster Art von sympathischen Zellen des 
V. Typus sind vollkommen analog den gleichen Dendriten von Zellen 
des II. Typus. Ebenso wie jene erweisen sich die Dendriten von Zellen 
dieses Typus als subkapsuläre und bestehen ebenfalls aus einem feinen 
Füsschen, Stengelchen, das eigentlich der Dendrit auch darstellt, und 
einem Endapparat vom Aussehen einer kolben- oder keulenförmigen 
Anhäufung von Protoplasma. Die Grösse dieser Endapparate kann 
sehr verschieden sein. In ihnen häuft sich oft, wie das genauer auch 
für die analogen Dendriten sympathischer Zellen des II. Typus be- 
schrieben ist, gelbes Pigment verschiedener Schattierungen an (s. Fig. 20). 

ad. 3. Die Dendriten der zweiten Art von sympathischen Zellen 
des V. Typus sind ihren Endigungen nach den oben beschriebenen 
Dendriten sympathischer Zellen des III. Typus analog. Allein die zu 
beschreibenden Dendriten besitzen nie eine so bedeutende Länge wie 
die analogen Dendriten von Zellen des III. Typus, sind auch nicht so 
fein wie die letzteren, besitzen keine varikösen Verdickungen und 
haben folglich nie den Charakter markloser Remakscher Nervenfasern. 
Sie enden gewöhnlich in der Nähe derjenigen Zelle, deren Fortsätze 
sie sind, obgleich mitunter auch Ausnahmen von allen diesen Regeln 
vorkommen. Gewöhnlich sind die Dendriten zweiter Art von sym- 
pathischen Zellen des V. Typus ziemlich umfangreich und teilen sich 
oft. Mitunter geben sie feine Seitenästchen ab (s. Fig. 21); alle diese 
Astchen und Fäserchen enden bald mit Endapparaten in Form von 
verschiedenen Endplatten. 

Ohne mich noch länger bei der Beschreibung der Zellen vom 
V. Typus aufzuhalten, möchte ich nur darauf hinweisen, dass man 
mitunter eine Verbindung der Endplatten der Dendriten zweiter Art und 
von Zellen dieses Typus untereinander durch einen feinen Nervenfaden 
beobachten kann (s. Fig. 24). 

Ich habe nie etwas Ähnliches in bezug auf die Endapparate der 


80 Sergius Michailow, 


Dendriten von Zellen des III. Typus beobachten können, aber unter 
den Endplatten, die sich in grosser Zahl entlang dem Verlaufe der 
Nervenstämme (wie oben beschrieben) anhäufen, habe ich mitunter 
die gleiche Verbindung der Endapparate gesehen, was auch in einem 
Falle auf Textfig. 36 abgebildet ist. Es ist möglich, dass das gleiche 
auch für die Endapparate der Dendriten von Zellen des III. Typus 
gilt, dass es aber der Beobachtung einfach aus dem Grunde nicht 
zugänglich ist, weil diese Dendriten gewöhnlich eine grössere Länge 
besitzen; man kann also meinen, dass all die grossen Mengen von 
Endplatten, von denen oben bei der Beschreibung der Zellen des 
Ill. Typus die Rede war, nichts anderes sind als Endigungen der 
Dendriten von Zellen des eben erwähnten Typus. Wenn das aber nicht 
der Fall ist, d. h. wenn zwischen den Endapparaten der Dendriten 
von Zellen des III. Typus in der Tat die beschriebenen Verbindungen 
nicht vorkommen, so muss angenommen werden, dass ein Teil jener 
Endplatten, die sich entlang dem Verlauf der Nervenstämmchen an- 
häufen, Endigungen der Dendriten zweiter Art von sympathischen 
Zellen des V. Typus sind. | 

Alle die eben beschriebenen fünf Typen von Zellen der zentralen 
sympathischen Ganglien gelten auch für die peripheren in diesem oder 
jenem Organ gelagerten sympathischen Ganglien (siehe meine Arbeiten 
über den feineren Bau der peripheren sympathischen Ganglien: Arbeiten 
der Gesellschaft. russischer Ärzte in Petersburg vom Jahre 1907, 
Archiv der Veterinärwissenschaften 1908 (russ.), Internationale Monats- 
schrift für Anatomie und Physiologie Bd. XXV, Archiv für mikro- 
skopische Anatomie Bd. 72, Anatomischer Anzeiger Bd. 33). Der 
Nachweis der folgenden vier Typen in den peripheren sympathischen 
Ganglien ist bis jetzt nicht gelungen und man kann meinen, dass 
diese vier Zelltypen nur den zentralen Ganglien des sympathischen 
Nervensystems eigen sind. 


VI. Typus (Fig. 7 und 9). 


Der Körper der Zellen von diesem Typus weist absolut nichts 
auf, worauf nicht schon bei der Beschreibung der vorhergehenden 


Li ni ii nai 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 81 


Zelltypen hingewiesen worden wäre, und deshalb werde ich jetzt bei 
dieser Frage nicht länger verweilen. 

Vom Körper der Zellen dieses Typus gehen gewönlich einige 
Fortsätze ab, d. h. sie sind in der Mehrzahl der Fälle multipolar. 
Mitunter kann man aber auch bi- und sogar unipolare Zellen antreffen, 
deren Fortsätze mit den für Zellen dieses Typus charakteristischen und 
typischen Endapparäten versehen sind. In der Mehrzahl der Fälle, 
selbst dann, wenn vom Körper der Zellen dieses Typus viele Fortsätze 
abgehen, erweisen sie sich alle als Dendriten, und nur selten kann 
man unter ihnen einen Nervenfortsatz unterscheiden. 

Der Nervenfortsatz zweigt sich folglich nur selten direkt vom 
Körper einer Zelle des VI. Typus ab. Viel öfter entspringt er von 
diesem oder jenem Dendriten. Weiter verläuft er zwischen den be- 
nachbarten Nervenzellen und begibt sich zu diesem oder jenem Pol 
des Ganglions, dessen Grenzen er gewöhnlich einem der aus dem 
Ganglion austretenden Nervenstämmchen sich hinzugesellend, verlässt. In 
hierzu günstigen Fällen kann man sich überzeugen, dass ein solcher 
Fortsatz, der sich von diesem oder jenem Dendriten einer sympathischen 
Nervenzelle des VI. Typus abgezweigt hat und glatte gleichmässige 
Umrisse besass, später sich mit einer Myelinscheide umgebend, in den 
Achsenzylinder einer markhaltigen Nervenfaser übergeht. In solchen 
Fällen kann es nicht mehr zweifelhaft sein, dass dieser Dendriten- 
zweig ein ganz besonderes Gebilde, einen Nervenfortsatz darstellt. 

Was jetzt die Dendriten des zu beschreibenden Typus der sym- 
pathischen Zellen betrifft, so möchte ich zunächst darauf hinweisen, 
dass sie gewöhnlich eine geringe Länge besitzen, obgleich das mit- 
unter bloss dadurch bedingt sein kann, dass es nicht gelingt, Dendriten 
von grösserer Länge bis zu ihrem Endapparat zu verfolgen. Nachdem 
sie vom Körper der Zelle in Form mehr oder weniger umfangreicher 
Fortsätze abgegangen sind, teilen sich die Dendriten sympathischer 
Zellen des VI. Typus während ihres Verlaufes wiederholt di- und tricho- 
tomisch und sind an verschiedenen Stellen mit Verdickungen von ver- 
schiedener Form und Grösse versehen, wobei sich die durch diese 
Teilungen entstehenden Ästchen allmählich verjüngen. Weiterhin 


nähern sich die durch Teilung eines oder mehrerer Dendriten ent- 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 6 


82 Sergius Michailow, 


standenen Ästchen dieser oder jener Nervenzelle. In der Umgebung 
dieser letzteren beginnen die genannten Endästchen sich wiederum 
reichlich zu verzweigen, wobei einzelne von ihnen direkt ineinander 
übergehen, während die übrigen, miteinander anastomosierend, sich 
durchflechten und verwickeln, infolgedessen ein Endapparat in Form 
eines sphärischen Netzes zustande kommt, der nestartig die Nerven- 
zelle umgibt (s. Fig. 7 und 9). In der Nähe solcher Nervenzellen, die 
im Innern der eben beschriebenen nestartigen Endapparate liegen, 
hatte ich Gelegenheit, mitunter die oben beschriebenen Endplatten zu 
sehen, die so gelagert waren, dass sie mit ihrer breiten Fläche nach 
den genannten Zellen gerichtet waren. Solche Bilder (s. Fig. 7) machten 
den Eindruck, als ob solche Endplatten in vivo wie ein mikroskopischer 
Ekran auf Entfernung uns unbekannte, von der Zelle selbst oder dem 
sie umgebenden Netze ausgehende Reize aufnehmen würden. | 
Mitunter breiten sich manche der Dendriten des zu beschreibenden 
Typus sympathischer Zellen mit ihren Endverzweigungen auf der 
Oberfläche derselben Zelle, deren Ausläufer sie sind, aus, wobei sie 
auch in solchen Fällen die oben beschriebenen nestartigen Endapparate 
bilden; die anderen Dendriten dieser Zellen enden in solchen Fällen, 
wie gewöhnlich, mit ihren Nestern an den benachbarten Zellen des 
Ganglion, was auf dem auf Fig. 9 abgebildeten Präparate dargestellt ist. 
Wir sahen schon, dass Ramon y Cajal [50] in den sympathischen 
Ganglien perizelluläre Nester beschrieben hat, die durch die Ver- 
zweigungen der Dendriten sympathischer Zellen gebildet wurden. 
Allein ich glaube, dass diejenigen Bildungen, die Ramon y Cajal an 
nach Golgi bearbeiteten Präparaten gesehen und unter dem Namen 
perizelluläre Nester beschrieben hat, und diejenigen Endapparate, die 
ich jetzt als die spezifischen Endigungen der Dendriten von Zellen 
des VI. Typus beschrieben habe, ganz verschieden sind. Auch schon 
viele nachfolgende Autoren (s. Historische Übersicht), wie z. B. Van 
Gehuchten [51], Sala [58] und Huber [37], die ebenfalls hauptsächlich 
mit der Golgischen Methode gearbeitet haben, wiesen darauf hin, dass 
die perizellulären Nester Ramon y Cajals keine auch nur speziellen 
nervösen Bildungen darstellen, ganz abgesehen davon, dass sie die 
tatsächlichen Endigungen von Fortsätzen sympathischer Zellen wären. 


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Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 83 


Diese Autoren gaben an, dass diejenigen Bildungen, die Ramon y Cajal 
als perizelluläre Nester beschrieben hat, zufällige Gebilde darstellen, 
die ihre Entstehungen einfach dem Umstande verdanken, dass die 
Nervenzellenfortsätze sich zwischen den benachbarten Zellen des 
Ganglions hindurchwindend, nolens volens diese letzteren umflechten. 
Diese Ansicht entspricht vollkommen dem Tatbestande und dem, was 
auch ich persönlich viele Male an meinen Präparaten sowohl peripherer 
als auch zentraler sympathischer Ganglien beobachten konnte, die 
nach den Methoden von Golgi, Ramon y Cajal, Rachmanow und mit 
Methylenblau nach meiner Methode, worauf schon des öfteren hin- 
gewiesen wurde, bearbeitet worden sind. 

Bevor ich die Beschreibung der sympathischen Zellen des VI. Typus 
schliesse, möchte ich noch auf ein Detail einiger meiner Präparate, 
deren eines auf Fig. 9 abgebildet ist, aufmerksam machen. An solchen 
Präparaten kann man beobachten, wie sich von diesem oder jenem der 
nestartigen Endapparate ein feines Fäserchen abzweigt, welches später 
weit zwischen den benachbarten Ganglienzellen hinzieht oder aber in 
dieses oder jenes Nervenstämmchen eintritt. Mitunter zieht sogar ein 
solcher Nervenfaden durch das ganze Ganglion, verlässt dessen Bereich 
und begibt sich mit den abgehenden Nervenstämmchen zu anderen 
Ganglien. Leider gelang es mir nie, ungeachtet aller meiner Be- 
mühungen, ein solches Fäserchen bis zu seinem wirklichen und natür- 
lichen Ende, d. h. dem Übergange seines anderen Endes in den End- 
apparat zu verfolgen. Es ist möglich, dass die genannten Fäserchen 
die Verbindung der einzelnen nestartigen Endapparate, mit denen die 
Dendriten der verschiedenen sympathischen Zellen des VI. Typus enden, 
zum Ziele haben, es ist aber auch möglich, dass sie Fäserchen dar- 
stellen, die schliesslich einen Endapparat bilden, der nestartig eine 
der sympathischen Zellen umgibt. Im ersteren Falle hätten wir die 
merkwürdige Tatsache der Verbindung verschiedener Neurone unter- 
einander, während wir im zweiten Falle das Vorkommen von nest- 
artigen Endapparaten zweierlei Art annehmen müssten: 1. einfacheren, 
die direkt durch die Endverzweigungen der Dendriten von Zellen des 
VI. Typus gebildet werden, und 2. komplizierteren, die aus mehreren 


einfachen bestehen, von denen bloss der erste in der Reihe auf die 


84 Sergius Michailow, 


eben beschriebene Weise entsteht, während jeder nachfolgende durch 
die sich vom vorhergehenden abzweigenden Endverästelungen gebildet 
wird. Es ist endlich möglich, dass die genannten Fäserchen bloss 
solche nestartige Apparate verbinden, die durch die Endverzweigungen 
der Dendriten ein und derselben sympathischen Zelle vom VI. Typus 
gebildet werden. 


VII. Typus (Fig. 11 und 12). 


Der Körper der Zellen von diesem Typus ist oft sternförmig oder 
oval, mitunter aber auch rundlich, langgestreckt oder unregelmässig. 
Von ihm gehen zwei oder mehrere Fortsätze verschiedener Länge 
und verschiedenen Umfanges ab. Gehen vom Körper einer Zelle des 
VII. Typus bloss zwei Fortsätze ab, dann ist einer der Nerven- 
fortsatz, während der andere der einzige Dendrit ist (s. Fig. 12). In 
dem Falle aber, dass die betreifende Zelle mehrere Fortsätze hat, 
dann sind entweder alle Dendriten, oder aber es gibt auch unter 
ihnen einen Nervenfortsatz. Wenn aber alle Fortsätze einer multi- 
polaren Nervenzelle Dendriten sind, dann geht ihr Nervenfortsatz von 
einem dieser Dendriten in Form eines feinen, sich nicht teilenden, 
während seines ganzen sichtbaren Verlaufes glatte, unregelmässige 
Umrisse beibehaltenden Astchens ab. Weiter tritt der Nervenfortsatz 
der sympathischen Zellen dieses Typus gewöhnlich in dieses oder jenes 
Nervenstämmchen des Ganglions ein und verlässt dann zusammen mit 
diesem die Grenzen des Ganglions. 

Was die Dendriten anbetrifft, so stellt es sich heraus, falls es 
gelingt, sie bis zu ihrem wirklichen und natürlichen Ende zu ver- 
folgen, dass sie alle mit einem sonderbaren und für die Zellen des 
VII. Typus spezifischen Endapparat enden. In einem Falle beginnen 
sie gleich, nachdem sie vom Körper der Zelle abgegangen sind, sich 
üppig zu verzweigen, wobei alle hierdurch entstandenen Ästchen sich in 


einer Richtung, zu einem Pol der Zelle begeben. Diese Astchen biegen : 


sich auf verschiedene Art in einem umschriebenen und nicht grossen 
Raume neben dem genannten Zellpol, beschreiben in den Grenzen 
dieses Raumes fast regelmässige Kreise von ungefähr dem gleichen 
Durchmesser, teilen sich wiederum, mitunter wiederholt, während ihres 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 85 


Verlaufes, durchfiechten sich und anastomosieren miteinander. Infolge 
aller dieser Umwandlungen entsteht ein Bild, als ob an einem Pol der 
Zelle, über ihr, sich ein besonderes nervöses Gebilde von der Form 
einer Krone befindet, was ich auf einer der beigegebenen Abbildungen 
dargestellt habe (s. Fig. 12). Im anderen Falle können die Dendriten 
von sympathischen Zellen des VII. Typus eine grössere Länge be- 
sitzen. Nachdem sie vom Körper der Zelle abgegangen sind, teilen 
sie sich ebenfalls oft sehr reichlich, wobei die hierdurch entstandenen 
Astchen ebenfalls fast alle in einer Richtung weiterziehen. Diese 
Astchen winden sich während ihres Verlaufes zwischen den benach- 
barten Nervenzellen des Ganglions und umflechten oft nolens volens 
diese letzteren (s. Fig. 11). Endlich versammeln sie sich an dem einen 
Pole dieser oder jener Nervenzelle und bilden über ihr einen nach dem . 
allgemeinen, eben beschriebenen Typus einer dendritischen Endkrone 
gebauten Endapparat (s. Fig. 11). 


VIII Typus (Fig. 13, 14 und 22). 


Der Körper der Zellen dieses Typus ist oft von fast vollständig 
runder oder ovaler oder endlich mehr oder weniger unregelmässiger 
Form. In der Mehrzahl der Fälle geht von ihm 1. bloss ein recht 
umfangreicher Fortsatz ab (s. Fig. 14). In anderen Fällen aber, wie 
das auch auf dem auf Fig. 13 abgebildeten Präparat z. B. zu sehen 
ist, gehen vom Körper der Zelle vom VIII. Typus 2. mehrere Fort- 
sätze von ebenfalls bedeutendem Umfange ab. Endlich in noch anderen 
Fällen (s. z. B. Fig. 22) geht vom Körper dieser Zellen 3. ein sehr 
umfangreicher Fortsatz und mehrere äusserst feine und zarte Nerven- 
fädchen ab. 

ad 1. Nachdem er vom Körper der Zelle abgegangen ist, zer- 
fällt dieser einzige Fortsatz fast sogleich in eine gewisse Zahl 
(3—4—6) feinerer Astchen, von denen manche eine grössere oder 
kleinere Strecke, ohne sich zu teilen, weiterziehen, während die anderen 
sich wiederum und oft wiederholt teilen (s. Fig. 14). Infolge dieser 
Teilung zerfällt der ursprünglich einzige dicke Fortsatz in eine grosse 
Anzahl mehr oder weniger feiner Ästchen, die sich untereinander 
mittels zahlreicher Anastomosen von verschiedener Dicke vereinigen. 


86 Sergius Michailow, 


Durch solche Anastomosen entsteht ein Netz, dessen Maschen sich in 
verschiedenen Ebenen lagern, wobei in den Knotenpunkten dieser 
Maschen oft Verdickungen zu beobachten sind (s. Fig. 14). Auf solche 
Weise finden in den beschriebenen Netzen Aste ihr Ende, die durch 
Teilung des einzigen Fortsatzes der beschriebenen unipolaren sympa- 
thischen Zellen vom VIII. Typus entstanden sind, d. h. mit diesen 
Netzen enden die erwähnten Fortsätze der Zellen dieses Typus. Von 
den beschriebenen Netzen nehmen jedoch wiederum feine Fortsätze 
ihren Ursprung, die auf folgende Weise entstehen: von manchen das 
oben beschriebene Netz zusammensetzenden Maschen (s. Fig. 14) zweigen 
sich feine variköse Nervenfädchen ab, die weiter zwischen die be- 
nachbarten Nervenzellen ziehen und allmählich miteinander verfliessen. 
Schliesslich fliessen alle diese Fädchen (2, 4, 6 und mehr an der Zahl), 
zu wenigen, etwas umfangreicheren Fäserchen zusammen (1, 2, 3, 4), 
die ein glattes, regelmässiges Aussehen besitzen und dasselbe während 
ihres ganzen Verlaufes, während dessen man sie verfolgen kann, bei- 
behalten. 

ad 2. Wenn vom Körper einer Zelle vom VIII. Typus mehrere 
Fortsätze abgehen, so teilen sie sich ebenfalls fast sogleich (s. Fig. 13) 
und zerfallen schliesslich in eine grosse Anzahl feinster, stellenweise 
mit varikösen Verdickungen versehener Fäserchen. Diese Fäserchen 
haben einen höchst komplizierten und verschlungenen Verlauf, wobei 
sie alle diejenigen Umwandlungen erfahren, die in dem vorhergehen- 
den Paragraphen angegeben wurden und infolge deren diese Fäserchen 
einen für die sympathischen Zellen des VIII. Typus charakteristischen 
netzförmigen Endapparat bilden. Von einem solchen Netzchen zweigen 
sich, wie auch schon oben angeführt, einzelne feine Fäden ab, die 
weiterhin, sich miteinander vereinigend, dickeren und glatteren Ästchen 
den Ursprung geben, welche direkt in Nervenfasern übergehen. 

ad 3. Mitunter gehen, wie oben angegeben, vom Körper einer 
Zelle des VIII. Typus ein sehr umfangreicher Fortsatz und mehrere 
äusserst feine Nervenfädchen ab. Der genannte umfangreiche Fort- 
satz teilt sich, wie auch in den vorhergehenden Fällen, fast sogleich 
in mehrere feine Astchen, von denen manche sich ferner an der 
Bildung des für die Zellen des VIII. Typus charakteristischen Netzes 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 87 


beteiligen, während die anderen (s. Fig. 22) bloss durch das letztere 
hindurchtreten, ohne, wie es scheint, mit ihm in engerem Zusammen- 
hang zu stehen. Solche Astchen, die keinen Anteil an der Bildung 
des genannten Netzchens nehmen, erweisen sich stets als sich nicht 
teilende und glatte Nervenfädchen. Es gelang mir mitunter, sie sehr 
weit zu verfolgen, und man konnte dann feststellen, dass sie den er- 
wähnten Charakter während ihres ganzen Verlaufes beibehalten. Was 
diejenigen Astchen anbetrifft, die sich an der Bildung des oben be- 
schriebenen Netzchens beteiligen, so geben sie, sich wiederum vielfach 
teilend, zahlreichen feinen Fäserchen den Ursprung, die während ihres 
Verlaufes mit varikösen Verdickungen ausgestattet sind, miteinander 
anastomosieren und sich miteinander durchflechten. Mit den Maschen 
des so enstehenden Netzchens stehen auch diejenigen feinsten Nerven- 
fädchen in direkter Verbindung, die unmittelbar vom Körper der 
sympathischen Zelle des VIII. Typus entspringen. Ausserdem zweigen 
sich noch, wie auch in den vorhergehenden Fällen, von den Maschen 
dieses Netzes feine Nervenfädchen ab, die weiter in Nervenfasern 
übergehen. 

Die sympathischen Zellen dieses VIII. Typus erweisen sich, wie 
aus der vorhergehenden Beschreibung zu sehen ist, als sehr ähnlich 
manchen in der letzten Zeit beschriebenen Zellen der spinalen Ganglien. 
Wie diese letzteren sind auch die sympathischen Zellen des VIII. Typus 
oft unipolar, und ihr einziger Nervenfortsatz erzeugt in beiden Fällen 
die gleichen nervösen Gebilde. In dieser Analogie liegt, glaube ich, 
nichts Sonderbares, da es ja bekannt ist, dass sich die sympathischen 
Ganglien während ihrer embryonalen Entwicklung eben von der An- 
lage (oder dem Keim) der spinalen Ganglien abschnüren. Was jetzt die 
Frage anbelangt, ob diejenigen Nervenfasern, die erst von den be- 
schriebenen Netzchen beginnen, Dendriten oder Nervenfortsätze sind, 
so liefern zu deren Beantwortung meine Untersuchungen auch bis 
zum heutigen Tage noch keine irgendwie endgültigen und entscheiden- 
den Resultate. Allein in Anbetracht dessen, dass 1. diese Fasern 
ihrem Charakter nach eher Nervenfortsätzen als Dendriten ähnlich 
sehen (sie verzweigen sich nicht und sind vollständig glatt), und in An- 
betracht, dass 2. analoge Fasern der genannten Spinalganglienzellen 


88 Sergius Michailow, 


wirkliche Nervenfortsätze darstellen, bin ich geneigt, zu glauben, dass 
alle oben beschriebenen langen Nervenfasern von sympathischen Zellen 
des VIII. Typus Nervenfortsätze sind. Allein in welchem Sinne auch 
die nachfolgenden Untersuchungen diese Frage lösen würden, für uns 
ist heute nur die Tatsache von Bedeutung, dass die Dendriten von 
sympathischen Zellen auch des VIII. Typus einen eigenartigen und 
für diesen Typus spezifischen Endapparat in Form des beschriebenen 
Netzchens bilden, da alle diese Dendriten in ihm enden und von ihm 
wieder neue Fortsätze ihren Ursprung nehmen. Infolge dieses letzteren 
Umstandes erweist sich das erwähnte Netzchen gewissermassen ein- 
geschaltet zwischen die Dendriten und die Nervenfortsätze der sym- 
pathischen Zellen des VIII. Typus, und deshalb nenne ich auch diesen 
Apparat — das eingeschaltete Nervennetz. 


IX. Typus (Fig. 25). 


Der Körper der Zellen dieses Typus ist in der Mehrzahl der 
Fälle von unregelmässiger und nicht näher zu bestimmender Form, 
da er mit zahlreichen Vorsprüngen versehen ist. Von ihm, und zwar 
von den erwähnten Vorsprüngen, gehen gewöhnlich mehrere Fortsätze 
von überaus verschiedenem Umfange ab (s. Fig. 25). Mit Ausnahme 
eines einzigen ändern sie alle sehr häufig und recht plötzlich ihren Um- 
fang und haben infolgedessen ein äusserst ungleichmässiges Aussehen. 
Diese Fortsätze sind Dendriten von sympathischen Zellen des IX. Typus. 
In der Mehrzahl der Fälle teilen sie sich bald nach dem Abgang vom 
Körper der Zelle entweder, was öfter der Fall ist, dichotomisch oder 
aber trichotomisch, und die durch eine solche Teilung entstandenen 
Ästehen ziehen weiter in allen möglichen Richtungen. Manche der 
erwähnten Ästchen, die den Charakter typischer, markloser Remakscher 
Nervenfasern annehmen, gelingt es über eine grosse Strecke hin zu 
verfolgen und dann kann man sehen, wie sie sich mitunter während 
ihres Verlaufes reichlich verzweigen und, sich zwischen den Nerven- 
zellen des Ganglions hindurchwindend und nolens volens diese letzteren 
umflechtend, sich zu dem oder jenem Pol des Ganglions begeben, um 
darauf dessen Grenzen zu überschreiten und in einem der von diesem 
Ganglion abgehenden Nervenstämme weit über seinen Bereich zu ziehen, 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 89 


In anderen Fällen jedoch besitzen die Dendriten dieses Typus sym- 
pathischer Zellen keine so beträchtliche Länge. Sie enden mitunter 
mit den ihnen eigenen Endapparaten sogar ganz in der Nähe vom 
Körper der Zelle, die ihnen zum Ursprung diente In solch einem 
Falle beginnt ein solches Fädchen sich wiederholt zu teilen und zer- 
fällt schliesslich in eine kleinere oder grössere Zahl mit Varikositäten 
besetzter Endfädchen. Diese varikösen Fädchen bilden einen typischen 
Endapparat in Form eines nervösen Endbündelchens. Die Zahl der 
beschriebenen Dendriten von sympathischen Zellen des IX. Typus kann 
sehr verschieden sein, wobei sie gewöhnlich 3—4—8 beträgt, mitunter 
aber auch viel mehr (bis 14). 

Was jetzt den Nervenfortsatz anbetrifft, so geht er gewöhnlich 
unmittelbar vom Körper der Zelle dieses Typus ab, und ich hatte 
bloss einmal Gelegenheit, zu beobachten, dass der Nervenfortsatz von 
Zellen des IX. Typus sich erst von einem der Dendriten abzweigte, 
wie ich das oft bei sympathischen Zellen eines anderen Typus gesehen 
habe. Mitunter ist dieser Nervenfortsatz bei seinem Beginn mit einer 
kegelförmigen Verdickung versehen, welche mit ihrer Basis mit dem 
Körper der Zelle verschmilzt, mit ihrer Spitze jedoch unmittelbar in 
den Fortsatz übergeht. Dieser letztere behält von seinem Beginn an 
und während des ganzen Verlaufes, während dessen man ihn verfolgen 
kann, den Charakter eines feinen, glatten und sich nicht teilenden 
Fadens bei, wobei es mir einmal gelang, an einem Präparate des Gan- 
glion hypogastricum vom Hunde den Übergang dieses Fadens in den 
Achsenzylinder einer markhaltigen Nervenfaser zu sehen. Jedoch, 
wenn der Nervenfortsatz sympathischer Zellen des IX. Typus sich 
während seines Verlaufes nicht teilt, so liegt darin noch nichts eben 
für diesen Zelltypus Charakteristisches und Typisches, sogar im Gegen- 
teil, diese Eigentümlichkeit erweist sich als den Nervenfortsätzen 
überhaupt aller sympathischen Zellen eigen. Als für ihn charak- 
teristisch und spezifisch erweist sich jedoch die Besonderheit, dass 
sich stellenweise von ihm Kollateralen 1—2—3—4 an der Zahl in 
Form feinster Nervenfädchen abzweigen. Manche dieser Kollateralen 
teilen sich dichotomisch (s. Fig. 25) und nachdem sie eine grössere 
oder kleinere Strecke zurückgelegt haben, enden sie alle mit End- 


90 Sergius Michailow, 


scheiben oder Endplatten. Diese Endapparate lagern sich teils im 
bindegewebigen Stroma des Ganglions in den Zwischenräumen zwischen 
benachbarten Nervenzellen, teils liegen sie an der Kapselaussenfläche 
einer anderen Nervenzelle, die entweder zu demselben Ganglion, wie 
auch die betreffende Zelle des IX. Typus (s. Fig. 25), oder aber zu 
einem naheliegenden Ganglion gehört. 

Durch diese letztere charakteristische Eigentümlichkeit, d. h. 
dadurch, dass sich vom Nervenfortsatz mit Endscheiben und End- 
platten endende Kollateralen abzweigen, nähert sich der IX. Typus 
der sympathischen Zellen, ebenso wie auch der vorhergehende achte, 
manchen von denjenigen Nervenzellen der spinalen Ganglien, deren 
Nervenfortsätze ebenfalls oft feinste kollaterale, mit den gleichen End- 
apparaten endende Ästchen abgeben. Allein zwischen genannten Zellen 
zweier verschiedener Abschnitte des Nervensystems ist der gewaltige 
und wesentliche Unterschied, dass während für die Spinalganglienzellen 
der beschriebene Nervenfortsatz überhaupt ihr einziger Fortsatz ist, 
die sympathischen Zellen des IX. Typus stets noch mehrere andere 
Fortsátze — Dendriten besitzen. Es scheint mir, dass das Gemeinsame, 
das die erwähnten Zellen zweier verschiedener Abschnitte des Nerven- 
systems haben, durch ihren gemeinsamen Ursprung bedingt ist, d. h. 
schliesslich sich auf die embryonalen Entwicklungsbedingungen dieser 
Abschnitte des Nervensystems zurückführen lässt. Dasjenige jedoch, 
was ihnen einen ganz verschiedenen Charakter verleiht, ist durch die 
verschiedenen lokalen Verhältnisse bedingt, unter denen sich diese 
ursprünglich gleichartigen Nervenelemente weiterentwickeln mussten, 
und ausserdem hängt das noch wahrscheinlich von der unendlichen 
Menge uns völlig unbekannter Ursachen ab, deren gemeinschaftliche 
Wirkung die Erwerbung durch dieses oder jenes Gewebselement 
seine spezifische Funktion zum Resultat hat. 


* * 
* 


Bevor ich die Beschreibung der zelligen Elemente der zentralen sym- 
pathischen Ganglien von den mit Methylenblau nach meiner Methode 
behandelten Präparaten abschliesse, möchte ich zweier Erscheinungen 
Erwähnung tun, denen ich bei der Untersuchung dieser Präparate be- 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 91 


gegnet bin und die die zelligen Elemente dieser Ganglien unabhängig 
davon, zu welchem der eben beschriebenen Grundtypen sie gehören, 
betreffen. Diese beiden Erscheinungen habe ich schon früher für 
die peripheren sympathischen Ganglien und besonders die Ganglien 
des Herzens beschrieben [56], jetzt werden sie zum erstenmal auch 
für die zentralen sympathischen Ganglien beschrieben werden. 

Die erste dieser Erscheinungen besteht darin, dass in den zen- 
tralen sympathischen Ganglien verschiedener Säugetiere (Ratte, Kanin- 
chen, Katze, Hund, Pferd) mitunter Zellen vorkommen, die mit zwei 
Kernen ausgestattet sind, wobei der Körper solcher Zellen gewöhnlich 
von rundlicher Form ist. Ausserdem kommen aber immerhin noch Bilder 
vor, die nur so gedeutet werden können, dass sie Erscheinungen einer ana- 
stomotischen Verbindung von zwei oder sogar drei Nervenzellen unter- 
einander darstellen. Dieser letztere merkwürdige Fall, der jetzt zum 
erstenmal von mir für das sympathische Nervensystem nachgewiesen 
wird, ist mit photographischer Treue auf Fig. 20 dargestellt. 
Man sieht hier deutlich, dass drei Nervenzellen, von denen jede je 
einen charakteristischen und typischen Kern besitzt, mittels zweier 
umfangreicher Anastomosen zu einem Ganzen, einem Nervenzellen- 
komplex verbunden erscheinen. Zu derselben Gruppe von Erschei- 
nungen gehört auch ein anderes interessantes Präparat (s. Fig. 16). An 
ihm ist eine Zelle vom III. Typus zu sehen, deren Dendriten folglich 
mit den typischen und für diesen Typus speziellen Endapparaten enden. 
Von derselben geht ausser den erwähnten Dendriten noch ein Nerven- 
fortsatz und ein recht sonderbarer Anhang ab. Dieser letztere besteht 
aus einer gewissen Menge Protoplasma, in dem ein Kern liegt; ein 
anderer Kern findet sich im Körper der zu beschreibenden Zelle. 
Dieser Anhang ist mit dem Körper der Zelle mittels eines verjüngten, 
halsförmigen Abschnittes verbunden. Das ganze Bild drängt zum 
Vergleiche mit demjenigen Stadium im Knospungsprozesse zelliger 
Elemente, in welchem die sich abschnürende, schon einen Kern ent- 
haltende und etwas kleinere Dimensionen — als die Mutterzelle — be- 
sitzende Knospe mit dieser noch durch eine Protoplasmabrücke oder 
Landenge in Verbindung steht. Ich selbst bin nicht geneigt zu meinen, 
dass im Nervengewebe in der Tat solche Prozesse vor sich gingen 


92 Sergius Michailow, 


und habe diesen Vergleich nur zum Zwecke einer kürzeren Beschrei- 
bung des mikroskopischen Bildes angeführt. 

Die zweite der erwähnten Erscheinungen besteht darin, dass es mir 
gelungen ist, in den zentralen sympathischen Ganglien das Vorkommen 
von Nervenzellen nachzuweisen, die denjenigen gleichen, welche zuerst 
von Hans Daae [61] in den spinalen Ganglien der Säugetiere beschrieben 
worden sind und welche die nachfolgenden Autoren ebenfalls mehrfach 
in den erwáhnten Ganglien der hinteren Rückenmarkswurzeln antrafen 
(Ramon y Cajal [50], Lenhossék |52], Levi [62], A. Dogiel [63] u. a.) 
und die sie gefensterte Zellen nannten. In den peripheren sympathi- 
schen Ganglien habe ich ebenfalls schon diese Zellen beschrieben [56]. 
Diese Zellen werden deshalb gefensterte genannt, weil man an der 
Peripherie ihres Körpers Fenster oder Löcher sehen kann (s. Fig. 3 
und 24). Diese Fenster sind von einer Seite vom Kórper der Zelle, 
von den drei anderen Seiten von besonderen protoplasmatischen 
Schlingen begrenzt. Die letzteren stellen ein mehr oder weniger 
feines Nervenästchen dar, welches gleich den Fortsätzen von dieser 
oder jener Stelle des Kórpers abgeht, dann aber nicht mehr den, den 
Fortsätzen eigenen Charakter trägt: sie zieht nicht weiter in irgend- 
einer Richtung innerhalb des Ganglions, sondern vereinigt sich und 
verschmilzt aufs neue mit dem Kórper ihrer Ursprungszelle, infolge- 
dessen eben eine Schlinge zustande kommt (s. Fig. 24). Manchmal teilt 
sich und biegt sich ein solches Ästchen, bevor es mit dem Körper der 
Ursprungszelle verschmilzt, auf verschiedene Art — in solchen Fällen 
entsteht ein komplizierteres Bild. Noch komplizierter ist das Bild dann, 
wenn die Schlingen in grosser Zahl fast an der ganzen Peripherie 
der Zelle liegen (s. Fig. 3), wobei sie mitunter in mehreren Reihen 
angeordnet sind, weil die durch Teilung der Nervenfäden, welche die 
dem Körper der Zelle naheliegende Reihe bilden, entstandenen Ästchen 
ihrerseits wiederum zurückkehren und mit diesen Fäden verschmelzen, 
infulgedessen neue Schlingen und auch neue Fenster entstehen (s. Fig. 3). 

Die oben genannten Autoren beschrieben solche gefensterte Zellen 
als einen besonderen Typus für die spinalen Ganglien. In meiner 
Klassifikation der sympathischen Zellen, welche auf den Eigentümlich- 
keiten der Endapparate ihrer Fortsätze begründet ist, können solche 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 93 


Zellen natürlich keinen selbständigen Platz und die Bedeutung eines 
Typus haben. Diese letztere Bemerkung lat sich auch in der Tat be- 
stätigt, da es sich herausstellte, dass die Zellen verschiedener der oben 
beschriebenen neun Typen gefenstert sein können. Am meisten sind 
sympathische Zellen des II. und V. Typus mit Fenstern versehen 
(s. Fig. 24). Bei der Beschreibung der nach Ramon y Cajal und 
Rachmanow behandelten Präparate der zentralen sympathischen Gan- 
glien werden wir Gelegenheit haben, noch einmal zu diesem Gegenstand 
zurückzukehren. 


Die Endigungen von Fasern innerhalb des Ganglions, die von 
aussen in dasselbe eintreten. 


Wie diejenigen Ganglien, die isoliert entlang dem Verlauf der 
sympathischen Nerven liegen (wie z. B. die Ganglien des Grenz- 
stranges), so auch diejenigen, die in den komplizierten und unendlich 
verwickelten Verflechtungen der sympathischen Nerven gelagert sind 
(wie z. B. die zahlreichen Ganglien des Plexus solaris und Plexus 
renalis), stehen in unmittelbarer Verbindung mit einer äusserst grossen 
Zahl von Nervenfasern. Diese letzteren gehören zwei Kategorien an: 
die einen treten aus dem betreffenden Ganglion heraus, während die 
anderen von aussen in dasselbe eintreten. Die Fasern der ersten Art 
sind Fortsätze derjenigen sympathischen Nervenzellen, die das be- 
treffende Ganglion zusammensetzen (deren Dendriten und Nervenfort- 
sätze); die Fasern der zweiten Art sind erstens Fortsätze sympathi- 
scher Nervenzellen, die in anderen Ganglien liegen, zweitens sind es 
Fasern, deren trophische Zentren (d. h. die Körper derjenigen Nerven- 
zellen, deren Fortsätze sie sind) sich in anderen Abschnitten des 
Nervensystems (in den spinalen Ganglien, im Rücken- und vielleicht 
verlängerten Mark) befinden. 

Die Fasern der ersten Art und ihre Endigungen sind schon oben 
bei der Auseinandersetzung des Baues der einzelnen Grundtypen sym- 
pathischer Zellen beschrieben worden. 

Die Fasern der zweiten Art sind zum Teil auch schon en passant 
oben berücksichtigt worden, jetzt werden aber ihre Endigungen speziell 
beschrieben werden. Hier, gleich im Beginn, muss darauf hingewiesen 


94 Sergius Michailow, 


werden, dass es noch niemandem, mich eingeschlossen, je gelungen ist, 
festzustellen, welchen Ursprunges die Nervenfasern sind, die mit den 
einzelnen der gleich zu beschreibenden Endapparate enden, so dass 
diese Endapparate bloss als Endigungen überhaupt der in das Gan- 
glion eintretenden Nervenfasern betrachtet werden können, ohne Be- 
ziehung darauf, von welchen Nervenzentren diese Fasern abstammen. 

Die von mir jetzt zuerst in den sympathischen Ganglien ge- 
fundenen, sensiblen nervösen Apparate!) beiseite lassend, kann man 
sagen, dass die in diese Ganglien eintretenden Nervenfasern mit dreierlei 
Endapparaten enden. 

Alle drei erwähnten Apparate haben die Form komplizierter 
Endnetzchen oder Verflechtungen, wobei diese Netzchen von sphärischer 
Form sind, da diese ihre Form der Form der Nervenzellen, an deren 
Oberfläche sich diese Endapparate lagern, angepasst erscheint. Diese 
Endapparate sind: 1. die interkapsulären Netze oder Geflechte, 2. die 
perikapsulären Netzchen oder Geflechte und endlich 3. die perizellu- 
lären Netzchen oder Geflechte. 

ad 1. Die interkapsulären Geflechte (s. Fig. 19) stellen einen 
Endapparat dar, der zu dem sympathischen Ganglion als einem Ganzen, 
und nicht zu den einzelnen dieses Ganglion zusammensetzenden Zellen 
in Beziehung steht. Die interkapsuläre Verflechtung ist, wie der 
Name selbst besagt, in den Zwischenräumen zwischen den Kapseln 
der benachbarten Zellen gelagert und nimmt das ganze Ganglion ein. 
Nach meinen Beobachtungen bilden nur die Endverzweigungen der 
marklosen Nervenfasern diese Geflechte. Wie auch diese letzteren, 
erscheinen die dieses interkapsuläre Flechtwerk zusammensetzenden 
Fäden und Ästchen varikös (s. Fig. 19) und oft reichlich verzweigt 
während ihres Verlaufes innerhalb des Ganglions. Einzelne von ihnen 
verbinden sich miteinander und alle sie durchkreuzen, durchflechten 
und durchwühlen sich unendlich viele Mal. Als Resultat eben dieser 
allgemeinen Umwandlungen entsteht ein komplizierter, im binde- 
gewebigen Stroma des Ganglions liegender Endapparat, der in dem 


1) Siehe meine Arbeit: Sergius Michailow, „Über die sensiblen Nerven- 
apparate der zentralen sympathischen Ganglien der Säugetiere“, Journal für Psy- 
chologie und Neurologie, Bd. XVI, 1910. 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 05 


sanzen Bereiche des Ganglions freie kugelförmige Räume zurücklässt, 
in denen wie in Waben die Nervenzellen liegen. 

In den letzten Jahren hatte ich schon mehr als einmal Gelegen- 
heit, in den inneren Organen besondere nervóse Endnetze zu be- 
schreiben [56]. Diese Netze wurden gewöhnlich durch die Verzwei- 
sungen der Achsenzylinder feiner markhaltiger Fasern gebildet. In 
den erwähnten Fällen wies ich ebenfalls auf das grosse allgemein 
wissenschaftliche Interesse hin, welches diese Netze darbieten, da es 
sehr möglich ist, dass sie der Verbindungs- und Vereinigungsort von 
Fasern sind, die zu verschiedenen Neuronen gehören, d. h. der Ver- 
bindungsort dieser Neuronen sind. 

Bei den interkapsulären Geflechten begegnen wir aufs neue ana- 
logen Gebilden. Das interkapsuläre Flechtwerk stellt, wie gesagt, 
ein Ganzes, einen sich über das ganze Ganglion verbreitenden nervösen 
Apparat dar. Dieses Flechtwerk, diese Verflechtung steht jedoch in 
unmittelbarer Verbindung mit einer sehr grossen Anzahl markloser 
Nervenfasern, die in das Ganglion aus jenen zahlreichen Nervenstämm- 
chen treten, die zu ihm von allen Seiten hinziehen. Mittels dieses 
interkapsulären Flechtwerkes also verbinden sich alle oder jeden- 
falls viele der genannten Fasern untereinander. Dabei sind bloss 
zwei Fälle möglich: a) die interkapsulären Geflechte sind stets nur 
durch die Verzweigungen einer und derselben Zelle gebildet und 
b) sie werden durch die Endverzweigungen verschiedener Zellen ge- 
gebildet. Den ersten Fall halte ich für wenig wahrscheinlich, da 
die Fasern, die sich an der Bildung des interkapsulären Flecht- 
werkes beteiligen, in das Ganglion in einer verschiedenen Zahl 
von Exemplaren und von den verschiedensten Seiten eintreten; der 
zweite Fall scheint mir wahrscheinlicher; mittels dieser interkapsu- 
lären Verflechtungen aber stehen einzelne Neurone miteinander in 
Verbindung. 

Indem ich die Beschreibung der interkapsulären Geflechte ab- 
schliesse, möchte ich darauf hinweisen, dass man sie auf keine Weise 
mit dem ebenfalls im bindegewebigen Stroma des Ganglions zwischen 
den Kapseln seiner Zellen gelegenen Flechtwerke indentifizieren darf, 
welches nolens volens durch die zum Ganglion gehörenden Nerven- 


96 Sergius Michailow, 


fasern (hauptsächlich Fortsätze der Nervenzellen des Ganglions) gebildet 
wird und im Gegensatze zum interkapsulären Flechtwerke absolut 
nicht die Bedeutung irgendeines speziellen nervösen Gebildes hat. 
Unter diesen zu den zentralen sympathischen Ganglien gehörenden 
Fasern sind sowohl marklose als auch markhaltige anzutreffen, wobei 
diese letzteren hier durch zwei Arten repräsentiert sind: es gibt hier 
sowohl dicke als auch dünne markhaltige Nervenfasern. Ich hatte 
Gelegenheit zu sehen, wie sich von den dicken markhaltigen Fasern 
(s. Fig. 10) an den Stellen der Ranvierschen Einschnürungen feine 
Kollateralen abzweigten, die sich leider nicht bis zu ihren Endigungen 
verfolgen liessen. | 

Immerhin ist diese Tatsache bemerkenswert, und zwar in folgen- 
der Beziehung: in meiner Arbeit über die Leitungsbahnen des sym- 
pathischen Nervensystems (Archiv für die gesamte Physiologie, Bd. 128) 
habe ich eine besondere Gruppe sympathischer Leitungsbahnen be- 
schrieben, die ich „rückläufige sympathische Bahnen oder Rekurrenz- 
bahnen“ nannte. Die Fasern dieser Bahnen stammen von Zellen des 
Rückenmarkes ab, welches sie mit den Wurzeln des VII. Zervikal- 
und des I. und IL Thorakalnerven verlassen (für das Gebiet des 
Ganglion stellatum). Ferner ziehen diese Fasern durch die Rami 
communicantes ins Ganglion stellatum, durchlaufen dasselbe und kehren 
wieder ins Rückenmark durch die Wurzeln des I. Brust- und VIII. 
und VII. Halsnerven zurück. Auf den ersten Blick erscheint die 
Existenz solcher rückläufiger Leitungsbahnen sonderbar, da es unver- 
ständlich ist, wozu eigentlich diese Bahnen ins Gebiet des sympathi- 
schen Nervensystems eintreten? — Wir haben schon gesehen, dass 
im Gebiet der sympatischen Ganglien diese markhaltigen Nerven- 
fasern, welche nach Sala [5S] ins sympathische Nervensystem aus 
dem Rückenmarke eintreten, zahlreiche Kollateralen abgeben. Ferner 
sah Sala, dass die Verzweigungen eben dieser Kollateralen das 
Nervengeflecht bilden, das zwischen den Ganglienzellen gelegen ist. 
Ich konnte diese letztere Behauptung Salas nicht bestätigen, glaube aber, 
dass möglicherweise diejenigen marklosen Nervenfasern, die auf meinen 
Präparaten das beschriebene interkapsuläre Geflecht bilden, nichts 
anderes sind als die gleichen Kollateralen, die sich aber schon wäh- 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 97 


rend des Verlaufes der dicken marklosen Fasern in den Nerven- 
stàmmen, noch vor Erreichung des Ganglions abgezweigt haben. Alle 
diese gesonderten Tatsachen gruppieren sich zu einer harmonischen 
Kombination, wenn man annimmt, das mit Hilfe dieser interkapsu- 
lären Geflechte der sympathischen Ganglien die verschiedenen Rücken- 
marksneurone, deren Ausläufer diese rückläufigen Bahnen bilden, unter- 
einander in Verbindung stehen. 

ad 2. Die perikapsulären Netzchen stellen speziell für einzelne 
Nervenzellen der sympathischen Ganglien bestimmte Endapparate dar 
(s. Fig. 6). Diese Apparate werden durch die Endverzweigungen der 
Achsenzylinder markhaltiger Nervenfasern gebildet. Solche Endver- 
zweigungen haben das Aussehen feiner, variköser Nervenfädchen 
(s. Fig. 6 und 15), die die Kapseln der einzelnen sympathischen 
Nervenzellen umspinnen und, sich viele Mal wiederholt teilend und 
miteinander vereinigend, an ihrer Aussenfläche ein zartes Netzchen 
bilden. Einzelne Ästchen des sich teilenden Achsenzylinders einer 
markhaltigen Faser können an vielen Zellen des Ganglion mit den 
beschriebenen perikapsulären Netzchen enden und umgekehrt, ein 
solcher Endapparat wird mitunter durch die Endverzweigungen der 
Achsenzylinder mehrerer markhaltiger Nervenfasern gebildet (s. Fig. 6). 
Ich hatte auch mitunter Gelegenheit, zu sehen (s. Fig. 6), dass einzelne 
perikapsuläre Netzchen untereinander mittels feinster Nervenfäserchen 
verbunden erscheinen. 

ad 3. Die perizellulären Netzchen trifft man in den sympathischen 
Ganglien nur sehr selten an. Diese Endapparate unterscheiden sich 
von dem vorhergehenden Typus hauptsächlich durch die Lage unter- 
halb der Kapsel, zwischen dieser und dem Körper der Zelle, d. h. in 
den perizellulären Räumen, in denen auch die Begleitzellen liegen, 
die ich oben, als vom Bau des Stroma sympathischer Ganglien die 
Rede war, beschrieben habe. Ihrer Form nach unterscheiden sich 
diese Endapparate in nichts von den perikapsulären Netzchen, und 
was die Grösse und das allgemeine Aussehen anbetrifft, so ist der 
Unterschied, wenn er überhaupt existiert, erstens kein absoluter und 
kein beständiger, und zweitens im grossen und ganzen überhaupt un- 


bedeutend. Da die perizellulären Netzchen unterhalb der Kapsel 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 7 


98 Sergius Michailow, 


liegen, so sind sie im allgemeinen von geringeren Dimensionen als 
die perikapsulären Netzchen; allein wenn die letzteren die Kapseln 
kleiner sympathischer Nervenzellen umgeben, die perizellulären Netz- 
chen aber sich um grosse Zellen lagern, dann können selbstverständ- 
lich die Endapparate des ersten der eben erwähnten Typen kleiner 
sein als die Endapparate des zweiten Typus. Ebenso unbeständig 
sind auch die Unterschiede im allgemeinen Aussehen. Gewöhnlich 
sind die Fäserchen, welche die perizellulären Netzchen bilden, dichter, 
mit Varikositäten, und diese letzteren sind dabei von beträchtlicherer 
Grösse, als das bei den perizellulären Netzchen der Fall ist. Mit- 
unter kann man aber auch gerade umgekehrte Verhältnisse antreffen, 
und folglich gibt es in dieser Hinsicht zwischen den beiden erwähnten 
Typen von Endapparaten in sympathischen Ganglienzellen keinen 
scharfen Unterschied. 


2. 

Die Resultate, die bei Behandlung der Präparate von zentralen 
sympathischen Ganglien nach den Methoden von Ramén y Cajal und 
Rachmanow erhalten wurden, können weder ihrer Qualität noch 
Quantität nach auch nur irgendwie mit denjenigen Resultaten ver- 
glichen werden, die bei Bearbeitung dieser Präparate mit Methylen- 
blau nach meiner Methode gezeitigt wurden. Infolgedessen wird dieses 
Kapitel der vorliegenden Arbeit bedeutend kürzer als das vorher- 
gehende sein. 

Nach den Methoden von Ramon y Cajal und Rachmanow erhält 
man hauptsächlich solche "Tatsachen, die hauptsächlich den Bau bloss 
des Körpers der Nervenzelle und ihrer kürzesten Fortsätze (Dendriten 
der ersten Art von sympathischen Zellen des II. und V. Typus) betreffen. 
Was aber alle Fortsätze überhaupt anbetrifft, so ist ganz unmöglich, 
sie auf mehr oder weniger bedeutender Strecke zu verfolgen, da sie 
stets hart am Zellkörper unterbrochen sind. An nach den oben ge- 
nannten Methoden behandelten Präparaten gelang es mir, mitunter 
zweikernige Zellen, hauptsächlich in den sympathischen Ganglien des 
Kaninchens, anzutreffen (s. Fig. 30). Ausserdem kann man an nach 
Ramon y Cajal behandelten Präparaten oft gefensterte Zellen sehen 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 99 


(s. Fig. 32 und 33), wobei es sich herausstellt, dass die Schlingen, 
die die Fenster bilden, manchmal nur mit ihrem einen Ende mit dem 
Körper der Zelle verbunden sind, während ihr anderes Ende mit diesem 
oder jenem Fortsatz zusammenfliesst. 

Es gelingt nicht, die einzelnen Typen der sympathischen Zellen 
an diesen Präparaten zu beobachten, da man an ihnen, worauf schon 
hingewiesen, die ‚Zellfortsätze nicht bis zu ihrem Ende verfolgen 
kann. 

Ich kann nur angeben, dass es mir sowohl nach Ramon y Cajal 
(s. Fig. 34) als nach Rachmanow (s. Fig. 29) gelang, mit Silber sym- 
pathische Zellen zu imprágnieren, die Dendriten der ersten Art von 
den oben beschriebenen Zellen des II. und V. Typus besassen. Es ist 
interessant, dass man gelegentlich auch in diesem Falle (s. Fig. 29) 
in den keulenfórmigen Endigungen dieser Dendriten das für sie so 
charakteristische Pigment sehen konnte, welches hier durch Silber 
schwarzgefürbt erschien. 

An ebenfalls nach der Methode von Ramon y Cajal behandelten 
Präparaten traf ich mitunter auch jene Endscheiben an, mit denen, 
wie oben bewiesen; die Dendriten der sympathischen Zellen vom 
III. Typus enden. An diesen Präparaten gelang es auch mir ebenso 
wie Ramon y Cajal [50] und Marinesco [53] nie festzustellen, welchen 
Ursprungs die mit diesen Endscheibchen endenden Fasern sind (s. Fig. 31), 
allein jetzt wissen wir das schon auf Grund der nach meiner Methode 
mit Methylenblau gefärbten Präparate. 

Die perizellulären Geflechte imprägnieren sich mit Silber nach 
Ramon y Cajal und Rachmanow, wobei sie schwarzgefärbt erscheinen 
(s. Fig. 34 und 35). Nach der Methode von Rachmanow gelang es 
mir nie, eine mehr oder weniger vollständige Imprägnation der ge- 
nannten Endapparate zu beobachten; die Methode von Ramon y Cajal 
liefert in dieser wie auch in anderen Beziehungen zweifellos viel 
bessere Resultate. 

Beide eben erwähnten Methoden geben die Möglichkeit, im Gegen- 
satz zur Methylenblaufärbung der nervösen Apparate, den feinsten 
Bau der sympathischen Nervenzelle, d. h. ihren neurofibrillären Apparat 


zu studieren. In dieser Beziehung ergänzen die nach diesen Methoden 
7* 


100 Sergius Michailow, 


bearbeiteten Präparate die mit Hilfe der Methylenblaufärbung er- 
haltenen Resultate. 

Schon Schwalbe [32], der die sympathischen Ganglien verschiedener 
Säugetiere mit Karmin färbte und sie mit Osmiumsäure, Essigsäure 
und anderen alten Methoden behandelte, konnte den fibrillären Bau 
der sympathischen Zellen am Abgangsorte ihres Nervenfortsatzes und 
um den Kern herum sehen. 

In den letzten Jahren, als neue Methoden der elektiven Färbung 
und Differenzierung des neurofibrillären Apparates gefunden wurden, 
blieb die entsprechende Frage auch hinsichtlich des sympathischen 
Nervensystems nicht ohne Untersuchungen. 

Es ist natürlich möglich, dass viele Forscher die sympathischen 
Ganglien auch nach anderen Fibrillenmethoden behandelt haben, in 
der Literatur finden sich aber, soweit mir bekannt, Arbeiten, die eben 
nur nach der Ramon y Cajalschen Methode ausgeführt worden sind. 
Es finden sich in der Literatur bloss zwei kleinere Abhandlungen von 
Laignel-Lavastine [64], die speziell der Frage über die Neurofibrillen 
der sympathischen Ganglienzellen des Menschen und anderer Säuge- 
tiere gewidmet sind. Ausser diesen zwei Abhandlungen finden sich 
über die gleiche Frage noch einige Zeilen in der grossen Arbeit 
Ramon y Cajals [50] und auch in der Abhandlung Azoulays [65], in 
welcher (in Form eines Referates) die Frage über die Neurofibrillen 
nach der Methode und den Arbeiten von Ramon y Cajal behandelt wird. 

Durch diese kurze Aufzählung erschöpft sich die Literatur über 
diese Frage. In seiner Arbeit über den feineren Bau der Herzganglien 
des Menschen und der Säugetiere erwähnt freilich Dogiel [65] unter 
anderem mit einigen Worten auch die Fibrillen derjenigen sympathischen 
Zellen, die diese intrakardialen Ganglien zusammensetzen, allein seine 
Angaben sind nur allgemein und ausserdem arbeitete er auch nach 
einer Methode, die keineswegs als Fibrillenmethode betrachtet werden 
kann. A. Dogiel bearbeitete die Herzen von Mensch, Hund, Katze 
und anderen Säugetieren nach der Ehrlichschen Methode (Färbung 
der Nervenelemente mit Methylenblau) und es gelang ihm, Zellen zu 
erhalten, deren Körper nach seinen Worten einen deutlich ausgespro- 
chenen fibrillären Bau aufwies. Die Fibrillen verliefen in alle mög- 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 101 


lichen Richtungen, wobei man zwischen ihnen die Anwesenheit von 
Nissl-Schollen feststellen konnte. 

A. Dogiel konstatierte folglich nur die Anwesenheit von Fibrillen 
in den Nervenzellen der peripheren sympathischen Ganglien und be- 
rührte gar nicht weder a) die Frage über die Wechselbeziehungen 
der Neurofibrillen zueinander, noch b) die Lagerung des so oder so 
gebauten Neurofibrillenapparates zu den verschiedenen Teilen der 
Nervenzelle Was jetzt die anderen der oben genannten Arbeiten an- 
betrifft, so finden wir in ihnen eine, wenn freilich auch schematische 
und deshalb nicht ganz der Wirklichkeit entsprechende, so jedenfalls 
doch direkte Beantwortung einiger eben von uns aufgeworfenen 
Fragen. 

Im der schon oben erwähnten Arbeit sagt Ramén y Cajal nichts 
darüber aus, ob die Neurofibrillen sich teilen und untereinander ver- 
binden (er untersuchte die sympathischen Ganglien von Hund und 
Katze mit Hilfe seiner Silberimprägnationsmethode), er spricht jedoch 
von Netzen, welche diese Fibrillen bilden. Hieraus folgt natürlich 
klar, dass er sowohl Teilung dieser Neurofibrillen, als auch Anasto- 
mosen zwischen ihnen anerkennt. 

Azoulay wiederholt bloss kurz diese Angaben Ramon y Cajals. 

Was die Angaben ZLaignel-Lavastines betrifft, so gehen sie auf 
folgendes hinaus: durchziehende, isolierte Fibrillen gibt es nicht in 
den sympathischen Ganglienzellen; die Neurofibrillen bilden stets Netze, 
folglich teilen sie sich und anastomosieren miteinander, wie auch 
Ramon y Cajal das annimmt. Wir sehen also, dass betreffend der 
Frage über die Wechselbeziehungen der Neurofibrillen sympathischer 
Ganglienzellen untereinander die Autoren die Existenz von Netzen in 
den Nervenzellen annehmen, die durch sich teilende und miteinander 
anastomosierende Fibrillen gebildet werden und vollständig das Vor- 
handensein von isolierten durchziehenden Neurofibrillen negieren. 

Etwas weiter werden wir sehen, inwieweit diese Ansicht im ge- 
gebenen Falle richtig ist und folglich den tatsächlich an Präparaten 
zu beobachtenden Bildern entspricht. 

Was jetzt die Frage über die Verteilung des auf diese oder jene 
Art gebauten neurofibrillären Apparates hinsichtlich der verschiedenen 


102 Sergius Michailow, 


Teile der sympathischen Nervenzellen anbetrifft, so finden sich auch 
hierüber einige Angaben in den oben zitierten Arbeiten von Ramon 
y Cajal, Azoulay und Laignel-Lavastine. Die Mehrzahl der sym- 
pathischen Zellen besitzt nach Ramon y Cajal zwei Netze; ein dich- 
teres mit zusammengedrückten Maschen um den Kern herum und ein 
anderes mehr lockeres mit etwas langgestreckten Maschen im peri- 
pheren Teil der Zelle. Mehr finden wir nicht in der Arbeit Ramon 
y Cajals und müssen folglich zusammen mit Azoulay [23] anerkennen, 
dass er die sympathischen Zellen bloss dem ven ihm für andere Ab- 
schnitte des Nervensystems geschaffenen netzartigen Typus zurechnet. 

Auch Laignel-Lavastine bestätigt in zweien seiner Abhandlungen 
diese Angaben Ramon y Cajals, ergänzt sie aber ausserdem noch durch 
einige Details: dieser Autor untersuchte die Ganglien des Plexus solaris 
vom Menschen, Meerschweinchen, Kaninchen und Hund mit Hilfe der 
Ramon y Cajalschen Methode und auch die Ganglien des Plexus 
mesentericus und Plexus Auerbachii. Nach diesem Autor bildet eben- 
falls das Neurofibrillennetz zwei Verdichtungszonen: eine kortikale 
und eine andere, perinucleàre. Die zweite besitzt viel gedrängtere 
Maschen als die erste. Beide stehen sie miteinander durch etwas 
verlängerte und langgestreckte Maschen in Verbindung. Solche Ganglien- 
zellen gehören dem netzartigen Typus an. Allein Lagnel-Lavastine 
führte hier eine Einteilung solcher sympathischer Zellen vom netz- 
artigen Typus in zwei, seiner Ansicht nach selbständige Typen ein: 
1. grosse netzartige Zellen und 2. kleine netzartige Zellen. Mitunter 
konnte aber dieser Autor beobachten, dass in manchen sympathischen 
Ganglienzellen die Maschen des neurofibrillären Netzes bloss in einer 
Richtung stark ausgestreckt erscheinen und in solchen Fällen verleihen sie 
diesen Zellen einen bündelartigen Typus (3. Les cellules d’aspect fasciculé). 

Wie wir weiter unten sehen werden, stellen sowohl die Angaben 
von Ramon y Cajal, als auch die Laignel-Lavastines nur einen teil- 
weisen Ausdruck des wirklichen Tatbestandes in der Frage über die 
Neurofibrillen der sympathischen Ganglienzellen dar. Jetzt möchte ich 
bloss bemerken, dass es vollständig unverständlich ist, zu welchem 
Zwecke der zweite der genannten Autoren den einen netzartigen Typus 
der Nervenzellen in zwei selbständige einteilt, unverständlich deshalb, 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 103 


weil es ja allbekannt ist, wie sehr die Dimensionen der Nervenzellen 
variieren können und wie schwer es ist, eine auch nur einigermassen 
bestimmte Grenze zwischen den grossen und kleinen sympathischen 
Ganglienzellen zu ziehen! Wenn Lazgnel-Lavastine der erste gewesen 
wäre, der auf das Vorkommen von Riesenzellen in den sympathischen 
Ganglien hingewiesen hat, dann wäre natürlich auch ihre Absonderung 
in einen besonderen Typus noch von gewisser Bedeutung; das ist je- 
doch nicht der Fall, da schon die ersten Forscher, die den Bau der 
sympathischen Ganglien studierten, auf ihre Existenz hinwiesen, was 
später auch andere Forscher und vor nicht so langer Zeit z. B. Juscht- 
schenko [54] bestätigten. Diese Tatsache ist folglich nicht neu. Ausser- 
dem, wenn das auch eine erst von ihm nachgewiesene Tatsache wäre, 
so würde sie zur Schaffung eines besonderen Zelltypus nur in einer 
Klassifikation genügen, die auf den Körperdimensionen der gegebenen 
Zellen begründet ist, und auf keine Weise im gegebenen Falle, wo 
sich die Klassifikation auf den Bau oder richtiger die Lagebeziehungen 
des neurofibrillären Apparates im Körper der Zelle gründet. 

Schon vor langer Zeit hatte ich mir vorgenommen, die Verände- 
rungen zu untersuchen, die man an den Neurofibrillen der sympathischen 
Ganglienzellen von Säugetieren unter den verschiedenen Bedingungen 
solcher Experimente, die zum Studium der Veränderungen der Neuro- 
fibrillen in Zellen des zentralen Nervensystems angewandt werden, be- 
obachten könnte. Allein ich hielt es für notwendig, früher als an 
solche Untersuchungen heranzutreten, möglichst genau und exakt den nor- 
malen Zustand der Neurofibrillen in diesen Zellen zu studieren. Das war 
sowohl dazu, um eine eigene persönliche Erfahrung in dieser Richtung 
auszubilden, als auch deshalb notwendig, dass keiner der oben zitierten 
Arbeiten auch nur eine einzige Abbildung der in ihnen beschriebenen 
Präparate von sympathischen Ganglienzellen beigegeben ist, was ihnen 
einen schon zu allgemeinen und abstrakten Charakter verleiht. Solche 
Arbeiten konnten natürlich nicht als leitende in der betreffenden Frage 
betrachtet werden. 

Zum Zwecke eines genauen Studiums 1. des Baues der Neuro- 
fibrillen sympathischer Ganglienzellen von Säugetieren unter normalen 
Bedingungen und 2. ihre Veränderungen unter verschiedenen experi- 


104 Sergius Michailow, 


mentell erzeugten unnormalen Bedingungen musste zunächst eine der 
gegenwärtigen Fibrillenfärbungsmethoden gewählt werden. Nach langen 
und zahlreichen Versuchen wählte ich die Ramon y Cajalsche Methode 
in derjenigen Modifikation, die im technischen Teil der vorliegenden 
Arbeit angegeben ist. 

Je mehr sich das Tatsachenmaterial für diese Arbeit häufte, je 
genauer und aufmerksamer ich es untersuchte, desto mehr gewann ich 
den Eindruck, dass man an diesen meinen Präparaten der Neurofibrillen 
sympathischer Zellen von Säugetieren unter normalen Bedingungen fast 
alle diejenigen Bilder beobachten kann, die von verschiedenen Forschern 
als pathologische Veränderungen der Neurofibrillen unter dem Einfluss 
dieser oder jener schädlichen Einwirkung auf den Organismus des 
Versuchstieres beschrieben werden. Ich habe sehr sorgfältig und genau 
diese gegenwärtig umfangreiche Literatur studiert, und dieses Studium 
hat mich noch mehr davon überzeugt, dass der eben erwähnte Eindruck 
kein Irrtum und kein Missverständnis ist. 

Ich habe jetzt nicht die Absicht, eine Beschreibung jener überaus 
klaren und deutlichen Bilder vom Bau des neurofibrillären Apparates 
sympathischer Ganglienzellen zu geben, die man an meinen nach der 
Ramon y Cajalschen Methode behandelten Präparaten dieser Ganglien 
sehen kann. Ich habe deshalb nicht die Absicht, hier diese Bilder zu 
beschreiben, weil ich das schon früher in einer besonderen Arbeit, der 
auch eine Anzahl Abbildungen der entsprechenden Präparate beigegeben 
war, getan habe (s. Folia neuro-biologica, Bd. I, Nr. 5, und auch Kor- 
sakows Journal für Neuropathologie und Psychiatrie 1909). Hier will 
ich nur kurz darauf hinweisen, dass es mir gelungen ist, 16 verschiedene 
Bilder vom Bau des neurofibrillären Apparates zu sehen, die sich von- 
einander nur dadurch unterschieden, dass sie von verschieden aus- 
sehenden Neurofibrillen (verdickten, verdünnten, normalen oder varikösen) 
zusammengesetzt waren oder aber der Unterschied bestand nur in dem 
Vorhandensein verschiedener Wechselbeziehungen zwischen den einzelnen 
diese Apparate bildenden Neurofibrillen (in manchen Fällen teilten sich 
diese letzteren und anastomosierten miteinander, in anderen verliefen 
sie isoliert durch den Körper der Zelle usw.). 


= 


. Ausser mit der Ramon y Cajalschen Methode gelang mir die 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 105 


Imprägnation des neurofibrillären Apparates sympathischer Zellen auch 
nach der Methode von Rachmanow, jedoch erwiesen sich hierbei er- 
zielte Resultate als weniger vollkommene im Vergleich zu den mit der 
Methode von Ramon y Cajal erhaltenen. Nach der Methode von 
Rachmanow färben sich sowohl die Neurofibrillen als auch überhaupt 
das ganze Präparat in ein Gelb, das zu stumpf ist, als dass bei ihm 
deutliche und klare Bilder zustande kommen könnten. In der Mehr- 
zahl der Fälle bleiben nach dieser Methode die Fibrillen überhaupt 
ungefärbt, tritt aber ihre Färbung ein, so entstehen gewöhnlich so un- 
klare und undeutliche Bilder, wie deren eins auf Fig. 28 abgebildet 
ist. Es ist ganz unmöglich, an solchen Präparaten die Frage über 
die Wechselbeziehungen der einzelnen Fibrillen zueinander zu entscheiden, 
man kann nur überhaupt ihre Anwesenheit feststellen und sehen, dass 
sie feinste Fädchen darstellen, die filzartig die ganze Zelle ausfüllen. 
Allein in anderen Fällen, wenn auch nicht so oft, kann man auch 
andere Bilder sehen. Es kommen Zellen vor (s. Fig. 27), deren Neuro- 
fibrillen verdickt, mehr oder weniger kompliziert gewunden und gelb- 
braun gefärbt sind. Infolge einer solchen dunkleren Färbung und auch 
infolgedessen, dass -die Zahl solcher verdickter Neurofibrillen im Ver- 
gleich zum vorhergehenden Falle bedeutend geringer ist, erscheinen 
diese Bilder viel klarer und deutlicher. In solchen Fällen kann man 
sehen, dass die Neurofibrillen im Bereich des Zellkörpers sich isoliert 
herumschlängeln und in Form paralleler Bündel in den Fortsätzen 
weiterziehen. Auch schon diese geringen, mit der Rachmanowschen 
Methode erhaltenen Resultate müssen immerhin die Ansicht aufdrängen, 
dass in den sympathischen Ganglien normaler Säugetiere Bilder des 
neurofibrillären Apparates zu finden sind, die zahlreiche andere Forscher 
für die Zellen des zentralen Nervensystems als pathologische beschrieben 
haben (hauptsächlich für Rückenmarkzellen). 


* : * 

Indem ich diesen Abschnitt der Beschreibung des feineren Baues 
des sympathischen Nervensystems abschliesse, méchte ich der Vollstan- 
digkeit halber hier Angaben über jene wenigen Ganglien anführen, 
die zwar in engster Verbindung mit manchen Hirnnerven stehen, ihrem 


106 Sergius Michailow, 


Baue nach aber zweifellos dem sympathischen Nervensystem angehören. 
Solcher Ganglien gibt es vier: 1. Ganglion ciliare, 2. Ganglion oticum, 
3. Ganglion sphenopalatinum, 4. Ganglion submaxillare. 

ad 1. Remak [13] war der Meinung, dass das Ganglion ciliare 
zum sympathischen Nervensystem gehört, da er das Vorkommen multi- 
polarer Zellen in den spinalen Ganglien negierte, die das Ganglion 
ciliare zusammensetzenden Zellen erwiesen sich aber nach seiner Be- 
obachtung stets als multipolare. 

Gegen diese Ansicht äusserte sich Schwalbe [52], der im Ganglion 
ciliare des Kalbes und des Schafes stets nur unipolare Zellen vom 
Typus der spinalen Ganglienzellen nachweisen konnte. 

Die Lösung der Frage über die wahre Natur dieses Ganglions ver- 
danken wir hauptsächlich den Arbeiten Zetzius’. Dieser Autor hat 
noch im Jahre 1880 deutlich bewiesen, dass die das Ganglion ciliare 
der Katze (nach Präparaten, die mit Osmiumsäure behandelt, mit Karmin 
gefärbt und zerzupft worden waren) zusammensetzenden Zellen multi- 
polare oder bipolare (2—3) und Fortsätze besitzende Zellen sind. Er 
zeigte ferner |25], dass diese Fortsätze unmittelbar in marklose Nerven- 
fasern übergehen und sich während ihres Verlaufes oft teilen. Er 
meinte deshalb, dass das Ganglion ciliare ein sympathisches Ganglion 
sei. Später untersuchte Retzius [25] den Bau des Ganglion ciliare 
mit Hilfe der Methode von Golgi und widmete dieser Frage eine be- 
sondere Abhandlung. In dieser letzteren bestätigt er vollkommen seine 
früheren Beobachtungen und behauptet, dass das Ganglion ciliare zum 
sympathischen Nervensystem gehöre und aus multipolaren Zellen bestehe. 

In der letzten Zeit haben Marinesco, Varhon und Goldstein [53] 
das Ganglion ciliare nach der Methode von Ramön y Cajal unter- 
sucht und sind zu dem Schlusse gekommen, dass dieses Ganglion 
zweifellos ein sympathisches ist. Sie untersuchten das Ganglion ciliare 
von Mensch, Affe, Hund und Katze und sahen, dass die dieses Gan- 
glion zusammensetzenden Zellen stets multipolar sind und dass ihr 
neurofibrillärer Apparat sich in ihnen in Form eines sehr feinen Netzes 
ausbreitet. 

Die zahlreichen Dendriten dieser Zellen besitzen eine sehr ver- 
schiedene Grösse, auf Grund dessen die genannten Autoren sogar eine 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 107 


Klassifikation dieser Nervenzellen versuchen. I. Typus: die Zellen haben 
kurze Fortsätze und enden innerhalb der Kapsel (richtiger: werden 
unsichtbar, da hier von Endapparaten nicht einmal die Rede ist!); 
bloss der Nervenfortsatz tritt unter der letzteren hervor. II. Typus: 
die Zellen haben zweierlei Fortsätze: kurze und lange. Diese letzteren 
enden, nachdem sie unterhalb der Kapsel hervorgetreten sind, in einer 
gewissen Entfernung von der Zelle. III. Typus: die Zellen besitzen 
eine grosse Anzahl Dendriten, welche einen Glomerulus, ähnlich dem- 
jenigen der sympathischen Zellen, bilden (s. Historische Übersicht). Um 
den Glomerulus herum sahen die genannten Autoren oft feine Fäserchen 
unbekannten Ursprungs, die ein periglomeruläres Geflecht bildeten. 
Ausserdem gelang es diesen Autoren, auch perizelluläre Geflechte zu 
beobachten, deren es besonders viele beim Affen gibt, so dass nach den ge- 
nannten Autcien die Mehrzahl der Zellen von ihnen um flochten wird. 

Ich besitze vor zwei Jahren angefertigte, mit Methylenblau ge- 
färbte Präparate des Ganglion ciliare und kann ebenfalls behaupten, 
dass dieses Ganglion aus in der Mehrzahl multipolaren Zellen besteht. 
Die von Marinesco und seinen Mitarbeitern angegebene Klassifikation 
ist, abgesehen davon,.dass sie kein Prinzip besitzt, schematisch. 

ad 2. Das Ganglion oticum besteht nach Remak [13] aus 
multipolaren Zellen und stellt deshalb ein sympathisches Ganglion vor. 

Retzius [25] konnte ebenfalls an nach alten Färbungs- und Diffe- 
renzierungsmethoden behandelten Präparaten feststellen, dass dieses 
Ganglion durch Anhäufungen von 2—3 und mehr Fortsätze besitzen- 
den Zellen gebildet wird. Diese Fortsätze verzweigen sich und be- 
decken sich nie mit einer Markscheide. ZKetzius hielt es so für be- 
wiesen, dass bei denjenigen Tieren, die er untersucht hatte (Katze 
und Kaninchen), das Ganglion oticum ein sympathisches Ganglion ist. 

Für die Angehörigkeit dieses Ganglions zum sympathischen Nerven- 
system sprach sich auch Apolant [56] aus. 

ad 3. Auch das Ganglion sphenopalatinum erkannte Remak [15] 
als ein sympathisches Ganglion an auf Grund des Studiums seines 
mikroskopischen Baues. 

Retzius [25] untersuchte das Ganglion sphenopalatinum des Schafes 
und der Katze und ist der Meinung, dass dieses Ganglion dem Cha- 


108 Sergius Michailow, 


rakter seiner nervösen Elemente nach dem sympathischen Nervensystem 
zugerechnet werden muss. Bei der Katze überwiegen in diesen Ganglien- 
zellen mit zwei Fortsätzen — bipolare, beim Schafe — multipolare, 
und zwar in der Mehrzahl der Fälle drei Fortsätze besitzend. 

Genauere Angaben über den Bau des Ganglion sphenopalatinum 
finden wir bei Lenhossek [52]. Dieser Autor untersuchte das genannte 
Ganglion der neugeborenen Maus nach der Golgi-Methode Er kam 
zur Ansicht, dass das Ganglion sphenopalatinum ein sympathisches 
Ganglion sei und aus multipolaren Zellen bestehe. Unter den Fort- 
sätzen dieser Zellen kann man einen Nervenfortsatz und mehrere 
Dendriten unterscheiden. Der letzteren gibt es zwei Arten: a) kurze, 
b) lange. Die kurzen Dendriten verlaufen strahlenfórmig nach allen 
Richtungen vom Körper der Zelle aus und enden sofort. Die langen 
Dendriten sind feiner als die kurzen, sie verlaufen ebenfalls in allen 
Richtungen vom Körper der Zelle aus, legen mitunter einen recht 
langen und verwickelten Weg zurück, enden aber alle innerhalb der 
Grenzen desselben Ganglions, zu dem auch die betreffende Zelle gehört. 
Auf den ersten Blick sehen diese langen Dendriten (nach Lenhossék) 
Nervenfortsätzen sehr ähnlich. Es gibt auch Übergangsformen zwischen 
den zwei genannten Arten von Dendriten. 

Die Grenzen des Ganglions verlassen nur die Nervenfortsätze, die 
(nach Lenhossek) aus dem Ganglion sphenopalatinum stets in peripherer 
Richtung in den Nervus nasalis posterior ziehen. Einmal sah er, wie 
vom Nervenfortsatz unweit von seinem Beginn ein Kollateralästchen 
abging, das zwischen den benachbarten Zellen endete. 

Unter den im Ganglion verlaufenden Nervenfasern unterscheidet 
Lenhossek: a) die Nervenfortsätze der lokalen Nervenzellen, b) ihre 
langen Dendriten, c) Fasern, die ins Ganglion sphenopalatinum vom 
Ganglion Gasseri aus kommen. Ein Teil dieser Fasern zieht bloss 
durch das Ganglion sphenopalatinum hindurch, während ein anderer 
Teil derselben in diesem Ganglion endet. Einmal gelang es diesem 
Autor, hier ein perizelluläres Geflecht zu sehen. 

Darauf, dass das Ganglion sphenopalatinum seinem mikroskopischen 
Bau nach ein sympathisches Ganglion ist, wies auch Apolant [36] hin. 

ad 4.  Apolant |56] rechnete dem sympathischen System auch 


Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 109 


das Ganglon submaxillare zu, das er bei den Nagern untersucht 
hatte. 

Allein schon vor ihm hatte Retzius [25] dieses Ganglion beim 
Menschen untersucht und an mit Osmiumsäure behandelten Präparaten 
gefunden, dass die dieses Ganglion zusammensetzenden Zellen multipolar 
sind (in der Mehrzahl der Fälle besitzen sie drei Fortsätze). Infolge 
dieser Beobachtung hielt Aetzeus das Ganglion submaxillare für ein 
sympathisches Ganglion. 


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14, 
15. 
16. 
17. 


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21 


ol. 


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pathischen Ganglien. Anatomischer Anzeiger. Bd. 33. 1908. 

—, Zur Frage über den feineren Bau des intrakardialen Nervensystems der 
Säugetiere. Internat. Monatsschrift für Anatomie und Physiologie. Bd. 25. 

—, Das intrakardiale Nervensystem des Frosches und die Methode von Ramön 
y Cajal. Internat. Monatsschr. für Anatomie und Phys. Bd. 25. 

—, Mikroskopische Struktur der Ganglien des Plexus solaris und anderer 
Ganglien des Grenzstranges desN. sympathicus. Anatomischer Anzeiger. 1908 

—, Ein neuer Typus von eingekapselten, sensiblen Nervenendapparaten. Ana- 
tomischer Anzeiger. Bd. 31. 1907. 

—, Die Nerven des Endokardiums. Anatomischer Anzeiger. Bd. 32. 

—, Die feinere Struktur der sympathischen Ganglien der Harnblase bei den 
Säugetieren. Archiv für mikrosk. Anat. Bd. 72. 

—, Die Neurofibrillen der sympathischen. Ganglienziellen bei Säugetieren. 
Folia neuro-biologica. Bd. I. H..5. 

—, Zur Frage über die Innervation der Blutgefässe. Archiv für mikrosk. 
Anatomie. Bd. 72. 

—, Über die sensiblen Nervenendigungen in der Harnblase der Säugetiere. 
Archiv für mikrosk. Anatomie. Bd. 71. 1907. 

—, Versuch einer systematischen Untersuchung der Leitungsbahnen des 
sympathischen Nervensystems. Archiv für die gesamte Physiologie. 
Bd. 128. 1909. 

Rachmanow, Die Neurofibrillen und Chromotophilsubstanz der Nervenzellen. 
Obosrenye Psychiatrie. 1907. (Russisch.) 


. Sala, Sur la fine anatomie des ganglions du sympathique. Archives italiennes 


de Biologie. Vol. 18. 1893. 


. Kollmann, Zeitschrift für Biologie. Bd. 1. 
. Daae, Zur Kenntnis der Spinalganglienzellen beim Säugetiere. Archiv für 


mikroskopische Anatomie. Bd. 31. 1888. 


. Levi, La struttura dei gangli cerebrospinali nei Selaci e nei Teleostei. Monit. 


Zoolog. Italiano. Nr. 8. Anno 1906. 

Dogiel, A., Zur Frage über den feineren Bau der Herzganglien des Menschen 
und der Säugetiere. Archiv für mikroskop. Anatomie. Bd. 53. 

—, Der Bau der Spinalganglien des Menschen und der Säugetiere. Jena 1908. 

Laignel-Lavastine, Imprégnation argentique des neurofibrilles de l'homme. 
Comptes rendus de la société de Biologie 1906. 

—, Imprégnation argentique des neurotibrilles sympathiques du cobaye, du 
lapin et du chien. Compt. rend. etc. 1906. 

Azoulay, Les neurofibrilles d’après la méthode et les travaux de S. Ramón 
y Cajal. La presse médicale. 1904. 


Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 8 


Fig. 
Fig. 
Fig. 
Fig. 
Fig. 
Fig. 
Fig. 
Fig. 
Fig. 


Fig. 


Erklärung der Abbildungen. 


Alle Abbildungen sind vom Autor mit Hilfe des Zeichenokulars von Leitz 


ausgeführt worden. 


Sympathische Zellen des II. Typus. Ganglion mesentericus superior. 
Pferd. Leitz. Oc. 4, ob. 7. 

Plattenförmige Endigungen der marklosen und markhaltigen Nervenfaser 
an der Kapsel einer Nervenzelle. Ganglion caliacum. Pferd. Leitz. 
OGs 4, Os We 

Gefensterte sympathische Zelle. Ganglion hypogastricum. Hund. Leitz. 
Oc. 3, ob. 4. 

Sympathische Zelle vom III. Typus. Ganglion coeliacum. Pferd. Leitz. 
Oc. 4, ob. 7. 

Sympathische Zelle vom IV. Typus, Ganglion mesentericum inferius. 
Hund. Leitz. Oc. 2, ob. 3. 

Perikapsuläre Nervennetzchen. Ganglion coeliacum. Pferd. Leitz. Oc. 4, ob. 7. 
Sympathische Zelle vom VI. Typus. Ganglion cervicale superius. Hund. 
Leitz. Oc. 2, ob. 6. 

Sympathische Zelle vom IV. Typus. Ganglion stellatum. Pferd. Leitz. 
Oc. 3, ob. 4. 

Sympathische Zelle vom VI. Typus. Ganglion mesentericum superius. 
Pferd. Leitz. Oc. 4, ob. 7. 

Sympathische Zellen vom III. Typus. Ganglien des Nierengeflechtes. 
Hund. Leitz. Oc. 2, ob. 3. 

Sympathische Zelle vom VII. Typus. Ganglion coeliacum. Pferd. Leitz. 
OG; GB Olds TW 

Sympathische Zelle vom VII. Typus. Ganglion stellatum. Pferd. Leitz. 
Oc. 5, ob. 7. 

Sympathische Zelle vom VIII. Typus. Ganglion mesentericum superius. 
Pferd. Leitz. Oc. 4, ob. 7. 

Sympathische Zelle vom VII. Typus. Ganglion cervicale superius. 
Hund. Leitz. Oc. 3, ob. 7. 

Perikapsuläres Nervennetzchen. Ganglion mesentericum inferius. Ka- 
ninchen. Leitz. Oc. 5, ob. 7. 

Sympathische Zelle vom III. Typus. Ganglion coeliacum. Pferd. 
(c3 Mob TE 

Endplättchen längs des Verlaufes der Nervenstimmchen zwischen dem 
Ganglion coeliacum und Ganglion mesentericum superius. Pferd. Leitz. 
(res Jl. (99, & 


Sergius Michailow, Der Bau der zentralen sympathischen Ganglien. 115 


Fig. 18. Endigungen eines Dendriten einer sympathischen Nervenzelle vom IV. Typus. 
Ganglion stellatum. Kaninchen. Leitz. Oc. 4, ob. 7. 

Fig. 19. Interkapsuläres Geflecht. Ganglion mesentericum superius. Pferd. Leitz. 
O ZB Om Bt 

Fig. 20. Drei durch Anastomosen verbundene sympatische Zellen. Ganglion coe- 
liacum. Pferd. Leitz. Oc. 4, ob. 2. 

Fig. 21. Sympathische Zelle vom V. Typus. Ganglion coeliacum. Pferd. Leitz. - 
Oc. 4, ob. 7. 

Fig. 22. Sympathische Zelle vom VIII. Typus. Ganglion hypogastricum. Pferd. 
Leitz. Oc. 4, ob. 7. 

Fig. 23. Sympathische Zelle vom III. Typus. Ganglion coeliacum. Pferd. Leitz. 
Oc. 2, ob. 3. 

Fig. 24. Sympathische Zelle vom V. Typus. Ganglion stellatum. Pferd. Leitz. 
O. 4, ob. 7. 

Fig. 25. Sympathische Zelle vom IX. Typus. Ganglion coeliacum. Pferd. Leitz. 
Oc. 2, ob. 3. 

Fig. 26. Sympathische Zelle vom III. Typus. Ganglion cervicale inferius. Katze. 
Leitz. Oc. 3, ob. 7. 

Fig. 27. Rachmanowsche Methode. Ganglion stellatum. Hund. Leitz. Oc. 4 
Ol-Im. !/,s. 

Fig. 28. Rachmonowsche Methode. Ganglion stellatum. Hund. Leitz. Oc. 4, 
Oi 

Fig. 29. Rachmanowsche Methode. Ganglion cervicale inferius. Katze. Oc.4, ob. 7. 

Fig. 30. Rachmanowsche Methode. Ganglion stellatum. Hund. Oc. 4, ob. 7. 

Fig. 31. Ramön y Cajalsche Methode. Plattenförmige Endigung einer marklosen 
Nervenfaser an einer Zelle. Ganglion hypogastricum. Hund. Leitz. 
Oe. 4 Olds Zo 

Fig. 32. Rachmanowsche Methode. Gefensterte sympathische Zelle. Ganglion 
stellatum. Hund. Leitz. Oc. 4, ob. 7. 

Fig. 33. Ramon y Cajalsche Methode. Gefensterte sympathische Zelle. Ganglion 
plexi renalis. Katze. Oc. 4, ob. 7. 

Fig. 34. Perizelluläres Nervengeflecht. Ramon y Cajalsche Methode. Ganglion 
coeliacum. Katze. Leitz. Oc. 4, ob. 7. 

Fig. 35. Rachmanowsche Methode. Perizeiluläres Nervengeflecht. Ganglion stella- 
tum. Hund. Leitz. Oc. 4, ob. 7. 

Fig. 36 im Text. Verschiedene Formen von Endplatten nach mit Methylenblau 
gefärbten Präparaten. 


SX 


Referat. 


Von 
Fr. Kopsch. 


Adolf Cohen-Kysper. Versuch einer mechanischen Analyse der Ver- 
änderungen vitaler Systeme. 8°. VI und 89 Seiten. Leipzig, 1910. 
G. Thieme. M. 1.60. 


Die Vitalität, sagt der Verfasser am Schluss der Einleitung, beruht auf be- 
_ stimmten dynamischen Vorgängen, welche an eine bestimmte Konstruktion gebunden 
sind. Damit ist die These einer spezifischen Vital-Mechanik aufgestellt. 

Verf. versucht die mechanischen Bedingungen aufzudecken, auf denen die vitalen 
Veränderungen beruhen und von denen ihr Verlauf abhängt. 

Er benutzt dazu das materielle System, dessen Spezialfall das vitale materielle 
System, kurz das „vitale System“, ist. Dieses muss also den allgemeinen, für 
ein materielles System geltenden Regeln folgen. So gelingt es, die vitalen Er- 
scheinungen als mechanische Probleme zu formulieren, d. h. die allgemeinen mecha- 
nischen Prinzipien, denen sie unterliegen, festzustellen und ihre spezifischen Eigen- 
schaften abzusondern. Als Ergebnis dieser Methode soll der Grundriss einer Vital- 
mechanik zu erkennen sein, welche sich auf folgenden Sätzen aufbaut: 

,l. Eine jede Veränderung eines vitalen Systems, die mit der Erhaltung seiner 
wesentlichen vitalen Merkmale verläuft, beruht auf einem Ausgleich mit dem ver- 
änderten Einfluss — Reiz oder Bedingung —, und zwar auf einem Ausgleich, der 
nach Intensität, Quantität oder Qualität des verändernden Einflusses und des ver- 
änderten vitalen Systems erfolgen kann. 

2. Die Bedingungen eines veränderten vitalen Systems, durch die dieser Aus- 
gleich ermöglicht wird, sind die gleichen, die die Konstanz eines jeden materiellen 
Systems unter verändernden Einflüssen zur Folge haben. 

3. Der Ausgleich mit aktivierenden Einflüssen, das Prinzip der reizgemässen 
Veränderung, erweist sich als geeignet für eine mechanische Erklärung psychischer 
Erscheinungen.“ 


Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto) in Leipzig. 


Pie ice. 


Eine neue Erklärung der nervösen Leiden und 
ein Mittel, ihnen erfolgreich entgesenzutreten 
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Oberstabsarzt a. D., Leiter der kgl. Poliklinik für Nervenmassage zu Berlin. 


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Dr. A. Cornelius, 


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2 


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Speziali dem praktischen Arzte wird diese zusammenfassende Dar- ‘ 
stellung aus der Feder des bekannten Forschers sehr willkommen sein, so- 
wohl für die Diagnose einschlägiger Krankheitsbilder, als zur sicheren 
Orientierung bezüglich der m Frage kommenden Heilfaktoren. 


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in Madrid, H. F. Formad in Philadelphia, C. Golgi in Pavia, S. Las- 
kowski in Genf, A. Macalister in Cambridge, G. Retzius in Stockholm 


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in Edinburg —— in Lyon 


und 


E és | Fr. Kopsch 


in Berlin. 


Band XXVIII. Heft 4/6. 


bar rex j 


LEIPZIG 1911 


Verlag von Georg Thieme. 


ÁN 
B ) m 


Inhalt. 


Seite 


Franz Dietrich, Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen 

am, Gürteltibt (Dasypüs villosus Desm.). (Mit Taf. VII, XII: 2 sel 
W. Mart‘noff, Zur Frage über das Amnionepithel. (Mit Tafel X) . . . 196 
Dr. Amatore De Giacomo, Sull’ipertrofia compensatoria e sui fenomeni cellu- 

lari nei reni dopo la legatura di un uretere. (Con la Tav. X) . . . 208 
Hugo Sellheim, Das Gauss’sche „Prinzip vom kleinsten Zwange“ in der 

Mechanik der Geburt... ‘ere c D E JY 


Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsátzen 50 Sonderabdrücke frei, 
eine gróssere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise. 
Frankierte Einsendungen in lateinischer, franzósischer, italienischer, englischer oder 
deutscher Sprache für die „Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physio- 
logie“ werden direkt an die Redaktion: Prof. Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdorf bei Berlin, 
Prinzregentenstr. 59, erbeten. 


Reprints. Contributors desiring more than 50 extra copies of their articles 
can obtain them at reasonable rates by application to the publisher Georg Thieme, 
Leipzig, Rabensteinplatz 2, Germany. 


Contributions (French, English, German, Italian or Latin) should be sent to 
the associate editors or to the editor Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdorf by Berlin, Prinz- . 
regentenstr. 59. 


Avis. Les auteurs des mémoires insérés dans ce journal qui désireront plus de 
50 tirages à part de leurs articles, les obtiendront à des prix modérés en s'adressant 
à M. Georg Thieme, libraire-éditeur, Leipzig, Rabensteinplatz 2, Allemagne. 


Les articles écrits en allemand, en anglais, en frangais, en italien ou en latin 
- doivent être adressés à l'un des Professeurs qui publient le journal, ou à M. Er Kopsch 
à Wilmersdorf près de Berlin, Prinzregentenstr. 59. 


Die bisher erschienenen Bände kosten: 


Bd. Ia SEMI BENE 
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SOND LO 98 4. X000 Ur S BT ale n | 
XVI ec 50000. 100. ^ S XXIE- 0 2 (234 
Cee 2: 55— 
(eX c II PE. 
ORT p III , 96.—. 
Po quu UE I eU o me OQ 2:60.25 
FAI M esd cya HB , XXVII » 18.60. 
» XIV 48.30. = 


Bd. I—XXV stati M. 1706. 30 nur M. 1200.— Lae 


A 


va 


(Aus dem anatomischen und zootomischen Institut der Westfälischen Wilhelms- 
Universität zu Münster 1. W. 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Unter- 
suchungen am Gürteltier (Dasypus villosus Desm.). 
Von 


Franz Dietrich 
aus Fulda. 


(Mit Taf. VII, VIII.) 
Einleitung. 

Die mikrospkopische Anatomie der Organe ist bis jetzt bei den 
Vertebraten, insbesondere auch den Mammalien, im einzelnen noch 
wenig bekannt, wenn man von den leichter zu beschaffenden Tier- 
formen, vor allem den Haustieren, absieht. Dass dem so ist, zeigen 
am besten die übersichtlichen Zusammenstellungen, die sich in dem 
von A. Oppel unter Mitwirkung zahlreicher Mitarbeiter herausgegebenen 
Lehrbuch der vergleichenden mikroskopischen Anatomie der Wirbel- 
tiere vorfinden. In diesem Lehrbuch ist mit grossem Fleiss in sehr 
dankenswerter Weise aus den Spezialarbeiten alles zusammengetragen, 
was über den feineren Bau der einzelnen Mammalien-Ordnungen be- 
kannt geworden war, so dass dem Leser nicht allein das, was wir 
darüber wissen, sondern auch alle Lücken vor Augen geführt werden. 

Dem Studium des Oppelschen Lehrbuches ist auch die Anregung 
zu den folgenden Untersuchungen zu verdanken; denn es zeigt, dass 
die Histologie des Tierkörpers der interessanten, aus so verschieden- 
artigen Formen zusammengesetzten Edentaten-Ordnung noch nicht ge- 
nügend durchforscht ist. Im folgenden soll mit der Untersuchung der 
Gürteltiere der Anfang gemacht werden. 


118 Franz Dietrich, 


Untersuchungsmethoden. 

Für meine Untersuchungen wurden mir seitens des Direktors des 
anatomischen und zoologischen Instituts der Universität Münster i. W., 
des Herrn Prof. Dr. med. et. phil. E. Ballowitz, die Organe von drei er- 
wachsenen, gesunden Borstengürteltieren, Dasypus villosus Desm., zur Ver- 
fügung gestellt. Die Tiere, von denen zwei Männchen und eins ein Weib- 
chen waren, wurden für andere Zwecke durch Chloroform getótet. Den 
frischgetóteten Tieren entnahm ich die noch lebenswarmen Organe un- 
mittelbar nach dem Tode. Bei der Sektion stellte sich heraus, dass die 
Gürteltiere sehr gut genährt waren und einen etwa 1—1'/, cm dicken 
Panniculus adiposus besassen. 

Von den diesbezüglichen Organen schnitt ich Würfelchen von 
höchstens 5 mm Seite und brachte sie sofort in die Fixierungsflüssig- 
keiten. Als solche benutzte ich Alkohol, gesättigte Eisessig-Sublimat- 
lösung (5°/, Eisessig), schwache Chrom-Osmium-Essigsäure nach Flemming 
und Platinchlorid-Osmium-Essigsäure nach Hermann. In der Eisessig- 
Sublimatlösung verblieben die Stücke 24 Stunden, kamen hierauf, um 
die vorhandenen Sublimatniederschläge zu beseitigen, in 70°/ igen, des 
öfteren erneuerten Jodalkohol und von hier durch allmählichen Über- 
gang in absoluten Alkohol. 

Die Objekte, die mit Hermannscher und schwacher Flemming- 
scher Flüssigkeit fixiert waren, wurden nach etlichen Tagen 24 Stunden 
lang in fliessendem Brunnenwasser ausgewaschen, mit destilliertem 
Wasser gut abgespült und dann in Alkohol, beginnend mit 50°/,igem, 
gehärtet. 

Nach vollendeter Härtung folgte das Einbetten der Objekte in 
Paraffin in der bekannten Weise. Von dem in Paraffin eingebetteten 
Material fertigte ich mit dem Jungschen Mikrotom Schnitte an in der 
Dicke von 2—7 Mikra, die ich mit Wasser oder Eiweiss-Glyzerin auf 
dem Objektträger aufklebte. 

Als Farbstoffe kamen in Anwendung: Hämatoxylin nach Böhmer, 
Delafield und Hansen — Nachfärbung mit Eosin oder Kongorot —, 
die Farblösung nach Weigert zum Nachweis elastischer Fasern — Nach- 
färbung mit Hämatoxylin-Eosin —, Safraninlösung (nach Pfitzner: 1 Teil 
Safranin, 100 Teile absoluten Alkohol, 200 Teile Aqua destillata), 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 119 


Pikrofuchsinlösung nach van Gieson und hauptsächlich M. Heidenhains 
Eisenhämatoxylin. Bei der Heidenhainschen Färbemethode kamen die 
aufgeklebten Schnitte auf 6—12 Stunden in Eisenalaunlösung, dann 
nach gutem Abspülen mit destilliertem Wasser 24—36 Stunden lang 
in Heidenhains Hämatoxylinlösung. Hierauf wurden die Schnitte in 
Eisenalaunlösung differenziert, 15 Minuten in fliessendes Brunnenwasser 
gebracht, mit destilliertem Wasser nachgespült, entwässert und in 
Kanadabalsam eingeschlossen. 


I. Tractus intestinalis. 


1. Ösophagus. 
a) Literatur. 


Die älteste Mitteilung über den Bau des Schlundes von Dasypus 
enthalten, soweit mir bekannt ist, v. Rapps „Anatomische Unter- 
suchungen über die Edentaten“ (1845); ihm fiel besonders die ausser- 
ordentlich dicke Muskelhaut in der Speiseröhre der Edentaten auf, be- 
stehend aus einer äusseren Längs- und einer inneren Querschicht. 

In jüngster Zeit (1898) fand der Tractus intestinalis von Dasypus 
villosus eine eingehendere Bearbeitung durch K. K. Helly. Da dem 
letzteren jedoch kein frisches, tadelloses Material zur Verfügung stand, 
und er selbst eingangs seiner Abhandlung erwähnt, dass er von der 
genaueren Untersuchung der Epithelien Abstand nehmen musste, da 
der Zerfall derselben bereits zu weit vorgeschritten war, so entschloss 
ich mich, die Befunde Hellys zu prüfen und sie da, wo nötig, zu ergänzen. 

Um im folgenden Wiederholungen zu vermeiden, sei es mir er- 
laubt, in aller Kürze Hellys Resultate zu rekapitulieren. Papillen oder 
Leisten fand er in der Innenfläche des Schlundes nicht. Das Lumen 
der Speiseröhre ist von einem hohen, geschichteten Pflasterepithel 
ausgekleidet, dessen oberste Lage eine Verhornung erkennen lässt. 
Die Muscularis mucosae besteht aus einer ansehnlich dicken Schicht 
längsverlaufender, glatter Muskelfasern. An diese grenzt die Sub- 
mukosa, die in der ganzen Ausdehnung des Schlundes einen mächtigen 
Ring tubulo-azinöser, echter Schleimdrüsen mit hohem Zylinderepithel 
aufweist. Die Drüsenausführungsgänge haben einschichtiges, kubisches 


120 Franz Dietrich, 


Epithel, das sich aber da, wo der Ausführungsgang in das geschich- 
tete Pflasterepithel des Schlundes übertritt, in ein niedriges Platten- 
epithel umwandelt. Ganz eigenartige Verhältnisse boten sich Helly in 
der Muskularis des Ösophagus; sie setzt sich aus einer äusseren Längs- 
und einer, inneren Querschicht zusammen, die ein Gemisch von glatten 
und quergestreiften Muskelfasern derart zeigt, dass die glatten Muskel- 
fasern gewissermassen das Grundgewebe bilden, in das die quergestreiften 
Fasern, teils einzeln, teils zu Bündeln, eingesponnen sind. Um die- 
selben herum beobachtete er einen freien Raum, der sie von den glatten 
Fasern trennte; er lässt es unentschieden, ob es sich hierbei um eine 
histologische Eigentümlichkeit handelt, oder ob der Grund hierfür darin 
zu suchen ist, dass sein Material nicht einwandsfrei war. Im Anfange 
des Schlundes überwiege die quergestreifte Muskulatur bedeutend die 
glatte, während das Verhältnis am Ende ein umgekehrtes sei. Lymph- 
noduli oder sonstige Anhäufung adenoiden Gewebes konnte er in der 
Speiseröhre nicht finden. | 


b) Eigene Untersuchungen. 


Durch meine Untersuchungen konnte ich folgendes feststellen: 
Das Epithel des Ösophagus ist ein dickes, geschichtetes Pflasterepithel, 
das die drei Schichten der zylindrischen, polygonalen und platten Zellen 
erkennen lässt. Das Epithel erscheint im Anfange des Schlundes etwas 
-breiter als gegen dessen Ende hin. Nach dem Lumen zu sind die 
Zellen stark abgeplattet. Durch auffallende Grösse und äusserst scharfe 
gegenseitige Begrenzung zeichnen sich die polygonalen Zellen aus mit 
ihrem rundlichen bis ovalen, grossen Kern. Die Schicht der Zylinder- 
zellen ist im Vergleich mit den anderen intensiv dunkel gefärbt; ihre 
Zellen stehen mit ihrer Längsachse radiär zum Lumen, desgleichen die 
etwas gestreckten Kerne derselben. 

In das Epithel springen von der Tunica propria unregelmässige, 
bald breitere, bald schmälere Erhebungen und Fortsätze vor, die hier 
und da zu schlanken Papillen werden | 

An der Kardia befindet sich, auch makroskopisch gut sichtbar, ein 
ringformiger Wulst, welcher die Grenze zwischen Osophagus- und 
Magenschleimhaut bezeichnet (siehe unten unter Magen). 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 121 


Die Tunica propria der Mukosa ist ein faseriges, mit stärkeren 
und feineren elastischen Fasern gemengtes Bindegewebe von etwa 
doppelter Breite als die Epithelschicht. Bestimmt abgegrenzte Lymph- 
follikel habe ich nicht gefunden; wohl aber sind hier und da in der 
Nähe der Ausführungsgänge der Drüsen Anhäufungen von Lymphozyten zu 
sehen, so dass an diesen Stellen die Struktur des Tunica-Gewebes sich 
dem retikulären Gewebe nähert. Auch an der Grenze des Osophagus 
gegen die Kardıa hin traf ich in manchen Schnitten eine solche dunkler 
gefärbte, lymphadenoide Stelle an. 

Die Muscularis mucosae tritt im Anfange des Osophagus auf 
zunächst in Form vereinzelter, längsverlaufender Bündel glatter Muskel- 
zellen, die durch Bindegewebselemente voneinander getrennt werden. 
Erst im weiteren Verlauf des Schlundes schliessen sich die bisher 
ziemlich spärlich zerstreuten Muskelbündel immer enger aneinander 
und bilden eine fast zusammenhängende Schicht, welche die Dicke der 
Epithelschicht um das Zwei- bis Dreifache übertrifft. Nur ab und zu 
schieben sich noch Bindegewebselemente der Tunica propria der Mukosa 
sowohl als auch der Submukosa zwischen die Muskelschicht ein, während 
ihrerseits wieder ziemlich kräftige Muskelbündel der Muscularis mucosae 
übergreifen in die Tunica propria und auch in die Submukosa. Un- 
mittelbar an der Übergangsstelle des Magens zum Schlunde lockert 
sich dieser feste Muskelverband wieder etwas, um in die Muscularis 
mucosae des Magens direkt überzugehen. Im grossen ganzen sind 
die hier geschilderten Verhältnisse von Dasypus gleichbedeutend mit 
den Befunden, die (1880) Kossowski an der Muscularis mucosae der 
Katze machte. 

An der Submukosa, welche aus fibrillarem Bindegewebe besteht 
und bedeutend breiter ist als die Tunica propria der Mukosa, lassen 
sich eigentlich zwei Schichten unterscheiden, und zwar eine lediglich 
bindegewebiger Natur mit vornehmlich grossen Gefässen, die der Mus- 
kularis des Schlundes vorgelagert ist, und eine zweite, die unmittelbar 
an die Muscularis mucosae stösst und das Lager darstellt für die 
überaus zahlreichen, gut ausgebildeten Schlunddrüsen. Diese bilden 
nach aussen von der Muscularis mucosae eine fast geschlossene Lage, 
welche in die Muscularis mucosae keine Fortsetzungen hineinschickt; 


122 Franz Dietrich, 


nur ihre zahlreichen Ausführungsgänge durchbrechen die Muskelschicht. 
Dagegen finden sich vereinzelte abgesprengte Muskelbündel der Muscu- 
laris mucosae zwischen den Drüsenmassen; diese Muskelbündel von ver- 
schiedener Stärke verlaufen isoliert zwischen den Drüsenpaketen. 
Oppel teilt die Säugetiere bezüglich des Verhaltens der Schlund- 
drüsen im Ösophagus in drei Hauptgruppen ein und zwar in solche: 
1. deren Ösophagus in ganzer Ausdehnung Drüsen trägt, 2. deren 
Ösophagus nur im oberen Teile Drüsen trägt und 3. deren Ösophagus 
überhaupt keine Drüsen besitzt. Die erste Gruppe zählt bis jetzt die 
wenigsten Vertreter; zu ihr sind zu rechnen der Hund nach den Unter- 
suchungen von Klein in Klein und Verson (1871), Klein and Noble 
Smith (1880), Ellenberger und Kunze (1885), Eichenberger (1885), 
Rubeli (1889), Strahl (1889); der Fuchs nach Klein (1895) und Strahl 
(1889); der Dachs nach Oppel (1897) und Dasypus villosus nach 
K. K. Helly (1898). Ich kann die Angaben Hellys über das Vor- 
handensein der Drüsen im ganzen Ösophagus bestätigen. Im oberen 
Teil des Schlundes sind sie verhältnismässig noch spärlich, im mittleren 
und unteren Teil aber treten sie derart zahlreich auf, dass sie einen 
fast geschlossenen Ring von grósserer Breite darstellen, hier und 
da nur von submukösem Bindegewebe durchbrochen und von elasti- 
schen Fasern umflochten. Die Schleimtubuli werden ausgekleidet von 
typischen Schleimzellen. Im Zellkörper bemerkt man bei starker Ver- 
srösserung eine zarte Netzstruktur, in die feinste Körnchen eingestreut 
sind. Die Zellkerne sind dicht an die Basis gedrängt, ziemlich intensiv 
tingiert und ähneln den Drüsenkernen der Submaxillaris von Dasypus. 
An den bis jetzt untersuchten Mammalien sind meines Wissens nur 
selten Halbmondzellen in den Schlunddrüsen angetroffen worden, und 
zwar wurden solche festgestellt, allerdings in geringer Zahl, in den 
Schlunddrüsen des Hundes von Klein und beim Menschen von Bohm 
und Davidoff (1895). Auch bei Dasypus konnte ich mich von dem 
Vorhandensein von Halbmondzellen überzeugen; sie waren ziemlich 
seiten, sehr klein, schmal-sichelförmig, höchstens in der Zahl von 
drei oder vier vorhanden, und diese Zellen in einem Halbmond um- 
griffen nicht immer kappenartig das eine Tubulusende, wie es wohl 
sonst der Fall ist, sondern sie waren in der Regel nach Art der Be- 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 123 


legzellen den Schleimzellen angelagert. Einige Male hatte es sogar 
den Anschein, als ob sie an der Begrenzung des Lumens Anteil hátten. 

Die Ausführungsgànge besitzen ein einschichtiges, kubisches Epithel; 
ihre Kerne, die zentral gelagert sind, haben runde bis ellipsoide Form. 
In gerader oder auch schräger Richtung, nur ausnahmsweise etwas 
geschlängelt, durchziehen die Ausführungseünge die Muscularis mucosae 
und Tunica propria, um an der inneren Oberfläche des Epithels aus- 
zumünden. Vor ihrem Eintreten in die Epithelschicht erweitern sie 
sich hier und da zu sackartigen Ausbauchungen. 

Hinsichtlich der Muskularis des Schlundes stimmen meine Resul- 
tate mit denen Hellys im allgemeinen überein. Es ist eine äussere 
Längs- und eine innere Quermuskelschicht zu unterscheiden, zwischen 
denen sich eine trennende Bindegewebsschicht befindet. Im obersten 
Teil des Ösophagus ist die äussere Längsschicht noch unvollständig. 
Weiterhin nimmt die innere Muskellage an Breite derart zu, dass sie 
schliesslich an der Übergangsstelle des Schlundes in den Magen drei- 
bis viermal so breit ist wie die äussere Längsschicht. Beide Muskel- 
schichten zeigen ein eigenartiges Gemisch von glatten und quer- 
gestreiften Muskelelementen. Im Anfangsstück des Ösophagus trifft 
man ausschliesslich quergestreifte Muskulatur an; zu dieser gesellen 
sich im weiteren Verlauf des Schlundes glatte Muskelfasern hinzu und 
zwar in dem Masse, dass im unteren Teile des Schlundes die glatte 
Muskulatur bedeutend die quergestreifte überwiegt. Nur im untersten 
Abschnitt, ganz in der Nähe des Überganges in die Kardia, finden 
sich ausschliesslich glatte Muskelfasern. Was nun den freien Raum 
anlangt, den Helly um die quergestreiften Muskelbündel herumliegen 
sah, so bin ich auf Grund meiner Präparate von drei Exemplaren zu 
dem Schluss gekommen, dass es sich hierbei um eine histologische 
Eigentümlichkeit nicht handeln kann, sondern dass es lediglich 
Schrumpfungserscheinungen sind, die ihren Grund wohl in dem nicht 
mehr ganz frischen Material Hellys haben. 

Nach aussen hin ist der Schlund von einer gut entwickelten, binde- 
gewebigen Adventitia umkleidet. 

Zum Schlusse des Kapitels über den Schlund möchte ich noch 
einige kurze Mitteilungen über die Zentralkörperchen machen. In dem 


124 Franz Dietrich, 


geschichteten Pflasterepithel des Schlundes konnte ich mit Sicherheit 
das Vorhandensein von Zentralkörperchen nur in der Schicht der poly- 
gonalen Zellen feststellen. Die Schicht der zylindrischen Zellen stellte 
dem Auffinden von Zentralkörperchen dadurch Schwierigkeiten in den 
Weg, dass ihr eine derart intensive Färbung eigen war, dass Einzel- 
heiten im Zellprotoplasma nicht erkannt werden konnten. Auch die 
direkt an diese Schicht anstossenden polygonalen Zellen boten zufolge 
starker Färbbarkeit und ziemlich dichter protoplasmatischer Körnelung 
nicht gerade ein günstiges Objekt für die Bestimmung der Lage der 
Zentralkörperchen; aber immerhin gelang es mir, in diesen ab und zu 
Zentralkörperchen nachzuweisen. Besonders deutlich waren die Zentral- 
körperchen zu sehen in den polygonalen Zellen, die sich etwa in der 
Mitte des gesamten Epithels befanden. Meist lagen sie, zwei an der 
Zahl, in Grösse einander ziemlich gleich, mässig voneinander entfernt, 
in der Nähe des Zellkernes, manchmal wchl auch etwas mehr aus der 
Region des Zellkernes weggedrängt. Dass die Lage der Zentralkörper- 
chen an eine bestimmte Gesetzmässigkeit gebunden war, wie dies z. B. 
Zimmermann in dem geschichteten Plattenepithei der Kornea von Inuus 
Rhesus fand, dass nämlich das Diplosoma stets zwischen dem Kern 
und der der Oberfläche des Gesamtepithels zugekehrten Seite lag, 
konnte ich nicht ermitteln. Allerdings konnte ich mich davon über- 
zeugen, dass die Zentralkörperchen verschiedentlich diese spezielle 
Lage einnahmen, aber fast ebenso häufig waren andere abweichende 
Lagen anzutreffen. Bei den platten Zellen waren nur in äusserst 
seltenen Fällen Zentralkörperchen zu sehen, in den dem Schlundlumen 
am nächsten gelegenen Zellen sah ich solche niemals. 


2. Magen. 

Die ältesten Angaben, die man über den Magen von Dasypus findet, 
sind die Angaben, die v. Rapp in seinen „Anatomischen Untersuchungen 
über die Edentaten“ macht (1843). Er beschreibt den Magen von den ver- 
schiedenen Vertretern der Edentaten und teilt diese ein in solche, die einen 
einfachen, und solche, die einen zusammengesetzten Magen haben. v. Rapp 
schreibt: „Ein einfacher Magen kommt denen zu, welche von tierischen 
Substanzen sich nähren, ein sehr zusammengesetzter Magen den bloss 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 125 


von Baumblättern lebenden Faultieren. Aber auch der einfache Magen 
einiger Edentaten, besonders der Schuppentiere und Gürteltiere, zeigt 
schon Spuren von einem Zerfallen in mehrere Mägen. Bei Manis, 
Orycteropus, Myrmecophaga und Dasypus ist der Magen einfach und 
an der linken Seite mit einem blinden Sack versehen . . . Fast die 
gleiche Bildung zeigt der Magen des schwarzen Gürteltieres, an dem 
die kleine Kurvatur nicht konkav erscheint . . . Die Magenschleimhaut 
des Gürteltieres, Dasypus longicaudus, ist zottig wie die innere Ober- 
fläche des Dünndarmes.“ „Unmittelbar vor dem Pförtner befindet sich 
bei diesem Tier . . . auf der inneren Oberfläche eine dicke, warzen- 
förmige Hervorragung. Sie dient zur Verschliessung des Pförtners. 
Ihr Überzug hat dieselbe Beschaffenheit wie die innere Oberfläche des 
Magens, aber das Innere dieser grossen Warze besteht aus einem 
weissen, sehr elastischen Gewebe . . . Die Muskelhaut des Magens 
der Edentaten erreicht gegen den Pförtner hin eine ausserordentliche 
Dicke... Man findet sogar bei einigen, z. B. beim kleinen Ameisen- 
fresser und bei Dasypus (peba) auf der Oberfläche dieser dicken 
Muskelhaut einen Sehnenstreif.“ 

Eine weitere Angabe findet sich bei Owen (1868): „Das Öso- 
phagusepithel endet bei Dasypus peba an der Kardia.“ Flower (1872): 
„Der Magen (von Dasypus) ist einfach und kugelig, er wird von 
weicher Schleimhaut ausgekleidet, das dicke Ösophagusepithel endet 
an der Kardia. Die Muskulatur verdickt sich im Pylorusteil etwas.“ 
Neueren Datums sind die Abhandlungen von Axel Frhr. v. Klinckow- 
ström, „Zur Anatomie der Edentaten* (1895), und K. K. Hellys „Histo- 
logie der Verdauungswege von Dasypus villosus“. Ich habe mich auch 
hier wieder, wie überhaupt bei der Abhandlung über den ganzen Tractus 
intestinalis, an die Angaben der beiden letzten Autoren gehalten, da 
nur in ihnen die feineren Bauverhältnisse berücksichtigt werden. 

Was die Verteilung der verschiedenen Magendrüsen anbelangt, 
so schreibt v. Klinckowström wie folgt: „Der Magen zerfällt in zwei 
Abteilungen, eine grössere (Pars cardiaca) und eine kleinere (Pars 
pylorica), jene Träger der Lab- oder Belegzellendrüsen, diese der 
Pylorusdrüsen. Ausserdem ist eine kleine kranzfórmige Zone von 
Kardiadrüsen um die Kardiaöffnung vorhanden.“ An einer anderen 


126 Franz Dietrich, 


Stelle: „Die Schleimhaut ist weich, sammetartig und drüsenreich; 
rings um die Kardiaöffnung liegt eine kleine Gruppe von Schleimdrüsen 
von durchaus der Struktur der Schleimdrüsen der Pars pylorica. Dieser 
Drüsenring ist scharf gegen den durch Pflasterepithel und gewaltige 
Muzindrüsen charakterisierten Ösophagus abgesetzt, geht aber nach 
unten allmählich in das Labdrüsengebiet über.“ 

K. K. Helly stellt folgende Einteilung auf: „Der grösste Teil des 
Magens wird von der Fundusdrüsenregion eingenommen, ein bedeutend 
kleinerer gehört der Region der Pylorusdrüsen an, und nur ein sehr 
schmaler Ring ist wenigen Schläuchen der Kardiadrüsen vorbehalten. 
Die an der Kardia gelegenen Zellen kennzeichnen sich, wie bei diesem 
Tier, ebenfalls als Schleimdrüsen, unterscheiden sich aber ganz bedeutend 
von den Schlunddrüsen. Ihre Zellen sind schleimabsondernde Zylinder- 
zellen von ungefähr 15 « Länge mit schwach ovalem, mehr an der 
Basis gelegenem Kern. Auch unter diesen Drüsen finden sich zystische 
Erweiterungen.“ 

Nach meinen Untersuchungen komme ich zu der Ansicht, dass man 
bei Dasypus vill. von einer eigentlichen Kardiadrüsenzone, d. h. von 
einer besonderen Zone kardialer Drüsen, wohl nicht sprechen kann. 
An der Übergangsstelle des Ösophagus in den Magen, die auf Tafel VII, 
Fig. 11 dargestellt und leicht kenntlich ist durch den Wechsel des Epithels, 
finden wir auf dem Längsschnitt etwa 5—6 Drüsenschläuche — von der 
Ösophagusgrenze aus nach links gerechnet —, die ihrem Bau und ihrer Be- 
schaffenheit zufolge nicht als Kardiadrüsen angesprochen werden können; 
ihr zylindrisches Epithel unterscheidet sich in nichts von dem Hauptepithel 
der sich in der Figur nach links anschliessenden Fundusdrüsenregion. 
Das erste Magengrübchen ist auf der einen Seite, und zwar in der 
Figur auf der rechten, ausgekleidet von den zylindrischen Zellen des 
geschichteten Ösophagusepithels — die Schicht der glatten und poly- 
sonalen Zellen verschwindet an dieser Stelle —, auf der anderen, in 
der Zeichnung auf der linken, vom zylindrischen Magenepithel, das hier 
zum ersten Male auftritt. Nur diesen oben beschriebenen 5—6 Drüsen- 
schläuchen fehlen die Belegzellen. Wie aus der Zeichnung gut ersicht- 
lich ist, treten bereits etwa im 7. Drüsenschlauch ungefähr dort, wo 
sich der längsgeschnittene Ausführungsgang schräg gegen das Epithel 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 127 


hinzieht, einzelne Belegzellen im basalen Teile der Drüsenschläuche auf; 
der Ausführungsgang gehört einer der vereinzelten versprengten Schlund- 
drüsen an, die etwas über die Grenze hinaus in die Magenregion hinein 
verdrängt worden sind. In der Figur weiter nach links hin, also 
mehr mageneinwärts, werden die grossen, rundlichen Belegzellen mit 
ihrem stattlichen kugelfórmigen Kern zahlreicher und auch in der 
ganzen Ausdehnung der Drüsenschläuche sichtbar. 

Meines Erachtens ist also diese schmale Zone ohne Belegzellen 
lediglich als Übergang anzusehen. 

Es liegen demnach bei Dasypus ähnliche Verhältnisse vor, wie sie 
Rina und Achille Monti beim Murmeltier gefunden haben, dass nämlich 
der Magenschleimhaut des Murmeltieres eine Kardiadrüsenzone fehlt; 
an ihrer Stelle finde sich ein äusserst dünner Drüsenring, in dem einige 
Drüsen der Belegzellen ermangeln. 

Des weiteren sind folgende Angaben mit meinen Befunden zremlich 
identisch. Barpi (1903) fand bei der Katze eine echte Kardiadrüsen- 
zone (im Sinne Oppels) nicht, „vielmehr zeigten sich sofort an der 
Kardia stets, wenn auch vereinzelte Belegzellen.“ Bei Haane (1905) 
fand ich folgende Mitteilung: „Das Pferd besitzt keine Kardiadrüsen 
im Magen, die früheren dahingehenden Angaben beruhen auf Täu- 
schungen der Untersucher. Wohl aber besitzt das Pferd eine kardiale 
Pylorusdrüsenzone, die der früher als Kardiadrüsenzone beschriebenen 
am Margo plicatus gelegenen Region entspricht. Ganz ähnliche Ver- 
hältnisse fand Edelmann (1889) beim Marder, (1899) beim Hasen und 
Kaninchen. 

Fundusdrüsen. 

Bei allen bis jetzt untersuchten Säugetieren, abgesehen von den 
Monotremen, für welche Oppel das Fehlen von Fundusdrüsen feststellte, 
wurden Haupt- und Belegzellen konstatiert. Auch bei Dasypus villosus 
sind letztere sehr zahlreich anzutreffen. Selbst hoch oben im Zylinder- 
epithel des Drüsenausganges kommen hin und wieder Belegzellen vor, 
was zuerst Heidenhain (1870) beim Hund, und später Friedinger, Henle, 
Bentkowski, Nussbaum, Stöhr, Oppel und Glinsky für Dachs, Meer- 
schweinchen, Katze, Hund, Kaninchen, Fledermaus und Mensch be- 
schrieben haben, 


128 Franz Dietrich, 


Dass Hauptzellen sich im Drüsenhals vorfinden, bestätigen Heiden- 
hain (1871) und Bentkowski (1876) für Hund und Kaninchen, für den 
Menschen und verschiedene Säugetiere Stöhr (1882) und Glinski (1883). 
Auch beim Borstengürteltier konnte ich mich davon überzeugen, dass 
der Drüsenhals nicht lediglich mit Belegzellen ausgekleidet ist, sondern 
auch mit Hauptzellen. 

Was die Lage der Belegzellen anbelangt, so war früher nur 
bekannt, dass den Belegzellen eine exzentrische Lage eigen ist, dass 
sie „bald der Innenfläche einer glatten Membrana propria nur anliegen 
oder jede in einer besonderen, nischenförmigen Ausbuchtung des Drüsen- 
schlauches gelagert sind“, wie F. E. Schulze sich über seine Befunde 
beim Delphin äussert (1867), dem auch Brünner (1876) für das Schwein, 
Delphin, Wasserratte und Schweifbiber beipflichtet. Heidenhain bereits 
stellte fest, dass sich zwischen benachbarten Belegzellen feine Spalten 
vom Drüsenlumen hineinschieben, doch „stets sei das Prinzip festzu- 
halten, dass die Belegzellen ausser Berührung mit dem Drüsenlumen 
bleiben, weil sie von diesem durch die Hauptzellen getrennt werden.“ 
Stöhr (1880) stellte fest, dass sich die Belegzellen gegen das Drüsen- 
lumen zu verjüngen und sich mit einem schmalen Fortsatz nach dem 
Drüsenlumen hin drängen und dies erreichen; nach seinen Worten sind: 
„Die Belegzellen des Menschen, Hund, Katze, Dachs nicht vollständig 
vom Lumen abgedrängt, sondern nehmen vielmehr an der Begrenzung 
desselben stets grösseren oder geringeren Anteil (1882).“ Trenkler 
(1884) und Moschner (1895) schliessen sich den Angaben Stöhrs an; 
desgleichen fand Montané (1889) beim Hund und Pferd Belegzellen 
mit spindelförmigen Fortsätzen, die sich zwischen den Hauptzellen hin- 
durch erstrecken und das Drüsenlumen erreichen. 

Obige drei Lagebeziehungen der Belegzellen zu den Hauptzellen 
konnte ich auch bei Dasypus beobachten. Neben der exzentrischen 
Lage der Belegzellen zum Drüsenlumen war der Fall nicht selten, 
dass die Belegzellen sich mit schmalen, spitzen Fortsätzen zwischen 
die Hauptzellen hineinschoben und so das Drüsenlumen mit dem fein- 
sten Ende der Fortsätze erreichten. Auffallend gross war aber auch 
die Zahl der Belegzellen, die mit ihrer Oberfläche direkt an der Be- 
srenzung des Drüsenlumens beteiligt waren. 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 129 


Über den feineren Bau der Fundusdrüsen möchte ich noch folgen- 
des aussagen: die Hauptzellen haben Zylinder- oder Pyramidenform; 
ihre Kerne sind meist länglich, rund oder walzenförmig und liegen 
mit ihrer Längsachse parallel zur Basis der Zelle, sind ziemlich basal, 
etwa im äusseren Drittel der Zelle gelagert und zeigen mit Häma- 
toxylin eine starke blaue Färbung, während das Protoplasma sich mit 
Hämatoxylin nur äusserst schwach färbt. 

Die Belegzellen sind durchweg rundlich oder polyedrisch, meist grösser 
als die Hauptzellen und haben ein körniges Protoplasma. Charakte- 
ristisch für sie sind die auffallend grossen Kerne, die stets zentral 
liegen. Die beste, deutlichste Färbung der Belegzellen erzielte ich mit 
alkohollöslichem Eosin; ich machte die Wahrnehmung, dass die Fär- 
bung mit Eosin der mit Kongorot vorzuziehen ist. 

Kupffer, Sachs, Trinkler, Stintzimg und Bonnet finden im Fundus 
des Menschen Belegzellen mit zwei bis drei Kernen. Ich sah wohl hei 
Dasypus häufig Belegzellen mit zwei Keinen, von dem Vorhandensein 
von mehr als zwei Kernen — Bonnet fand nämlich sogar grosse Be- 
leezellen mit 4—6 Kernen — konnte ich mich bei Dasypus nicht 
überzeugen. Desgleichen war es mir auch nicht möglich, wie Ham- 
burger dies beim Hund bestätigt fand, dass Leukozyten in die Beleg- 
zellen eingewandert waren. In dem zylindrischen Magenepithel waren 
eingewanderte Leukozyten häufig anzutreffen. 


Pylorusdrüsen. 

Wie bereits erwähnt, sind die Pylorusdrüsen auf einen viel 
kleineren Raum beschränkt als die Fundusdrüsen. Bezüglich ihrer 
Lage innerhalb der Schleimhaut möchte ich bemerken, dass sie ledig- 
lich vorzufinden sind in der Tunica propria; ein ähnliches Verhalten, 
wie es kürzlich (1905) Deimler von mehreren Säugern angegeben hat, 
nämlich dass gegen den Magenausgang zu einzelne Drüsen die Muscu- 
laris mucosae durchbrechen und in die Submukosa hinüberreichen, 
konnte hier nicht ermittelt werden. Durch Isolierung mit rauchender 
Salpetersäure wurde der Nachweis erbracht, dass man es mit einfach 
gebauten, wenig verästelten, tubulösen Drüsen zu tun hat. 

Wie die Abbildung Fig. 6 der Tafel VII ganz deutlich zu er- 


Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 9 


130 Franz Dietrich, 


kennen gibt, zeichnen sie sich aus durch den fast ganz gestreck- 
ten Verlauf bis nahe zum Grunde, wo sie sich etwas ampullenförmig 
erweitern; auch besitzen sie ein verhältnismässig enges Lumen. Des 
weiteren fällt bei der Betrachtung dieses Bildes sofort auf, dass die 
Drüse in ihrer ganzen Länge nicht überall das gleiche Aussehen zeigt. 
Die Drüsenendschläuche sind derart schwach tingiert, dass sie fast 
ganz farblos erscheinen; der darauffolgende Abschnitt der Drüse, 
etwa ein gutes Drittel, zeigt eine äusserst intensive Färbung, während 
der Farbenton der Partie nach dem Magenlumen hin, was ja auch 
hier noch auf dem vorstehenden Bilde teilweise zum Ausdruck gebracht 
ist, wieder etwas abgeschwächt ist. | 

Was nun den feineren Bau der Drüsenepithelzellen betrifft, so ist 
folgendes zu bemerken: Die Zellen des Drüsenendstückes haben fast 
Zylinderform, ihre Basis ist jedoch stets etwas breiter als die Ober- 
fläche; sie besitzen eine feine Körnelung und ein äusserst zartes Netz- 
werk. Ihre abgeplatteten Kerne sind ausnahmslos mit ihrer Längs- 
achse parallelgestellt der Basis und letzterer fast direkt angelagert. 
In der Region nun, wo die intensivere Färbung der Zellen auftritt, 
also etwa im zweiten Drittel des Drüsenschlauches, werden die Kerne 
grösser und nehmen — Übergangsformen natürlich nicht ausgeschlossen — 
allmählich Kugelform an. Auch sie liegen anfangs noch ziemlich basal, 
rücken jedoch gegen das Magenlumen hin immer etwas mehr nach der 
Zellmitte hin vor, so dass sie schliesslich an der dem Magenlumen 
zugewandten Seite ungefähr eine drittel Zelllänge von der Basis entfernt 
liegen. 

Deimler fand Stöhrsche Zellen beim Hunde sehr häufig, weniger 
häufig beim Schwein und noch erheblich seltener bei den anderen von 
. ihm untersuchten Tieren. Bei Dasypus nun waren Stöhrsche Zellen, 
deren Plasma sich sehr gut mit Kongorot färbte, recht reichlich vertreten. 
Besonders deutlich und ins Auge fallend wurden sie im Bereiche des sich 
wenig färbenden Drüsenendschlauches, wo sie sich zufolge ihrer dunk- 
len Färbung von den fast weiss erscheinenden Drüsenepithelzellen 
wirksam abhoben. In Figur 6 auf Tafel VII lassen sich, obwohl 
diese Figur bei der verhältnismässig schwachen Vergrösserung von 
230 : 1 angefertigt ist, doch ganz gut verschiedene Stóhrsche Zellen 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 131 


zufolge ihrer intensiven Färbung und ihres grossen runden Kernes 
nachweisen. So sieht man z. B. eine solche ungefähr in der Mitte 
des Gesichtsfeldes auf dem grössten Querschnitt eines Drüsenend- 
schlauches, auf der oberen Seite. Bei näherem Zusehen lassen sich 
auch an den übrigen Drüsen noch verschiedene Stöhrsche Zellen auf- 
finden. Die Stöhrschen Zellen haben meist die Form eines abgestumpf- 
ten Kegels und sind direkt an der Begrenzung des Lumens beteiligt. 
Ihr chromatinreicher Kern, von auffallender Grösse, der im basalen 
Zelldrittel liegt, hat fast durchweg Kugelform und ein oder häufig 
auch mehrere Kernkörperchen. 


Muscularis mucosae des Magens. 


Die im Ösophagus in Form gesonderter, starker und breiter längs- 
verlaufender Bündel auftretende Muscularis mucosae zeigt an der Ein- 
trittsstelle in den Magen eine Abnahme an Stärke (s. Fig. 11 auf 
Tafel VIII); die Bündel erscheinen nicht mehr so breit und geschlossen 
wie im Ösophagus. In der Region der Fundusdrüsen ist die Musku- 
laris jedoch verhältnismässig recht gut ausgebildet, etwa ein drittel 
so breit als die Schleimhaut. Weiter in den Magen hinein gesellen 
sich zu den bis jetzt nur einfach längsverlaufenden Muskelbündeln der 
Muscularis mucosae einzelne Ringfasergruppen hinzu, die stellenweise 
an Mächtigkeit nicht hinter den ersteren zurückstehen. An manchen 
Präparaten schienen beide Schichten scharf geschieden zu sein. Öfters 
jedoch durchkreuzen sich beide Schichten und vermischen sich teil- 
weise. 

In der Nähe des Pylorus wächst, wie die Muskelhaut, so auch die 
Muscularis mucosae; sie ist hier reichlich so dick wie die Schleimhaut. 
Nunmehr haben sich die beiden Muskelschichten derart miteinander 
vermengt, dass auch die ursprüngliche Längsmuskelschicht hin und 
wieder von der Schleimhaut verdrängt und durch zirkulär verlaufende 
Muskelschichten ersetzt wird. Es bietet sich häufig das Bild, als wenn 
die mehr oder minder grossen Ringmuskelbündel von den längsverlaufen- 
den Muskelbündelchen umsponnen würden. In der Region des Fundus 


wie des Pylorus gewahrt man oft, dass Bündelchen von der Muscularis 
E 


132 Franz Dietrich, 


mucosae nach der Schleimhaut zu senkrecht abschwenken, zwischen 
den Drüsenschläuchen emporsteigen und dieselben umgeben. Am meisten 
Ähnlichkeit hat das Verhalten der Muscularis mucosae des Dasypus 
mit dem der Muscularis mucosae des Kaninchens, wie es bereits Klein 
(1871) in: Klein und Verson, „Der Darmkanal“, beschrieb. 


Muskularis des Magens. 


Die Muskularis des Magens bietet wenig Bemerkenswertes; sie 
besteht aus einer inneren Ring- und einer äusseren Längsmuskelschicht. 
Quergestreifte Muskelfasern, die sich im Ösophagus fanden, sind nicht 
mit in den Magen übergetreten. Im Gebiet der Fundusdrüsen reprä- 
sentieren sich die inneren zirkulär verlaufenden Muskelbündel als eine 
Schicht von doppelter Breite wie die äusseren Längsmuskelbündel. In 
der Pylorusgegend ist die Muskulatur in meinen Präparaten sehr stark 
entwickelt; die innere Ringschicht ist gut doppelt so breit wie die 
Schleimhaut, Muscularis mucosae und die Submukosa zusammen, die 
äussere Längsschicht etwa ebenso breit wie die drei zuletzt genannten 
Schichten. 


3. Duodenum. 


Die Schleimhaut des Duodenums von Dasypus vill. weist zahlreiche, oft 
netzförmig verzweigte oder auch mehr longitudinal gerichtete Falten und 
auf der ganzen Schleimhautfläche Zotten auf; letztere sind von breiterer 
Form als die des Dünndarmes; im Duodenum haben sie ungefähr Blatt- 
form, im Dünndarm eine mehr schmale, zylindrische Gestalt. Das Epithel, 
das die ganze Schleimhautoberfläche überzieht, ist ein einfaches Zylinder- 
epithel, dessen freie Oberfläche einen feinstreifigen, gut ausgebildeten 
Kutikular- oder Basalsaum trägt. Die Streifung ist häufig in den Präpa- 
raten in sehr deutlich voneinander unterscheidbare, isolierte Härchen auf- 
gelöst. Becherzellen von rundlich-ovaler Form sind im Duodenum ungefähr 
gerade so häufig wie im Anfangsabschnitt des Dünndarmes. Die im 
allgemeinen mit Heidenhains Eisenalaunhämatoxylin ziemlich intensiv 
schwarzblau tingierten Kerne der epithelialen Zylinderzellen sind durch- 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 133 


gehend länglichrund bis oval und stehen mit ihrer grössten Achse in 
der Längsrichtung der Zylinderzellen, nicht ganz in deren Mitte, sondern 
etwas näher der Basis gerückt. An den zylindrischen Zellen lassen 
sich bezüglich ihrer verschiedenen Tinktion etwa drei Zonen unter- 
scheiden; die unterste, die basale, die etwa zwei Fünftel der 
sanzen Zelle ausmacht und den Kern beherbergt, der seinerseits von 
einem schmalen hellen Saum umgeben ist, ist ziemlich dunkel gefärbt; 
auf diese folgt über dem Kern eine zweite auffallend helle Region, 
deren Ausdehnung etwa ein Fünftel der Zelllänge beträgt. Die beiden 
letzten Fünftel der Zelle zeigen die dunkelste Färbung innerhalb des 
ganzen Zellleibes. In diesem Zellabschnitt ist ein typisches Diplosoma 
ziemlich nahe der freien Oberfläche sichtbar, aber derart, dass immer 
noch zwischen ihm und der Oberfläche ein schmaler Protoplasmastreifen 
übrigbleibt. Die beiden ziemlich nahe nebeneinander liegenden schwarzen 
Zentralkörperchen befinden sich in einem schmalen, hellen, ovalen Raum, 
der sich von der übrigen dunklen Umgebung abhebt. Die Verbindungs- 
achse des Systems ist in der Regel parallel der freien Oberfläche ge- 
stellt. Bei den Becherzellen sieht man inmitten der gesamten Schleim- 
masse, die sich aus vielen Körnchen zusammensetzt, in der Regel eins, 
selten zwei Zentralkörperchen, die auch wieder von einem schmalen, 
hellen Hof umgeben sind. 

Die Mukosa des Duodenums besitzt reichlich Lieberkühnsche Drüsen, 
die verhältnismässig kurz sind. 

Die Muscularis mucosae ist eine schmale, bandförmige Schicht 
längsverlaufender Muskelfasern, die hin und wieder dünne Faserbündel 
bis in die Spitzen der Zotten hineinschickt. 

Auf die Muscularis mucosae folgt die Sabmukosa, in die zahlreiche 
gut entwickelte Brunnersche (Duodenal-)Drüsen eingelagert sind, nament- 
lich stark in den Falten; in dem gestreckten, ungefalteten Teil der 
Submukosa des Duodenums, also in dem Abschnitt zwischen zwei Falten, 
sind die Brunnerschen Drüsen nur äusserst schwach vertreten, und 
diese Stellen werden fast lediglich durch submuköses Bindegewebe aus- 
gefüllt, das an Stärke keiner der beiden Muskelschichten gleichkommt. 
Die Submukosa besteht aus lockerem, fibrillärem Bindegewebe mit 
spärlichen elastischen Fasern, in dem auch lymphadenoides Gewebe, 


134 Franz Dietrich, 


grössere und kleinere Gefässe und hier und da auch starke Fetteinlage- 
rungen vorzufinden sind. Die Brunnerschen Drüsen sind verästelte 
tubulöse Drüsen mit ziemlich hohem Epithel; sie schieben sich teilweise 
in die Muscularis mucosae ein, deren Muskelbündel sich des öfteren 
‚trennen und sich um die Drüsen herumlegen. Eine Einlagerung der 
Drüsenkörper in die Tunica propria konnte nicht konstatiert werden. 
Das Drüsenlumen ist deutlich sichtbar. Die Kerne haben Ellipsoid- 
bis Eiform, sind mit ihrer Längsachse der Zellbasis parallel gestellt, 
liegen fast ganz basal und zeigen mit Hämatoxylin eine auffallend 
dunkle Färbung. Ausführungsgänge konnte ich an meinen Präparaten 
nur spärlich ermitteln; sie durchbrechen die Muscularis mucosae, werden 
begleitet von Bindegewebsfasern, und münden direkt in die Darm- 
lichtung an dem Grund der Zotten. Zu ähnlichen Resultaten kam 
auch Bogomoletz beim Pferd, Ochs, Schwein, Schaf, Hund, Katze, Ka- 
ninchen, Ratte und Maus. Niemals konnte ich sehen, dass die Aus- 
führungsgänge in den Lieberkühnschen Drüsen enden, wie dies z. B. 
Renaut und Kuczinski beim Pferd, Meerschweinchen, Ratte und Maus 
feststellten. Die Ausführungsgänge sind mit einem Zylinderepithel aus- 
gekleidet, das niedriger und breiter ist als das Epithel der Duodenal- 
drüsen; ihre Kerne liegen ebenfalls am basalen Ende der Zellen. 

An der Muskelhaut unterscheidet man die innere zirkuläre und die 
äussere longitudinale Schicht glatter Muskelfasern, von denen die erstere 
etwa zweimal so breit ist wie die letztere. 


. 4. Darm (Intestinum tenue et crassum) ausser Duodenum. 


Im Anfange des Dünndarmes sind die oft zusammenfliessenden 
Plicae cireulares etwas höher und schmäler als im Endabschnitt des 
Dünndarmes. Die Schleimhaut des ganzen Dünndarmes ist bedeckt 
mit Zotten von fingerförmiger, teilweise zylindrischer Gestalt, teil- 
weise von Kolbenform mit verdicktem Ende. An der Oberfläche 
befindet sich ein einfaches zylindrisches Epithel, an dem besonders 
ein sehr ausgeprägter Basalsaum auffällt. Namentlich im Dünndarm, 
aber auch noch im Anfangsteil des Dickdarmes, weist der Basalsaum 
eine derart stattliche Entwicklung auf, wie man sie nur selten zu 
sehen bekommt. Je mehr man sich dem Ende des Dickdarmes nähert, 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 135 


desto weniger ansehnlich wird der Kutikularsaum; er verliert gegen 
das Ende des Dickdarmes hin immer mehr an Deutlichkeit. Becher- 
zellen trifft man im Verlauf des ganzen Darmes an. Im Dünndarm 
überwiegt die Zahl der Zylinderzellen bedeutend die der Becherzellen; 
letztere sind besonders zahlreich am Zottengrunde; nach den Zotten- 
spitzen zu nehmen sie in ihrer Zahl ab; an dem Grund der Zotten 
enthalten sie auch mehr Schleim als an den Zottenspitzen. 

Die Tunica propria der Mukosa besteht aus zartem, lockerem 
Bindegewebe. Ein Stratum compactum, eine kernfreie oder kernarme 
Schicht kompakten Gewebes, wie Oppel und andere sie in der Mukosa 
zwischen den Drüsenenden und der Muscularis mucosae im Darm ver- 
schiedener Fische, z. B. Hecht, Forelle, Schleie, Huchen und bei ver- 
schiedenen Säugetieren, wie bei Dasyurus hallucatus, Manis javanica, 
beim Hund, Fuchs und der Katze beschreiben, konnte ich in dem Darm 
von Dasypus vill. nicht vorfinden. Helly gibt zwar an, dass ein Stra- 
tum compactum in dem von ihm untersuchten Falle (auch Dasypus 
vill.) nur höchst undeutlich zu erkennen war. Ich glaube jedoch, dass 
dieses Bild den natürlichen Verhältnissen nicht entspricht, und dass 
diese Erscheinung von einem Stratum compactum bei K. K. Hellys 
Material auf Kosten der Konservierung zu setzen ist; denn er betont 
selbst eingangs seiner Arbeit, dass es sich bei seinen Untersuchungen 
nicht um ganz frisches, tadelfreies Material handle. 

Die Submukosa bietet weiterhin nichts Neues; sie besteht aus 
fibrillärem Bindegewebe, das reichlich von Fetteinlagerungen und Blut- 
gefässen durchsetzt ist. 

Deutlich abgesetzte Solitärknötchen konnten sowohl im Ösophagus 
wie im ganzen Darm, obgleich sehr viele Präparate daraufhin durch- 
gesehen wurden, nicht ermittelt werden. Im Ösophagus war ja aller- 
dings Iymphadenoides Gewebe, wenn auch nicht direkt in Lymphfollikel- 
form, zu bemerken; im Darm dagegen trat es recht spärlich auf, meist 
in Form von Streifen. 

An der Muscularis mucosae wurden vereinzelt bei Säugetieren 
zwei Schichten festgestellt, und zwar eine innere Ringmuskelschicht 
und eine äussere Längsmuskelschicht. So konstatierten Lipsky (1867) 
und Verson (1871) diese Schichten für die Muscularis mucosae des 


136 Franz Dietrich, 


Kaninchens; Ellenberger (1884) gibt für die des Pferdes an: „Die 
Muscularis mucosae stellt im Anfangsteil des Jejunums eine einfache 
Längsfaserschicht dar, wird dann dicker und zweischichtig und besteht 
aus einer dünneren Längs- und einer dickeren Kreisfaserschicht, wozu 
noch transversal verlaufende Fasern kommen.“ Ferner konnte Oppel 
(1897) an der Muscularis mucosae von Ornithorhynchus anatinus, wenn 
auch nicht überall, eine innere Ring- und eine äussere Längsschicht 
unterscheiden. Auch Helly hat in seinem Aufsatze die Verhältnisse 
der Muskulatur besprochen, seine Untersuchungen jedoch nicht derart 
eingehend gestaltet, dass sie ihn zu einem durchaus einwandfreien 
Urteil geführt hätten. Er schreibt nämlich: „Die Muskulatur zerfällt 
in die Muscularis mucosae und in die eigentliche Muskelhaut des 
Darmes, welche beide je aus einer äusseren Längs- und einer inneren 
Ringsmuskelschicht bestehen.“ Bei Durchmusterung meiner Schnitte 
machte ich nun die Wahrnehmung, dass sich meine Befunde bezüglich 
der Muscularis mucosae etwa decken mit denen, die Ellenberger an 
der Muscularis mucosae beim Pferde erheben konnte. Wie die bei- 
gefügten Photographien (Fig. 1—4 auf Tafel VII) erkennen lassen, 
ist im vorderen Teile des Dünndarmes die Muscularis mucosae ledig- 
lich eine Schicht längs verlaufender glatter Muskelfasern und ist 
äusserst schmal; im weiteren Verlaufe des Dünndarmes nimmt sie 
etwas an Breite zu; im Anfangsteil des Dickdarmes ist die erste An- 
lage einer nach innen angelagerten Ringmuskelschicht zu sehen, die 
am Endabschnitt des Dickdarmes schliesslich eine Schicht repräsentiert 
von viertel, ja ab und zu bis halber Breite der Längsmuskelschicht. 
Unregelmässige, zarte Faserzüge der Muscularis mucosae erstrecken 
sich unmittelbar bis unter die Oberfläche der Darmschleimhaut und 
lassen sich auch bis in die Spitzen der Zotten verfolgen. 

Die Muscularis des Darmes besteht aus einer äusseren Schicht 
längsverlaufender und einer inneren Ringschicht glatter Muskelzellen. 
Im Anfange des Dünndarmes ist die Dicke der longitudinalen Muskel- 
schicht annähernd gleich der zirkulären; eine von Albin neu beschriebene 
Schicht schräg verlaufender Fasern, die er beim Hunde vorfand, war 
nicht sichtbar. Im mittleren Teile des Dünndarmes ist die Ringmuskel- 
schicht etwas breiter als die Längsmuskelschicht. Dasselbe ist zu be- 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 137 


obachten im Endabschnitt des Dünndarmes; hier hat die Ringmuskel- 
schicht schon fast die doppelte Breite der Längsmuskelschicht. Dieses 
Stärker- resp. Breiterwerden der Ringmuskelschicht nimmt in den 
folgenden Partien des Darmes derart zu, dass letztere bereits im 
vorderen Teil des Dickdarmes die Längsmuskelschicht stark um das 
Dreifache an Mächtigkeit übertrifft. Im Endabschnitt des Dickdarmes 
finden wir ungefähr das gegenteilige Verhältnis: bezüglich ihrer Breite 
haben Rings- und Längsmuskelschicht ihre Rollen vertauscht. Die 
Längsmuskelschicht ist jetzt im unteren Teile des Dickdarmes etwa 
1—1'/,mal so breit als die Ringsschicht. Die beigefügten Photographien 
Fig. 1—4 auf Tafel VII mögen dies erläutern. 

Ihren Abschluss nach aussen findet die Darmwand durch eine 
bindegewebige Serosa. Im Dickdarm ist sie etwas breiter als im 
Dünndarm, da dort die Bindegewebselemente, durchflochten von ziem- 
lich zahlreichen elastischen Fasern, etwas mehr entwickelt sind als 
in jenem. Die freie Oberfläche der Serosa, also die der Musku- 
laris abgewandte Seite derselben, wird von einer einfachen Lage platter, 
polygonaler, nicht sehr grosser Epithelzellen überzogen. 

Die Lieberkühnschen Drüsen des Dünndarmes sind auffallend kurz, 
die des Dickdarmes stehen durch die ganze Länge desselben dicht 
beieinander. Im Dickdarm haben die Drüsen ungefähr zylindrische 
Form, verlaufen ungeteilt und enden mit einem minimal angeschwollenen, 
keulenförmigen Fundus. Der Drüsengrund ist zum grossen Teil aus- 
gekleidet mit zylindrischen Zellen; hier und da findet man auch Becher- 
zellen im Drisengrunde. Von den Epithelzellen der Oberfläche unter- 
scheiden sich die Zellen der Lieberkühnschen Drüsen in erster Linie 
dadurch, dass ihnen der für die Oberflächenzellen typische Basalsaum 
fehlt, dann aber auch durch die Lage ihrer Kerne; letztere liegen 
nämlich fast ganz basal, während die Kerne der Epithelzellen der 
Oberfläche mehr in die Mitte der Zelle getreten sind. Der Übergang 
von einer zur anderen dieser extremen Kernlagerung vollzieht sich 
allmählich. Vom Drüsengrunde aus gegen das Darmlumen hin werden 
die Becherzellen immer zahlreicher und zwar derart, dass häufig je 
‘eine Zylinderzelle mit je einer Becherzelle abwechselt. Des öfteren 
sieht man sogar mehrere Becherzellen direkt nebeneinander. Zellen, an- 


138 Franz Dietrich, 


gefüllt mit Körnchen, sogenannte Panethsche Zellen, wie sie für die 
Lieberkühnschen Drüsen mancher Tiere charakteristisch sein sollen, 
konnte ich bei Dasypus nicht darstellen. Sowohl das Oberflächen- 
epithel als auch das Drüsenepithel weisen zahlreiche Leuko- 
zyten auf. 

Was den Blinddarm anbelangt, so konnten bezüglich seines histolo- 
gischen Aufbaues keine Abweichungen von dem des Dickdarmes fest- 
gestellt werden. Makroskopisch ist der Blinddarm der Dasypodiden, 
soweit ihnen ein solcher zukommt, schon des öfteren beschrieben, und 
ich verweise dessenthalben auf die Zusammenstellungen in Oppels 
„Lehrbuch der vergleichenden mikroskopischen Anatomie“, Bd. II, S. 568. 
Ich kann die Angaben von v. Rapp und Flower bestätigen, demzufolge 
Dasypus vill. paarige, kurze, breite, rundliche Cäkalausstülpungen des 
Kolons zu beiden Seiten der Einmündung des Dünndarms besitzt. 


5. Glandula submaxillaris. 


Die Angaben, die ich in der Literatur über die Speicheldrüsen 
der Edentaten, bzw. über die der Dasypodiden fand, waren sehr spärlich 
und beziehen sich fast lediglich auf den makroskopischen Bau, ohne 
weiter der mikroskopischen Anatomie Rechnung zu tragen. Ich will nun 
in aller Kürze die wichtigsten einschlägigen Angaben über die Eden- 
taten-Speicheldrüsen vorausschicken. 

Die erste Mitteilung fand ich bei Meckel (1829); er schreibt: 
„Die Edentaten gehören zu den Säugetieren, deren Munddrüsen am 
stärksten entwickelt sind.“ Auch v. Rapp betont (1852) die ausser- 
ordentlich starke Entwicklung der Unterkieferdrüse von Dasypus peba 
und führt dann folgendermassen aus: ,Die Unterkieferdrüse hat einen 
besonderen eifórmigen, etwa haselnussgrossen Behälter für den Speichel. 
Es kommen 5—6 Ausführungsgänge aus dieser Drüse hervor, werden 
von dem hinteren Ende der Speichelblase aufgenommen, und aus dem 
vorderen Ende der Blase entspringt der Ausführungsgang. Die Blase 
hat dicke Wandungen, man erkennt daran deutlich eine Muskelhaut 
und auf der inneren Fläche eine glatte Schleimhaut, die durch eine 
Lage von dichtem Zellgewebe mit der Muskelhaut verbunden wird. 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 139 


Die Gänge, die in die Blase einmünden, haben viel dünnere Wandung 
als die Blase selbst. Die kleineren Gänge verlaufen eine Strecke weit 
zwischen den Häuten der Blase, wodurch eine klappenartige Einmün- 
dung entsteht.“ 

Des weiteren stellt Owen (1868) das Vorhandensein einer birn- 
förmigen Speichelblase beim Armadillo fest. 

Viaillanes (1880) untersuchte mehrere Gürteltierarten und fand, 
dass die Submaxillaris bei den Edentaten immer. einfach ist. Nach 
ihm sind Dasypus novemeinctus, D. sexcinctus, D. minutus und D. gym- 
nurus mit eigenen Speichelreservoiren versehen, die durch eine ein- 
fache Erweiterung des Ausführungsganges der Drüse gebildet werden. 

Der einzige Autor, der eine genauere Beschreibung vom feineren 
Bau der Speicheldrüsen eines Edentaten gibt, ist H. Eggeling (1899). 
Er fasste seine Resultate bezüglich der Untersuchungen der Submaxillar- 
drüse von Manis javanica folgendermassen zusammen: „Die Drüse 
besteht aus gewundenen, ramifizierten Schläuchen mit engem Lumen 
und dem charakteristischen Epithel der Schleimspeicheldrüsen. Es be- 
stehen Anzeichen lebhafter Sekretion in dem Verhalten von Kern und 
Protoplasma und dem Vorhandensein von Halbmonden. Das gebildete 
Sekret wird ausgeführt durch ein Kanalsystem, das sich durch ein 
verschiedenes Verhalten der Epithelauskleidung gliedert in Schaltstücke, 
Sekretröhren und Ausführungsgänge. Ob letztere wieder in verschie- 
denen Formen, mit flachem und hohem Epithel vorkommen, muss un- 
entschieden bleiben. Die Glandula submaxillaris von Manis javanica 
gleicht in ihrem histologischen Aufbau der von Hund und Katze, da 
sie neben den Schleimdrüsenkanälen keine serösen Teile enthält.“ 

Aus dieser kurzen Literaturübersicht geht zur Genüge hervor, 
dass nur wenige Vertreter der Edentaten-Gruppe bislang auf den 
feineren mikroskopischen Bau ihrer Unterkieferdrüsen untersucht wurden. 
Die Submaxillaris der bis jetzt untersuchten Edentaten stellt sich 
dar als eine einfache Schleimdrüse. Nur die Submaxillaris von Manis 
javanica ist nach den Untersuchungen H. Eggelings eine gemischte Schleim- 
drüse, und zwar eine Schleimdrüse mit Halbmonden, welch letztere in 
nur sehr geringer Anzahl anzutreffen sind. Neben den mukösen Tubulis 
enthält die Submaxillaris dieses Edentaten keine weiteren, besonderen, 


140 Franz Dietrich, 


selbständigen Tubuli serösen Charakters. Eggeling nimmt also mit 
der Mehrzahl der Autoren der Jetztzeit an, dass die sogenannten 
Gianuzzischen Halbmonde seröser Natur sind, und rechnet demzufolge 
auch die Drüsen, die Schleimzellen und Halbmonde enthalten, zu den 
gemischten Drüsen. 

Oppel glaubt nun der Eggelingschen Untersuchung insofern eine 
besondere Bedeutung beimessen zu müssen, als wir nunmehr wissen, 
dass auch bei einem Vertreter der niederen Säugetiere die Submaxillar- 
drüse eine gemischte Drüse sei, wie bei Katze und Hund und der 
Mehrzahl der höheren Säugetiere. 

Was nun den von mir untersuchten Vertreter der Edentaten, 
Dasypus villosus, anbetrifft, so bin ich zufolge meiner Untersuchungen 
(s. die Fig. 7 und 8) zu dem interessanten Resultat gekommen, dass 
die Submaxillaris von Dasypus vill. einen komplizierteren Aufbau hat, 
als die von Manis javan, und dass sie zu den gemischten Schleim- 
drüsen mit serösen Alveolen und mit Halbmonden zu rechnen ist. Es 
findet sich nämlich das seröse Element nicht nur vertreten in Form 
von Halbmonden, wie es H. Eggeling für die Submaxillaris von Manis 
schildert, sondern neben Tubuli, die mit mukösen Epithelzellen aus- 
gekleidet sind und hier und da Gianuzzische Halbmonde aufweisen, 
begegnen wir Alveolen, deren Epithel ein ausgesprochen seröses ist. 
Um gleich von vornherein einem Einwand, der leicht gemacht werden 
könnte und sehr naheliegend ist, die Spitze abzubrechen, betone ich 
ausdrücklich, dass es sich hierbei nicht etwa um Querschnitte durch 
Randzellenkomplexe handeln kann, die eventuell diese besonderen 
serösen Alveoli vortäuschen könnten, sondern dass man in der Tat 
Endkammern vor sich hat, in denen nur seröse Zellen auftreten, wie 
dies klar und deutlich die gut sichtbaren Lumina derselben beweisen. 
Im übrigen ist auch das seröse Element in dieser Drüse derart stark 
entwickelt, dass es einfach unmöglich ist, in ihm lediglich Randzellen- 
komplexe sehen zu wollen. In der ganzen Drüse trifft man also Be- 
zirke an, in denen nur seröse Endkammern vorhanden sind, des wei- 
teren auch solche, die nur aus mukösen Zellen bestehen, schliesslich 
noch Tubuli, die ein gemischtes Epithel, also sowohl Schleimzellen als 
auch seröse Zellen haben, die dann ihrerseits wieder in zwei Formen 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 141 


unterschieden werden können: 1. in Tubuli, bei denen Schleimzellen 
und Eiweisszellen nebeneinander auf der Membrana propria sitzen und 
mit der Oberfläche das Lumen erreichen, 2. in Tubuli, bei denen die 
serösen Zellen nur in Form von sogenannten Gianuzzischen Halbmonden 
auftreten, also den Schleimzellen nach Art der Belegzellen aussen an- 
liegen. Was nun die Verteilung der beiden Elemente, der mukösen 
und serösen anlangt, so konnte ich eine Norm hierfür nicht aufstellen, 
denn bald überwiegt das muköse, bald das seröse um ein wenig; im 
grossen ganzen kann man behaupten, dass beide Elemente etwa gleich- 
stark in der Drüse vertreten sind. 

Ein Unterschied zwischen den Zellen muköser und seröser Natur 
macht sich schon bei schwacher Vergrösserung deutlich geltend (s. Fig. 7). 
Die mukösen Zellen sind zufolge ihres geringen Färbevermögens mit 
Hämatoxylin fast ganz farblos, während die serösen eine dunkle Färbung 
erkennen lassen, trüber und gröber gekörnt sind als die Schleimzellen. 
Auch bezüglich der Grösse hat man bei beiden Zellarten ein unter- 
scheidendes Merkmal, und zwar insofern, als nämlich die Schleimzellen 
bedeutend grösser als die Eiweisszellen sind. Erstere zeigen ab- 
gestumpfte Kegel- oder Pyramidenform, die letzteren meist polyedrische 
Gestalt. Bei den Schleimzellen sitzt der Kern immer der Basis direkt 
an, ist chromatinreich und färbt sich mit Eisenhämatoxylin gleich- 
mássig intensiv schwarzblau, ohne weitere Einzelheiten erkennen zu 
lassen, ist meist abgeplattet, öfters auch gezackt, kalotten- oder sichel- 
formig, so dass er mit der konvexen Seite an die Basis gedrängt er- 
scheint, während die beiden spitzen Enden frei in den Zellleib hinein- 
ragen. Die Kerne der serösen Zellen sind durchweg rund, meist mit 
Eisenhämatoxylin tiefschwarz tingiert und liegen im basalen Zell- 
drittel. Im Zellleib der Schleimzellen bemerkt man ein äusserst feines, 
netzartiges Gerüstwerk, dessen Maschen vielfach miteinander kommuni- 
zieren. 

Derbe, faden- oder stäbchenartige Gebilde, die sogenannten „Basal- 
filamente“ von Solger oder die „formations ergastoplasmiques“ von 
Garnier, die wohl bei den meisten bis jetzt untersuchten Tieren in dem 
basalen Teil der serösen Drüsenzellen, ohne die Region der Kerne zu 
überragen, angetroffen wurden, konnte ich bei Dasypus nicht test- 


142 | Franz Dietrich, 


stellen. Es läge also hier ein ähnliches Verhalten vor, wie es Maximow 
für den Hund schildert, bei dem er auch das Fehlen der Basalfilamente 
in den Halbmondzellen konstatiert. 

Randzellenkomplexe oder Gianuzzische Halbmonde sind bei Dasypus 
in stattlicher Anzahl vorhanden; in der Regel sitzen sie dem einen 
Tubulusende kappen- oder haubenartig auf; dass sie sich um die ganze 
Peripherie des Tubulus ringsherumziehen, oder dass sie den Tubulus 
zum grössten Teil mantelartig umgeben, wie man es bei der Katze 
und beim Rind häufig hat, habe ich an der Submaxillaris dieses Tieres 
nicht beobachten können. Die Gestalt der Halbmondzellen ist äusserst 
mannigfaltig; da sie nun durchweg ansehnlich gross sind und die 
Grenzen zwischen den einzelnen Zellen der Randzellenkomplexe scharf 
ausgeprägt sind, so konnte man mit der Eisenhämatoxylin-Färbe- 
methode nach M. Heidenhain interzelluläre Sekretgänge als scharf 
markierte, blaugefärbte Linien zwischen den Zellen der Halbmonde 
deutlich darstellen. Sie waren meist geschlängelt, gewunden oder 
hirschgeweihartig verzweigt, hatten ein weites Lumen und, was das 
Auffälligste war, sie endeten nicht, wie es bei den bis jetzt unter- 
suchten Tieren als das Regelmässige geschildert wird, in Höhe der 
Kerne, sondern ihr Verlauf ging vom Lumen aus über die Kernzone 
hinaus und erreichte häufig die Membrana propria. Die Zahl der 
Forscher, die für die Sekretgänge einen intrazellulären Verlauf an- 
nehmen — so beschreiben R. Krause einen solchen für die serösen Drüsen 
(z. B. Parotis des Igels), Küchenmeister für die mukösen —, ist gegenüber 
der Zahl der Autoren, die sich für einen interzellulären Verlauf aussprechen, 
eine äusserst geringe. E. Müller, v. Ebner, Zimmermann, Oppel u. v. a. 
haben mit Hilfe des stetigen Vorhandenseins von Kitt- oder Schlussleisten 
bei den Sekretgängen den unumstösslichen Beweis für die Zwischenzellig- 
keit dieser Gänge erbracht. Auch ich konnte an meinen sämtlichen 
Präparaten keinen einzigen Sekretgang, weder quergeschnittenen noch 
längsgetroffenen, entdecken, bei dem man nicht mit in die Augen fallen- 
der Deutlichkeit auf die für diese Gänge typischen Kitt- oder Schluss- 
leisten gestossen wäre. Demzufolge muss auch ich mich der An- 
sicht der Mehrzahl der Autoren anschliessen, dass die Sekretgänge stets 
interzellulär oder, um mit Oppel zu sprechen, epizellulär verlaufen. 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 143 


Die Annahme, dass die Sekretgänge in den Zellleib eindringen, wird 
eben dadurch haltlos, dass diese Sekretendgänge stets Kittleisten ent- 
halten, die nie im Zellleib, wohl aber zwischen den Rändern und den 
Oberflächen der Zellen anzutreffen sind. Folglich dürfte man bei den 
Sekretginge mit intrazellulärem Verlauf niemals Kittleisten vor- 
finden. Was nun die Sekretgänge der serösen Tubuli anbelangt, so 
zeigen diese in Form, Verlauf und Lage dasselbe Verhalten wie die 
der Halbmondzellen. 

Die Drüsenendstücke gehen in enge, kurze Röhrchen, die so- 
genannten Schaltstücke, über. Die Epithelzellen dieses Abschnittes, 
deren Protoplasma entweder- fein granuliert oder ganz homogen zu sein 
scheint, heben sich von den Schleimzellen scharf ab und haben meist 
kubische oder abgeplattete Form mit verhältnismässig grossem Kern, 
der nicht selten den grössten Teil der Zelle einnimmt. Von den 
Zellen der Speichelröhren sind sie dadurch leicht zu unterscheiden, 
dass ihnen in der basalen Zone die den Epithelzellen der Speichel- 
röhren typische stäbchenförmige Differenzierung bzw. Längsstreifung 
gänzlich fehlt. 

Auf das kurze Schaltstück folgt die Speichelröhre; in sämtlichen 
Speichelröhren der Submaxillaris von Dasypus vill, ob gross oder klein, 
ist immer nur einschichtiges Epithel anzutreffen. Es ist mir nicht 
gelungen, in denselben irgendwo Basalzellen nachzuweisen, die auf eine 
Zweischichtigkeit des Epithels hätten schliessen lassen können. Nur 
hinsichtlich der Höhe des Epithels ist ein Unterschied zu verzeichnen; die 
grösseren und mittelgrossen Gänge, von denen namentlich die ersteren 
durch besonders stark entwickeltes Bindegewebe von den drüsigen 
Elementen getrennt sind, haben ungefähr gleichhohes Zylinderepithel, 
während das Epithel der kleineren Gänge fast ausschliesslich kubisch 
ist. In der Mitte des Zellleibes, oder dem Lumen des Speichelrohres 
nur wenig nähergerückt, liegt der grosse, runde bis ovale, von einem 
schmalen, lichten Ring umgebene Kern, der sich mit Heidenhains Eisen- 
hämatoxylin nicht ganz so gleichmässig intensiv schwarzblau färbt, wie 
es den Kernen der Drüsenzellen eigen ist. Was nun die Struktur der 
Epithelzellen betrifft, so ist folgendes zu bemerken. Schon bei relativ 
schwacher Vergrösserung lassen sich an ihnen zwei Zonen unterscheiden, 


144 Franz Dietrich, 


eine dem Lumen zugekehrte, anscheinend homogone, und eine basal 
gelegene Schicht, die eine von der Basis zur Kernzone hin parallel- 
laufende radiäre Längsstreifung erkennen lässt. Nimmt man nun gute 
Immersionssysteme zu Hilfe, so findet man, dass die periphere Zone 
eine auffallend dichte Körnelung zeigt, bei der sich die einzelnen 
Körnchen als punktförmige, in die Länge gezogene Gebilde repräsen- 
tieren, die in sehr kurzen Abständen perlschnurartig hintereinander- 
gereiht sind und so wieder durch ihren parallelen Verlauf diese Längs- 
streifung bzw. stäbchenförmige Differenzierung des Speichelröhren- 
epithels bedingen; nur ganz selten sind Körnchen über die Kernzone 
hinaus noch sichtbar. 1 

Die Ermittlung der Zentralkörper in den Epithelzellen der Aus- 
führungsgänge gelang, da sie ausserordentlich deutlich sind, ohne 
erüssere Schwierigkeiten; sie liegen regelmässig; in einem schmalen 
hellen Hof nahe der freien Oberfläche. Die Verbindungsachse der 
beiden Zentralkörperchen fällt meist zusammen mit der Zelloberfläche 
oder ist dieser wenigstens parallel; nur in wenigen Fällen findet man, 
dass besagte Verbindungsachse unter einem spitzen Winkel, der jedoch 
nie einen halben Rechten übersteigt, gegen die Längsachse der Zelle 
geneigt ist. 

Zimmermann sah in den kleinen Ausführungsgängen der Sub- 
maxillarıs des Menschen in dem einschichtigen Epithel hier und da 
Becherzellen, desgleichen Krause in den grösseren Ausführungsgängen 
des Igels; mir war es nicht möglich, weder in den grossen noch in 
den kleinen Ausführungsgängen bei Dasypus Becherzellen nachzuweisen. 

Bezüglich der Kerne der Ausführungsgänge möchte ich noch einen 
Befund besonders hervorheben, da er sich deckt mit den Beobach- 
tungen, die kürzlich Maximow an den Kernen der Gänge der Hunde- 
submaxillaris machte. Maximow schloss nämlich von dem je nach dem 
Funktionsstadium variierenden Aussehen der Kerne auf die direkte 
Beteiligung der Stübchenepithelzellen an der Sekretion. Auch mir fiel 
es auf, dass die Kerne eines und desselben Speichelganges bei der 
Färbung mit Eisenhämatoxylin ein verschiedenes Aussehen zeigten, das 
wohl nicht allein von dem verschiedenen Grade der Entfärbung abhängt; 
einige waren gleichmässig intensiv schwarz tingiert, andere hatten ein 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 145 


ganz lockeres Liniengerüst, auf dessen Bälkchen Chromatinkörperchen 
sassen, wieder bei anderen äusserte sich die Struktur nur in einer 
gleichmässig dichten Körnelung auf hellem Untergrunde, so dass die 
Kerne bei nicht allzustarker Vergrösserung eine graublaue Färbung zu 
haben schienen. Zwischen diesen drei verschiedenen typischen Kern- 
arten liessen sich dann auch noch häufig Übergangsformen feststellen. 

Wie schon aus der kurzen Literaturübersicht zu Anfang dieses 
Kapitels hervorgeht, ist bis jetzt das Vorhandensein eines eigenen 
Speichelreservoirs festgestellt für Dasypus peba von v. Rapp, für 
D. novemeinctus, D. sexcinctus, D. minutus und D. gymnurus von 
Viaillanes und allgemein für den Armadillo von Owen. Auch bei 
Dasypus villosus wird der Speichel der Glandula submaxillaris durch 
einen grossen Gang — v. Rapp beschreibt und bildet ab für Dasypus 
peba 5—6 Gänge, Owen für den Armadillo 3—4 Gänge — in ein recht 
ansehnliches Speichelreservoir geleitet, das am frischen Präparat durch 
sein bräunlich rotes Aussehen leicht kenntlich ist; es hat die Gestalt 
eines an den Enden sich gleichmässig verjüngenden Eies und führt 
seinerseits wieder den aufgestapelten Speichel durch einen grossen Gang 
in die Mundhöhle In der Längsachse misst die Speichelblase, im 
fixierten, erhärteten Zustande, etwa 14 Millimeter und in dem grössten 
Querschnitt hat sie einen Durchmesser von etwa 5,5 Millimetern. Ich 
fertigte nun von einer Speichelblase Serienschnitte an und zwar Schnitte 
von 15 4 Dicke. An erster Stelle möchte ich die Beschreibung eines 
Querschnittes, der ungefähr aus der Mitte des Reservoirs stammt und 
der auf Tafel VII in Fig. 5 zur Darstellung gebracht ist, bringen. Wie 
aus der Abbildung ersichtlich ist, wird das Innere des Reservoirs aus- 
gekleidet von einem einschichtigen, hohen Zylinderepithel. Bei stärkerer 
Vergrösserung gewahrt man in der Epithelzelle einen länglich runden 
bis ellipsoiden, grossen, basal gelagerten Kern, der mit seiner Längs- 
achse in die Längsrichtung der Epithelzellen gestellt ist, also radiär 
zum Lumen. Unter Zuhilfenahme von Immersionssystemen lassen sich 
auch hier wieder, ganz ähnlich wie bei den Ausführungsgängen der 
Submaxillaris, die Zentralkörperchen nachweisen und zwar zwei an 
der Zahl, direkt unter der Oberfläche in einem schmalen, hellen Hof. 


An das soeben beschriebene Epithel schliesst sich eine recht aus- 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 10 


146 Franz Dietrich, 


sedehnte Bindegewebsschicht an, durchflochten von äusserst zahlreichen, 
mehr oder weniger kräftigen elastischen Fasern, die namentlich nach 
der epithelialen Seite zu in grosser Zahl und dichter Anordnung vor- 
zufinden sind. Auf diese Bindegewebsschicht folgt eine ausserordent- 
lich stark ausgebildete Schicht quergestreifter Muskelfasern, welche 
die Breite der Bindegewebsschicht wohl um das Drei- bis Vierfache 
übertrifft; die Muskelfasern verlaufen zum Teil quer, zum Teil, beson- 
ders im hinteren Teil der Blase längs. Ich möchte aber schon an 
dieser Stelle darauf aufmerksam machen, dass diese Muskelschicht, was ja 
auch die Abbildung erkennen lässt, keinen festgeschlossenen Ring bildet, 
sondern an einer Stelle etwas unterbrochen ist. Dieser Stelle habe ich 
bei Durchmusterung der Serienschnitte besonderes Interesse zugewandt 
und dabei folgende Resultate erhalten. Der Gang, der den Speichel von 
der Submaxillardrüse zum Speichelreservoir leitet, entbehrt anfangs jeg- 
licher muskulöser Elemente; aber dort etwa, wo der Gang anfängt sich 
zum Reservoir zu erweitern, treten uns zuerst kleine gesonderte Bündel- 
chen quergestreifter Muskeln entgegen, die sich im weiteren Verlauf 
immer enger zusammenschliessen und schliesslich den fast ganz ge- 
schlossenen Ring bilden, wie dies Fig. 5 zeigt. Gegen den Ausfüh- 
rungsgang hin, der von der Speichelblase in die Mundhöhle führt, wird die 
Muskulatur etwas schwächer, aber lange nicht in dem Masse, wie es für den 
Anfangsteil des Reservoirs beschrieben wurde. Beachtenswert ist auch 
der folgende Befund. Wiederholt sah ich nämlich in der Wand des Reser- 
voirs gut ausgebildete kleine Drüsenläppchen von durchaus demselben 
Charakter, der der Submaxillardrüse eigen ist, also gemischte Drüsen mit 
mukösen und serösen Tubuli und solchen mit Halbmonden. Es stellte sich 
nun heraus, dass diese drüsigen Elemente sich nicht etwa darstellten als 
eine Fortsetzung oder Verlängerung der Submaxillaris, die der Speichel- 
blase etwa angelagert wäre, sondern dass es sich um selbständige 
drüsige Elemente innerhalb der Wandung der Speichelblase aber ausser- 
halb ihrer Muskulatur handelte; denn die drüsigen Elemente zogen sich 
nicht vom Anfang bis zum Ende der Speichelblase hin, sondern traten 
mit verschiedenen Unterbrechungen auf, um dann wieder zu verschwinden. 
Zum ersten Male begegnete ich einer solchen Drüse am Anfangsteil der 
Base, also an der der Submaxillaris zugewandten Partie. Hier war aller- 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 147 


dings die Drüse nicht stark ausgebildet und nur auf 5 Schnitten zu ver- 
folgen. Nun folgte eine grössere Strecke, die keine Drüsen aufwies. Es 
treten dann wiederum Drüsenläppchen auf, und zwar sieht man bei dem 
ersten in Frage kommenden Schnitt zuerst nur einen einzigen Tubulus, und 
zwar einen Tubulus mukösen Charakters; zu diesem gesellen sich nun 
im weiteren Verlauf immer mehr Tubuli hinzu, so dass schon beim 
7. Schnitt 5 Tubuli sichtbar sind, die aber immer nur von mukösen 
Zellen ausgekleidet sind. Später treten dann auch seröse Zellen auf 
und man hat schliesslich eine Drüse von dem oben beschriebenen 
Charakter und Aussehen vor sich. Dieser Drüsenkomplex erstreckte 
sich über 152 Schnitte. Er begann also mit einem einzigen Tubulus, 
wurde immer grösser und nahm dann auch wieder in demselben Ver- 
hältnis gegen die letzten Schnitte hin zu ab. Die Form dieses Drüsen- 
komplexes wäre also als eine Spindelform anzusprechen. Auf den nächst- 
folgenden 16 Schnitten waren keine drüsigen Elemente zu bemerken. 
Dann aber traten wiederum Drüsen auf, ebenfalls auch wieder schwach 
anfangend, stärker werdend und wieder klein endigend, also ungefähr 
dasselbe Bild wie vorher. Diesmal dehnte sich die Drüsenmasse über 
134 Schnitte aus. Nun folgt wieder eine Unterbrechung, ein ganz 
beträchtliches Stück der Speichelblase bleibt ohne Drüsen. Erst auf 
einem Querschnitt des ausleitenden Ganges, da wo die Muskulatur 
schon schwächer geworden ist, stösst man nochmals auf Drüsen, die 
auf 21 Schnitten sichtbar bleiben. Jedenfalls handelt es sich hier um 
abgesprengte Teile der Hauptdrüse. 

Das Vorkommen dieser Drüsen ist nun, wie ich ermittelte, an 
eine ganz bestimmte Stelle der Wandung gebunden. Stets findet man 
sie da, wo der Muskelring der Speichelblase unterbrochen ist; es gelang 
mir nie, an einer anderen Stelle derartige Drüsen zu sehen. Diese Drüsen 
an der Speichelblase selbst haben natürlich auch ihrerseits Ausführungs- 
sänge. Auf der Fig. 5 liegt an der muskelfreien Stelle ein verhältnis- 
mässig grosser Querschnitt eines Ganges, der dasselbe Epithel hat wie 
das Lumen der Speichelblase und rings von Bindegewebe umgeben ist. 
Dieser Gang begleitet die Speichelblase in ihrer ganzen Ausdehnung, 
und ich glaube, dass dieser Gang auch aufzufassen ist als ein grösserer 
Ausführungsgang der Submaxillaris, und Speichel, ohne ihn ins Reservoir 


148 Franz Dietrich, 


gelangen zu lassen, in die Mundhöhle befördert. Unterwegs nimmt er 
dann noch den Speichel, den die Drüsen innerhalb der Wandung der 
Speichelblase erzeugen, auf und führt ihn zur Mundhöhle, denn dieser 
Gang liegt ja in unmittelbarer Nähe der Gegend, wo bisweilen die 
Drüsen der Wandung des Reservoirs aufzutreten pflegen. 

Schliesslich ist noch hervorzuheben, dass in den Verlauf der 
Nerven, welche die Speichelblase und besonders den anliegenden kleineren 
Gang begleiten, zahlreiche Ganglienzellen eingelagert sind, die sich oft 
so anhäufen, dass kleine Ganglien entstehen. Die Ganglienzellen 
selbst sind gross, meist rundlich oder polyedrisch; das Plasma ist mit 
Hansens Hämatoxylin bei Fixation mit Eisessig-Sublimat tief dunkel- 
blau bis violett tingiert und von feinkörniger Struktur. Der bläschen- 
förmige, verhältnismässig grosse Kern, der nicht immer eine zentrale 
Lage hat, sondern auch ab und zu der Zellwand etwas angelagert 
erscheint, zeigt deutliche Kernstruktur und in der Kernmitte meist 
ein tiefblau gefärbtes, rundes Kernkörperchen; die Kerne der ring- 
förmigen, bindegewebigen, kernreichen Hülle sind klein, kugelig bis 
ellipsoidisch und chromatinreich. Gefässe trifft man in der Nähe der 
Ganglienzellen häufig an. 

Die oben für die Speichelgangblase beschriebenen Verhältnisse 

scheinen, soweit sie die abgesprengten Drüsenläppchen, die muskel- 
freie Stelle und den Verlauf und die Zahl der einmündenden Gänge 
betreffen, individuell zu variieren. 
_ An zwei in Serien zerlegten Speichelgangblasen, welche von einem 
anderen Exemplar von Dasypus stammten, fehlten abgesprengte Drüsen- 
läppchen an der Blase vollkommen. Der Nebengang durchbrach die 
Muskulatur der Blase etwa in ihrer Mitte und verlief von da noch 
bis zum Ende der Blase und wahrscheinlich noch weiter, ohne ein- 
zumünden. Auf diesem Verlaufe nahm er spärliche Ausführungsgänge 
aus der benachbarten Submaxillaris auf. Eine längere, muskelfreie 
Stelle, welche jedenfalls durch die Einlagerung des Nebenganges in die 
Wand der Speichelblase bedingt wird, war nur an der einen Blase 
angedeutet. Am hinteren Ende der Blase wurde die Binnenwand 
etwas faltig; hier mündeten 2 Gänge in die Blase. 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 149 


Interstitielles Bindegewebe der Glandulu submaaillaris. 


In jüngster Zeit ist dem interstitiellen Bindegewebe der Speichel- 
drüsen besondere Aufmerksamkeit gewidmet worden; es stellte sich 
nämlich heraus, dass es vielfach sehr eigentümliche, verschieden- 
artige Zellformen enthielt (W. Krause, Heidenhain, Beyer, Maximow, 
Dling u. a.). So unterschied z. B. Beyer im interstitiellen Binde- 
gewebe der Hundesublingualis drei Arten von Zellen, nämlich Lymph- 
körperchen, Bindegewebszellen mit Ausläufern und grosse Plasma- 
zellen. Auch bei der Submaxillaris von Dasypus kann man bei relativ 
schwacher Vergrösserung schon bemerken, dass sich zwischen den 
drüsigen Elementen Bindegewebsstreifen in Bandform hinziehen, welche 
durch bedeutenden Zellenreichtum ausgezeichnet sind; siehe die 
Fig.7, die ein Übersichtsbild gibt von einem Stück der Submaxillaris 
(Fixation: Eisessig-Sublimatlösung; Färbung: Heidenhains Eisen- 
Hämatoxylin-Eosin). Ungefähr durch die Mitte des Bildes verläuft ein 
bandförmiger Streifen interstitiellen Bindegewebes, in welchem die 
zahlreichen Zellkerne auffallen. Nimmt man stärkere Vergrösserung 
zu Hilfe (vgl. Fig. 8), so ergibt sich, dass die im Bindegewebs- 
streifen enthaltenen Zellen durchaus nicht alle gleichwertig sind; es 
lassen sich vielmehr fünferlei Zellen unterscheiden und zwar 1. kleinere, 
fast ausschliesslich mehrkernige Zellen, 2. grosse, in der Minderzahl 
vorhandene, einkernige Plasmazellen, 3. Mastzellen, 4. schmale Binde- 
gewebszellen und 5. die sog. Korbzellen, die ich mit der Mehrzahl 
der Autoren auch als Zellen bindegewebiger Herkunft ansprechen 
möchte. Die erste Art der Zellen dürfte wohl indentisch sein mit den 
Lymphkörperchen, die Beyer, und mit den Leukozyten, die Illing be- 
schreibt. Ich machte jedoch eine von den bisher mitgeteilten Unter- 
suchungen über diese Zellart abweichende Beobachtung. Alle Forscher 
nämlich erwähnen nichts von einer Vielkernigkeit dieser Gebilde, 
nur Maximow hat äusserst selten Zellen mit zwei Kernen gefunden, 
so dass, wenn überhaupt, nur in ganz vereinzelten Fällen eine Kern- 
teilung auftrete; direkt einwandsfreie Mitosen habe er in den Plasma- 
zellen nicht beobachten können. Allerdings sei er im interstitiellen 
Bindegewebe auf Stellen gestossen, wo in einer Gruppe von Plasma- 


150 Franz Dietrich, 


zellen die Grenze zwischen den einzelnen Elementen ganz undeutlich 
war, so dass man eigentlich die ganze Gruppe eine echte polynukleäre 
Riesenzelle hätte nennen können. Seiner Meinung nach sind diese 
Gebilde durch Zusammenfliessen von einzelnen Zellen entstanden, nicht 
durch Kernvermehrung. Bei dem interstitiellen Bindegewebe der Sub- 
maxillaris von Dasypus fiel mir nun besonders auf, dass die weitaus 
grösste Mehrzahl der Zellen des zellenreichen Bindegewebes mehr- 
kernig war — ich habe häufig bis zu sechs Kernen in einer Zelle 
beobachtet — und dass die mehrkernigen Zellen ein unter sich gleich- 
artiges Aussehen darboten. Dass diese mehrkernigen Zellen vielleicht 
durch Zusammenfliessen mehrerer Zellgebilde entstanden wären, wie 
dies z. B. Maximow in ganz seltenen Fällen für die Retrolingualis des 
Hundes festzustellen glaubte, durfte ich für Dasypus nach den vor- 
liegenden Bildern nicht annehmen. Es handelt sich nämlich bei dem 
vorliegenden Material um gegenseitig scharf begrenzte, meist kubische, 
seltener polygonale Zellen, die dicht hintereinandergereiht in ihrer 
Anordnung gut vergleichbar sind mit den Steinen eines Mauerwerkes. 
Der Zellleib weist eine feine, dichte Körnelung auf, ohne weitere Struk- 
tur sichtbar werden zu lassen. Die Kerne, die einen grossen Teil der 
Zelle ausmachen, liegen in der Mitte des Zellleibes, nicht alle neben- 
einander, sondern häufig aufeinander, was man bei verschiedener Ein- 
stellung mittels der Mikrometerschraube leicht mit Sicherheit ermitteln 
kann. Sie haben meist Kugelform und scheinen oft durch dünne 
Chromatinbrücken in gegenseitigem Zusammenhange zu stehen. Mit 
Heidenhains Hämatoxylin tingieren sie sich gewöhnlich derart tief- 
schwarzblau, dass weitere Einzelheiten in bezug auf die Struktur der 
Kerne nicht ersichtlich werden. 

Neben diesen Zellen bemerkt man auch hier und da andere, et- 
was grössere Zellen, die nicht die typische kubische Form und Viel- 
kernigkeit besitzen, sondern meist unregelmässig gestaltet sind, mit 
einem verhältnismässig stattlichen, meist eiförmigen Kern, der ebenfalls 
chromatinreich ist. 

Als dritte Gruppe wären dann die Mastzellen zu erwähnen, die ver- 
einzelt in den Bindegewebsstreifen anzutreffen sind, deren Kerne zufolge 
einer gleichmässigen Körnelung auf hellem Grunde graublau aussehen. 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 151 


An den beiden Längsseiten der Bindegewebsstreifen, also an den 
den drüsigen Elementen zugewandten Seiten, werden die Bindegewebs- 
elemente meist eingefasst von einer einschichtigen Lage gewöhnlicher 
spindelförmiger Bindegewebszellen mit länglich ovalem, chromatinreichem 
Kern. Dies wäre somit die vierte besondere Zellart im interstitiellen 
Bindegewebe der Gürteltiersubmaxillaris. 

An letzter Stelle seien noch kurz die sog. Korb- oder Basalzellen 
erwähnt: sie wurden von W. Krause zuerst gesehen, später eingehend 
beschrieben von Boll, Zimmermann, v. Ebner, Maximow, Illing u. a. 
Sie weichen bei Dasypus von den bisher ermittelten charakteristischen 
Eigenschaften nicht ab; sie liegen der Membrana propria dicht an, sind 
glatte oder spindelförmige Zellen, deren Kerne dieselbe Form haben, 
mit Eisenhämatoxylin tiefschwarzblau gefärbt und nur von einer 
geringen Plasmamenge, die häufig schmale, keilfórmige Ausläufer ent- 
sendet, umgeben. 


6. Glandula parotis. 


Die Glandula parotis von Dasypus villosus ist eine rein seröse 
Drüse, ohne die geringste Beimengung von Elementen mukösen Cha- 
rakters. Ich glaube dies ganz besonders hervorheben zu müssen, weil 
man nämlich verschiedentlich in der Parotis gewisser Tiere vereinzelte 
eingesprengte Endkammern mit Schleimzellen vorgefunden hat. So 
konstatierten solche vereinzelte schleimführende Drüsenläppchen für 
die Parctis des Hundes Beyer, Boll, Kamocki, Kunze, R. Heidenhain, 
Ellenberger und Hofmeister, Mislawsky und Smirnow, desgleichen für 

ie Parotis des Menschen v. Ebner. 

Die Zellen der Parotis nun haben eine auffallende Ähnlichkeit mit 
den halbmondähnlichen Bildungen der Submaxillaris; sie sind gleich 
diesen bedeutend kleiner als die echten mukösen Drüsenzellen -und 
zeigen mit Heidenhains Hämatoxylin und Hämatoxylin nach Böhmer 
und Delafield eine weit dunklere Tinktion als die Schleimzellen. Was 
nun die äussere Form der einzelnen Zellen anbelangt, so erscheinen 
sie uns als unregelmässig prismatisch oder pyramidenfórmig. Die innere 
Struktur der Zellen wechselt je nach den verschiedenen Funktionsstadien 
der Zelle. In den Zellen, die ihr Sekret noch nicht entleert haben, 


152 Franz Dietrich, 


sieht man überall ein gleichmässiges, ziemlich grobmaschiges Proto- 
plasmagerüst, in das zahlreiche, schwarzblau gefärbte Körnchen, besonders 
häufig an den knotigen Vereinigungsstellen der Plasmafäden, eingelagert 
sind. Oft hat es den Anschein, als ob das Fadennetz nicht ganz voll- 
ständig sei, als ob hin und wieder nur einige Körnchen durch Fäden 
verbunden wären und hierdurch das Bild von Stäbchen erzeugt würde. 
Der Kern ist meist rundlich, ab und zu wohl auch mit Ausbuchtungen 
versehen, mit Heidenhains Eisenhämatoxylin in der Regel derart dunkel 
gefärbt, dass nur bei äusserst starker Differenzierung das Kerngerüst 
etwas sichtbar wird; er ist ziemlich basal, ungefähr im ersten Zell- 
drittel gelagert und des öfteren auch an eine der Seitenwände gedrängt. 

Ein kleines Drüsenlumen von meist kreisfórmiger Begrenzung ist 
deutlich zu sehen. 

Die Zellen der Parotis zeigen eine ausserordentliche Fülle von 
sehr weiten, deutlichen Sekretgängen, die an den mit Heidenhains 
Eisenhämatoxylin gefärbten Schnitten sehr gut die typischen Kittleisten 
erkennen lassen. Ich schliesse mich auch hier wieder der Ansicht 
Zimmermanns, E. Müllers, Oppels und Maximows an, dass nämlich die 
Sekretgànge in den Zellen dieser Drüse nicht binnenzellig, sondern 
zwischenzellig verlaufen; denn auch an meinen Präparaten waren an 
den Querschnitten der Sekretgänge die pünktchenartigen, schwarzblauen 
Querschnitte der Schlussleisten sichtbar. Ebenfalls machte es auch 
keine Schwierigkeit, an den längsgetroffenen Sekretgängen bei guter 
Färbung und Differenzierung die charakteristischen Schlussleisten zu 
sehen. Die làngsgetroffenen Sekretgänge tun uns dar, dass ihr etwas 
verästelter Verlauf sich wohl über die Kernzone hinaus erstreckt, ja 
sogar häufig auch die Membrana propria zu erreichen scheint. Es ge- 
lang mir nicht, in den Drüsenzellen Sekretvakuolen wahrzunehmen. 

Desgleichen vermisste ich im basalen Zellteil Basalfilamente. 

— Auch Zentralkörperchen konnte ich in den Drüsenzellen der Parotis 
nicht feststellen, weil, wie Zimmermann auch für die Parotis des Menschen 
bemerkt, das unruhige Bild, das die Protoplasmastruktur darbietet, und 
die feinen dunklen Körnchen im Protoplasmagerüst ein Erkennen von 
Zentralkörperchen direkt unmöglich machen. 

Bei Ratte und Maus fand S. Mayer in der Parotis Zellen, die sich 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 153 


besonders dadurch auszeichneten, dass in ihnen entweder zwei Kerne 
lagen oder Kerne, die an Grösse die gewöhnlichen Drüsenzellkerne um 
das 2—3fache übertreffen, Riesenkerne. Wohl begegnete ich auch bei 
der Parotis des Dasypus Kernen, die zufolge ihrer Grösse gegenüber 
den Drüsenkernen auffielen; doch handelte es sich hierbei um die 
aussergewöhnlich grossen, eiförmigen bis ellipsoiden Kerne der zentro- 
azinären Zellen, die in geringer Anzahl in der Parotis auftraten. Zentro- 
azinàre Zellen beschreiben auch z. B. für die Parotis des Igels Kul- 
tschizky und R. Krause, für die Parotis des Menschen v. Ebner. 

Zu erwähnen wäre dann noch, dass die ganze Drüse von mehr 
oder weniger starken Bindegewebszügen durchsetzt wird, in denen 
Fettlager von verschieden grosser Mächtigkeit angetroffen wurden. 

Was die Ausführungsgänge anbetrifft, so fällt im Vergleich mit den 
übrigen Speicheldrüsen des Gürteltieres auf, dass grosse Speichel- 
sänge in der Parotis selten sind. Kleine Gänge und Gänge mittleren 
Kalibers dagegen durchziehen auf dem Drüsendurchschnitt in stattlicher 
Zahl die Drüse. Ihr Epithel ist ebenso wie bei der Submaxillaris und 
Parotis ein einschichtiges und nimmt mit der Grösse der Gänge an 
Höhe ab. 

Von den Zellen der Schaltstücke sind die Epithelzellen der Speichel- 
röhren leicht dadurch zu unterscheiden, dass sie gleich den Speichel- 
röhren der Submaxillaris in ihrem basalen Teil eine auffallend kräftige 
Strichelung zeigen, die sich schon bei schwacher Vergrösserung zufolge 
dunklerer Färbung wirksam von der Zone des Kernes und der Ober- 
flächenregion abhebt. Bei starker Vergrösserung zeigt sich an den 
Präparaten, die mit Eisenhämatoxylin tingiert sind, dass diese Striche 
aus lauter schwarzblauen, in die Länge gezogenen, punktartigen Ge- 
bilden bestehen, die ohne grössere Abstände sich hintereinanderreihen; 
diese Striche laufen nebeneinander radiär zu dem Lumen. Die Kerne 
der Epithelzellen sind verhältnismässig gross, in den grossen Gängen 
nicht ganz in der Mitte der Zelle gelegen, sondern der Oberfläche etwas 
nähergerückt; in den mittleren und kleineren haben sie ausschliesslich 
zentrale Lage. 

Die Zellkerne der Sekretionszellen in den Endkammern besitzen 
ein grobes, dichtes Chromatingerüst mit mehreren grösseren Chromatin- 


154 Franz Dietrich, 


ballen und Kernkörperchen an der Innenfläche der Kernmembran. In- 
folgedessen färben sie sich mit Eisenhämatoxylin intensiv schwarzblau 
und verlieren sie diese gleichmässig intensive Färbung erst bei stärkerer 
Entfärbung des Präparates. Der Zellabschnitt nach dem Lumen hin 
ist, wie schon erwähnt, bedeutend heller als die basale Partie und 
enthält ein weitmaschiges Protoplasmanetz. In dieser letztgenannten 
Region trifft man noch, wenn auch selten, Körnchen an. Krause fand 
im Ductus parotidicus des Igels vereinzelt Becherzellen, v. Ebner sah 
solche ziemlich häufig in Ausführungsgängen der Parotis des Menschen. 
Mir war es bei Dasypus nicht möglich, in den Ausführungsgängen 
Becherzellen zu ermitteln. 

Bezüglich der Zentralkörperchen in den Zellen der Ausführungs- 
sänge kam ich zu folgendem Resultat. Ausnahmslos in jeder Zelle bei 
guter Schnittrichtung lässt sich in unmittelbarer Nähe der Oberfläche 
ein Zentralkörpersystem, bestehend aus zwei punktartigen Gebilden, 
feststellen, die in einer von der übrigen Umgebung sich scharf ab- 
hebenden, hellen, schmalen Sphäre liegen. Die Verbindungslinie dieser 
beiden Zentralkörperchen fällt meistens mit der Oberfläche zusammen 
oder ist dieser parallel. | 


7. Pankreas. 


Betrachtet man einen Querschnitt durch das Pankreas von Dasypus 
vill. bei mässig starker Vergrösserung, so sieht man, dass es sich aus 
grösseren und kleineren Läppchen der verschiedensten Gestalt zusammen- 
setzt, und dass eben diese Läppchen gebildet werden von den Drüsenend- 
kammern mit ihren Ausführungsgängen, die ihrerseits von dünnen 
Bindegewebsstreifen eingefasst sind. Die einzelnen Drüsenkomplexe 
werden durch mehr oder weniger grosse Bindegewebsmengen zusammen- 
gehalten. Zwischen den Drüsenläppchen zeigen sich schon bei geringer 
Vergrösserung absonderliche Stellen im mikroskopischen Bilde, auffallend 
durch ihre geringe Färbung, die „intertubulären Zellhaufen“, sog. 
„Langerhanssche Inseln“. Sie sind im Pankreas des Dasypus durch- 
aus keine Seltenheit, sind als Zellenkomplexe von wechselnder Zahl der 
Zellen anzutreffen, manchmal nur in Gruppen von 6—8 Zellen, manchmal 
in grösserer Anzahl, ja ich zählte sogar oft bis zu 70 bis 80 Zellen auf 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 155 


dem Schnitt. Die Anordnung der Zellen in den einzelnen Zellhaufen ist 
äusserst variabel, meist regellos nebeneinanderliegend, finden sie sich 
auch zu Bändern oder Streifen hintereinandergereiht, oder sie bilden 
einen Kreisring, in dessen Mitte eine freie Stelle lassend, so dass hier- 
durch leicht Ausführungsgänge vorgetäuscht werden können. Die „inter- 
tubulären Zellhaufen“ sind bei allen bis jetzt untersuchten Wirbeltier- 
gruppen festgestellt worden. Sie sind derart zarte, empfindliche und 
wenig widerstandsfähige Gebilde, dass ihre äusserst feine Zellproto- 
plasmastruktur leicht durch Einwirkung gewisser Fixierungsflüssigkeiten, 
z. B. Alkohol, Sublimat, geschädigt wird. Während das eigentliche 
Drüsengewebe in den genannten Flüssigkeiten gut fixiert wurde, zeigten 
die Inselzellen häufig ein Zusammenschrumpfen oder auch ein teilweises 
Loslösen vom Drüsengewebe. Als beste Fixierung erwies sich für 
die Langerhansschen Inseln die mit schwacher Flemmingscher Lösung 
oder die mit Hermannscher Flüssigkeit. Am zweckmässigsten wurde 
hierbei die Safraninfärbung angewandt. 

Die Zellgrenzen in den Langerhansschen Inseln sind immer gut 
und deutlich ausgeprägt. Die einzelnen Zellen haben meist runde oder 
auch polyedrische Gestalt. Während bei den Sublimat- oder Alkohol- 
präparaten, die mit Eisenhámatoxylin-Eosin gefärbt sind, der Zellleib ein 
äusserst geringes Färbevermögen erkennen lässt — er sieht matt gelb- 
rot aus — und in ihm sich eine ziemlich grossmaschige Netzstruktur 
zeigt, erscheint nach Fixation mit Flemmingscher oder Hermannscher 
Lösung und Färbung mit Safranin der Zellleib fast homogen, gleich- 
mässig matt rosa gefärbt, angefüllt mit einer Menge kleinster Körnchen. 
Irgend etwas Absonderliches bezüglich der Lage und Anordnung der 
Körnchen konnte ich nicht bemerken. Allerdings sind sie bedeutend 
kleiner als die Zymogenkörnchen in den Trypsinzellen, besitzen auch 
nicht das den Zymogenkörnchen eigene Färbevermögen und sind auch 
deswegen von diesen streng zu scheiden. Inmitten einer jeden Insel- 
zelle befindet sich gewöhnlich nur ein Kern von runder oder ovaler 
Gestalt, im Verhältnis zur Zelle gross, etwa von halber Grösse wie 
die Kerne der. Drüsenzellen. Die Kernmembran ist stets glatt und 
ziemlich intensiv gefärbt, so dass man auf irgendwelche Art von Zer- 
störung nicht schliessen kann. Das Kerngerüst weist lange nicht eine 


156 Franz Dietrich, 


so reichliche Verzweigung auf wie bei den Kernen der Drüsenzellen. 
Eine Merkwirdigkeit möchte ich noch besonders hervorheben. Bei 
einigen Kernen in Sublimatpräparaten sieht man eine ziemlich kräftige 
Kernstruktur und etwa 4—5 grössere Körnchen, bei den mit Hermann- 
scher und Flemmingscher Flüssigkeit fixierten und mit Safranin ge- 
färbten ist der ganze Kern ausgefüllt mit einer grossen Zahl dicht- 
gedrängt stehender, kleinster Körnchen. Ferner herrscht bei den Kernen 
ein und derselben Insel durchaus keine Gleichmässigkeit und Überein- 
stimmung bezüglich ihres Färbevermögens. Sowohl bei den in Sublimat 
als auch den in Hermannscher oder Flemmingscher Flüssigkeit fixierten 
Objekten trifft man in ein und demselben Zellhaufen Kerne an, die 
gleichmässig intensiv schwarz resp. rosarot sind, und solche, die auf 
hellem Grunde die schwarze bzw. rote Kernstruktur und Körnchen 
erkennen lassen, Zustände, die wohl nicht ausschliesslich auf ver- 
schiedene Grade der Entfárbung zurückgeführt werden kónnen. Zwischen 
diesen beiden Kernarten, die die Extreme darstellen, lassen sich die 
verschiedensten Abstufungen und Übergänge verfolgen. Einen Unter- 
schied in den Strukturverháltnissen des Plasmas bei den Inselzellen, 
wie ihn z. B. Diamare und W. Schulze fanden, demnach man von zwei 
Zellsorten hätte sprechen können, bemerkte ich nicht. Es sollen näm- 
lich zu unterscheiden sein kleinere, in der Mehrzahl vorhandene Insel- 
zellen mit einem chromatinreichen Kern und wenig färbbarem Plasma, 
zweitens andere, grössere, meist wandständig oder auch selten in der 
Mitte gelegene Zellen, mit intensiver gefärbtem Protoplasma und einem 
Kern, dessen Chromatin gewöhnlich im Zentrum in einem Punkte ver- 
einigt ist. 

Schon bei relativ schwacher Vergrösserung nimmt man wahr, dass, 
wenn auch äusserst selten, sich unter den Kernen der Inselzellen einige 
durch ihre Grösse auszeichnen, die sog. Riesenkerne, die auch Pischinger 
in den intertubulären Zellhaufen des Pankreas vom Igel, Pferd, Katze 
und Menschen beobachtete. 

Interstitielles Bindegewebe zwischen den einzelnen Inselzellen, wie 
es z.B. E. Holmgren beschreibt, konnte ich für Dasypus nicht nach- 
weisen. 

Der für die Langerhansschen Inseln so charakteristische und von 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 157 


allen Autoren hervorgehobene Reichtum an Kapillargefässen und die 
enge Beziehung der letzteren zu den Inselzellen konnte ich auch bei 
Dasypus villosus feststellen. 

Als bestes Fixierungsmittel für das Studium der feineren Struktur- 
verhältnisse in den Drüsenzellen der Endkammern des Pankreas selbst 
ergab sich Eisessig-Sublimatlösung. Hermannsche und schwache Flem- 
mingsche Lösung sind für das Studium der feineren Zellstruktur aus 
dem Grunde nicht besonders zu empfehlen, weil durch diese Fixation 
die Sekretkörnchen aufgelöst werden, und dann das Zellinnere einem 
Wabenwerke gleicht, in dem häufig grosse, kugelrunde Vakuolen zu 
bemerken sind; Untersuchungen bezüglich der Sekretkörnchen sind also 
an derartig fixierten Schnitten nicht gut möglich. Unter den Farb- 
stoffen verdient für diese Zwecke unstreitig Heidenhains Eisenhäma- 
toxylin den Vorzug. 

Im allgemeinen sind die Pankreasdrüsenzellen abgestumpft kegel- 
oder pyramidenförmig; der grosse, meist ovale, chromatinreiche, mit 
kräftig entwickeltem und reich verzweigtem Kerngerüst und Kern- 
körperchen versehene Kern findet sich im basalen Viertel der Zelle 
und ist innerhalb dieser Zone an keine bestimmte Lage gebunden; 
bald liegt er in der Mitte, bald mehr der einen oder anderen Zell- 
seitenfläche nähergerückt. Wie ja bekannt, unterscheidet man für ge- 
wöhnlich an den Pankreaszellen zwei Abschnitte, und zwar einen 
basalen, von Sekretkörnern freien, und einen inneren, mit Sekret- 
körnchen angefüllten. Auf den ersten Blick scheint auch diese Be- 
schreibung für die Pankreaszellen von Dasypus zu passen; bei näherer 
Untersuchung jedoch ergeben sich von der allgemeinen Regel abweichende 
Befunde Waren die mit Eisenhämatoxylin gefärbten Schnitte ziemlich 
intensiv tingiert und war die Differenzierung mit Eisenalaun nicht 
allzulange vorgenommen, so stimmten im grossen ganzen die Bilder, 
die man so erhielt, mit den bisher vertretenen Anschauungen über die 
Scheidung der Zellen in zwei Zonen überein. An Schnitten aber, die 
verhältnismässig stark differenziert waren, machte ich dagegen die ab- 
weichende Beobachtung, dass das ganze Zellinnere von einer Unmenge 
feinster, in der Regel unter sich parallel verlaufender, aber miteinander 
in Verbindung stehender Fädchen durchzogen wird, die ihren Anfang 


158 Franz Dietrich, 


an der Basis der Zelle nehmen und hier etwas derber und dicker er- 
scheinen; sie verlaufen bis an die Oberfläche der Zelle gegen das 
Drüsenlumen hin. In diesem mit den Zymogenkörnchen erfüllten Zell- 
teil sind die Fädchen fein und zart und verbinden sich reichlich zu 
einer Art Netzwerk, deren Hohlraum die Zymogenkörnchen erfüllen. 
Dieses Fadenwerk ist auch nur gut sichtbar, wenn die Zymogenkörnchen 
aufgelöst sind. 

Die parallelfädigen Strukturen in dem basalen Teil der Pankreas- 
zellen von Dasypus hatten grosse Ahnlichkeit mit den Fadenbildungen, 
welche Mathews*) kürzlich von den Pankreaszellen bei Necturus be- 
schrieben und abgebildet hat. 

Des weiteren ist das Vorhandensein von Zymogenkörnchen nicht 
nur auf diese Innenzone der Zelle beschränkt, sondern die Körnchen 
treten hier und da bereits an der Basis auf, wenn auch nur spärlich, 
werden gegen das Lumen zu immer dichter und auch grösser. Des 
öfteren hatte es den Anschein, als ob die Zymogenkörnchen in Reihen 
hintereinandergereiht lägen, die annähernd parallel der Längsachse 
der Zelle verliefen. Die Körnchen umgibt ein heller Kreis, um den 
herum die Fädchen in ihrem Verlauf ausweichen. 

Nicht selten boten aber die in den Schnitten getroffenen Zellen 
ein anderes Aussehen dar; um den Kern herum ordneten sich feine, 
kurze oder punktförmige Gebilde an. Bei diesen Bildern handelte es 
sich um senkrecht zur Längsachse der Drüsenzelle gefallene Quer- 
schnitte durch Kern und Zellenleib; im letzteren sind alsdann die um 
den Kern herum verlaufenden Fädchengruppen der Quere nach ge- 
troffen. 

Die feinen Fädchen verlaufen nun nicht in jeder Pankreaszelle 
ausschliesslich parallel dem Längsdurchmesser der Zelle. Wenn auch 
die eben geschilderten Verhältnisse bei der weitaus grössten Zahl der 
durchgeselienen Schnitte vorherrschend waren, so darf ich doch nicht 
unerwähnt lassen, dass ich hin und wieder Zellen cewahrte, in denen 
die Fädchen im Zellquerschnitt gebogen von den Zellseiten nach dem 
Kerne zu verliefen, und zwar in einer unregelmässigen Anordnung, so 


*) Zitiert nach M. Heidenhain: Plasma und Zelle. Seite 388. Jena 1907. 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 159 


dass sie sich wiederholt kreuzten. (Über die konzentrischen Fäden in 
der Umgebung des Nebenkernes siehe weiter unten diesen.) 

Neben dieser in den Pankreasdrüsenzellen von Dasypus sehr 
prägnant ausgebildeten charakteristischen Fädchenbildung beanspruchen 
die schon lange bekannten „Nebenkerne“ des Pankreas unser Interesse. 
Wie eine Durchsicht der Literatur lehrt, wurden Nebenkerne wohl bei 
allen Vertretern der Säugetierklasse in den Pankreasdrüsenzellen ge- 
funden. Was speziell die viel diskutierte Frage iiber Entstehung und 
Bedeutung der Nebenkerne betrifft, so möchte ich auf die erschöpfende 
Zusammenstellung der einschlägigen Literatur in dem Lehrbuch von 
Oppel, Bd. IIT, S. 755— 761 verweisen. Zu einem abschliessenden 
Urteil ist man in diesem Falle bis jetzt noch nicht gekommen. Auch 
ich habe in den Pankreasdrüsenzellen des Borstengürteltieres, und zwar 
meist in der Nähe des Kernes und im basalen Zellteil, Bildungen an- 
getroffen, welche als ,Nebenkerne^ angesprochen werden können. Sie 
bestehen aus einer in den Eisenhämatoxylinpräparaten bei entsprechender 
Differenzierung hell erscheinenden kleinen Stelle in der Nähe des Kernes, 
welche von einer grösseren Anzahl konzentrisch angeordneter Fädchen 
umgeben wird. Zentralkörperchen konnten in der hellen Stelle mit 
Sicherheit nicht gesehen werden. 


Sekretgänge des Pankreas. 


Auch beim Pankreas waren die Sekretgänge mit den charakte- 
ristischen Kitt- oder Schlussleisten versehen, welche letzteren gut 
darstellbar mit Eisenhämatoxylin sind und für die interzelluläre 
Lage der Gänge sprechen. Die Sekretgànge zweigen vom zentralen 
Drüsenlumen zwischen die einzelnen Zellen ab, haben ein recht 
weites Lumen und im Gegensatz zu den Sekretgängen der serösen 
Elemente der Submaxillaris und der Parotis einen fast gestreckten 
Verlauf, selten nur wenig gebogen, zeigen sie selten Verästelungen. 
Während es bei den eben genannten Drüsen durchaus nicht selten war, 
den Lauf der Sekreteünge bis an die Membrana propria zu verfolgen, 
endeten sie bei dieser Drüse fast immer in Hóhe der Kerne und waren 
auch, wahrscheinlich weil sie weniger Verzweigungen aufzuweisen haben, 
dementsprechend weniger häufig anzutreffen als bei der Submaxillaris 


160 Franz Dietrich, 


und Parotis. Die mit Hermannscher und Flemmingscher Flüssigkeit 
fixierten und mit Heidenhains Hämatoxylin gefärbten Präparate waren 
wohl auch zum Studium der Sekretgänge geeignet; entschieden aber 
verdient Sublimatfixierung und Färbung mit Heidenhains Hämatoxylin 
den Vorzug. | 


Ausführungsgänge des Pankreas. 


Ausführungsgänge trifft man auf den Durchschnitten durch das 
Pankreas des Dasypus häufig an; die grossen und mittleren liegen in 
mehr oder weniger mächtigen Bindegewebsschichten, die ziemlich 
reichlich von elastischen Fasern durchzogen sind, aber keine Muskel- 
zellen aufweisen. Das Epithel sämtlicher Ausführungsgänge, sowohl 
der grossen wie der kleinen, ist einschichtig; auch findet man niemals 
Becherzellen. In den grossen Gängen zeigt es hohe, zylindrische 
Form, die mit der Grösse der Gänge sukzessive abnimmt, bis man 
schliesslich in den kleinsten Gängen ein kubisches Epithel hat. Die 
Zellgrenzen sind immer deutlich und gut sichtbar. Bei der Färbung 
mit Eisenhämatoxylin bleibt der Zellleib fast ungefärbt. Die dem Gang- 
lumen zugewandte Region der Epithelzellen ist etwas dunkler gefärbt 
und lässt eine äusserst feine, mit der Längsachse der Zelle parallel 
verlaufende Längsstreifung erkennen. Der Kern, der sich nicht so 
intensiv färbt wie die Drüsenzellkerne, liegt immer basal, etwa im 
ersten Zellviertel, hat meist länglichrunde Form und ist mit seinem 
grössten Durchmesser in die Längsrichtung der Zelle gestellt. Neben 
einer deutlichen Kernstruktur bemerkt man in der Regel ein, oft auch 
mehrere grössere Kernkörperchen, die an die Kernwand gedrängt sind. 
In den kleinen Gängen, die kubisches Epithel auskleidet, verliert der 
Kern seine Längsausdehnung, bekommt rundliche Form, ist verhältnis- 
mässig gross, so dass er den weitaus grössten Teil der Zelle einnimmt, 
und liegt ganz zentral. Die Begrenzung der Epithelzellen nach dem 
Lumen zu ist nicht glatt und scharf, hat aber auch nicht die kuppel- 
artige, nach dem Lumen zu konvex vorspringende Vorwölbung, wie 
sie Pischinger beschreibt, sondern zeigt eine Ausfransung an der Ober- 
fläche. Becherzellen, wie sie wohl in den grossen Ausführungsgängen 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 161 


des Pankreas beim Meerschweinchen, Kaninchen usw. vorkommen, 
konnte ich bei Dasypus nicht antreffen. 

Was nun die Zentralkörperchen in den Epithelzellen der Ausfüh- 
rungsgänge anlangt, so waren sie als „Diplosoma“ vorhanden und 
befanden sich sehr regelmässig ganz nahe der freien Oberfläche. Sie 
lagen in einen schmalen, gegen die übrige Umgebung sich scharf ab- 
hebenden hellen Hof von der Grösse, dass ungefähr die 4—5 fache 
Anzahl von Zentralkörperchen erforderlich gewesen wäre, um diesen 
auszufüllen. Einmal fiel die Verbindungsachse der Zentralkörperchen 
mit der Oberfläche der Epithelzellen zusammen oder war doch dieser 
parallel, ein andermal neigte sie sich unter einem spitzen Winkel zur 
Oberfläche, niemals aber war der Fall anzutreffen, dass die Verbindungs- 
achse senkrecht zur Oberfläche stand. 

Wie in den „intertubulären Zellhaufen“, so konnte ich auch in den 
Drüsenendkammern, im letzteren Falle allerdings häufiger wie im ersteren, 
Riesenkerne konstatieren. Sie waren nicht nur vereinzelt anzutreffen, 
sondern bisweilen fand ich 3—5 unmittelbar nebeneinander liegend, 
was zufolge geringer Färbbarkeit, die diesen Gebilden eigen ist, schon 
bei ziemlich schwacher Vergrösserung auffällt. In der Regel haben 
sie runde oder polyedrische, seltener Spindelform; der jeweiligen Gestalt 
der Kerne ist auch ungefähr die des Zellleibes angepasst, und zwar so, 
dass sich der Zellleib meist lediglich als eine schmale Einfassung des 
Kernes repräsentiert. An Grösse steht der Zellleib der der Drüsen- 
zellen bedeutend nach und hat ein weit geringeres Färbevermögen wie 
die letzteren. Direkt um den Riesenkern herum sieht man einen 
schmalen, ringförmigen, hellen Hof, wodurch die Kernmembran äusserst 
scharf und deutlich hervortritt. Die Kerne, die den grössten Teil der 
Zelle ausmachen, übertreffen die Grösse der Drüsenzellkerne etwa 
um das Zwei- bis Dreifache; in ihrem Inneren zeigen sie eine feine, 
spärliche Körnelung, die dem Kern ein ziemlich helles Aussehen 
verleiht. 

Es erübrigt nun noch kurz, auf die „zentroazinären Zellen“ hin- 
zuweisen, über deren Natur und Lage lange Zeit keine Einigkeit unter 
den Forschern erzielt werden konnte. Gegenwärtig dürfte jedoch wohl 


allgemein die Ansicht durchgedrungen sein, dass die zentroazinären 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 11 


162 Franz Dietrich, 


pe 


Zellen nicht zum Endstück, zu den Endschläuchen der Bauchspeichel- 
drüse, gehóren; vielmehr besteht die bereits von dem Entdecker dieser 
Zellen (Langerhans) aufgestellte Vermutung auch noch heute zu Recht, 
dass nämlich die zentroazinären Zellen noch zur Wand des Gangsystems 
gehören, dass sie Schaltstückszellen sind. Es werden also die Innen- 
wände der Endgänge der Bauchspeicheldrüse lediglich von den sezernie- 
renden Zellen des Pankreas gebildet, ohne dass die zentroazinären 
Zellen hierbei beteiligt sind. Die zentroazinären Zellen sind im Pankreas 
des Dasypus eine konstante Erscheinung. Ihre Form ist meist spindel- 
förmig oder eirund, ihr Plasma homogen und wenig tingierbar und oft 
mit zwei bis drei spitz zulaufenden Fortsätzen versehen. Der ver- 
hältnismässig grosse Kern, der meist in der Zelllängsrichtung gestreckt 
ist, hat länglich-ovoide Gestalt. Eine deutliche Kernstruktur ist nicht 
ersichtlich; statt dessen gewahrt man in seinem Inneren eine Menge 
kleinster, feiner Körnchen. 

Zum Schlusse dieses Kapitels möchte ich noch bemerken, dass 
ich auch hin und wieder in dem Bindegewebe, das sich zwischen den 
Drüsenläppchen des Pankreas hinzieht, Ganglienzellen antraf, die zu 
einem Zellenkomplex von etwa 20 Zellen zusammengelagert waren. 
Das Auftreten von Ganglienzellen im Pankreas gilt ja bekanntlich als 
etwas Regelmässiges, und ich beschränke mich zwecks Informierung 
hierüber auf die kurze Zusammenstellung in Oppels „Lehrbuch der ver- 
gleichenden mikroskopischen Anatomie“, Bd. III, Seite 818—819, Jena 
1900, zu verweisen. 


8. Glandula thyreoidica. 


Die Thyreoidica besteht aus einer grossen Zahl verschieden grosser, 
durchweg geschlossener, mit zylindrischem oder kubischem Epithel aus- 
gekleideter Drüsenbläschen oder Follikel. Die Form der Follikel ist sehr 
variabel: rund, polygonal, oval, häufig auch mit mässigen Aus- und Ein- 
buchtungen versehen. Zwischen den Follikeln verlaufen die Blut- und 
Lymphgefässe in mehr oder weniger starken Bindegewebsschichten, in 
denen langgestreckte, spindelförmige, intensiv gefärbte Kerne sichtbar sind. 
Bündel von quergestreiften Muskelfasern im Gewebe der Schilddrüse, 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 163 


wie sie von Wóltler, Capobianco, Kohn, Müller, Paladino und Zielinska 
beim Menschen, Kaninchen und Hund gefunden wurden, liessen sich 
beim Borstengürteltier nicht konstatieren Ab und zu trifft man in 
regelloser Anordnung solide Zellhaufen an, deren Zellen durchaus den 
Zellen des Follikelepithels ähneln. Auf diese soliden Zellhaufen hat 
zuerst Wölfler aufmerksam gemacht. 

Die Höhe des Follikelepithels wechselt. Eine bestimmte Regel- 
mässigkeit in diesem Wechsel konnte ich nicht feststellen. Direkt 
falsch aber ist es, die Epithelhöhe von der Grösse der Follikel ab- 
hángie zu machen, und zwar derart, dass ein kleiner Follikel ein höheres 
Epithel besitzen soll als ein grosser Follikel; denn man findet oft in 
grossen Follikeln ein ziemlich hohes Zylinderepithel, häufig aber auch 
ein kubisches, ja sogar plattes. Mehr Berechtigung ist jedenfalls der 
Auffassung von Langendorff und Andersson zuzusprechen, die glauben, 
dass die Grössenzunahme der Follikel nicht durch Abplattung der Epithel- 
zellen, sondern durch Vermehrung der Epithelzellen bewirkt wird. 

In den mehr zylindrischen Epithelzellen war das Verhältnis 
etwa so, dass der runde, basalgelagerte, grosse Kern ungefähr die eine 
Hälfte des Zellleibes ausmachte, während die andere, dem Lumen zu- 
gewandte Hälfte die kernfreie Region war. Der Kern der Drüsenzellen 
besitzt 6—8 ungleich grosse, der Kernmembran dicht angelagerte 
Kernkórperchen. Der ganze Zellleib weist eine feine Körnelung auf 
die im zentralen Teile dichter ist als im basalen, und lässt eine äusserst 
feine, parallelverlaufende Längsstreifung erkennen. Um den Kern sieht 
man eine schmale, helle, ringförmige Zone, die sich gegen die dichte 
Körnelung des Zellleibes abhebt. Ist das Follikelepithel kubisch, so 
nimmt der Kern eine mehr ovale Gestalt und zentrale Lage an. In 
der funktionierenden Drüse ist die Oberfläche der Follikelepithel- 
zellen gegen das Lumen hin nicht geradlinig abgegrenzt, sondern 
sie zeigt meist eine sanfte, kuppelartige Wölbung gegen das Lumen 
hin, so dass die Begrenzungslinie des Follikelraumes ein welliges 
Aussehen bietet. Mit ihrer Basis stossen die Epithelzellen direkt auf 
die dünne Bindegewebsschicht, die die einzelnen Follikel voneinander 
trennt. 


Verschiedene Autoren, z. B. Langendorff, E. Schmid, Kolossow und 
11* 


164 Franz Dietrich, 


Hürthle, unterscheiden nun an den Follikeln der Schilddrüse zwei 
Zellarten, Hauptzellen und Kolloidzellen. Die letzteren sind im Drüsen- 
epithel vereinzelt oder etliche nebeneinander anzutreffen, haben bald 
dieselbe Gestalt wie die Hauptzellen, bald sind sie äusserst schmal und 
zusammengedrückt. Der Zellkörper zeichnet sich vor den Hauptzellen 
durch seine homogene, hyalinglänzende Beschaffenheit und seine starke 
Färbbarkeit aus. Die Kolloidzellen haben dieselbe Färbung wie die 
Kolloidmasse. „Oft erscheinen sie“, sagt E. Schmid, „so schmal, dass 
nur ein deutlich erkennbarer Kern uns davon abhält, sie für kolloid- 
gefüllte Lücken in der Zellbekleidung der Follikel zu halten.“ Die 
Sekretion der Schilddrüse geschieht nach Angabe der obengenannten 
Autoren durch kolloide Umwandlung der Hauptzellen in Kolloidzellen 
und durch Ausstossung des Inhaltes der letzteren in den Follikelraum. 
Wie nun schon Andersson hervorgehoben hat, ist das Vorkommen der 
Kolloidzellen aber durchaus kein konstantes, und nach Ellenbergers 
Ansicht „lässt vor allem die oft sehr bedeutende Veränderung, die 
ihre Kerne erleiden, mehr auf regressive bzw. degenerative als pro- 
duktive Vorgänge schliessen.“ Auch ich habe an meinen Präparaten 
keine Andeutung einer ungleichmässigen Färbung der Epithelzellen 
finden können, die dazu berechtigt hätte, im Epithel zweierlei Arten 
von Zellen zu unterscheiden. Die Epithelzellen waren überall gleich- 
mässig gefärbt, auch befand sich die Drüse im normalen Funktions- 
zustande, wie die reichlichen Kolloidmassen in den Lichtungen der 
Follikel bewiesen. 

Zum Schluss noch einige Bemerkungen über die Lage der Zentral- 
körperchen. Zufolge der ziemlich dichten Körnelung des Zellleibes ist 
es gerade nicht leicht, die Lage der Zentralkörperchen an Querschnitten 
zu bestimmen. Weit weniger Schwierigkeiten bieten günstige Flächen- 
bilder. Hat man einen Flachschnitt durch mehrere Oberflächenteile 
der Epithelzellen, ohne dass Kernanschnitte sichtbar werden, so kann 
man leicht den Beweis erbringen, dass alle Zellen zwei Zentralkörper 
besitzen und dass diese ungefähr in der Mitte der Zellquerschnitte 
liegen. An Querschnitten durch zylindrisches Epithel findet man, dass 
in der Regel die Verbindungsachse der beiden Zentralkörperchen senk- 
recht zur Oberfläche steht, und dass das eine von diesen die Oberfläche 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 165 


berührt oder dieser sehr nahe liegt, während das andere schon etwas 
mehr in die Zelle hineingedrängt erscheint. Immer ist das Diplosoma 
von einem typischen hellen Hof umgeben. Es kommen nun auch ver- 
einzelte Fälle vor, bei denen die Verbindungslinie der Zentralkörperchen 
parallel verläuft mit der Oberfläche, ja mit dieser zusammenfällt, oder 
dass sie unter einem spitzen Winkel zur Oberfläche geneigt ist. Im 
übrigen muss ich anführen,. dass das Auffinden von Zentralkörperchen 
in Zellen mit kubischem oder plattem Epithel sehr schwierig ist und 
nur selten möglich war, weil die Zellkerne, die den weitaus grössten 
Teil der Zelle einnehmen, die Zentralkörperchen häufig verdeckten. 

In den mit Eisenhämatoxylin gefärbten Präparaten sind die Schluss- 
leisten zwischen den Epithelzellen sehr deutlich. 


9. Ovarium. 


Die Ovarien des von mir untersuchten Borstengürteltieres waren 
verhältnismässig klein. Im fixierten, erhärteten Zustande hatte jedes 
einen Längendurchmesser von ca. 8—8,5 mm, einen grössten Quer- 
durchmesser von etwa 45 mm. Die glatte Oberfläche des ganzen 
Ovariums ist, abgesehen von der Hilusstelle, mit einem deutlichen, 
niedrigen, kubischen bis fast zylindrischen Keimepithel überzogen, dessen 
Zellen einen fast die ganze Zelle ausfüllenden, chromatinreichen Kern 
besitzen. 

Am Eierstock lassen sich drei Zonen unterscheiden, die Albuginea, 
die Rinden- und die Marksubstanz; in letztere ragen die reiferen Ei- 
follikel verhältnismässig weit hinein. 

Die Albuginea, der das Keimepithel aufgelagert ist, ist gut aus- 
geprägt und breiter als z. B. bei der Katze. Sie ist frei von Primär- 
follikeln; nur hier und da kommt es vor, dass sich ein solcher bis dicht 
unter das Keimepithel hineinschiebt. Unmittelbar unter dem Keim- 
epithel haben die zellreichen Bindegewebsbündel in der Regel einen 
parallelen, nach einer Richtung hin gehenden Verlauf; etwas weiter ein- 
wärts jedoch besteht die Albuginea aus unregelmässig durcheinander ge- 
flochtenen, sich oft kreuzenden derben Bindegewebsbündeln; bisweilen 
schwenken letztere auch fast senkrecht zur Peripherie des Keimepithels 


166 Franz Dietrich, 


nach dem Inneren zu ab. Zwischen den Bündeln befinden sich zahl- 
reiche Zellen mit länglichem, abgeplattetem, mitunter unregelmässigem 
Kern. 

Die Albugines geht allmählich über in die Rindenschicht, in 
welcher die Primärfollikel und die heranreifenden Follikel regellos 
eingestreut liegen. Hier und da einzeln eingelagert oder mehrere 
zu Eiballen oder Einestern vereinigt, zeigen die Primärfollikel und 
Epithelmassen doch nie die für das Katzen-Ovarium so typische 
traubige Anordnung, wie sie von Schrön und His auch für das 
Ovarium des Kaninchens und des Menschen beschrieben wurde. 

Bekanntlich gilt als Regel, dass sich in jedem heranreifenden und 
reifen abgetrennten Follikel nur ein Ei befindet; ausnahmsweise 
wurden von den Autoren auch zwei oder drei Eier in einem Follikel 
gesehen, und zwar hauptsächlich bei Kindern, z. B. von Grosse, 
v. Kölliker, Klien und Nagel, bei Tieren z. B. von E. van Beneden, 
Schrön, Waldeyer, G. Wagener, Cuénot und Rosener. Letzterer fand 
seinerzeit bei Dasypus novemcinctus zu 42°), mehreiige Follikel; 
L. Cuénot konnte diese Angaben für dasselbe Tier nicht bestätigen ; 
er konstatierte bei 66 gut ausgebildeten Follikeln nur drei Fälle, die 
zwei Eier enthielten. Bei dem mir zur Verfügung stehenden Material 
konnte ich in den grösseren, mit reichlichem Liquor versehenen Folli- 
keln nur ein Ovulum finden. Dagegen waren in der Rindenschicht in 
den noch nicht in Primärfollikel zerfallenen Eiballen gewöhnlich 
mehrere (2—10) Ureier festzustellen. 

Die Eizelle der Primärfollikel wird von einem niedrigen, ein- 
schichtigen Follikelepithel umgeben (Fig. 9 und Fig. 10 der Tafel VIII). 
Dasselbe Follikelepithel findet sich auch an der Peripherie der Eiballen, 
die in der Rindenschicht nicht selten sind und aus zahlreichen Eizellen 
bestehen können. Der Kern (Keimbläschen) dieser Primordialeier ist 
gross und durch die lockere, fädige Struktur seines Kerngerüstes aus- 
gezeichnet (Fig. 9 und Fig. 10 der Tafel VII). 

Fast in jedem Primordialei fand ich in der Nähe des Kernes 
eigenartige, dotterkernartige, meist längliche Körper, welche in dem 
folgenden Kapitel des näheren beschrieben werden sollen. 

An der Theca der grösseren Follikel waren die beiden Schichten, 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 167 


die äussere bindegewebige und die innere zellige, deutlich zu unter- 
scheiden. An der Grenze zwischen der Tunica interna der Theca und 
dem Granulosaepithel der Follikel machte sich eine schmale, aber 
scharfe dunkle Linie bemerkbar, welche ich als optischen Ausdruck 
einer vorhandenen Basalmembran oder Glashaut nehme. 

Die Kerne der kleinen Follikelzellen der Granulosa zeichnen sich 
. durch den Besitz zahlreicher Kernkörperchen aus. 

Im übrigen boten die Follikel und das Ovarium nur die gewöhn- 
lichen Verhältnisse dar. 


Dotterkern. 


In dem vorigen Kapitel habe ich schon erörtert, dass ich in den 
Primordialeiern der Primärfollikel eigenartige Gebilde auffand, die ich 
als Dotterkerne deutete. Ich lasse jetzt die weitere Beschreibung an 
der Hand der beigefügten Zeichnungen (Tafel VIII, Fig. 9 und 10) 
folgen. \ 

Ein Blick in die jüngste Literatur über die Dotterkerne zeigt, 
dass das Wesen, die Entstehung und Bedeutung dieser eigenartigen 
Gebilde, die sich in den Eiern vieler Tiere vorfinden, zurzeit, noch 
nicht genügend geklärt ist. Man wird eine einheitliche Auffassung 
über die Natur der Dotterkerne vermissen. Meistens weisen ja auch 
die Dotterkerne in ihrer äusseren Form und in ihren Strukturverhält- 
nissen ganz bedeutende Verschiedenheiten auf, wie dies hervorgeht 
aus den einschlägigen bis jetzt erschienenen Abhandlungen. Bekannt 
sind ja auf diesem Gebiete die Arbeiten von van Bambeke, Balbiani, 
van Beneden, Boveri, Flemming, Gurwitsch, Henneguy, Holmgren, 
Julin, Mertens, K. v. Skrobansky, Stoeckel, van der Stricht, Waldeyer, 
H. v. Winiwarter, Wittich u. v. a. Auf die schon stark angewach- 
sene Literatur über die Dotterkerne näher einzugehen, muss ich mir 
versagen. Ich will nur kurz die Stellungnahme zur Frage über 
die Natur und das Wesen der Dotterkerne verschiedener Autoren 
streifen. 

Henneguy kam zufolge seiner Studien zu dem Schluss, dass der 
Dotterkern sich bei Repräsentanten aller Tierklassen vorfinde und erst 


168 Franz Dietrich, 


dann auftrete, wenn das Primordialei sich nicht mehr teile und zu 
wachsen beginne. Er ist der Ansicht, dass er aus den Keimbläschen 
stammt und hauptsächlich aus Nukleolarsubstanz bestehe, was besonders 
deutlich bei den Fischen, wie Syngathus, zu verfolgen sei. Bei den 
Evertebraten dauere er häufig noch im reifen Ei aus, während er bei 
den Vertebraten meist frühzeitig schwinde Flemming (s. Merkel- 
Bonnet, „Ergebn. der Anat. u. Entwicklungsgesch.“ 1892) will den 
Dotterkern als ein den Sphären entsprechendes Gebilde aufgefasst 
wissen. Balbiani folgert zufolge seiner Untersuchungen am Ei von 
Tegeneria domestica, dass der Dotterkern das Homologon des Zentro- 
soms bei den Samenzellen und somatischen Zellen sei. Er vergleicht 
dabei den Zentrosomen letzterer Zellen den ganzen relativ grossen Innen- 
körper des Dotterkerns im Spinnenei, welcher zuweilen auch doppelt 
gefunden wird, jedoch noch kleinere Körper enthält. Die Aussenzone 
repräsentiere die Attraktionsphäre. Balbiani tritt der Aufassung Boveris 
bei, nach der das Zentrosom der Eizelle bestimmt sei, hinfällig zu werden 
und seine physiologische Wirkung zu verlieren, und sieht eine sachliche 
Stütze dafür in dem Verhalten des Dotterkerns. Dieser scheine bei 
den einen Spinnenarten gar nicht zur Bildung zu kommen, bei anderen 
sei er in jedem Entwicklungstadium des Eies zu finden, bei anderen 
werde er gebildet und resorbiert (aus Merkel-Bonnet, „Ergebn. der 
Anat. u. Entwicklungsgesch.“ 1893, Flemming). Gurwitsch fasst seine 
Resultate über die Untersuchung am Dotterkern folgendermassen zu- 
sammen: „Wir können somit mit gutem Recht den Dotterkern 
der unreifen Säugetiereier dem  Idiozom der Samenzellen voll- 
ständig homologisieren.“ Des weiteren halten van der Stricht und 
H. v. Winiwater den Dotterkern für eine Attraktionssphäre. Des- 
gleichen glaubt auch W. Stoeckel, dass die Deutung des Dotterkerns 
als Attraktionssphäre am meisten für sich habe. Demgegenüber 
schreibt K. v. Skrobansky: „Meine Befunde gestatten mir ... nicht, 
den Balbianischen Körper... ohne weiteres mit einem Sphärenapparate 
zu identifizieren.“ 

Fast in allen bis jetzt untersuchten Fällen wurde am Dotterkern 
unterschieden ein Dotterkernlager (Waldeyer) oder eine „couche palleale“ 
(van Bambeke), „couche vitellogene“ (van der Stricht) oder „Mantel- 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 169 


schicht“, die sich durch ihr körniges Aussehen und dichte Anordnung 
der Körnchen von dem übrigen Zelleib scharf abhebt, und zweitens ein 
eigentlicher „Dotterkern“, „corps vitellogéne“, ,corpus Balbiani*, „noyau 
vitellin“, „yolk nucleus“, „Balbianischer Dotterkern“ usw., der sich in 
der Regel im Zentrum des Dotterkernlagers befindet. Bislang ist mir 
nur ein Fall bekannt, wo bei einem dotterkernartigen Gebilde der 
eigentliche Dotterkern vermisst wird, ich meine in den Eiern von 
Pholcus phalangioides, bei denen van Bambeke einen besonderen Dotter- 
kern nicht nachweisen konnte. Hierauf werde ich später noch zurück- 
kommen. 

Die Fig. 9 und 10 der Tafel VIII stellen zwei Primordialeier aus 
zwei primären Follikeln der Rindensubstanz dar, welche Präparaten 
entnommen sind, die nach Fixierung mittels Eisessig-Sublimatlösung mit 
Eisenhämatoxylin nach M. Heidenhain tingiert und mit Eosin nach- 
gefärbt waren. Wie man sieht, ist jedes Ei umgeben von einem ein- 
schichtigen Follikelepithel. Die Keimbläschen liegen im Eiprotoplasma 
etwas exzentrisch. In ihrer unmittelbaren Nähe gewahrt man nun in 
der Eizelle ganz eigentümliche, verhältnismässig grosse Gebilde, welche 
von einem hellen Hofe umgeben sind, der wohl als Schrumpfungs- 
erscheinung zu deuten ist Man kann an ihnen sofort zweierlei unter- 
scheiden, und zwar eine von der übrigen Umgebung sich deutlich ab- 
hebende dunklere Grundlage und, in diese eingebettet, Kleine strich- 
artige, schwarzgefärbte, in Reihen angeordnete Stäbchen. Im Innern 
der sehr verschieden gestalteten Körper traf ich hier und da vakuolen- 
artige Bildungen von kugelförmiger Gestalt an, welche sich durch ihre 
hellere Färbung von der Umgebung abhoben. In diesen hellen vakuolen- 
artigen Gebilden war nun in meinen Präparaten weiter nichts bemerkbar; 
die schwarzen Stäbchen fehlen in ihnen. Auch habe ich trotz eifrigsten 
Suchens bei Anwendung stärkster Systeme in diesen vakuolenartigen 
Gebilden, — ich gebrauche absichtlich diesen Ausdruck, um nicht ev. durch 
den Ausdruck „Sphäre“ Irrtümer hervorzurufen, — keine zentrosomartigen 
Kórperchen, etwa ein Diplosoma oder sonst irgendwelche Körnchen 
auffinden können. Ich hegte nämlich anfangs die Vermutung, dass 
diese Gebilde sich darstellen würden als Sphären der Zentrosomen und 
ich demzufolge ganz ähnliche Bilder vor mir haben könnte, wie sie 


170 Franz Dietrich, 


Gurwitsch für die Ovarialeier von Meerschweinchen beschreibt und 
auch in verschiedenen Abbildungen wiedergibt. 

In der Unterlage finden wir nun eine Menge kleiner Bildungen 
eingestreut, welche wie ‘schwarze Stäbchen aussehen; sie sind ver- 
schieden gross, mehr oder weniger dick, in der Regel unter sich parallel 
gestellt, nur selten etwas geschlängelt und kreuzen sich ganz aus- 
nahmsweise unter einem spitzen Winkel. Ich hebe besonders hervor, 
was ja auch die Zeichnungen erkennen lassen, dass die Fäden des 
Kerngerüstes des Keimbläschens bedeutend breiter und stärker sind 
als die kleinen in die Grundmasse eingestreuten Stábchen, und dass 
eine netzförmige Anordnung dieser letzteren niemals auftrat. In Fig. 9, 
wo die Dotterkerne selbst eine mehr gerade Form haben, liegen auch 
fast alle Stäbchen hintereinandergereiht in geraden Linien, unter sich 
in paralleler Lage. Nimmt aber der Dotterkern selbst eine etwas ge- 
krümmte Form an, wie sie z. B. der grössere Dotterkern in Fig. 10 
hat, oder hat er gar Kalotten- oder Wurstform, wie der zweite kleinere 
Dotterkern in Fig. 10, der direkt dem Keimbläschen anliegt und ihm 
gewissermassen haubenartig aufgesetzt ist, dann folgen die kleineren 
schwarzen Striche im grossen ganzen der Gesamtform des Dotterkernes, 
beschreiben also ungefähr Bogenform und gleichen einer bogenförmigen 
punktierten Linie. Der kleinere Dotterkern in Fig. 10 umgibt etwa 
zu zwei Fünftel die Peripherie des Keimbläschens kalottenförmig; der 
grössere, der auch sehr nahe beim Keimbläschen liegt, hat auf dem 
Querschnitt trapezoide Form und zeichnet sich aus durch seine statt- 
liche Grösse. Das Ei, in dem die eben beschriebenen Dotterkerne sich 
befinden, lag ziemlich nahe unter dem Keimepithel, etwas weiter ein- 
wärts das Ei, das uns Fig. 10 vorführt. In diesem sehen wir zwei 
Dotterkerne von annähernd Spindelform, die mit ihrer Längsachse 
parallel gestellt sind. Eine derartige Anordnung der Dotterkerne, 
wenn sie in der Zweizahl vorhanden waren, konnte ich häufig be- 
obachten. 

Was nun die Lage und Form der Dotterkerne anbetrifft, wie ich 
sie ausser in den abgebildeten Fällen noch in den anderen Primordial- 
eiern antraf, so sei noch folgendes hervorgehoben. 

Fast in allen Primordialeiern der Rindenzone waren Dotterkerne 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 171 


von der eben geschilderten Struktur anzutreffen. Ich beachtete z. B. 
in Eiballen, in denen acht Eier zusammenlagen und die noch von 
einem Epithel umgeben waren, in der Nähe eines jeden Keimbläschens 
ein oder gar mehrere Dotterkerne. In den grösseren, mehr entwickelten 
Follikeln sieht man ab und zu nur noch kleinere reduzierte Gebilde, 
die man als Reste des Dotterkernes deuten muss. Wie sich ja schon 
aus der Wahl der zur Abbildung gebrachten hier ergibt, waren Dotter- 
kerne zu zweien in einem Ei äusserst häufig vertreten, gar nicht selten 
sogar drei, bisweilen vier. Manchmal regellos im Dotter zerstreut, 
zeigten sie hier und da eine fast ringförmige Anordnung um das Keim- 
bläschen und waren sie dabei mit ihrer konkaven Seite stets dem 
Keïnbläschen zugewandt. Die gut ausgebildeten Dotterkerne der 
Primordialeier befanden sich stets in der Nähe des Keimbläschens. 

Bezüglich der Gestalt der Dotterkerne herrschte die längliche Form 
vor. Es trat aber eine derartige Verschiedenheit in der äusseren Form 
zutage, dass es mir nicht möglich ist, eine allgemein gültige Grund- 
form aufzustellen. Häufige Formen in den Schnitten waren: Spindel-, 
Keil-, Trapez-, Ei-, Kalotten- und Wurstform, viel seltener polyedrische 
oder gar kugelige. Das Aussehen der Körper war naturgemäss auch 
sehr davon abhängig, wie der Schnitt sie getroffen hatte. 

Man könnte nun vielleicht glauben, dass es sich bei den ven mir 
beschriebenen und abgebildeten Dotterkernen um solche handele, die 
bereits ein hohes Stadium des Zerfalls darstellen, dass demnach das 
Dotterkernlager angefüllt sei mit den Trümmern des eigentlichen Dotter- 
kerns, und hierdurch diese eigenartige Struktur bedingt und erklärt 
würde. Dem muss ich aber entgegenhalten, dass erstens die zur Ab- 
bildung gebrachten Eier Eier sehr junger Stadien sind und zweitens, dass 
ich niemals eine andere Struktur der Dotterkerne an dem mir vor- 
liegenden Material antraf. 

Ich komme also zu dem Resultat, dass wir in den Eiern von 
Dasypus villosus dotterkernartige Gebilde ganz eigenartiger Natur vor 
uns haben, wie sie meines Wissens bis jetzt noch nicht beschrieben 
wurden. 

Nur ein Fall ist in der Literatur aufgezeichnet, bei dem sich auclı 
ein eigentlicher Dotterkern in dem umschriebenen Dotterkernlager 


14 Franz Dietrich, 


nicht nachweisen liess, ich meine die Mitteilungen van Bambekes über 
seine Befunde an den Eiern von Pholcus phalangioides. Aber ein Blick 
auf seine beigefügten Abbildungen belehrt mich, dass die feineren 
Strukturverhältnisse dieser Gebilde sich wesentlich unterscheiden von 
den von mir beschriebenen. 

Zum Schluss will ich noch anführen, dass ich, und zwar auch in 
grösseren Follikeln, kleinen, schwarzgefärbten, kugelförmigen Gebilden 
von etwa halber Grösse des Keimfleckes in den mit Eisenhämatoxylin 
gefärbten Präparaten begegnete, die von einem hellen Hofe umgeben 
waren. Meiner Ansicht nach sind es ähnliche Gebilde, wie sie Gurwitsch 
in seiner Abhandlung „Idiozom und Zentralkórper im Ovarialei der 
Säugetiere“ erwähnt und abbildet, nämlich chromatoide Nebenkörper. 


10. Hoden. 


Das Hodenparenchym ist ringsum eingeschlossen von der Tunica 
albuginea s. fibrosa, einer Schicht, welche aus derbfaserigem Bindegewebe 
mit zahlreichen elastischen Fasern besteht; nach aussen ist sie über- 
zogen von einer einfachen Lage platter Epithelzellen mit chromatin- 
reichem Kern. An die Albuginea anschliessend folgt die Tunica vasculosa, 
die hauptsächlich das Lager bildet für die grossen Gefässe, eine Schicht 
lockeren Bindegewebes, gleichfalls durchflochten von vielen elastischen 
Fasern. Was das gegenseitige Stärkeverhältnis dieser beiden Schichten 
anbelangt, so ist es nur unbedeutenden Schwankungen unterworfen; 
im allgemeinen sind beide ziemlich gleichdick. Muskulatur konnte ich 
weder in der Albuginea noch in der Vaskulosa noch im interstitiellen 
Bindegewebe antreffen. 

Bezüglich der Ausbildung der Zwischensubstanz dürfte der Hoden 
des Borstengürteltieres wohl eine der letzten Stellen in der Reihe der 
Sänger einnehmen. Es ist nämlich das interstitielle Bindegewebe nur 
recht schwach entwickelt, und demzufolge sind auch die sog. ,Inter- 
stitiellen Zellen“ oder „Zwischenzellen“ nur spärlich vertreten. Es 
würde zu weit führen und über den Rahmen der Arbeit hinausgehen, 
wollte ich, auch nur in knappen Zügen, die gerade in letzter Zeit so 
stark angewachsene Literatur auf diesem Gebiete anführen; hinsicht- 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 173 


lich der Literaturübersicht über diese Materie verweise ich auf die 
eingehende Zusammenstellung, die K. v. Bardeleben zu Beginn seiner 
Abhandlung macht, desgleichen auf den kurzen Literaturüberblick, den 
Lenhossék, Plato und Reissner in ihren diesbezüglichen Arbeiten 
geben. Das interstitielle Bindegewebe füllt die Lücken aus zwischen 
den einzelnen Hodenkanälchen und hat daher je nach der Anzahl der 
zusammenliegenden Kanälchen verschiedene Form und Mächtigkeit. 
Das interstitielle Bindegewebe bei Dasypus ist verhältnismässig zellen- 
arm. Neben den eigentlichen platten Bindegewebszellen und Mast- 
zellen sieht man auch die erwähnten „Zwischenzellen“. Es sind dies 
ziemlich grosse, rundliche oder polyedrische Zellen mit fast stets 
kugelrundem, chromatinreichem Kern, der durchgehend exzentrisch 
gelegen und an eine Zellwand gedrängt erscheint. Der Zellleib weist 
eine grobe Körnelung auf; die gegenseitige Begrenzung tritt nicht 
scharf hervor. Als Einschlüsse in den Zwischenzellen fand ich nur 
kleine rundliche oder ovale Körnchen, deren Schwarzfärbung in Osmium- 
säure auf Fettsubstanz schliessen lässt. Stabförmige, längere oder 
kürzere Kristalle, wie sie zuerst Reinke entdeckte und wie sie wohl 
später für die meisten Tiere beschrieben wurden, konnte ich bei Dasypus 
in ihnen nicht ermitteln. Ich habe bereits oben erwähnt, dass der 
Hoden dieses Tieres nicht sehr reich ist an interstitiellen Zellen; die 
grösste Anzahl, die ich einmal beobachtete, betrug etliche zwanzig 
Zellen. In der Regel findet man in den Schnitten jedoch nur 5 bis 
6 Zellen nebeneinander, entweder zu einem rundlichen Komplex ver- 
einigt oder etliche hintereinandergereiht. Weit häufiger aber sind 
die Zellen einzeln, voneinander getrennt durch lockeres Bindegewebe. 
Daher tritt uns auch nicht das sonst so typische Bild des Bindegewebes 
entgegen, wo sich die Zwischenzellen repräsentieren als Gruppen oder 
Nester oder Stränge von Zellen, oder auch als „eine Art Netz mit 
stirkerem Knotenpunkte“ (0. J. Eberth). 

Zunächst möchte ich etwas näher eingehen auf einen Befund, 
welchen Beissner beim Katerhoden machte und auf S. 808. Arch. f. m. 
Anat. Bd. 57. 1898 mitteilt. Kr fand nämlich gleich Nussbaum als 
besonders bemerkenswert, und was ihn auch in Gegensatz stellte zu 
den Befunden, die ©. J. Eberth und speziell Plato beim Katerhoden 


174 Franz Dietrich, 


erhoben, dass die Zellgruppen oder Zellstränge interstitieller Zellen 
von einer deutlich erkennbaren Membran umhüllt sind, in der auch 
die Kerne klar hervortreten, die an Grösse und Form denen der 
Membrana propria der Hodenkanälchen gleichko ı men. Nussbaum und 
Beissner schlossen daraus, dass man es mit isolierten Schläuchen zu 
tun habe, in die die Zwischensubstanzzellen eingeschlossen sind, und 
die den Tubulis gegenüber also vollständig unabhängig dastehen. Beissner 
zeichnet l. c. in Fig. 2 u. 3, die Osmiumpráparaten entnommen sind, eine 
deutliche Membran und sucht hieraus die Unabhängigkeit der inter- 
stitiellen Zellen darzutun. Eine Einschränkung muss er allerdings 
machen, nämlich die, dass hierbei die Kerne der Membran nicht zu 
erkennen sind. Auffallend muss es sicher erscheinen, dass die Befunde 
zweier Forscher (Beissner, Plato) an demselben Objekte, Katerhoden, 
derartig differieren und sich widersprechen. In dem mir vorliegenden 
Material konnte ich trotz eifrigen Suchens nichts, auch nur andeutungs- 
weise, von einer solchen Membran wahrnehmen. Ich kann also zufolge 
der Ergebnisse meiner Untersuchungen die Ansicht von Nussbaum und 
Beissner, dass die interstitiellen Zellen sich als isolierte Schläuche 
repräsentieren, nicht teilen und unterstützen, sondern muss mich der 
Ansicht von Eberth und Plato anschliessen, derzufolge sich die inter- 
stitiellen Zellen von aussen her unmittelbar an die Samenkanälchen 
anlegen. Um noch auf die Einschränkung zurückzukommen, die Beissner 
macht, dass nämlich in den Osmiumpräparaten die Kerne der Membran 
nicht zu sehen seien, möchte ich feststellen, dass an meinen Präparaten, 
d. h. in erster Linie an den Sublimatpräparaten, die Kerne der Mem- 
brana propria der Tubuli sich sehr wirksam als schwarze Kerne von 
der hellbleibenden Membran bei Heidenhains-Färbung abhoben; nicht 
viel weniger deutlich waren sie bei den mit Platinchlorid-Osmium- 
Essigsäure nach Hermann und den mit Chromosmium-Essigsäure nach 
Flemming fixierten Objekten. Falls nun tatsächlich eine derartige 
Verwandtschaft der beiden Membranen, nämlich der Membrana propria 
der Tubuli und der Membran, die die interstitiellen Zellen umschliesst, 
bestehen soll, wie Beissner dies ja behauptet, so kann ich keinen 
Grund einsehen, warum sich die Kerne der Membran der interstitiellen 
Zellen in den Osmiumpräparaten nicht färben sollen. 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 175 


Die Hodenkanälchen umgibt eine aus mehreren mit platten Zellen 
versehenen konzentrischen Faserlagen bestehende Membrana propria. 
Bei den mit Hansens Hämatoxylin und Pikrofuchsin nach van Gieson 
gefärbten Präparaten ist die äusserste, also die dem interstitiellen 
Bindegewebe am nächsten liegende Lamelle der Membrana propria fast 
schwarz tingiert, während die übrigen glänzend rosarote Färbung haben. 
In der Membrana propria liegen platte, ganz schmale, lange, meist 
stab- oder spindelförmige Kerne oder sie erscheinen der Membrana 
propria dicht anliegend. Diese Zellen mit den spindelförmigen Kernen 
passen sich genau den Biegungen der Kanälchen an, umgeben jedoch 
die Hodenkanälchen nicht in einer ununterbrochenen Aufeinanderfolge, 
sondern sind etwa auf einem Tubulusquerschnitt zu Vieren oder Fünfen 
anzutreffen. In der Regel sind sie gleichmässig tief schwarz gefärbt. 
Bei den in Hermannscher Lösung fixierten und mit Eisenhämatoxylin 
tingierten Präparaten trat jedoch sehr oft eine starke Färbung der 
Kernmembran zutage, während der übrige Kernteil weniger begierig 
den Farbstoff aufnahm. J. Plato fand in der Wand der Hodenkanäle 
„Kanälchen“, durch die Fetttròpfchen aus dem interstitiellen Binde- 
gewebe in das Innere der Tubuli durchtreten sollen. Die seitliche 
Begrenzung dieser Kanälchen wird durch zwei scharfe, im selben Sinne 
konvergierende Linien gebildet, die sich bis tief in die anliegenden 
interstitiellen Zellen hinein verfolgen lassen. An der Hand einer Ab- 
bildung beschreibt er die Verhältnisse folgendermassen: „Kurz und 
gut, wir haben hier einen sich aus der interstitiellen Substanz in 
das Innere des Tubulus senkenden Trichter vor uns, der die Wandung 
des Tubulus durchbohrt und in dessen breiterer Öffnung und engerer 
Mündung sich Fetttropfen finden. Der Trichter befindet sich hier an 
einer ganz typischen Stelle, in dem Fusse einer Sertolischen Zelle“ 
Lenhossek glaubt, dass die von Plato beschriebenen Kanälchen auf 
einer Täuschung beruhen, da er ebenfalls beim Katerhoden und bei 
dem Hoden anderer Säuger die Membrana propria der Tubuli immer 
als eine zusammenhängende Schicht gesehen. Die Einwanderung der 
Nährstoffe in das Innere der Tubuli erklärt er sich auf dem Wege der 
Filtration und Diffusion. Auch Beissner gelang es nicht, in den Wan- 
dungen der Tubuli des Katerhodens die fraglichen Kanälchen nach- 


176 Franz Dietrich, 


zuweisen. Für Dasypus muss ich auch das Vorhandensein jedweder 
Kanälchen oder Lücken in der Membrana propria der Tubuli in Abrede 
stellen. Trotz eifrigsten Suchens in vielen Präparaten und bei Be- 
nutzung stärkster Systeme war es mir nicht möglich, in der Wandung 
der Tubuli irgendwelche Lücken zu entdecken, sondern sie erwies sich 
stets als eine zusammenhängende Membran. 

Zum Schlusse dieses Kapitels möchte ich noch einige Bemerkungen 
anknüpfen über die Spermien des Borstengürteltieres. Näher auf ihren 
feineren Bau einzugehen, ist überflüssig, da wir über die feineren 
Strukturverhältnisse dieser Spermien zur Genüge unterrichtet sind durch 
die Untersuchungen von G. Retzius in seinem Werke „Biologische 
Untersuchungen. Neue Folge. Bd. 15. 1906.“ Des weiteren hat 
E. Ballowitz noch verschiedene interessante Befunde über die Gürtel- 
tierspermien mitgeteilt in seiner Abhandlung: „Über Syzygie der 
Spermien bei den Gürteltieren. Ein Beitrag zur Kenntnis der Eden- 
taten-Spermien“ im Anat. Anz. Bd. 29. No. 13 u. 14. 1906. (Vel. 
auch die Verhandlungen der anatomischen Gesellschaft auf der 21. Ver- 
sammlung der anatomischen Gesellschaft in Würzburg am 24.—27. April 
1907, auf welcher Ballowitz die kopulierten Dasypus-Spermien an 
mehreren Präparaten demonstrierte.) 

Ballowitz entnahm für seine Untersuchungen die reifen Spermien 
dem Nebenhoden. Ich habe neben diesen Präparaten, die mir Herr 
Prof. Dr. Ballowitz in liebenswürdiger Weise zur Verfügung stellte, 
die Struktur der Spermien auch eingehend studiert an Präparaten, die 
ich aus dem fixierten Hoden und Nebenhoden gewann, habe jedoch 
der Beschreibung der beiden genannten Autoren bezüglich des feineren 
Baues der Spermien nichts weiter hinzuzufügen. Nur hinsichtlich der 
Syzygie, im speziellen was das Zustandekommen derselben anbelangt, 
möchte ich noch kurz einige Angaben machen. 

Da die Svzygie für die Spermien von Dasypus festgestellt ist, so 
drängt sich die Frage auf, wodureh denn eigentlich diese eigenartige 
Verbindung der Spermienköpte bewirkt wird und wo diese Syzygie 
zuerst auftritt, ob bereits im Hoden oder erst im Nebenhoden. 

Zur ersteren Frage kann ich mich nun folgendermassen äussern: 
Dass. der von Retzius und Ballowitz beschriebene kleine Vorsprung, 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. la 


der sich am hinteren Kopfende, etwa in dessen Mitte, befindet, bei der 
Kopulation der Spermien wesentlich beteiligt ist, glaube ich aus 
folgenden Gründen verneinen zu müssen. 

Bei der Mehrzahl der Präparate sind nämlich die Köpfe eines 
Doppelspermatozoons derart orientiert, dass sie sich nicht genau decken, 
sondern gegenseitig mehr oder weniger übereinander vorragen, und 
zwar in seitlicher Richtung, so dass also der betreffende Vorsprung 
bei der Syzygie schlecht als bindendes Mittel in Betracht kommen 
kann. Es wäre ja, wenn die Köpfe sich einigermassen genau deckten, 
möglich, dass diese Häkchen beider Spermienzellen nach Art von 
Klammerhaken durch gegenseitiges Umeinandergreifen oder durch 
teilweises Umfassen der Geissel die Verbindung vermittelten. Dies 
scheint mir aber nach den vorliegenden Befunden an den seitlich oder 
auch etwas nach vorn verschobenen Köpfen ausgeschlossen zu sein. 
Ein anderer Umstand, der mich von der Vorstellung der Kopulation 
dieser Art abbringt, ist der, dass, wie auch schon Ballowitz beobachtete, 
„hier und da zwei Spermien irregulär mit den Köpfen kopuliert sind, 
so dass die Geisseln nach entgegengesetzten Seiten gerichtet waren“. 
Auch ich traf gar nicht selten derartig kopulierte Köpfe an, häufig 
solche, bei denen etwa nur die beiderseitigen vorderen Hälften der 
Köpfe aufeinanderlagen; bei einem derartigen Falle ist es unmöglich, 
dass diese Vorsprünge bei der Verbindung eine Rolle spielen können. 
Es bleibt sonach wohl nur übrig, anzunehmen, dass eben diese Kopu- 
lation bedingt ist durch die verhältnismässig grosse platte Fläche des 
Kopfes der Spermien, ferner durch eine klebrige Beschaffenheit der 
Oberfläche, die ein starkes Adhäsionsvermögen zur Folge hat, die dann 
noch, und vielleicht nicht zum geringen Teil, gefördert wird durch die 
parallelen Längsrunzelungen an der Oberfläche der Spermienköpfe 
(s. Retzius, Text S. 88 und Fig. 1), und zwar derart, dass die Er- 
hebungen der Oberfläche eines Kopfes sich einfügen in die Vertiefungen 
der Oberfläche des anderen Kopfes. Durch letztere Annahme wäre ja, 
die klebrige Beschaffenheit der Kopfoberflächen vorausgesetzt, eine 
recht innige und feste Verbindung ermöglicht. Man kann sich hiervon 
leicht eine Vorstellung machen, wenn man sich zwei Wellbleche derart 


aufeinandergelegt denkt, dass die Erhebungen des einen sich in die 
Internationale Monatsschrift f. Anat, u. Phys. XXVIII, 12 


178 Franz Dietrich, 


Vertiefungen des anderen einpassen. Dass die gegenseitige Verbindung 
eine ziemlich feste ist, habe ich an solchen paarweise kopulierten 
Spermien gesehen, deren Geisseln im Präparat nach entgegengesetzten 
Seiten auseinandergezogen waren: während die hinteren Kopfränder 
nur wenig voneinander abgezogen waren, waren die Kopfflächen doch 
noch in festem Kontakt miteinander geblieben. 

Die beistehenden 3 Textfiguren (Textfigur 1—3) führen Kopu- 
lationsformen vor, wie ich sie in den mir von Herın Prof. Ballowitz 
zur Verfügung gestellten Präparaten antraf. Es sei bemerkt, dass die 
feineren Einzelheiten der Strukturverhältnisse in diesen Figuren nicht 
berücksichtigt wurden, da ich, wie schon erwähnt, den Ausführungen 
von Retzius und Ballowitz nichts hinzuzufügen habe. Es kommt mir 
hauptsächlich nur darauf an, einige typische Arten von kopulierten 


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Fig. 1 Fig. 2 Fig. 3 


Spermien durch Abbildungen zur Darstellung zu bringen und hierbei 
noch die häufigeren Formen der Syzygie zu besprechen. Textfigur 1 
zeigt uns zwei regulär zu einem Paar kopulierte Spermien, die zum 
grössten Teil die beiden flachen, grossen, spatelformigen Kopfflächen 
zur Deckung bringen. An dem Verbindungsstück sehen wir einen 
„kleinen abgerundeten Protoplasmaklumpen“, den Ballowitz erwähnt, 
der sich auch häufig um das Verbindungsstück herumlegt. Dieser 
Protoplasmaklumpen kann nun sehr leicht abgestreift werden und 
manchen Spermien fehlen; denn an den Verbindungsstücken der Textfigur 2 
vermissen wir ihn, in Textfigur3 haben ihn nur zwei von den drei Spermien. 

Man sieht in der Textfigur 1, dass die Kopfflächen sich nicht 
vollständig decken, dass sie vielmehr etwas seitlich und nach vorn 
aneinander verschoben sind und ihre Ränder einander etwas überragen. 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 179 


Allerdings kommen auch Spermienpaare zur Beobachtung, in denen die 
Deckung eine vollkommene ist. Dass in den Präparaten ausser den 
kopulierten auch nicht selten einzelne Spermien angetroffen werden, 
ist schon von Ballowitz erwähnt worden. 

Textfigur 2 stellt zwei irregulär kopulierte Spermien dar, an ihnen 
ist auch deutlich der kleine Vorsprung am hinteren Kopfende sichtbar. 
Die Köpfe sind hier derart vereinigt, dass die Geisseln nach entgegen- 
gesetzter Richtung gewandt sind, eine Verbindung, die als zufällig und 
unzweckmässig aufzufassen ist, hier und da in den Nebenhoden- 
präparaten aber gefunden wurde. 

Die Textfigur 3 bringt drei regulär kopulierte Spermienköpfe 
zur Darstellung. Neben den eben beschriebenen Fällen der Syzygie 
kommen noch folgende vor: es können mehr als drei Spermien, 
z. B. vier, selten noch mehr vereinigt sein; es können drei Spermien 
derart mit den Köpfen verbunden sein, dass zwei Köpfe sich regulär, 
einer irregulär decken, also zwei Geisseln nach derselben Richtung 
verlaufen, während die dritte nach entgegengesetzter Richtung zeigt. 
Ferner können vier Spermien mit den Kopfflächen aufeinanderliegen, 
und zwar einmal derart, dass alle Köpfe regulär, dann dass je zwei 
Köpfe regulär und zwei irregulär verbunden sind, also auch zwei 
Geisseln nach der einen, die beiden anderen nach der entgegengesetzten 
Richtung hinweisen, schliesslich auch noch drei Köpfe regulär und 
der vierte irregulär; alsdann sind drei Geisseln nach ein- und derselben 
Richtung gewandt, während die vierte Geissel gerade entgegengesetzt 
verläuft. Doch sind die letzteren Fälle recht selten. 

Was nun den Entstehungsort dieser Zusammenlagerung anbelangt, 
so ist im Hoden noch keine Kopulation der Köpfe zu sehen. Die 
Spermien liegen in den Schnitten durch die Tubuli seminiferi allerdings 
meist zu Gruppen von 2—4—6 zusammen, die Köpfe, welche bei 
Kantenansicht infolge ihrer Dünnheit als schmale, dunkle Striche er- 
scheinen, befinden sich aber noch in grösserer Entfernung voneinander. 

In den Schnittpräparaten durch den Nebenhoden sieht man 
dagegen viele Spermienköpfe paarweise dicht nebeneinander gelagert, 
ebenso auch kleine Gruppen von 3—4 Stück, dazwischen aber auch 


einzelne. 
12* 


180 Franz Dietrich, 


Die Aneinanderlagerung und Verklebung der Köpfe findet daher 
wohl statt bei dem Transport des Spermas aus dem Hoden in den 
Gang des Nebenhodens, und wirkt dabei wohl begünstigend mit auf 
die ursprüngliche, oben erwähnte Gruppierung der Spermien im Hoden. 

Die hauptsächlichsten Momente für die Kopulation der Spermien, 
die am auffälligsten an dem lebenden Objekt in dem mit physiologischer 
Kochsalzlösung verdünnten Sperma des Nebenhodens wird, sind demnach 
wohl die grosse Flächenausdehnung und die Dünnheit des mit Kappe 
versehenen Kopfes, wozu dann wohl, wie oben vermutungsweise 
angegeben, eine gewisse Klebrigkeit der Kopfoberfläche kommen mag. 


11. Nebenhoden. 


Die Wand der einzelnen Nebenhodenkanäle besteht aus dem 
Epithel, der Basalmembran, einer Schicht ringsverlaufender, glatter 
Muskeln, auf die die Bindegewebsschicht folgt. An dem sehr hohen 
Epithel des Nebenhodens lassen sich zwei Arten von Zellen unter- 
scheiden, und zwar erstens die hohen, schmalen, zylindrischen Zellen, 
die der Membrana propria aufsitzen und von deren Oberfläche aus 
die langen Zilien ins Lumen hineinragen, und zweitens die sogenannten 
Basalzellen (früher wohl auch Ersatzzellen genannt), die gleichfalls 
mit ihrer Basis an die Membrana propria stossen und meist einen 
schmalen, kegelförmigen Fortsatz zwischen die Zylinderzellen schieben. 
Ich habe festgestellt, dass dort, wo dieser spindelférmige Fortsatz 
bei den Basalzellen vorhanden war, er nur selten, und dann auch nur 
um ein unbeträchtliches Stück, die Region der Kerne der Zylinder- 
zellen überschritt; nie aber begegnete mir ein Fall, bei dem ein 
direkter Konnex dieses Fortsatzes mit dem Kanallumen hätte kon- 
statiert werden können. Mitunter traf man auch auf Basalzellen, 
welche dieses nach dem Lumen zu sich verjüngenden Fortsatzes 
gänzlich ermangelten und demzufolge fast kugelrund erschienen. In 
der Regel folgt auf sechs bis acht Flimmerzellen eine Basalzelle; es 
kann jedoch der Abstand zwischen den einzelnen Zellkategorien noch 
grösser sein. Die Kerne der Basalzellen sind im Verhältnis zur 
Ausdehnung des Zellleibes ansehnlich gross, so dass sie fast die ganze 
Zelle erfüllen. Sie sind durchschnittlich rund, erheblich kleiner als 


| 
| 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 181 


die der Zylinderzellen, und weisen mit Heidenhains Eisenalaunhäma- 
toxylin eine intensivere Färbung auf als die ersteren. Sieht man 
von dem spindelförmigen Fortsatz der Basalzellen, der sich zwischen 
die Zylinderzellen einschiebt, ab, so ist die Lage der Kerne als eine 
zentrale zu bezeichnen; nur in äusserst wenigen Fällen sind sie etwas 
näher an die Basis gedrängt. Zimmermann bemerkte in den Basal- 
zellen des Nebenhodens vom Menschen (Hingerichteter) im Zellleib 
„eine kegelférmige, dem Kern aufsitzende und mit der Spitze ober- 
flächenwärts gerichtete, etwas dunkler feinstruktierte Protoplasma- 
masse, deren Spitze als feiner, mehr oder weniger dunkelblau gefärbter, 
meistens leicht geschlängelter Faden in den Zellfortsatz hinein aus- 
läuft.“ Derartige oder ähnliche Strukturverhältnisse an meinen 
Präparaten nachzuweisen gelang mir nicht. 

Ausserordentlich gut und deutlich sichtbar sind die Zentral- 
körperchen in den Basalzellen; sie treten auch hier wieder in Form 
eines typischen Diplosomas auf, liegen fast unmittelbar über dem 
Kern, also in der dem Lumen zugewandten Region des Zellleibes, 
umgeben von einem schmalen, hellen Saume. Was ihr gegenseitiges 
Lageverhältnis anbetrifft, so konnte ich als das Regelmässige zweierlei 
beobachten. Für den Fall, dass ein spindelförmiger Fortsatz des 
Zellleibes vorhanden war und demzufolge auch genügend Raum, waren 
die beiden Zentralkörperchen derart angeordnet, dass ihre Ver- 
bindungsachse ziemlich gleichgerichtet war mit dem Radius, der zum 
Mittelpunkt des rundlichen Kanallumens führt; hatte man jedoch 
kugelrunde Basalzellen ohne Fortsatz vor sich und war daher ein 
Sich-Ausdehnen der Achse nach dieser Richtung hin wegen Raum- 
mangels nicht angüngig, so nahm die Achse der beiden Zentral- 
kórperchen eine der Zellbasis parallele Lage ein. Natürlich liessen 
sich auch noch Übergänge zwischen den beiden besprochenen regel- 
mässigen Fällen hin und wieder, aber doch nicht häufig, beobachten, 
wo dann die Diplosomenachse eine diagonale Lage einnahm. 

Die Zylinderzellen haben eine beträchtliche Höhe und sind dort, 
wo die Basalzellen sich zwischen sie einschieben, etwas schmäler als 
an den übrigen Zellpartien. Abgestorbene Epithelzellen zeichnen sich 
durch eine äusserst gleichmässige, tiefschwarze Färbung aus, die unter 


182 Franz Dietrich, 


Umständen einen solchen Grad erreichen kann, dass Zellkern vom 
Zellplasma nicht mehr zu unterscheiden ist. Der ovale Kern liest 
meist etwas basal oder auch etwas mehr nach der Zellmitte hin, hat 
eine ziemlich kräftige, grobmaschige Kernstruktur und lässt mehrere 
Kernkörperchen erkennen. An den mit Sublimat fixierten und mit 
Eisenhämatoxylin tingierten Präparaten zeigt der Zellleib eine feine 
längsverlaufende Parallelstreifung des Plasmas, in der oft oberhalb 
des Kernes kleine tiefschwarze, regellos zerstreute Körnchen zu be- 
merken ‘sind. Zimmermann hebt noch bei der Beschreibung der 
Epithelzellen des Nebenhodens vom Menschen ausdrücklich hervor, 
dass „vielen Kernen an dem der Basis zugekehrten Ende ein 
oder zwei sehr verschieden grosse, kugelrunde und schwarzblau- 
gefärbte Körner gewöhnlich unmittelbar  aufsassen^. Solche Be- 
funde machte ich in den Epithelzellen des Nebenhodens von Dasypus 
nicht. 

An den mit schwacher Flemmingscher Lösung oder Hermannscher 
Flüssigkeit fixierten und mit Eisenhämatoxylin oder Safranin gefärbten 
Präparaten lassen sich in den Zylinderzellen deutlich vier Zonen 
unterscheiden. Das erste, basale Viertel erscheint ziemlich dunkel. 
Das nächste Viertel ist eine Idee heller und wird zum grössten Teil 
von dem verhältnismässig grossen ovalen Kern ausgefüllt. Das dritte 
Viertel der Zelle, das oberhalb des Kernes ansetzt, bietet ganz 
besondere Eigentümlichkeiten. Erwähnte Zone ist in der Mitte der 
Zelle auffallend hell, während die Randpartien ziemlich intensiv 
dunkel erscheinen und allmählich nach der Mitte zu ganz hell werden. 
Durch diese helle Zone ziehen nun Fädchen, welche entweder vereinzelt 
nebeneinander in gleichmässiger Anordnung verlaufen oder zu mehreren 
zusammengelagert erscheinen und zum Teil wie miteinander verklebt 
aussehen. Diese Fäden folgen im allgemeinen der Richtung der 
grossen Zellachse, krümmen sich aber auch verschiedentlich. Im 
grossen ganzen hat es den: Anschein, als ob diese hellere Zone 
über dem Kern dadurch zustande gekommen sei, dass die feinen 
Fädchen, deren Ursprung bereits im basalen Viertel zu suchen ist, 
durch den Zellkern an die Zellwand gedrängt werden, diesen Verlauf 
auch noch oberhalb des Kernes beibehalten und erst im Oberflächen- 


Beiträge zur Histologie der Edentaten nach Untersuchungen usw. 183 


viertel sich wieder durch den ganzen Zellleib hindurch verteilen. 
Das letzte, dem Lumen zugekehrte Viertel zeigt ungefähr dieselben 
Verhältnisse wie das erste, ist nur noch etwas dunkler tingiert. Der 
Übergang des vorletzten in das letzte Viertel ist kein plötzlicher 
vielmehr greift die typische Struktur des dritten Viertels oft zacken- 
artig in das letzte Viertel über. Ob es sich nun hierbei um dieselbe 
histologische Eigentümlichkeit handelt, wie sie Fuchs als „komplizierte 
Fadenknäuel* für die Zylinderzellen des Nebenhodens bei der Maus 
beschreibt und abbildet, muss ich unentschieden lassen, da ich bei 
Dasypus niemals derartig überzeugende und so deutliche Bilder in 
dieser Art erzielte, wie sie die Präparate bei dem Material von 
Fuchs lieferten. 

Während manche Forscher, z. B. Hammar, Aigner, Diplosome im 
Epithel des Nebenhodens vermissen, treten andere Autoren. z. B. 
Benda, Zimmermann, Gurwitsch, Fuchs, Z. Jelemewski (letzterer 
untersuchte z. B. Hund, weisse, graue Mäuse, Ratten, Meerschweinchen 
und Igel), für das bestimmte Vorhandensein derselben in den Epithel- 
zellen des Nebenhodens energisch ein. Auch für Dasypus gelang es 
mir, die Lage der Zentralkörperchen in den Zylinderzellen ausfindig 
zu machen. Es war dies allerdings zufolge der eigenartig dunklen 
Strukturverhältnisse, wie sie das letzte Zellviertel bietet, nicht leicht. 
Aber nachdem schliesslich einmal die Lage des Diplosomas festgestellt, 
und das Auge für diese Verhältnisse etwas geübt und geschult war, 
liess es sich mit Sicherheit in der Mitte der Oberfläche ermitteln. 
Es liegt in einem wenig hellen Hof unmittelbar an der freien Ober- 
fläche. 

Die Schlussleisten zwischen den oberflächlichsten Partien der 
Epithelzellen des Nebenhodens waren in den mit Eisenhämatoxylin 
gefärbten Präparaten sehr deutlich und breit. 


Literatur, betreffend den Tractus intestinalis. 


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Erklärung der Abbildungen 
auf Tafel VII und VIII. 


Alle Abbildungen beziehen sich auf Dasypus villosus Desm. — Die Photogramme. 
Fig. 1—4 auf Tafel I wurden von Herrn Prof. Dr. Stempell nach meinen Präpa- 
raten angefertigt, und spreche ich Herrn Prof. Dr. Stempell für diese grosse 
Liebenswürdigkeit auch an dieser Stelle meinen verbindlichsten Dank aus. 


Tafel I. 


Die Photogramme 1—4 wurden bei 24facher Vergrösserung angefertigt. Die Ob- 
jekte wurden in Eisessig-Sublimatlösung fixiert, mit Eisenhämatoxylin tingiert und 


Fig. 
Fig. 
Fig. 
Fig. 
Fig. 
Fig. 6. 
io. 77. 


Fig. 8. 


F 


= 


Fig. 11. 


SX iS pe BO b= 


mit Eosin nachgefarbt. 


Längsschnitt durch den Anfangsteil des Dünndarms. 

Langsschnitt durch den Endabschnitt des Diinndarms. 

Längsschnitt durch den Anfangsteil des Dickdarms. 

Langsschnitt durch den Endabschnitt des Dickdarms. 

Querschnitt durch die Mitte der Speichelblase der Glandula submaxillaris. 
Übersichtsbild. Eisessig-Sublimat, Hansens Hämatoxylin und Eosin. 
Vergrösserung ca. 12. 

Aus einem Querschnitt durch den Pylorusdrüsenabschnitt des Magens. 
Vergrösserung 230. Eisessig-Sublimat, Hansens Hämatoxylin und Kongorot. 
Aus einem Schnitt durch die Glandula submaxillaris. Übersichtsbild. 
Vergrösserung 80. Eisessig-Sublimat, Eisenhämatoxylin-Eosin. 

Dasselbe Präparat wie Fig. 7, bei stärkerer (400) Vergrösserung, ein- 
gestellt auf das interstitielle Bindegewebe. 


Tafel II. 


g. 9 und 10. Zelliger Inhalt zweier Primärfollikel. Ovarialei mit Dotterkernen. 


Eisessig-Sublimat, Eisenhämatoxylin und Eosin. Gezeichnet nach Zeiss’ 
homogene Immersion 2 mm, Kompensations-Okular 12, Tubuslänge 160 mm. 
Längschnitt durch das Übergangsgebiet des Ösophagus in die Schleimhaut 
des Magens. Eisessig-Sublimat, Eisenhümatoxylin und Kongorot. Ge- 
zeichnet bei Leitz. Obj. III, Ocular 1. 


(Aus dem histologischen Laboratorium des Medizinischen Frauen-Instituts in 
St. Petersburg. Vorstand: Prof. Dr. A. S. Dogiel.) 


Zur Frage über das Amnionepithel. 
Von 
W. Martinoff. 


(Mit Tafel IX.) 


Das Epithel, welches bei Säugetierembryonen die innere Ober- 
fläche des Amnions bekleidet, ist zurzeit noch verhältnismässig wenig 
untersucht worden. Selbst der Charakter der Epithelzellen ist noch 
nicht klargestellt, so dass in der Literatur hinsichtlich dieser Frage 
die manniefaltigsten Angaben angetroffen werden. Während einige 
Autoren die Drüsenfunktion desselben vollkommen unerwähnt lassen, 
schreiben wieder andere ihm eine sekretorische Tätigkeit zu. 

Noch weniger studiert ist die Frage über die Vermehrung der 
Epithelzellen des Amnion, obgleich in Analogie mit anderen ähnlichen 
Epithelien auch hier recht interessante morphologische Beziehungen 
zu erwarten sind. 

In Berücksichtigung des Erwähnten entschloss ich mich, das 
Amnionepithel vermittels verschiedener Verfahren der mikroskopischen 
Forschung zu studieren. 

Als Untersuchungsobjekt diente mir das Amnion von Schweine- 
embryonen, welche mir vom Schlachthofe im ausgeschnittenen Uterus 
zugestellt wurden. — Das vom Embryo abgeschnittene Amnion wurde 
in kleine Stückchen zerteilt, welche in die Fixierungsflüssigkeiten ein- 
gelegt wurden. Zur Untersuchung gelangten nur diejenigen Amnia, 
an welchen keinerlei pathologische Veränderungen konstatiert werden 
konnten. 


Zur Frage über das Amnionepithel. 197 


Untersuchungsmethoden. 

Aus der Fülle der von mir aus versuchten Fixierungsmittel 
erwies sich als das geeigneteste für die Fixierung des Amnionepithels 
das Gemisch von Lenhossék, zur Hälfte mit Wasser vermischt. Die 
Fixierung führte ich folgendermassen aus: Die ausgeschnittenen (noch 
warmen) Amnia wurden rasch in warmer (37° C) physiologischer 
Kochsalzlösung abgespült und darauf in auf 37° erwärmtes, mit 
gleichem Volumen Wasser verdünntes Gemisch von Lenhossék über- 
geführt. Das Gefäss mit den Präparaten stellte ich alsdann im 
Thermostaten bei einer Temperatur von 37—38° auf. Damit die 
Amnionstücke sich in der Fixierungsflüssigkeit nicht rollen, wurden 
dieselben zunächst sorgfältig in der physiologischen Kochsalzlósung 
ausgebreitet, vermittels Nadeln auf Karton befestigt und auf dem- 
selben in die Fixierungsflüssigkeit eingelegt. Kleinere Embryonen 
fixierte ich in toto mit den sie umgebenden Hüllen. 

Aus den fixierten und gehärteten Amnionstücken fertigte ich 
Flächenpräparate des sie auskleidenden Epithels an, wobei ich mich 
des von Kotschetoff [1] beschriebenen Verfahrens einer Ablösung der 
Zellen auf einer Kollodiumschicht, welches ich jedoch etwas modifiziert 
habe, bediente. Nachdem ich die Amnionstücke vorsichtig in Petri- 
schalen ausgebreitet hatte, entwässerte ich dieselben durch absoluten 
Alkohol im Verlaufe von 10—15 Minuten, worauf ich sie mit der 
Epithelseite nach oben auf eine Glasplatte überführte, sie abermals 
vorsichtig ausbreitete, und die Oberfläche des Epithels mit einer 
dünnen Schicht von Zelloidin mittlerer Konsistenz bedeckte. Zwecks 
Erhärtung des Zelloidins liess ich die Präparate entweder an der 
Luft stehen oder brachte sie unter eine Glasglocke in Chloroform- 
dämpfe. Sobald das Zelloidin erhärtet war, wurde das Präparat von 
der Glasplatte entfernt, worauf von der Oberfläche des Präparates 
vermittels einer Pinzette Zelloidinhäutchen mit dem ihnen anhaftenden 
Epithel abgezogen wurden. Es ist bequemer, nicht das Epithel von 
dem unterliegenden Bindegewebe, sondern im Gegenteil letzteres mit 
der Pinzette vom Epithel abzuziehen. Die auf diese Weise erhaltenen 
Zelloidinhäutchen mit dem ihnen anhaftenden Epithel wurden entweder 
zunächst gefärbt und darauf das Zelloidin von ihnen während der 


198 W. Martinoff, 


Entwässerung entfernt, oder dieselben wurden vor der Färbung in 
ein Gemisch von absolutem Alkohol und Äther eingelegt; nach Ent- 
fernung des Zelloidins wurden die Präparate in absolutem Alkohol 
ausgewaschen und mit Eisenhämatoxylin nach Heidenhain, mit Saffranin 
und Lichterün, mit gewöhnlichem Hämatoxylin und Eosin und anderen 
Farbstoffen gefärbt. Zur Darstellung der Zellgrenzen wandte ich 
desgleichen schwache Lösungen von salpetersaurem oder zitronensaurem 
Silber an. 


Allgemeine morphologische Merkmale des Amnionepithels. 


Es ist bei weitem noch nicht klargestellt, welcher Art Epithel 
die Innenfläche des Amnions auskleidet. Die früheren Forscher 
Dohrn [2], Seymonowicz [5], Stöhr [4], Hertwig [5], Lange [6] u. a. 
beschreiben dasselbe als einschichtiges Plattenepithel. Kölliker [7] 
schreibt, dass die Epithelzellen des Amnion 11—15 w dick und 
11—19 u breit sind, woraus geschlossen werden kann, dass sie 
wahrscheinlich kubisch sind. Wenogradoff [S| und Veit [9] bezeichnen 
das Epithel als niedrig zylindrisch oder kubisch. Eine Reihe von 
Forschern hält die Form der Zellen des Amnionepithels für unbeständig 
und nimmt an, dass sich dieselbe in Abhängigkeit von der Stelle, 
welche das Amnionepithel bekleidet, oder vom Alter des Embryo ändert. 
So nimmt Miglorini [10] an, dass das Epithel zum Schluss der 
Schwangerschaft an verschiedenen Stellen des Amnions verschieden 
ist: am Nabelstrange flach, in der extraplazentaren Zone kubisch, und 
zylindrisch in der intraplazentaren. Nach der Ansicht von Ferrari [11] 
ist das Epithel am Anfange der Schwangerschaft flach, im vierten 
Monat kubisch und zum Schluss der Schwangerschaft zylindrisch. 
Wladimir Karpoff [12], welcher diese Frage nur berührt hat, meint, 
dass die Amnionepithelzellen grösser sind als die Chorionzellen, jedoch 
von äusserst geringer Dicke, d. h. flach erscheinen. 

Nach den Beobachtungen von Mandl [15] sind die Zellen beim 
Menschen, Affen, Hunde, Kaninchen und Meerschweinchen kubisch 
und sind augenscheinlich sekretorisch tätig. Hauptmann [14] weist 
darauf hin, dass im Amnionepithel des Menschen die Zellen ver- 
schiedene Form haben, und zwar: grösstenteils eine flache, zwischen 


Zur Frage über das Amnionepithel. 199 


diesen Zellen sind jedoch in Gruppen kubische ‘und zylindrische 
Zellen gelegen. 

Bondi [15] gelangt schliesslich hinsichtlich der sekretorischen 
Tätigkeit des Epithels zu denselben Resultaten wie Mandl [13], 
weist jedoch auf die Veränderungen im Charakter der Epithelzellen 
im Verlaufe der verschiedenen Perioden des intrauterinen Lebens hin. 
Nach seinen Beobachtungen ist das Epithel bei einem zweimonatlichen 
menschlichen Embryo flach; die Zellen sind protoplasmaarm, ihre 
Kerne bilden gleichwie in den Endothelzellen kleine Vorwölbungen 
der Zellen. Den Charakter von platten Zellen behalten dieselben bis 
zur Mitte der Schwangerschaft bei, alsdann werden sie grösser und 
höher; im sechsten Monat nimmt die Höhe der Zellen noch mehr zu, 
wobei das Epithel aus einem kubischen in ein zylindrisches übergeht. 

Aus dieser kurzen historischen Übersicht ist es bereits ersichtlich, 
wie widersprechend die Angaben der Forscher sind. Soviel ich auf 
meinen Präparaten habe wahrnehmen können, so gehen irgendwelche 
Veränderungen in den verschiedenen Stadien der Embryonalentwicklung 
nicht vor sich. Das Epithel bleibt stets das nämliche — und zwar 
einschichtig platt. Die einzelnen Elemente variieren jedoch beträchtlich 
in ihrer Grösse, welches Verhalten besonders bei Besichtigung von 
Flächenpräparaten, die mit Silber imprägniert waren, in die Augen 
fällt (Fig. 1) Während der grösste Teil des Gesichtsfeldes auf 
derartigen Präparaten von polygonalen Zellen mittlerer Grösse ein- 
genommen ist, werden zwischen denselben sowohl Gruppen von sehr 
kleinen Zellen als auch Riesenzellen angetroffen. Auf Querschnitten 
ist es leicht, sich davon zu überzeugen, dass die Zellen mittlerer 
Grössen sowie die grossen Zellen platt sind, während die kleinen 
Zellen eine mehr kubische Form annehmen. 

Die Grenzen der Zellen erscheinen auf Präparaten, die mit Silber 
behandelt worden waren, als schwarze, bald stark gewundene, bald 
nur leicht gewellte oder fast gerade Linien, die. stellenweise Kleine 
rosenkranzförmige Verdickungen bilden. Letztere stellen nicht selten 
kleine Ringe vor und sind nichts anderes als Zwischenräume zwischen 
Interzellularbrücken, welche durch die Gewebsflüssigkeit stark aus- 
gedehnt sind. 


200 W. Martinoff, 


Ruhende Kerne in Amnionepithelzellen. 

Die Kerne der Amnionepithelzellen sind in der Mehrzahl der 
Fälle rund oder oval und recht chromatinarm (Fig. 2). Jeder Kern 
enthält 1—2, bisweilen auch mehr (3—4) Kernkórperchen. In einigen 
Zellen werden auch grössere Kerne — meganuclei — angetroffen; 
diese Kerne sind bald regelmässig gestaltet und weisen eine glatte 
Oberfläche auf, bald stellenweise mehr oder weniger eingeschnürt, in 
welchem Falle sie an Kerne in Fragmentierung erinnern. Bisweilen 
werden schliesslich auch hufeisenförmige und gelappte Kerne an- 
getroffen. In den grossen Riesenzellen sind gewöhnlich Gruppen von 
Kernen angeordnet; irgendwelche Regelmàssigkeit in der Anordnung 
der letzteren lässt sich jedoch nicht erkennen. In einigen Zellen 
sind die Kerne in der Zahl von 6—8 im Zentrum derselben 
kranzförmig gruppiert, in anderen bilden sie zwei parallele Reihen 
zu 4—5 Kernen in jeder, wieder in anderen bilden sie zwei neben- 
einandergelegene Achterfiguren. Auch die Grösse der Kerne ist wie 
die Form derselben äusserst mannigfaltig. In einigen Zellen (am 
häufigsten in den 2—3 kernigen) haben alle Kerne annähernd die 
gleiche Grösse und entsprechen in dieser Hinsicht den Kernen der 
einkernigen Zellen, in anderen scheinen einige Kerne grösser, wobei 
neben ihnen kleinere gelegen sind. 


Teilung der Zellen. 
a) Literaturangaben. 

Die Frage über die Vermehrung der Zellen des einschichtigen 
Plattenepithels sowie die Bildung der vielkernigen Zellen ist überhaupt 
noch wenig erforscht. Hinsichtlich des Epithels der Eihäute finden 
sich daher in der Literatur nur kurze Hinweise darauf, dass in den 
Zellkernen dieses Epithels karyokinetische Figuren angetroffen werden 
(W. Karpoff [12], Bondi [15]. Noch weniger geklärt ist die Frage 
über die Herkunft der vielkernigen Riesenzellen des Amnionepithels. 
Ich habe diesbezüglich nur einige Angaben in der Arbeit von 
W. Karpoff gefunden. Dieser Forscher nimmt an, dass die vielkernigen 
Zellen durch direkte Teilung der Kerne entstehen. „Eigentlich“, 
schreibt Karpoff, „können wir auf eine direkte Teilung, wie auch in 


Zur Frage über das Amnionepithel. 201 


einigen anderen Fällen, mit einem gewissen Grade von Wahrschein- 
lichkeit schliessen.“ Seine Annahme sucht er durch eine Reihe 
theoretischer Betrachtungen zu bekräftigen, die hauptsächlich sich 
darauf gründen, dass, wenn die vielkernigen Zellen auf dem Wege 
einer indirekten Teilung des Kernes ohne nachfolgende Teilung des 
Protoplasmas entstanden wären, so müssten bei der grossen Zahl dieser 
Zellen wenigstens in einigen derselben karyokinetische Figuren an- 
getroffen werden. Selbst zugegeben, dass die indirekte Teilung sehr 
rasch verläuft, so müssten dennoch in einigen Riesenzellen. mehrere 
Tochterknäuel gefunden werden, da das Stadium der „Rekonstruktion“ 
des Kernes langsamer abläuft — doch auch diese sind nicht beobachtet 
worden —, woraus denn W. Karpoff den Schluss zieht: die Kerne der 
Riesenzellen teilen sich amitotisch. Einen indirekten Beweis für den 
angeführten theoretischen Schluss über die direkte Teilung in viel- 
kernigen Riesenzellen sieht W. Karpoff in dem Zerfall des Kernes in 
zwei ungleiche Teile: „Derartige, an und für sich seltene Fälle“, 
schreibt er, „werden fast stets neben der direkten Teilung angetrofien; 
sie stellen anormale Fälle der Amitose dar und werden durch irgend- 
welche mechanische, nicht immer fassbare mechanische Momente 
bedingt.“ 

Wie bekannt ist die Herkunft der Riesenzellen im einschichtigen 
Plattenepithel überhaupt eine noch wenig geklärte Frage; in der 
Literatur finden wir darüber nur unzusammenhängende Hinweise. 
So beobachtete Tonkoff [16] im Jahre 1899 bei der Untersuchung 
des Perikardepithels von Säugetieren (hauptsächlich Katze) und Vögeln, 
dass auf Präparaten, welche mit salpetersaurem Silber behandelt 
worden waren, zwischen einkernigen Zellen mehrkernige Riesenzellen 
vorhanden sind. Letztere entstehen, seiner Ansicht nach, aus ein- 
kernigen Elementen. Wie dieser Prozess vor sich geht, konnte er 
nicht vollkommen klarstellen; augenscheinlich jedoch nicht auf dem 
Wege einer karyokinetischen Teilung, da diese niemals beobachtet 
wird. Hinsichtlich des weiteren Schicksals der vielkernigen Zellen 
nimmt Tonkoff an, dass sie sich in einkernige teilen. Im Jahre 1903 
erschien freilich die Arbeit von Sommer [17] über dasselbe Epithel; 
dieser Forscher stellt in ihr die Anwesenheit von Zellen in dem 


202 W. Martinoff, 


erwähnten Epithel mit mehr als zwei Kernen vollkommen in Abrede. 
Das einzige, was aus dieser Arbeit erwähnt werden könnte, ist, dass 
Sommer das Zentrosoma, welches in einer Vertiefung der Kernmembran 
liegt, gefunden hat. i 

In dem Epithel der Descemetschen Membran werden desgleichen, 
wie die Beobachtungen von Smirnoff [15] an den Augen von Vögeln 
und von Totsuka [19] an den Augen des Rindes gezeigt haben, 
vielkernige Zellen angetroffen, den Bildungsprozess derselben haben 
jedoch die erwähnten Forscher nicht klarzustellen vermocht. 

Bis zu einem gewissen Grade die Herkunft der vielkernigen 
Zellen festzustellen, gelang es im Jahre 1908 Kotschetoff [1], welcher 
seine Beobachtungen an dem Pigmentepithel der Netzhaut des Auges 
angestellt hatte, wobei er zwei Arten von Teilung: „Knospung“ und 
„Zerstäubung“ des Chromatins wahrgenommen hatte. Während die 
Knospung nach dem gewöhnlichen Typus vor sich geht, verläuft der 
Prozess bei der Teilung vermittels „Zerstäubung“ des Chromatins 
folgendermassen: die Chromatinmenge nimmt zu, es sammelt sich in 
kleine Körnchen, die sich gleichmässig im Kern verteilen; das Kern- 
körperchen verschwindet, desgleichen verschwindet allmählich die 
Kernmembran, während die im ganzen Protoplasma „zerstäubten“ 
Chromatinkörnchen sich in einzelne Gruppen sammeln, aus denen sich 
die Kerne differenzieren, auf welche Weise dann vielkernige Zellen 
entstehen. Das weitere Schicksal der vielkernigen Zellen besteht 
nach der Meinung des Autors in einem Zerfall in Zellen mit geringeren 
Mengen von Kernen. 

Im Epithel der Descemetschen Membran des Pferdes werden 
nach den Beobachtungen von Zawarsin [20] (1908) Riesenkerne recht 
häufig angetroffen; dieselben zerfallen stets in mehrere Kerne, und da 
das Protoplasma sich hierbei nicht teilt, so entstehen Riesenzellen. 
Die gewöhnlichen Kerne können bisweilen in eine grosse Anzahl 
kleiner Kerne zerfallen und damit den Ursprung für kleine vielkernige 
Zellen geben, was jedoch augenscheinlich bereits eine pathologische 
Erscheinung ist. 

Wie wenig auch der Prozess der Vermehrung der Kerne und 
Zellen in dem einschichtigen Plattenepithel studiert ist, so ist es doch 


Zur Frage über das Amnionepithel. 203 


bereits aus den angeführten, unzusammenhängenden Befunden ersichtlich, 
dass hier ein vollkommen eigenartiger Prozess vor sich geht, durch 
welchen das Plattenepithel sich scharf von allen übrigen Epithelformen 
unterscheidet. 

b) Eigene Beobachtungen. 

Beim Studium der Präparate hauptsächlich aus den Eihüllen 
älterer Schweineembryone (von 20—22 cm Länge) lassen sich bereits 
bei schwachen Vergrösserungen zwischen den gewöhnlichen Zellen 
des Plattenepithels hier und da stärker tingierte Kerne erkennen. 
Bei einer Untersuchung mit Immersionssystemen kann man sich davon 
überzeugen, dass sich dieselben in verschiedenen Stadien einer indirekten 
Teilung befinden, welche übrigens hier einige Abweichungen vom ge- 
wöhnlichen Typus aufweist. 

Aus einer Reihe von Zusammenstellungen und Beobachtungen an 
diesen Kernen ist es mir gelungen, ein ungefähres Bild dieser Teilung 
zu erhalten. Das Stadium, welches für das Anfangsstadium gehalten 
werden kann, besteht darin, dass die Chromatinmenge zunimmt, 
‚während seine Körnchen grösser werden und sich intensiver färben, 
unter ihnen treten deutlich ein oder zwei Kernkörperchen hervor 
(Fig. 3). 

Im weiteren Stadium sammeln sich die Chromatinkórner entweder 
zu einem Faden, oder ordnen sich zu einer beträchtlichen Anzahl 
von Chromosomen an, die das Aussehen von geraden oder leicht 
gekrümmten, in verschiedenen Richtungen angeordneten Stäbchen haben. 
Die Membran tritt im Vergleich zum vorhergehenden Stadium weniger 
deutlich hervor (Fig. 4). Das Zentrosoma ist mir zu sehen weder in 
diesem gelungen, noch in irgendeinem der folgenden Stadien, un- 
geachtet verschiedener angewandter Färbungsverfahren. Im weiteren 
Verlauf des Prozesses nehmen die Chromosomen an Dicke zu, wobei 
gleichzeitig äusserst deutlich der Bau derselben aus einzelnen 
Kôrnchen — Chromomeren —, die durch äusserst feine Fäden mit- 
einander verbunden sind, zutage tritt; die Membran ist vollkommen 
geschwunden. Zu dieser Zeit, bisweilen auch etwas früher, spalten 
sich die einzelnen Chromomeren der Länge nach und bedingen dadurch 
eine Längsspaltung der Chromosomen (Fig. 5). 


204 W. Martinoff, 


Die erwähnten Veränderungen des Chromatins des Kernes er- 
innern lebhaft an das Stadium der Prophase während der indirekten 
Teilung. 

Der weitere Verlauf des Teilungsprozesses besteht darin, dass 
die gespaltenen Chromosomen sich im Protoplasma der Zelle verteilen. 
Bei einer sehr gelungenen Färbung ist zu erkennen, dass sie stellen- 
weise sich miteinander zu einem Faden verbinden. Dieser Faden 
windet sich in verschiedenen Richtungen und Ebenen und bildet im 
allgemeinen eine Figur, welche an einen lockeren Knäuel erinnert. 
Die einzelnen Schleifen dieses Fadens rücken voneinander ab, wobei 
sie schliesslich sich in der ganzen Zelle verteilen. Darauf nähern 
sich die verschieden langen Schleifen einander stellenweise wieder, 
wobei sie sich zu 3—5, bisweilen auch mehr Gruppen anordnen, die 
in wechselnder Entfernung voneinander gelegen sind (Fig. 7). Auf 
gelungenen Präparaten kann man sich leicht davon überzeugen, dass 
diese Gruppen miteinander eng verbunden sind vermittels eines 
körnigen Fadens, welcher einen Teil des allgemeinen Fadens darstellt. 
Auf den weiteren Stadien reisst der Verbindungsfaden durch, worauf 
in der Zelle leicht 3—5, bisweilen auch mehr Körnergruppen von 
verschiedener Grösse und Form wahrgenommen werden können. 
Allmählich werden die Körnchen weniger deutlich wahrnehmbar, um 
jede Gruppe tritt allmählich eine Hülle auf, wobei sich stets deutlicher 
die Konturen eines neuen Kernes sichtbar machen. Um diese Zeit 
erscheinen gewöhnlich auch die Kernkörperchen; es lässt sich hierbei 
somit der allmähliche und unmittelbare Übergang der einzelnen 
Fadenteile bis zum Ruhestadium der aus ihnen neugebildeten Kerne 
verfolgen. Es muss noch erwähnt werden, dass von dem Moment 
der Umwandlung des Chromatins an bis zur Bildung der einzelnen 
Gruppen die Zelle stetig an Grösse zunimmt. Das weitere Schicksal 
der Zelle, in welcher die geschilderten Vorgänge sich abspielen, ist 
verschieden: entweder teilt sich das Protoplasma nicht und es entsteht 
eine vielkernige Riesenzelle, oder aber die Zelle teilt sich. Im letzteren 
Falle kann die Teilung auf verschiedene Weise erfolgen: entweder 
den Radien nach, was des häufigeren bei runden oder ovalen Zellen 
geschieht, oder vermittels einer oder mehrerer Einschnürungen, die 


Zur Frage über das Amnionepithel. 205 


allmählich tiefer in die Zelle einschneiden, dieser Fall tritt am 
häufigsten in den gestreckten Zellen ein. Das Resultat einer derartigen 
Teilung stellen ein- bisweilen auch zweikernige Teilung dar (Fig. 10). 

Beim Studium der geschilderten Veränderungen des Chromatins 
in den Kernen der Epithelzellen wird unwillkürlich die Frage erweckt, 
inwiefern die auf diesen Präparaten beobachteten Bilder tatsächlich 
der Struktur der lebenden Zelle entsprechen? Zwecks Entscheidung 
dieser Frage entnahm ich den noch vollkommen warmen Hüllen ein 
Stück, welches ich nach Anfeuchtung mit einem Tropfen einer 
1/,°/, Lösung von Methylenblau mit einem Deckglas zudeckte und bei 
starken Vergrösserungen untersuchte. Hierbei erwies es sich, dass 
die Kernstruktur in den verschiedenen Teilungsstadien vollkommen 
den Bildern entspricht, welche ich auf den fixierten Präparaten 
beobachtet hatte. Die Chromatinkörner waren leuchtend blau gefärbt, 
während das Protoplasma fast farblos erschien. Bei der allmählichen 
Abkühlung des Präparates und dem Absterben der Zellen erfolgten 
am Chromatin des Kernes dieselben Veränderungen, welche an un- 
sünstig fixierten Präparaten beobachtet werden: die Chromatinkörnchen 
flossen zu homogenen Schollen zusammen, welche keinerlei Struktur 
aufwiesen: die Färbung nahm an Intensität ab, während das Proto- 
plasma sich allmählich dunkler färbte. 

Der beschriebene Prozess einer indirekten Kernteilung zeichnet 
sich scharf von der gewöhnlichen ab und stellt meiner Ansicht nach 
einiges Interesse dar, da er einerseits einiges Licht auf die Entstehung 
der vielkernigen Zellen wirft und andererseits auf die möglichen 
zahlreichen Variationen hinweist, welchen die mitotische Teilung nicht 
nur in der Wirbeltierreihe, sondern auch in den verschiedenen Organen 
eines Organismus unterliegen kann. 


e» gum go ro 


19. 


20. 


Literatur. 


Kotschetoff, N., Untersuchungen über das Pigmentepithel der Retina im 
Zusammenhang mit der Frage über die Zellteilung. Arbeiten d. Natur- 
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Zeitschr. f. Geburtshilfe und Gynákologie. Bd. XXVIII. 

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hóheren Tiere. 2. Aufl. 

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Arbeiten der Naturforschergesellschaft bei der Kaiserl. Universität Kasan. 
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Bd. XXXIX. Lief. I. 1908. (Russ.) 


Big. cl. 
Fig. 2. 
Fig. 3. 
Fig. 4. 
Bic. 5. 
Fig. 6. 
Rue. 7. 
Fig. 8. 
Fig. 9. 
Fig. 10. 


Figurenerklärung. 


Mehrere einkernige und zwei mehrkernige (Riesen-)Zellen. Das Präparat 
ist mit Silbernitrat behandelt und in Hämatoxylin gefärbt worden. Reichert. 
Obj. 7a. Oc. III. Camera lucida von Leitz. 

Ruhender Zellkern. 

Vorbereitung des Kernes zur Teilung; die Zahl der Chromatinkörner hat 
zugenommen. 

Kernmembran wenig wahrnehmbar; die Chromatinkörner haben sich zu 
einem Faden vereinigt, welcher an das Stadium des lockeren Knäuels 
bei der Karyokinese erinnert. 

Die einzelnen Chromosomen sind sichtbar, in ihnen sind die Chromomeren 
deutlich zu erkennen, welche jedoch auch auf dem früheren Stadium 
vorhanden und durchaus nicht charakteristisch gerade für dieses 
Stadium sind. 

Die Chromosomen verteilen sich im Zellprotoplasma; eine paarweise An- 
ordnung derselben ist nicht mehr zu erkennen. 

Die Chromosomen sind im Zellprotoplasma verteilt und häufen sich 
stellenweise zu Gruppen an, womit die künftigen Kerne angedeutet werden. 
Die Chromosomen haben an drei Stellen Anhäufungen gebildet, welche 
noch durch einen Faden verbunden sind. = 

Der die Anhäufungen verbindende Faden ist gerissen, wobei deutlich drei 
neue Kerne in Erscheinung treten. 

Teilung des Zellprotoplasmas. 


Sämtliche Zeichnungen (mit Ausnahme der ersten) sind vermittels einer 
Camera lucida von Leitz bei Zeiss homog. Immers. !/,, Oc. 3, Tub. 160 von Prä- 
paraten des Amnionepithels von Schweineembryonen, welche im Gemisch von 
Lenhossék, zur Hälfte mit destilliertem Wasser vermischt, fixiert und nach 
Heidenhain gefärbt worden waren, ausgeführt worden. 


(Dall'Istituto di Patologia generale della R. Università di Napoli. 
Diretto dal Prof. Gino Galeotti.) 


Sullipertrofia compensatoria e sui fenomeni cellulari 
nei reni dopo la legatura di un uretere. 


Ricerche sperimentali 
del 


Dr. Amatore De Giacomo. 


(Con la Tav. X.) 

Le ricerche che andrò esponendo riguardano: 

1. Lo studio dell’ipertrofia e dell’atrofia renale, susseguenti alla 
legatura di un uretere. 

2. La descrizione dei fenomeni morfologici della secrezione nei 
reni ipertrofici e atrofici. 

3. La determinazione con un metodo microchimico delle concrezioni 
che si ritrovano nel rene con l’uretere legato. 


Lo studio dell’ipertrofia compensatoria e dei fenomeni secretorii 
della cellula renale è stato ed è uno degli argomenti più discussi in 
questi ultimi anni. 


Nothnagel, a proposito dell’ipertrofia di un rene in seguito all’estir- 
pazione dell’altro, così si esprime: “L’aumento della funzione di un organo 
può essere causata soltanto da una maggiore intensità di stimoli, che 
eccitano la sua attività specifica. — In tutti i casi, soltanto gli stimoli 
fisiologici adeguati subiscono un aumento, e le stesse condizioni pa- 
tologiche creano questo aumento degli stimoli adeguati. — L’uno dei 


Sull’ipertrofia compensatoria e sui fenomeni cellulari nei reni etc. 209 


reni è stato estirpato, ma le sostanze capaci di produrre urina continuano 
a formarsi nell'organismo nella stessa quantità come prima, e queste 
sostanze, circolando nel sangue, agiscono ora come stimolo quantitativa- 
mente raddoppiato sugli elementi specifici del rene rimasto”. 

Mauchle estirpò in alcuni conigli un rene e legò all’altro rene 
il ramo più piccolo dell’art. renale: in questo modo diminuì rilevante- 
mente la sostanza renale funzionante, la quale però poco tempo dopo 
divenne talmente ipertrofica, raggiungere la grandezza di un intero 
rene ipertrofico. 

Perthes potè stabilire nell'uomo la ipertrofia di un rene dopo l'estir- 
pazione dell’altro. 

Chauffard studiò le ipertrofie parziali, che qualche volta hanno 
luogo nei reni colpiti da processi interstiziali e notò l'aumento delle, 
cellule e l’allargamento dei canalicoli renali. 

Ribbert studiò l'aumento dell'attività funzionale del rene rimasto 
dopo nefrectomia unilaterale. 

Sacerdotti ha trovato, che lo stimolo per la iperplasia e ipertrofia 
renale dipende dalla presenza di una quantità rilevante di prodotti di 
escrezione, che ha da eliminare il rene rimasto; perchè in animali la- 
sciati in inanizione dopo la nefrectomia, non si avevano fenomeni di 
iperplasia. | 

Riguardo ai dettagli dei processi istologici, ricordo che Eckardt 
determind in tre casi di idronefrosi il numero dei glomeruli nel rene 
rimasto ipertrofico e conclude, che non vi fu neoformazione, ma soltanto 
ingrandimento dei glomeruli e dei canalicoli. 

Della medesima opinione sono Grawitz e Israel. 

Ribbert e Lorenz osservarono un allargamento dei canalicoli ed una 
vera ipertrofia dei diversi epiteli. Golgi osservò numerose figure 
cariocinetiche nelle cellule epiteliali del rene che si ingrandisce. 

Tizzoni e Pisenti trovarono una neoformazione di canalicoli e di 
glomeruli nell’ipertrofia. 

Galeotti e Villasanta si occuparono di determinare le moltipli- 
cazioni, che avvengono nei diversi elementi renali, in seguito all’iper- 
trofia compensatoria e giunsero alle seguenti conclusioni: 


L’ipertrofia, che si forma nel rene rimasto dopo nefrectomia 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 14 


210 Amatore De Giacomo, 


unilaterale, si presenta in modo diverso secondo che l’animale operato 
è giovane, in periodo di crescenza, oppur no. — Nel primo caso si 
ha una vera ipertrofia con aumento numerico dei glomeruli malpighiani 
e dei canalicoli contorti, i quali rimangono su per giù invariati nelle 
loro dimensioni; nel secondo caso si ha ingrandimento dei glomeruli e 
dei canalicoli contorti, senza aumento numerico di essi. 

Per riguardo alle conseguenze della legatura dell’uretere negli 
uccelli, ho trovato un lavoro di Zikhatscheff che tratta tale questione. 
I risultati di questo autore si possono così riassumere: 

I reni, di cui l'uretere fu legato parecchio tempo prima della morte 
dell’animale, appaiono più piccoli, più consistenti e di colore giallognolo. 
Il lume dei canalicoli è allargato, gli epitelii schiacciati e talvolta 
ridotti a soli 2 u d'altezza e sovente vi è accrescimento del connettivo 
interstiziale, con le apparenze di una vera sclerosi atrofica, mentre da 
altra parte qua e là si formano cisti con un contenuto colloide. I cor- 
puscoli di Malpighi sono impiccioliti. Dappertutto si vedono depo- 
siti cristallini ora intratubolari, ora intertubolari, i quali, secondo 
l’autore, sono costituiti da urati. 

Negli animali, in cui fu legato un solo uretere, il rene rimasto 
libero presentò segni manifesti d’ipertrofia compensatoria, la quale si 
produsse non per aumento numerico di glomeruli e di canalicoli, ma 


per ingrandimento di questi. 


* * 
* 


Altri autori rivolsero la loro attenzione specialmente alle sottili 
modificazioni istologiche, le quali accompagnano il processo della secre- 
zione renale. 

Heidenhain, con i suoi celebri esperimenti sulla eliminazione del 
solfo — indacato sodico, per parte della cellula del tubolo contorto, stabili 
la funzione e l’attività ghiandolare di questo epitelio. 

Con i comuni metodi istologici e più specialmente con metodi 
molto delicati i fratelli Monti, Steiger, Rothstein, Van der Stricht e 
Disse poterono mettere in evidenza, nelle cellule renali, granuli di varia 
grossezza, vacuoli e vescicole in rapporto evidente allo stadio funzionale. 

Sauer per contro negò tale rapporto, sostenendo che nessuna 
modificazione funzionale aveva osservato nell’epitelio renale. L’unica 


Sull’ipertrofia compensatoria e sui fenomeni cellulari nei reni etc. 211 


differenza vera morfologica tra un tubolo in riposo e uno in piena 
attività consisterebbe, secondo questo autore, nel volume che nel primo 
caso sarebbe aumentato. 

Tale opinione del Sauer non à stata per nulla confermata. 

Più recentemente infatti parecchi autori hanno messo in evidenza 
particolarità di struttura dei reni nello stato funzionale. 

Gurwitsch, nelle cellule renali di rana, ha descritto varie specie 
di vacuoli e granuli, a seconda delle differenti reazioni, che essi davano 
coi varii metodi di fissazione (sublimato, acido osmico). 

Regaud e Policard hanno trovato nelle cellule renali di animali 
inferiori. (pesci, anfibi e rettili) vescicole e granuli di varia natura. 
I granuli o, come essi dicono corp?, sarebbero di tre categorie: a) corpi 
cromatoidi — b) corpi lipoidi — c) granuli di secrezione. 

Gli stessi autori hanno descritto granulazioni rotonde, minute e 
regolari anche nel rene del riccio. 

Particolarità di struttura ancor più delicate ha messo in evidenza 
il Ferrata nei reni dei mammiferi. 

Questo autore avrebbe osservato, che il nucleo delle cellule renali 
ha parte attiva nei fenomeni funzionali, dando origine a due prodotti 
di secrezione diversi: un prodotto a tipo granulare minuto, che deriverebbe 
dalla parte cromatica del nucleo ed un altro a tipo granulare più 
grossolano, che deriverebbe dalla parte acidofila di esso. 

Oltre questi prodotti di origine esclusivamente nucleare, l'A. de- 
scrive anche una sostanza di origine citoplasmatica e che per la sua 
peculiare natura chiama „elaborazione ergastoplasmatica“. 

Queste svariate ricerche sono state fatte in massima parte sui reni 
di mammiferi normali, in periodo cioè di normale attività. 

Non sono invece numerose e molto concordanti le ricerche eseguite 
sui reni lesi o artificialmente stimolati. 

Sauer, Sobieransky e Modrakowsky hanno studiato il modo di 
comportarsi dell’epitelio renale, sotto lo stimolo dei diuretici. 

Per il Sauer l’attività funzionale dell’elemento cellulare non si 
rileva con modificazioni di struttura del suo protoplasma, ma sempli- 
cemente, come già accennai, in una maggiore ampiezza del lume ca- 


nalicolare. 
14% 


212 Amatore De Giacomo, 


Sobieransky e Modrakowsky affermano il contrario, che cioè vi sono 
vere e proprie modificazioni di struttura nei reni durante la diuresi. 

Tuttavia linterpretazione che essi ci danno dei fatti osservati 
(Teoria di Sobieransky), non è da tutti accettata. 

Pizzini infine ha studiato la funzione secretoria della cellula 
renale artificialmente stimolata con i comuni diuretici, con alca- 
loidi, con stimoli specifici (estratti di rene, siero di sangue di animali 
resi uremici). 

Non sono numerose e concordanti le ricerche sul rene, in cui lo 
stimolo è rappresentato dal maggior lavoro ad esso imposto, mediante 
la esclusione dell'altro rene. 


Animali da esperimento. 


Come animali da esperimento mi son servito di polli del peso medio 
di 1 kg. e mezzo. 

Le modificazioni istologiche e i fenomeni dell’ipertrofia compen- 
satoria, che in un rene intatto si manifestano quando la funzione 
dell’altro venga per qualsiasi ragione a mancare, sono stati poco 
studiati negli uccelli, dove i processi della secrezione urinaria differiscono 
da quelli dell’uomo e di diversi mammiferi. 

Mentre nei mammiferi, durante la formazione dell’nrina, pre- 

dominano i fatti di filtrazione e il secreto è ricchissimo d’acqua, 
negli uccelli invece sovrabbonda l’eliminazione di materiali solidi 
o quasi. 
Era quindi giustificata la supposizione, che le conseguenze del 
ristagno dei prodotti di secrezione, quando si ostacoli la uscita di questi, 
dovessero essere ben diversi negli uccelli; come pure che la ipertrofia 
compensatoria si dovesse esplicare in questi animali in modo differente 
che nei mammiferi. 

E poichè l'apparecchio urinario è diverso da quello dei mammiferi, 
ricorderò qui brevemente quale sia la struttura dei reni da me studiati. 

I reni di pollo, che hanno sempre una forma allungata e irregolare, 
sono quasi sempre divisi in tre lobi: uno anteriore, situato nella regione 
lombare, gli altri due nella regione pelvica, dove essi sono collocati 
dietro il peritoneo, nelle anfrattuosità del sacro. 


Sull’ipertrofia compensatoria e sui fenomeni cellulari nei reni etc. 213 


I tre lobi renali sono di forma ovalare e sono ben separati fra 
di loro, ricordando così la forma embrionale dei reni. 

Il lobo medio è il più piccolo di tutti e il lobo anteriore o lombare 
è il più grande. 

A prima vista la superficie anteriore sembra liscia, ma, osservando 
attentamente, si veggono come delle piccole circonvoluzioni, dovute 
all’esistenza di piccolissimi lobuli senza ordine raggruppati, e che 
somigliano „a une pelote embrouillee de rubans onduleux“, come dice 
Edwards. 

Gli ureteri non presentano, nè alla loro origine nè alla parte termi- 
nale, alcuna dilatazione notevole e sono completamente separati dalle 
vie genitali. 

Ciascun uretere si origina dalla parte posteriore del lobo renale 
e discende lungo il bordo interno dei due lobi pelvici, da ciascuno dei 
quali riceve lateralmente una branca. 

Scorre tra il peritoneo e i muscoli della parete posteriore dell’addome, 
profondamente ad essa addossato da ciascun lato della colonna verte- 
brale, nel bacino. Infine giunge alla parte anteriore della cloaca, e si 
apre immediatamente dietro la ripiegatura, che separa questo vestibolo 
dall’intestino retto, in dentro e un poco al di sopra dello sbocco dell’ovi- 
dutto e dei canali deferenti. E’ molto piccolo e non è difficile con- 
fonderlo con i nervi sacrali, con i quali scorre per un certo tratto 
insieme. 


Operazione — Metodo di ricerca. 


Con un taglio a mezzo centimetro di distanza, e parallelamente. 
al bordo postero-inferiore delle ossa iliache, che formano la cintura 
pelvica, io incideva i tegumenti e, spingendo in alto e in dentro tutta 
la massa adiposa e il pacchetto intestinale, scoprivo la faccia anteriore 
della parete posteriore del bacino, nel fondo del quale potevo distin- 
euere l’uretere, isolarlo e, servendomi di un ago di Dechamps, legarlo 
ben stretto con catgut n. 2. 

Subito dopo, con una doppia sutura, prima degli scarsi muscoli e 
poi della cute, chiudevo la ferita anche con catgut. | 

L’operazione veniva fatta senza anestesia e senza antisettici, 


214 Amatore De Giacomo, 


durava pochi minuti, e, evitando qualsiasi emorragia, procedeva 
benissimo. 

Gli animali ne risentivano molto poco; il giorno appresso mangia- 
vano, cosicchè la nutrizione generale non veniva a soffrire. 

Lasciavo così gli animali in esperimento per un mese o poco più, 
e poi venivano uccisi per dissanguamento. 

Toglievo quindi con molta delicatezza dalle loro anfrattuosità 
tutti e due i reni con i loro rispettivi ureteri e li pesavo immediatamente. 

Era notevolissima a prima vista la differenza in grandezza fra i 
due reni, mentre l’uno, il cui uretere era stato legato, era ridotto 
molte volte meno della metà del normale, l’altro si era sviluppato enorme- 
mente, fino a debordare di molto dalla sua nicchia, costituita dalle 
apofisi trasverse delle vertebre sacrali e dalle ossa pelviche. 

Per io studio microscopico dell'organo mi sono servito di due 
fissatori; del liquido di Zenker e del liquido di Flemming; quest’ultimo 
nelle proporzioni di 

acido osmico all 1°/, vol. 30 
» cromico all’ 1%), 90 
Mita ceti colo eno ner Q 

I pezzi fissati in Zenker erano un po’ più grossi, mentre quelli 
fissati in Flemming non sorpassavano le dimensioni di mezzo centimetro. 

I pezzi fissati in Zenker li ho colorati con la duplice colorazione 
di ematossilina e eosina; mentre per quelli in Flemming mi son servito 
del metodo di Galeotti con la seguente modificazione. 

Ho prolungato cioè la colorazione con la fucsina acida per 3 a 4 ore 
se a caldo (temperat. di 40°), e per 24 ore se a freddo; e se la colo- 
razione era troppo intensa, ho lasciato qualche minuto di più il pre- 
parato in acido picrico e poi l’ho lavato in soluzione di carbonato di soda 
al 2—3°/,. Quindi lavaggio in acqua e poi colorazione con verde di metile. 


A. Modificazioni istologiche dei reni dopo la legatura di um uretere. 
Esperimento I. Gallina 1 — peso gr. 1600 — operata il 26 apri- 
le 1909, uccisa il 29 maggio 1909. 
Peso del rene atrofico con luretere gr. 4. 
Rene ipertrofico con l’uretere gr. 7. 


Sull’ipertrofia compensatoria e sui fenomeni cellulari nei reni etc. 215 


Nei preparati fissati in Zenker e colorati con eosina e ematossilina 
si osserva: 


Rene atrofico: I glomeruli sono diminuiti di volume, la capsula di 
Bowmann è raggrinzita. 

I corpuscoli rossi nelle anse dei glomeruli sono scarsissimi, vi si 
riscontrano ammassi di sostanza granulare giallognola. 

Tra le anse vasali e la capsula vi è uno spazio vuoto. 

I tuboli sono rimpiccioliti per una manifesta riduzione delle loro 
cellule epiteliali, le quali si presentano a contorni non ben definiti; 
il loro protoplasma è omogeneo e il nucleo vien scarsamente colorato. 
Aumento del tessuto connetivo interstiziale; vi è un vero processo di 
sclerosi interstiziale. 

Vi si trovano abbondanti depositi di sostanza giallastra, in forma 
granulare o in cristalli aghiformi (acido urico). Alcuni tuboli sono 
ripieni di una sostanza omogenea, che si colora leggermente con 
Vematossilina. Il rivestimento epiteliale di questi è atrofico o intera- 
mente scomparso. 


Rene ipertrofico: I glomeruli sono notevolmente ingranditi e 
contengono nelle anse vascolari abbondanti corpuscoli rossi. I tuboli 


sono egualmente ingranditi e il loro epitelio è ipertrofico. 
I tuboli collettori sono dilatati. | 


Esperimento II. Gallina 2 — peso gr. 1750 — operata il 
28 aprile, uccisa il 5 giugno 1909. Peso del rene atrofico con l'uretere 
DE Dl. 

Peso del rene ipertrofico con l’uretere gr. 7,1. 


Rene atrofico: Notasi rimpicciolimento dei glomeruli, capsula 
ispessita, in alcuni punti in proliferazione verso il lune canalicolare. 

I tubuli sono ingranditi, le cellule di essi hanno il protoplasma 
granuloso, con nucleo e nucleolo ben distinto e colorato. 

Notevole e abbondante la proliferazione connettivale. 


216 Amatore De Giacomo, 


Negli spazii compresi tra la capsula di Bowmann e le anse del 
glomerulo notansi, in alcuni punti, cristalli e granuli amorfi di un 
colorito verdastro. Tali cristalli si osservano anche negli spazi 
interstiziali e qualche volta nei tuboli stessi. 


Rene ipertrofico: Le cellule sono ben conservate. Im alcuni punti 
si notano fatti di moltiplicazione cellulare. 

Il lume dei canalicoli è ingrandito, così pure i glomeruli malpighiani. 

Il lume dei tuboli spesse volte è ingombro da una sostanza amorfa. 
Si osservano cristalli di colorito verdastro di diverse dimensioni. 


* * 
* 


Esperimento IIT. Gallina 3 — peso gr. 1570 — operata il 
22 maggio, uccisa il 28 giugno 1909. 


Rene atrofico con notevolissima dilatazione cistica dell’uretere. 
Peso gr. 3,4. 
Peso del rene ipertrofico con l’uretere gr. 8,5. 


Rene atrofico: I glomeruli sono raggrinzati nella capsula note- 
volmente ispessita e che in alcuni punti presenta una proliferazione. 

Le guaine vasali sono anch'esse ispessite. 

In alcuni punti dei canalicoli il contorno delle cellule è ancora 
visibile. ma il nucleo si colora male, è in preda a vacuolizzazione. 

In altri punti i contorni cellulari sono scomparsi e tutto il proto- 
plasma è ridotto a una massa amorfa, granulosa. 

Notansi nella capsula del Bowmann e nei canalicoli dei depositi 


amorfi di colorito verdastro. 


Rene ipertrofico: Tutte le cellule bene conservate, tanto nei tuboli 
contorti che nei retti. 

I glomeruli sono ingranditi. I tuboli dilatati, e il loro lume è 
Spesso ripieno della sostanza secreta dai tuboli stessi. 


Esperimento IV. Gallina 4 — peso gr. 1700 — operata il 30 aprile, 
uccisa il 10 giugno 1909. 


Sull'ipertrofia compensatoria e sui fenomeni cellulari nei reni etc. 21 


Peso del rene ipertrofico con l'uretere gr. 8, peso del rene atrofico 
con l'uretere gr. 4. 


Rene atrofico: Notasi in tutti i preparati una diminuzione costante 
dei glomeruli nei due diametri; la capsula é ispessita e presenta una 
proliferazione alla parte interna da far pensare ad una vera glomerulite. 

Scarsissimi i corpuscoli rossi nelle anse dei glomeruli; si trovano 
qua e là ammassi di sostanza giallognola. 

I tuboli sono rimpiccioliti. L'epitelio di essi si colora scarsamente 
e le cellule hanno contorni irregolari e poco netti. 

Da per tutto vi é aumento del connettivo interstiziale. 


Rene ipertrofico: Tutto il tessuto è molto bene conservato e si 
nota da per tutto un'attiva proliferazione cellulare. I glomeruli sono 
ingranditi moltissimo e le anse di esso ricche di corpuscoli rossi. Il 
lume dei tuboli collettori é ingrandito. 


Esperimento V. Gallina 5 — peso gr. 1780 — operata il 25 maggio, 
uccisa il 30 giugno. Peso del rene ipertrofico con l'uretere gr. 7,3, 
peso del rene atrofico con l'uretere gr. 3,5. 


Rene atrofico: lspessimento della capsula e raggrinzamento di essa. 
Aumento del connettivo interstiziale. Le arterie sono in molti punti 
obliterate e in preda ad endoarterite e periarterite. 

L'epitelio dei canalicoli è profondamente alterato; il nucleo delle 
cellule, scarsamente colorato, è molte volte in preda a vacuolizzazione. 
In moltissimi punti il protoplasma cellulare dei canalicoli stessi è 
ridotto in una massa amorfa. 


Rene ipertrofico: Le cellule sono ben evidenti e conservate in 
tutti i preparati. I glomeruli spiccano per la loro grandezza e per 
la riechezza dei corpuscoli rossi, che si trovano nelle anse. 

Nei tuboli vi é molta sostanza secreta dalle cellule di essi. 


Esperimento VI. Gallina 6 — peso gr. 1680 — operata il 28 maggio, 
uecisa il 1 luglio 1909. 


218 Amatore De Giacomo, 


Rene ipertrofico con l'uretere gr. 8,1, rene atrofico con l’uretere 
Gi SE 


Rene atrofico: Si notano su per giü i medesimi fenomeni che nei 
precedenti esperimenti. Gli epitelii sono alterati, con nuclei vacuolizzati. 

I contorni delle cellule sono in alcuni punti appena visibili, in 
altri addirittura scomparsi. I glomeruli sono allo stato di vestigia; 
in molti di essi i vasi sono scomparsi all’interno o ridotti a pochis- 
sime anse. La capsula è fortemente ispessita. Dappertutto prolifera- 
zione abbondante del connettivo interstiziale (sclerosi interstiziale). 

Abbondano i depositi di sostanza giallastra granulosa e i cristalli 
aghiformi (acido urico). Nei tuboli si osserva una sostanza omogenea 
che viene debolmente colorata con l'emallume. 


Rene ipertrofico: Anche qui si osservano gli stessi fenomeni già 
descritti nei precedenti esperimenti. 

Ingrandimento dei canalicoli e dei glomeruli, ricchi di corpuscoli 
rossi. Le cellule sono da per tutto conservate, sia nel loro protoplasma 
sia nei loro nuclei. Im alcuni punti vi è anche qualche figura 
cariocinetica. 

Si osservano cristalli di colorito verdastro e molti tuboli sono 
ripieni di sostanza amorfa. 


* * 


Esperimenti di Controllo. 


Rene normale: Nel rene di pollo, il cui peso oscilla su per giù 
fra 5 e 6 gr., fissato e colorato nel modo suddetto si osservano le 
cellule dei tuboli contorti di volume quasi sempre uguale tra loro. 

Nella zona glomerulare i canalicoli sono rivestiti da cellule epiteliali 
cubiche, abbastanza alte con orlo a spazzola evidente e ben conservato. 
Tali cellule hanno un protoplasma finemente granuloso e sono provviste 
di un nucleo, con membrana nucleare di forma sferica o ovalare, con 
uno o più nucleoli ed una fine rete cromatica. 

I glomeruli non differiscono, sia per la forma, sia per la loro 


Sull'ipertrofia compensatoria e sui fenomeni cellulari dei reni etc. 219 


struttura da quelli dei mammiferi. Nei tuboli contorti l'epitelio è basso, 
di forma rettangolare; il nucleo di tali cellule é bene evidente. Nella 
parte centrale delle cellule stesse in alcuni punti si notano grossi 
vacuoli. 


Già da un confronto superficiale tra i reni atrofici ed ipertrofici 
risulta una notevole differenza nel volume dei glomeruli malpighiani. 
A fine di determinare meglio tale differenza, ho pensato di misurare le 
aree, che presentano le sezioni dei glomeruli nei vari reni da me studiati. 
Per questo ho misurato con l’oculare mierometrico due diametri, il 
diametro maggiore e il diametro minore, in un certo numero di sezioni 
di glomeruli. Se, con una sufficiente approssimazione, si considerano 
le sezioni dei glomeruli quali aree di elissi, dai suddetti diametri si 
ottengono subito queste aree. Nelle tabelle seguenti sono esposti i 
risultati delle mie misurazioni: l’unità di misura dei valori segnati è 
il micromillimetro quadrato. 


I. Esperimento II. Esperimento III. Esperimento 
Rene Rene — Rene Rene Rene Rene 
ipertrofico  atrofico ipertrofico atrofico ipertrofico atrofico 
6700 1040 8000 847 6250 1170 
3260 1250 4570 1400 3340 792 
5140 983 4260 1690 7550 932 
6850 846 5020 1580 7540 2050 
6620 834 3820 1830 5260 634 
6790 804 4750 1350 3490 731 
6840 682 3900 1110 4620 1160 
5560 1640 4960 790 3600 1070 
6070 803 5730 1170 4460 1280 
5260 1880 4680 1120 7200 24 
5850 585 3970 1140 6860 1690 
6070 1270 4070 1690 4750 785 
5050 1410 3020 2230 3480 1070 
4450 1130 3500 1620 4150 1190 
5650 1450 3240 2360 5120 1340 
5850 1070 5950 2320 6850 776 
5460 1950 4710 1300 6610 750 
5830 932 4680 1290 5020 1410 


5160 935 3780 1140 3250 1700 


220 Amatore De Giacomo, 


I. Esperimento II. Esperimento Ill. Esperimento 
Rene Rene Rene Rene Rene Rene 
ipertrofico atrofico ipertrofico atrofico ipertrofico atrofico 
5070 1250 3360 1500 6800 1590 
4770 904 5440 1350 7820 1830 
5120 527 5790 835 5570 1340 
5780 1810 5140 1470 5140 1110 
5150 1620 5800 1660 4120 791 
6280 1500 6220 1070 3320 1070 
8150 790 4950 1720 5170 1570 
6060 944 4720 1270 5720 1350 
5250 1610 4180 792 6640 1190 
5030 1260 5320 1070 4510 1320 
4720 1320 5070 1040 4230 1011 
5920 855 5120 1250 5020 729 
4370 1510 5920 932 5870 632 
5630 1080 4960 832 5650 1190 
Medie 5659 1153 5109 1358 9922 1156 
IV. Esperimento V. Esperimento VI. Esperimento 
Rene Rene Rene Rene Rene Rene 
ipertrofico  atrofico ipertrofico atrofico ipertrofico atrofico 
8060 1700 7950 2000 8200 1900 
4000 600 3600 700 3870 580 
6210 980 6620 750 3900 770 
6300 740 4750 1200 4520 750 
5870 805 5280 1700 4690 1700 
5450 1500 5190 900 5740 1340 
5900 800 4320 910 4070 1110 
4800 1420 5800 820 7500 1070 
6100 1470 6100 850 7000 1280 
5260 1200 6320 800 6780 640 
4920 650 ; 5700 1110 4600 730 
4750 700 4860 1020 4710 800 
4690 910 3800 790 4850 690 
4860 1520 3790 800 3960 1000 
4060 1600 3950 1000 3890 600 
4020 782 4750 1120 5970 1780 
4080 605 5870 840 5140 1800 
4900 620 4900 1070 6320 1900 
5000 1530 6700 720 4500 1400 
4670 1200 5220 1120 4660 1450 
4960 906 6340 1300 4000 1010 


6000 802 7300 980 3980 1090 


Sull’ipertrofia compensatoria e sui fenomeni cellulari dei reni etc. 


IV. Esperimento 


Rene Rene 
ipertrofico atrofico 

5370 780 
8000 1630 
7300 1340 
7210 858 
1220 1010 
7000 710 
5100 650 
5090 680 
7020 900 
7400 1000 
6010 970 
Media 1580 1017 


Rene ipertrofico 


La superficie di sezione dei glomeruli 


oscilla tra un maximum di 
ed un minimum di 
superficie media 


Rene ipertrofico 
maximum . 
minimum 
superficie media 


Rene ipertrofico 
maximum . 
minimum 
superficie media 


Rene ipertrofico 
maximum . 
minimum . 
superficie media 


Rene ipertrofico 
maximum . 
minimum .. 
superficie media 


V. Esperimento 


Rene Rene 
ipertrofico atrofico 
6120 1500 
6210 1290 
4070 2000 
6500 1460 
6450 1040 
6000 1530 
5270 1030 
4810 830 
5050 1660 
4920 1050 
5870 920 
5466 1115 


._I Esperimento 


221 

VI. Esperimento 

Rene Rene 
ipertrofico atrofico 

5090 890 
5950 900 
6100 900 
5300 1700 
6970 1830 
4100 1190 
3910 1230 
4010 1570 
4260 1010 
4120 810 
4920 620 
5078 1904 


Rene atrofico 


8150 oscilla tra un maximum di 1 
3260 ed un minimum di 
5659 superficie media . . . . 1 
Il. Esperimento 
Rene atrofico 
8000 maximum . 
3020 minimum . 
5109 superficie media 
III. Esperimento 
Rene atrofico 
7840 maximum . 
3320 minimum . 
9922 superficie media 
IV. Esperimento 
Rene atrofico 
8060 maximum . 
4000 minimum . 
5684 superficie media 
V. Esperimento 
Rene atrofico 
7950 maximum . 
3600 minimum . 
5466 superficie media 


La superficie di sezione dei glomeruli 


640 
527 
153 


2230 
790 
1358 


2050 
632 
1156 


1700 
600 
1017 


2000 
700 
1115 


222 Amatore De Giacomo; 


VI. Esperimento 


Rene ipertrofico Rene atrofico 
maximum. . . . . . . 8200 maximum . . . . . . . 1900 
minimum . . . . . . . 8860 minimum . . . . . . . 580 


superficie media . . . . 5078 superficie media . . . . 1904 


Reni normali 


1380 1440 
1450 1190 
1420 1940 
1940 1630 
1190 1190 
1570 1010 
1730 1050 
1570 1000 
1380 910 
1880 800 
1810 1160 
2500 | 1180 
2270 1570 
1570 2030 
1780 950 
1570 1550 
1660 Media 1493 


La superficie di sezione nei glomeruli dei reni normali oscilla tra un 


Maximum di 000) 
ed un minimum di. . . 800 
superficie media . . . . 1493 


Superficie di sezione dei glomeruli 


massima minima «media 
Esp. I. Rene ipertrofico 8150 3260 5650 
Esp. II. Fs 2 8000 3020 4806 
Esp. III. = z 7840 3320 5390 
Esp. IV. 5 5 8060 4000 5683 
Esp. V. $ E 7950 3600 5496 
Esp. VI. 5 ; 8200 3860 5135 
Esp. I. Rene atrofico 1640 527 1153 
Epic E 2230 790 1331 
Esp elias 2050 632 1132 
go, We. È 1700 600 1017 
ES AVS 5 2000 700 1115 
ESD VIN 3 1900 780 1187 


Controllo, rene normale 2500 800 1493 


Sull'ipertrofia compensatoria e sui fenomeni cellulari nei reni etc. 223 


Esaminando questa tabella, si vede subito, che nei glomeruli dei reni 
ipertrofici vi è un considerevole aumento delle superfici di sezioni. 
I glomeruli ipertrofici più piccoli (di cui le sezioni sono circa 3000 u 
quadrati) rimangono sempre superiori ai più grandi glomeruli normali. 

Nei reni atrofici le sezioni dei glomeruli sono poco più piccole di 
quelle dei reni normali. E? notevole anche la concordanza degli esperi- 
menti tra loro, come risulta da tutte le cifre della precedente tabella. 

Si puó concludere quindi, che la ipertrofia compensatoria del rene 
nei polli é accompagnata da un notevole ingrandimento dei glomeruli, 
dei quali la superficie di sezione diviene piü che tre volte maggiore 
(da circa 1500 « quadrati nel rene normale a circa 5000 u quadrati) 
nel rene ipertrofico. 


DB. Fenomeni di secrezione nei reni atrofici e ipertrofici. 
Per lo studio dei fenomeni di secrezione mi son servito come ho 
già detto della colorazione Galeotti. 
Per semplificare la descrizione dei preparati, ed evitare ripetizioni 
per ogni singolo esperimento, divido in due gruppi lo studio dei prepa- 
rati medesimi. 


Reni ipertrofici. 

Nei preparati si osserva in generale, che le cellule epiteliali dei 
canalicoli non mostrano alcuna alterazione, sia nella forma sia nella 
struttura. Il protaplasma, colorato in verde, mostra una struttura omo- 
genea. Il nucleo, situato nel centro, presenta la membrana nucleare 
evidente e colorata in verde; uno o due nucleoli. 

In queste cellule è notevole la presenza di numerosi e piccoli 
granuli fuxinofili nel nucleo. Tali granuli si riscontrano anche al di 
fuori del nucleo, ma soltanto intorno alla membrana nucleare, in modo 
che quasi tutto il citoplasma ne è privo. 

Nel protoplasma si osserva ma di rado, qualche plasmosoma 
(vedi fig. 1). 

In altre cellule (secondo tipo), con l’orlo a spazzola bene evidente, 
si notano numerosissimi granuli fuxinofili. 

Tali granuli, assai piccoli, in generale della dimensione di un 
micrococco, sono dispositi in modo da occupare quasi tutto il citoplasma 


224 Amatore De Giacomo, 


cellulare lungo tante linee longitudinali assai ravvicinate fra loro, di 
guisa che non è possibile riconoscere la struttura del citoplasma 
Stesso. 

Il nucleo di queste cellule trovasi per lo più disposto nel centro 
di esse, 0 verso la base. Presenta una sottile membrana nucleare colo- 
rata in verde: uno o due nucleoli ed una fine rete cromatica, anche colo- 
rata in verde. In qualche cellula si osserva il passaggio attraverso 
lorlo a spazzola di qualche raro granulo di secrezione (ved. fig. 1). 

In altre cellule (terzo tipo) si osserva che il protoplasma è intera- 
mente nascosto da numerosissimi granuli fuxinofili, ammassati fra di 
loro e disposti disordinatamente. Tra questi granuli si osservano anche 
dei bastoncelli. Il nucleo è ben visibile in alcune cellule, in altre resta 
come nascosto dai granuli stessi. Là dove è visibile, mostra una mem- 
brana nucleare colorata in verde, uno o più nucleoli, una fine rete 
cromatica. ‘ 

Nel suo interno non si osservano granuli fuxinofili. 

Cid che distingue queste cellule da quelle sopra descritte é il 
passaggio di numerosissimi granuli fuxinofili attraverso i sottili filamenti 
dell’orlo striato. 

In tale maniera i granuli si riversano in gran copia nel lume del 
tubolo renale (ved. fig. 2). 

A livello dei tuboli retti si osservano cellule di forma più o meno 
cilindrica, a limiti ben destinti. 

4. tipo. Nel protoplasma delle cellule che è colorato in verde e di 
aspetto spongioso, si vedono granuli fuxinofili e bastoncelli, disposti nei 
modi più differenti. Nella maggior parte dei casi però, essi trovansi 
situati verso il bordo libero della cellula o soltanto pochi verso il 
margine aderente della membrana basale. 

Il nucleo disposto verso la base delle cellule presenta la membrana 
nucleare, uno o più nucleoli, un fine reticolo cromatico colorati in verde 
(ved. fig. 4). 


5. tipo. La forma cilindrica delle cellule è quasi scomparsa; 
appaiono rigonfie, idropiche (fig. 3). 
Il protaplasma, leggermente colorato in verde, presenta grandi 


Sull'ipertrofia compensatoria e sui fenomeni cellulari nei reni etc. 295 


lacune incolori. In esso trovansi solo pochissimi granuli e bastoncelli 
fuxinofili, i quali sono quasi tutti riversati nell’interno del canalicolo. 
I nuclei non differiscono da quelli delle cellule precedentemente de- 
scritte: trovansi situati verso la base delle cellule e in qualcuno si 
vedono granuli rossi, mentre qualche altro appare impicciolito ed uni- 
formemente colorato in verde (fig. 3). 


* * 
* 


Tutti questi diversi tipi non rappresentano altro che i varii stadii 
funzionali del medesimo elemento cellulare: cellule cioè in riposo, o al 
minimo della loro attività funzionale; cellule all'inizio della fase 
attiva; cellule in piena attività secretoria. 

Il risultato finale dell’attività secretoria è il passaggio dei granuli 
endocellulari nel lume dei tuboli. Io non mi fermerò a lungo a di- 
scutere sul modo come questi granuli passano nel lume, nè sulle modi- 
ficazioni dell’orlo a spazzola, che alcuni autori considererebbero soltanto 
come una forma transitoria dell’attività della cellula renale. Per il 
Trambusti, i granuli si eliminerebbero sotto forma di vacuoli o vesci- 
cole, le quali, attraversando l’orletto della cellula, formerebbero colle 
loro superficie laterali l'orlo a spazzola. Suuer e Rathery non hanno 
constatato granuli nel lume dei tuboli; quest’ultimo anzi ascrive alla 
cattiva fissazione la presenza di granuli nel lume. A me invece pare 
che è da accettare l’opinione di coloro, che ammettono il passaggio 
dei granuli attraverso le vie capillari dell’orlo a spazzola reso più 
sottile (cellule in piena attività secretoria). Nei miei preparati ho 
potuto più volte notare che, in alcune zone, le cellule erano svuotate 
di tutti i loro granuli, che si erano versati nel lume dei tuboli, mentre 
in altre zone (inizio della fase attiva cellulare) il lume era pervio e 
i granuli erano tutti nel protaplasma e parecchi di essi come incastonati 
tra le ciglia dell’orlo a spazzola, nel periodo cioè del loro passaggio 
nel lume attraverso i probabili porocanali dell’orlo non scontinuato. 


Reni atrofici. 


I reni atrofici, in tutti gli esperimenti, hanno mostrato alterazioni 


somiglianti per riguardo ai fenomeni di secrezione. E? da notare anzitutto 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 15 


226 Amatore De Giacomo, 


che le lesioni cellulari sono diverse in varı punti del tessuto renale. 
In alcune regioni gli epitelii canalicolari sono ben conservati e conten- 
gono numerosi granuli di secrezione; in altre parti invece le cellule 
sono molto più alterate (fig. 6 e 7). 

Nei canalicoli contorti meglio conservati non mancano però le 
alterazioni nucleari, poichè i nuclei appaiono spesso deformati o rigonfi, 
ripieni di una sostanza ialina, omogenea, che lievemente si tinge in 
verde, ovvero intieramente picnotici. 

In alcuni punti il nucleo si colora uniformemente in rosso invece 
che in verde. 

Nei nuclei non si riscontrano veri granuli di secrezione, mentre 
questi sono abbondanti nei citoplasmi. 

Dove i canalicoli contorti sono più alterati, il citoplasma degli 
elementi epiteliali è chiaro e rarefatto, e spesso, per fenomeni di 
vacuolizzazione, trasformato in un reticolo irregolare a larghe maglie. 

L’orlo a spazzola allora è intieramente scomparso, e scomparso 
pure è talvolta il lume canalicolare e i confini delle singole cellule non 
sono più riconoscibili. 

I nuclei sono quasi da per tutto picnotici e colorati in verde. 

In queste cellule si trovano pure granuli di secrezione, ma in genere 
assai scarsi, e spesso sono più grandi e tendono a riunirsi insieme. 

Le proprietà di colorazione di questi granuli sono pure cambiate, 

perchè con difficoltà si tingono con la fuxina e sovente acquistano una 
colorazione grigio-verdastra. 
— In certi canalicoli gli epitelii sono privi di granuli, mentre una 
grande quantità di questi si trova nel lume canalicolare, ma quivi essi 
sono riuniti in ammassi, che tendono a divenire omogenei e acquistano 
una colorazione bruna o verdastra. 

Si possono ritrovare i vari stadii della trasformazione dei granuli 
di secrezione in quelle raccolte di prodotti escretivi, a cui ho già 
accennato, e che sono particolarmente evidenti nei preparati colorati 
con ematossilina ed eosina. 

Nei tuboli retti si riscontrano alterazioni somiglianti a quelle su 
descritte: i confini delle singole cellule non sono più netti e distinti, 
i citoplasmi sono deformati, in parte distrutti per processo di vacuolizza- 


/ 


Sull'ipertrofia compensatoria e sui fenomeni cellulari nei reni etc. 2327 


zione. I nuclei sono spesso picnotici. Mancano, o sono scarsissimi, i 
prodotti di secrezione e cioè granuli o filamenti fuxinofili. 
Riassumendo i risultati di queste osservazioni posso dire: 


1. Nel rene ipertrofico i fenomeni citologici della secrezione sotto 
forma granulare sono molto attivi. Le cellule dei canalicoli contorti 
sì trovano, nello stesso rene, in vari aspetti, che ci rappresentano varii 
stadii del fatto secretivo (fig. 1, 2, 3, 4). 


In un primo periodo, che io considero come lo stadio iniziale della 
secrezione, si vedono un discreto numero di granuli fuxinofili nel nucleo, 
e quelli che fuori di esso già si trovano nel citoplasma, sono accumulati 
intorno al nucleo (fig. 1). 

Più tardi il nucleo si vuota, i granuli aumentano assai nel cito- 
plasma e tendono ad attraversare l’orlo a spazzola (fig. 2). In un 
terzo periodo le cellule epiteliali sono quasi vuote e contengono solo 
pochi granuli e filamenti fucsinofili, mentre nel lume canalicolare si 
trovano abbondanti ammassi di granuli (fig. 3). 


Nelle cellule delle anse di Henle e dei tubuli retti si ritrovano 
scarsi granuli, piuttosto grossi e molti bastoncelli fucsinofili (fig. 5). 

2. Nel rene atrofico (fig. 6 e 7), qualche tempo dopo la occlusione 
dell’uretere (poco più di una mese), si sospende la secrezione granulare, 
giacchè tra le cellule canalicolari non se ne vede più alcuna, che si 
trovi nello stadio iniziale della produzione di granuli (granuli entro 
il nucleo). Quando la secrezione granulare è sospesa, le cellule comin- 
ciano a poco a poco ad alterarsi e i granuli cambiano forse di costitu- 
zione chimica (poichè si muta la loro affinità per le sostanze coloranti). Si 
agglomerano e si radunano nel lume canalicolare, ove dànno origine 
ad ammassi omogenei, che non sono altro che le concrezioni, di cui 
adesso brevemente tratterò. | 


* * 
* 


C. Determinazione della natura delle concrezioni che si ritrovano nei 
reni con uretere legato. 
Come ho già precedentemente detto, nel rene con l'uretere legato, 


si ritrovano numerosi depositi o concrezioni di una sostanza, che ora 
15% 


228 Amatore De Giacomo, 


è in forma omogenea, ora in forma granulare o cristallina. Interessava 
stabilire la natura di questa sostanza e a tal fine fu pensato di speri- 
mentare su essa alcune delle reazioni dei corpi purinici. 

La reazione che mi ha dato risultato positivo è quella di Burian, 
caratteristica per la guanina, ed io credo che non sia privo di interesse 
riferire qui le mie osservazioni in proposito. 

Questa reazione può adattarsi all'uso microchimico per riconoscere 
al microscopio particelle anche piccolissime di guanina, depositate nei 
tessuti: essa consiste nel trattare con acido diazo-benzol-solfonico e con 
soluzione di soda le sezioni che si vogliono osservare. 

Anzitutto è necessario preparare i reagenti, 

Questi sono: 

1. Acido solfanilico gr. 1,73. Si scioglie in 100 cc. di soluzione 
di soda all’ 1°/,. j 

2. Nitrito di sodio gr. 0,80 — sciolto in 100 ce. di aequa. 

3. Acido solforico — 5—10°/,, ce. 25. 

4. Soluzione di soda caustica n/n, ovvero soluzione satura di barite. 

Le prime due soluzioni vengono raffreddate nel ghiaccio e poi, 
mantenendole sempre in questo, sono mescolate fra di loro: si aggiunge 
a poco a poco l’acido solforico che prima deve essere raffreddato. La 
reazione della miscela deve restare sempre acida. Alla fine della 
reazione precipita la maggior parte dell’acido diazo-benzol-solfonico, 
che si è prodotto, sotto forma cristallina. E’ da notarsi che il liquido 
così costituito, dopo una diecina di minuti, non è più adatto per tale 
reazione. 

Prima di procedere alla reazione microchimica è necessario provare 
il liquido suddetto con la guanina. A tale scopo si mettono alcune 
goccie di esso in un vetrino di orologio, vi si aggiungono pochi granelli 
di guanina e si alcalizza con soda. Si vede allora comparire un bel 
colore rosso vivo. 

Per mettere in evidenza la guanina nei tessuti si procede così: 
le sezioni dei pezzi fissati in alcool ed attaccate su di un vetrino 
coprioggetti, vengono lavate nell'acqua distillata e asciugate con carta 
bibula. Si versano poi sul vetrino alcune goccie della soluzione di acido 
diazo-benzol-solfonico; dopo che questo ha agito per qualche tempo (mezzo 


Sull’ipertrofia compensatoria e sui fenomeni cellulari nei reni etc. 999 


minuto) si toglie l'eccesso del reagente e si aggiunge un po’ della solu- 
zione di soda. 

La soda si può far agire anche prima, e dopo aggiungere l’acido 
diazo-benzol-solfonico. 

Si vedono quasi subito comparire sulle sezioni punti colorati in 
rosso arancio, e allora si rovescia il vetrino coprioggetti su di un 
portaoggetti e si esamina al microscopio la sezione, lasciandola immersa 
nella soluzione di soda o di barite, che si può egualmente sostituire 
alla soda. 

Nelle sezioni di rene atrofico, così trattate, ho visto che intere 
zone di tessuto mostravano questa reazione caratteristica della 
guanina. 

Molti epiteli canalicolari e il connettivo interstiziale stesso 
appariscono colorati in arancio, mentre il resto del tessuto, privo di 
guanina, aveva un colorito giallo pallido. Inoltre anche le concrezioni 
intracanalicolari (bene riconoscibili anche prima della reazione, nelle 
sezioni non colorate) assumevano la tinta caratteristica della guanina. 

Nel rene ipertrofico pure si osservano punti, in cui la reazione 
della guanina era positiva, ma in assai piccole proporzioni. 

Da queste ricerche posso infine trarre le seguenti conclusioni: 

1. Con l’acido diazo-benzol-solfonico e con la soda caustica si può 
eseguire una reazione microchimica, che vale per mettere in evidenza 
la guanina. 

2. Nel rene di pollo, atrofico per la legatura dell’uretere, si trovano 
abbondanti concrezioni, che dànno la reazione della guanina, di più 
questo corpo purinico, in alcune zone dell’organo, infiltra anche gli epiteli 
canalicolari ed il connettivo. 

3. Nel rene funzionante, ipertrofico, si trovano pure parti che 
danno la reazione della guanina, ma in proporzioni minori che nel rene 
atrofico. 

4. Sembra quindi che la guanina sia un prodotto normale della 
secrezione del rene di pollo. 

Può essere che essa rappresenti uno stato intermedio della elimina- 
zione delle purine e che sia destinata ad essere ulteriormente ossidata 
e trasformata in acido urico nel rene stesso. Certamente questa base si 


230 Amatore De Giacomo, Sull'ipertrofia compensatoria e sui fenomeni etc. 


accumula in grande quantità nel rene, quando la funzione di questo sia 
alterata per la legatura dell’uretere. 


* * 


Riassunto. 


I. Dopo la legatura di un uretere si ha nel rene leso un processo 
di sclerosi e di atrofia. Gli epitelii canalicolari si impiccoliscono e si 
alterano, aumenta il connettivo interstiziale, si producono abbondanti 
depositi di sostanza cristallina ed amorfa, sia dentro i canalicoli, sia 
al di fuori di essi. I glomeruli sono alquanto impiccoliti. 

II. Nel rene rimasto intatto si produce uno stato di ipertrofia 
compensatoria, per cui il peso dell'organo quasi si raddoppia. Gli 
epitelii canalicolari appaiono più grandi e i glomeruli hanno superfici 
di sezione, che sono circa tre volte maggiori di quelle dei glomeruli normali. 

III. Nei reni ipertrofici i processi di secrezione granulare sono 
attivissimi. I granuli sono assai numerosi e piuttosto grossi. Nei reni 
atrofici, dopo un mese dalla legatura dell’uretere, non si hanno più fenomeni 
di secrezione granulare e i granuli gia formati, usciti dalle cellule, si 
radunano o si agglomerano nel lume canalicolare e dànno origine a con- 
crezioni di una sostanza omogenea. 

IV. La natura di queste concrezioni è stata facilmente determinata 

per mezzo della reazione di Burian (acido diazo-benzol-solfonico e idrato 
sodico) specifica per la guanina. 
Queste concrezioni sono appunto costituite da guanina, la quale 
si deve bene considerare come un prodotto intermedio del ricambio 
dei corpi purinici nei polli, prodotto che forse è destinato ad ossidarsi 
ulteriormente e a trasformarsi in acido urico entro il rene. Quando 
il rene è alterato per la legatura dell’uretere, la guanina aumenta in 
grande quantità nei canalicoli e anche fuori di essi. 


Bibliografia. 


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Spiegazione delle figure. 


Fig. 1. Canalicoli contorti. — Cellule con granuli nel nucleo e nel citoplasma: 
in questo ultimo sono disposti soltanto intorno al nucleo (1. stadio di 
secrezione). 

Fig. 2. Canalicoli contorti. — Molti granuli nel citoplasma (2. stadio della secre- 


zione). In una cellula notasi il passaggio di granuli nel lume canalicolare 
(Inizio del 3. stadio). 


Fig. 5. Canalicoli contorti. — Cellule vuote, con pochi granuli e bastoncelli. — 
Secreto nel lume canalicolare (3. stadio della secrezione). 

Fig. 4. Ansa di Henle. — Cellule con pochi e grossi granuli. 

Fig. 9. Canalicoli collettori. — Cellule con molti bastoncelli, disposti verso il 


margine libero delle cellule. 
Fig. 6 e 7. Canalicoli contorti di rene atrofico. — Pochissimi granuli. 


Aus der Frauenklinik der Universität Tübingen. 


Das Gauss’sche „Prinzip vom kleinsten Zwange“ in der 
Mechanik der Geburt. 


Von 
Hugo Sellheim. 


Jedes Phänomen löst das Bedürfnis aus, Ursache und Wirkung 
aufs befriedigendste in wechselseitige Beziehung zu setzen. 

Infolge dieses vom wissenschaftlichen Standpunkte begründeten 
Gebotes erscheint es in geburtshilflicher Hinsicht ebenso angemessen 
wie erspriesslich, auf ein allgemein anerkanntes, einfaches, beim Studium 
der Geburtsmechanik rasch zum Ziele führendes Gesetz hinzuweisen. 
Esist das von Gauss!) ermittelte „Prinzip des kleinsten Zwanges'', nach 
dessen Regeln leicht ein anschauliches Schema aufgestellt werden kann 
von den in jedem Probleme?) wechselwirkenden dynamischen Verhält- 
nissen des Kräftesystems und den Hindernissen, welche es modifizieren. 
Bei Vertiefung in dieses Gesetz?) ergibt sich, dass Gauss unter ,,4b- 
lenkung' die den Zwang des Arrangements hervorrufenden ,,Beschleu- 
nigungen‘, welche nach seiner Ansicht einem Minimum entsprechen 
müssen, verstanden wissen will. 

Statt des dem Laienempfinden am meisten zusagenden Begriffes 

1) Karl Friedrich Gauss, Über ein neues allgemeines Grundgesetz der Mechanik. 
Journ. für reine und angewandte Mathematik. Herausgeg. von Credle. Band IV, 
1829, oder Gauss’ Werke, Band V. Göttingen 1867. S. 23. i 

2) Vgl. die Beispiele Hollefreunds in seiner Arbeit „Über die Anwendung des 
Gaussschen Prinzips vom kleinsten Zwange“. Berlin 1897. R. Gärtners Verlag. 

3) „Die Bewegung eines Systems materieller, auf was immer für eine Art unter 
sich verknüpfter Punkte, deren Bewegungen zugleich an was immer für äussere 
Beschränkungen gebunden sind, geschieht in jedem Augenblick in möglichst grösster 
Übereinstimmung mit der freien Bewegung oder unter möglichst kleinstem Zwange, 
indem man als Mass des Zwanges, den das ganze System in jedem Zeitteilchen 


erleidet, die Summe der Produkte aus dem Quadrate der Ablenkung jedes Punktes 
von seiner freien Bewegung in seine Masse betrachtet.“ 


234 Hugo Sellheim, 


„Zwang“ könnte ebensogut der durch Hertz!) geprägte Ausdruck von 
der (relativ) ,,geradesten Bahn‘‘, im Gegensatze zu anderen bei den vor- 
handenen Hindernissen und Widerständen möglichen, angewandt werden. 

In ähnlichem Sinne äussert sich das auf unser Geburtsproblem an- 
wendbare, von Maupertius aufgestellte und durch Zuler mathematisch 
formulierte „Prinzip der kleinsten Aktion‘“?). 

Für den bei unserer geburtsmechanischen Betrachtung zutreffenden 
Fall des in jedem Momente bestehenden Gleichgewichtes wird das 
„Prinzip vom geringsten Zwange‘“ mit dem der „virtuellen Verschie- 
bungen‘‘ identisch?). 

Alle soeben genannten Prinzipe sind Minimalprobleme, d. h. All- 
meisterin Natur ist beständig bestrebt, ihre Zwecke unter Aufwendung 
möglichst geringer Mittel zu erreichen. 

Hiermit soll aber keineswegs ein teleologischer Grundgedanke in 
die Mechanik hineingebracht werden, wie etwa Maupertius das bei der 
Formulierung seines Prinzipes versucht hat. 

Wir haben auch nicht die Absicht, durch Zurückgreifen auf das 
Gausssche Prinzip, diesem inhaltlich den Vorzug vor den anderen Prin- 
zipien der Mechanik zu geben. Das wäre unberechtigt, denn die ver- 
schiedenen Grundsätze sind einander vollkommen áquivalent. Es soll 
nur betont werden, dass durch die Formulierung das Prinzip des kleinsten 
Zwanges sich dem Vorstellungsvermögen des unbefangenen Menschen 
am besten anpasst, weil es behauptet, dass der Sparsinn der Natur, 
eleichsam wie der eines lebenden Wesens, sich darin betätigt, dass sie 
den auch uns Menschen durchaus unsympatischen ,,2wang so gering 
wie möglich zu machen sucht. 

Dass das Prinzip des kleinsten Zwanges uns besonders geeignet 
scheint, dem gesunden Menschenverstand als Leiter bei der Lösung 
mechanischer Probleme zu dienen, liegt — wir dürfen das nicht über- 
sehen — einzig und allein in einer gewissen Doppeldeutigkeit des Wortes 


1) Heinrich Hertz, Gesammelte Werke. Band III, Die Prinzipien der Mechanik. 
Leipzig 1910. Einl. S. 33. 

2) Adolf Mayer, Geschichte des Prinzips der kleinsten Aktion. Leipzig 1877. 

3) cf. Ernst Mach, Die Mechanik in ihrer Entwickelung. Historisch-kritisch 
dargestellt. VI. Aufl. Leipzig 1908. S. 51ff. 


Das Gauss’sche Prinzip vom kleinsten Zwange in der Mechanik der Geburt. 235 


„Zwang“, aber gerade durch diese Terminologie hat sein Entdecker 
dem Satz Anschaulichkeit und damit heuristischen Wert verliehen. 

Ein jeder gelangt beim Studium der Geburtsmechanik durch An- 
wendung des Gauss schen Grundsatzes überraschend leicht und schnell 
zum Ziele, gleichviel, ob er dieses Wissenszweiges Lehrer oder Lernender 
sei; vorausgesetzt, dass er einiges mechanisches (Gefühl sich bewahrte. 

Meine Darstellung der Geburtsmechanik!) entsprang der Über- 
zeugung vom Vorhandensein einfacher Bewegungsgesetze. Die Un- 
möglichkeit einer unmittelbaren mathematischen Inangriffnahme des 
in seiner lebendigen Kompliziertheit schwer fasslichen Problems erlaubte 
nur den mittelbaren Weg: Die der direkten Feststellung zugänglichen 
wesentlichen physikalischen Eigenschaften aller ineinandergreifenden 
Geburtsfaktoren und ihre gegenseitige wesentliche Einwirkung durch 
ein der direkten mathematischen Betrachtung ohne weiteres zugäng- 
liches Arrangement der leblosen Natur zu interpretieren. Die Anwend- 
barkeit der mittels Abstraktion wahrscheinlich gemachten einfachen 
Gesetze auf die grosse Mannigfaltigkeit aller besonderen Erscheinungen 
des natürlichen Vorganges bestätigte die Richtigkeit der Kalkulation. 
Die Übereinstimmung der gefundenen Geburtsgesetze mit dem Grund- 
gesetze der Mechanik führte endlich auf eine die mannigfachsten und 
verwickeltsten Erscheinungen der Geburt so kurz zusammenfassende 
Formel, dass unser Bedürfnis nach Erkenntnis in hohem Masse be- 
friedigt wird. 

Das Arbeiten der Natur unter dem Gesetze des , geringsten Zwanges' 
erhellt bei der Geburt aus der Akkommodation der freienGeburtskräfte an 
die gegebenen Hemmungen, wobei das Objekt durch einen relativ engen, 
bei der Dehnung sich rundenden, anfangs geraden, zuletzt gebogenen Kanal 
hindurchgetrieben wird. Beim Anpassen an diese der freien Progressiv- 
bewegung entgegenstehenden Hemmungen nimmt 

1. die Frucht (unter Sichfügen in Richtung und Grad der physiolo- 
gischen Bewegunssfreiheit‘ im Verlaufe der gewaltsam herbeigeführten 
Verformung) während ihres Durchganges durch den relativ engen, runden 


1) Vgl. des Verf. Arbeiten: „Mechanik der Geburt." Samml. klin. Vortr. von 
R. von Volkmann, Gyn. Nr. 156. Leipzig 1906, sowie „Die Beziehungen des Geburts- 
kanales und Geburtsobiektes zur Geburtsmechanik.^ Leipzig, 1906, G. Thieme. 


236 Hugo Sellheim, Das Gauss'sche Prinzip vom kleinsten Zwange usw. 


Geburtskanal im wesentlichen Kreiszylinderform an, d. h. eine Gestalt, in 
der sie ‚mit dem geringsten Zwange‘* durchgezwängt werden kann, um sich 
2. bei der im Sinne des Geburtskanales notwendig werdenden Ver- 
biegung mit ihrem Biegungsfacillimum in die Verbiegungsrichtung so zu 
drehen, wie sie ‚unter dem geringsten Zwange'* verbogen werden kann’). 
Die Zugrundelerung des Gaussschen Gesetzes ermöglicht es, in das 
Wesen des Geburtsvorganges förmlich hineinzusehen, und zwar ohne 
vorausgehende minutiöse Entwicklung aller zu anderweitiger Behand- 
lung unentbehrlichen physikalischen Grundbegriffe, welche nicht selten 
den wahren Kern der Darstellung verschleiern. Meines Erachtens muss 
jedem Unbefangenen diese einfache Erklärung für den Naturvorgang 
um so mehr einleuchten, als der benutzten These Wahrheit von unserem 
Gefühle akzeptiert wird, noch ehe der Verstand dieselbe in vollem Um- 
fange erfasst und ihren folgerichtigen Aufbau gutgeheissen hat. 

Gegenüber allen seit über hundert Jahren unternommenen Ver- 
suchen zur einwandfreien Darstellung der Geburtsmechanik erscheint 
das Gausssche Prinzip vom „geringsten Zwange zum Fundamente der 
Geburtsmechanik am geeignetsten, weil ihm ausser seiner Richtigkeit 
noch ein eigener, gefühlsansprechender, das Erfassen der Materie fór- 
dernder Reiz innewohnt. 

Eine Entscheidung über die Anwendbarkeit des Gaussschen Grund- 
satzes auf die Geburtsmechanik bleibt Gefühlssache, solange dieses Pro- 
blemes mathematische Behandlung mehr oder weniger unmöglich ist. 
Denn jedes alleemeine Prinzip wirkt infolge seiner vermittelnden Erkennt- 
nisse aufklärend und enttäuschend zugleich: aufklärend, indem es uns 
sestattet, sämtliche Tatsachen als grundeinfache, nur in komplizierteste 
Verhältnisse gebettete, wieder zu erkennen ; enttäuschend, weil in seinem 
Spiegelbilde längst instinktive erkannte Tatsachen nur in schärferen 
Konturen und frischeren Farben erscheinen. 

Immerhin wird da, wo das konkrete Beweismittel versagt, der auf 
abstrakten Bahnen folgerichtig sich bewegende Denkprozeß uns zur 
Anerkennung einer momentan unbeweisbaren Annahme deshalb zwingen, 
weil für ihr Bestehen die Tatsachen eine zu deutliche Sprache sprechen. 


1) Vgl. dazu des Verf. Belege „über die Fruchtwalzenbildung“ und die 
„Drehung der formierten Walze nach dem Biegungsfacillimum' in seinen oben 
zitierten Arbeiten. 


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in Madrid, H. F. Formad in Philadelphia, C. Golgi in Pavia, S. Las- 
kowski in Genf, A. Macalister in Cambridge, G. Retzius in Stockholm 


E. A. Schäfer L. Testut 
; in Edinburg vo Eid m Lyon 


e ui und 


Fr. Kopsch 


po 22 in Berlin, 


“Band XXVIIL Heft 7/9. 


LEIPZIG 1911 


Verlag von Georg Thieme. 


CHEN ^ eI Id 


Inhalt. 


Alfred Carrasco, Contribution a l’étude des cellules intercalaires du revete- 


Seite 


ment endothelial (di; mésentére de la grenouille, (Avec la planche XI) 237 


Dr. Antonio Gasbarrini, Td trattura e sull'evoluzione delle „Monster cells“ 


di Mind | (COm Tay! POEM ve ute ang 
Dr. Antonio Gasbarrini, i5 Su, BERN Ba particolare di reazione de mucosa 
uterina m seguito ad aleuni traumi. (Placentazione artificiale di Leo 
Loeb.) (Con Tav. XHD — 2. a) 
Serafino d’Antona, Contributo allo Ludo del ao. lamellate (Con 
TAN RING RN RIA SSR DE 
Fr: Kopsch, Referate io. ur I 


Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsätzen 50 Sonderabdrücke frei, 
eine grössere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise. 
Frankierte Einsendungen in lateinischer, französischer, italienischer, englischer oder 
deutscher Sprache für die „Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physio- 
logie“ werden direkt an die Redaktion: Prof. Dr. Er. Kopsch, Wilmersdorf bei Berlin, 

Prinzregentenstr. 59, erbeten. 


Reprints. Contributors desiring more than 50 extra copies of their articles 
can obtain them at reasonable rates by application to the publisher Georg Thieme, 
Leipzig, Rabensteinplatz 2, Germany. 


Contributions (French, ‘English, German, Italian or Latin) should be sent to 
the associate editors or to the editor Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdorf by Berlin, Prinz- 
regentenstr. 59. i 

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à M. Georg Thieme, libraire- éditeur, Leipzig, Rabensteinplatz 2, Allemagne. 


Les articles écrits en allemand, en anglais, en frangais, en italien ou en latin 
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Die bisher erschienenen Bände kosten: 


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COMI a 48:30, 


Bd. I—XXV statt M. 1706.30 nur M. 1200.— bar. 


(Travail du Laboratoire d'Histologie de l'Université de Lausanne.) 


Contribution à l’étude des cellules intercalaires du 


revêtement endothelial du mésentère de la grenouille. 
par 
Alfred Carrasco, cand. med. 
Communiqué par N. Loewenthal, professeur. 


(Avec la planche XI.) 


La présente communication a pour but d’examiner de plus près 
les cellules, plus petites et granuleuses, qu’on trouve parmi les cellules 
endothéliales du mésentère et que nous désignérons pour éviter des 
périphrases sous le nom de cellules intercalaires. 

On trouve dans.le Traité technique d’histologie de Ranvier 
(2. édit. 1889, pages 311—313, fig. 153) des dessins bien démonstratifs 
de ces cellules et de leurs rapports avec les cellules endothéliales. On 
y voit des cellules endothéliales formant ‚des systèmes rayonnés, au 
centre desquels il existe une ou deux cellules rondes, granuleuses et 
beaucoup plus petites que les autres‘ (1. c. p. 312). 

Pour reconnaître à quoi correspondent ces cellules, Ranvier 
conseille d'examiner des préparations de mésentère colorées au picro- 
carmin et traitées au pinceau. La membrane ,,montre alors des trous 
simples ou divisés par des travées. Dans ce dernier cas ils représentent, 
pour ainsi dire, des épiploons en miniature. C’est au niveau de ces trous 
que dans les préparations imprégnées, nous avons vu une ou deux 
cellules rondes et granuleuses. Nous pouvons done conclure de la que 
dans le mésentère de la grenouille il y a, entre les rayons vasculaires, 
des cellules rondes qui habitent dans les trous et qui sont là comme des 


A 


tampons destinés à boucher momentanément ces ouvertures." 


238 Alfred Carrasco, 


Ranvier ne précise pas davantage la nature de ces cellules. 1 
admet apparemment qu'il s'agit de globules lymphatiques migrateurs, 
puisqu'il parle de tampons mobiles, et puisque, en s’occupant du grand 
épiploon et de la formation des trous de cette membrane, il parle ex- 
pressément des cellules lymphatiques perforantes provenant des cellules 
qui nagent dans la cavité abdominale (p. 308). A un autre endroit 
encore (p. 310), en parlant également du grand épiploon, il écrit: 
„En quelques points, entre deux cellules endothéliales et plus souvent 
au niveau de la jonction de trois de ces cellules, se trouve enclavée 
une cellule lymphatique limitée par une ligne circulaire d’impregnation‘“. 

Par rapport aux caractères propres et les dimensions de ces cellules, 
on ne trouve pas d'autres notions aux passages cités, si ce n'est la 
remarque suivante qui se rapporte toutefois au grand épiploon: ,,Toutes 
les cellules enclavées entre les cellules endothéliales ne sont pas semblab- 
les aux cellules lymphatiques. Il y en a qui ont une analogie bien plus 
grande avec de petites cellules endothéliales, car elles présentent 
des cótés rectilignes et des angles bien marqués. Il n'est pas probable 
qu'elles proviennent d'un produit de divisions des cellules du revéte- 


ce 


ment....“, et finalement: „cette petite cellule endothéliale dérive 
sans doute d’une cellule migratrice qui n’ayant pas pu poursuivre sa 
route dans l'épaisseur de la membrane, s'est étalée à sa surface‘ (p. 310). 

Nous avons cru utile de reprendre la question de l’origine et des 
propriétés des cellules granuleuses intercalaires du revêtement endo- 
thélial du mésentère, et s’il s’agit de globules lymphatiques, de recher- 
cher à laquelle des variétés connues elles pourraient être rattachées. 

Le mésentère de la grenouille (de la variété soit esculenta soit 
temporaria) était imprégné au nitrate d'argent en solution de ‘% 
à "soo. Ces solutions nous ont donné des résultats plus satisfaisants 
que celles à 1%. Après l’imprégnation et le lavage à l’eau distillée, 
les préparations étaient traitées de deux manières différentes: 

1. Dans une série de cas, les préparations étaient colorées, tout 
de suite après le lavage à l’eau, à l’hémalun et à l’éosine, déshydratées 
ensuite par l'alcool (70°, 82°, 95° absolu), éclaircies à l'essence de girofle, 
passées au xylol, et montées au baume. 


2. Dans une autre série de cas, les préparations, imprégnées à 


Contribution à l'étude des cellules intercalaires du revêtement etc. 239 


l'argent et lavées, étaient ensuite passées par l'alcool de plus en plus 
concentré, et ce n'est que consécutivement qu'on procédait à la colora- 
tion. Cette dernière modification a l'avantage de mieux fixer les 
éléments histologiques de la membrane et de fournir aussi des colora- 
tions plus vives. Mais, d'autre part, elle fait accentuer d'avantage 
l'effet de l'imprégnation, ce qui fait que dans ces conditions, il con- 
vient de ne pas trop prolonger l’imprégnation et de ne pas se servir 
de solutions trop concentrées. 

Sur les préparations obtenues par les procédés qui viennent d'étre 
spécifiés, on reconnait que les cellules intercalaires, plus petites et 
eranuleuses, ont de l'affinité pour l'éosine, mais qu'elles se distinguent 
néanmoins par des caractères tranchés des globules lymphatiques 
éosinophiles proprement dits: 

Envisageons d'abord les faits de plus prés. 

Il y a d'abord à préciser les rapports existant entre les cellules 
intercalaires et les cellules endothéliales. A ce point de vue, il y a des 
différences suivantes à signaler. 

On trouve des cellules remplissant exactement l'espace compris 
entre les cellules endothéliales et bordé par une ligne imprégnée qui 
peut étre soit bien marquée, soit trés faiblement imprégnée. 

D'autres cellules intercalaires débordent  l’interstice compris 
entre les cellules endothéliales et s'étendent à une distance variable 
en dessous de l'endothélium. 

On peut établir enfin que des cellules granuleuses analogues, 
c'est-à-dire ayant les mêmes propriétés, existent au sein du tissu con- 
jonctif sous-endothélial. 

A part les cas ou une ou deux cellules granuleuses sont intercalées 
entre les cellules endothéliales, on en trouve d'autres, oü plusieurs 
cellules intercalaires sont prises entre les cellules endothéliales. 

Passons successivement en revue chacune de ces possibilités. 

Les figures 1, 2 et 3 (la cellule qu'on voit du cóté droit du dessin) 
représentent des cellules intercalaires entourées d'une manière exacte 
de cellules endothéliales et ne s'étendant pas en dessous de l'endo- 
thélium. La figure 2 en montre deux intimement accolées l'une à 
l'autre. 


240 Alfred Carrasco, 


Toutes ces cellules ont des caracteres communs propres qui em- 
pêchent de les confondre avec les cellules endothéliales qui les envi- 
ronnent. Elles sont d’abord sensiblement plus petites que les cellules 
endothéliales proprement dites. Ainsi les diamètres de la cellule inter- 
calaire de la figure 1 mesurent 11,7 sur 16 «. Les cellules représentées 
dans la figure 2 sont encore plus petites: Les diamètres de l’une mesu- 
rent 7,3 sur 13,2 u; ceux de l'autre, 5,8 sur 11,7 u. Le corps cellulaire 
fixe l'éosine d'une manière marquée. Il est semé de granulations qui 
souvent sont massées d’un côté de la cellule, comme on le voit à la 
fig. 8, et qui dans d’autres cas ont une distribution plutôt diffuse. 
On peut dire qu’il y a des passages entre des cellules laissant reconnaitre 
des granulations plus distinctes et massees, et d’autres cellules à colo- 
ration éosique plus diffuse. Le noyau de ces cellules a une configura- 
tion régulière, généralement ovalaire ou elliptique; il est, en moyenne, 
visiblement plus petit que celui des celluies endothéliales. Il occupe 
tantöt la region moyenne de la cellule, tantöt il est situe plus ou moins 
excentriquement. On y reconnaît ordinairement un nucléole plus 
fort. La figure 1 montre une cellule intercalaire dont le novau semble 
etre subdivise en deux moitiés égales, comme ayant subi la division 
amitotique par clivage. 

Il y a encore à ajouter par rapport à la constitution générale de ces 
cellules que les unes d'entre elles se rapprochent davantage de la forme 
lamelleuse, tandis que d'autres sont plus ramassées, plus épaisses et 
granuleuses. 

A part les cellules qui viennent d’être spécifiées, on en trouve 
d’autres, beaucoup plus étirées et s’éloignant complètement par leur 
forme des globules Iymphatiques. On en voit un exemple à la figure 4. 
Il convient cependant d’ajouter que des cellules de ce genre ne sont 
pas frequentes. La cellule est beaucoup plus longue que large et ressemble 
presque à un fuseau. Elle se rapproche par consequent par sa con- 
figuration d’une variété cellulaire fixe. Le contour cellulaire est mar- 
qué par une ligne très finement ou même incomplètement imprégnée. 
L’imprégnation devient à ce niveau sensiblement plus fine qu'aux 
interlignes cellulaires marquant les limites des cellules endothe- 
liales environnantes. La cellule intercalaire dont il est question pourrait 


Contribution à l'étude des cellules intercalaires du revétement etc. 241 


être prise à un examen rapide pour une cellule endothöliale; elle s’en 
distingue cependant par les caractères tranchés suivants: La colo- 
rabilite distinete par l’éosine; le contour lisse et non pas découpé; 
le noyau s’etant coloré d’une manière plus intense qu’aux cellules 
endothéliales. 

Pour ce qui concerne les rapports que les cellules intercalaires 
affectent vis-à-vis des cellules endothéliales, ils ne sont pas les mêmes 
dans tous les cas. La dispositon en forme de rosace de ces dernières 
cellules, par rapport à la cellule intercalaire, est assez bien exprimée 
dans la figure 3; ce n’est plus le cas aux figures 1 et 2. On voit ici que 
les cellules intercalaires sont logées dans une espace qui touche moins 
aux extrémités étirées des cellules endothéliales qu'aux flancs de ces 
cellules, et qu'elles ne sont entourées que de deux ou trois cellules 
endothéliales. 

On rencontre aussi des groupes de cellules intercalaires dans le 
revêtement endothélial du mésentère. Un exemple de ce genre est 
représenté dans la figure 5. Il s’agit d'un îlot composé de cinq cellules 
sranuleuses intimement accolees entre elles. Leurs dimensions varient 
dans une certaine mesure d’une cellule à l’autre, mais sont sensible- 
ment plus petites que celles des cellules endothéliales environnantes. 
Les diamètres de ces cellules oscillent entre 10 et 30,8 u. Leur forme 
est polyédrique. Le contour imprégné marquant la limite de l’îlot 
de cellules intercalaires est très fin et n’est marqué, par places, que 
par une ligne pointillée. A l’intérieur de cet îlot, des lignes imprégrées 
ne se voient qu'aux deux cellules; quant aux autres, les interlignes 
cellulaires, bien que reconnaistables, ne sont pas imprégnés. Une des 
cellules dépasse légérement la limite imprégnée de l'endothélium pour 
s’etendre en dessous du revétement (v. la cellule d'en bas). Les cellules 
endothéliales ont une disposition rayonnée autour de l'ilot de cellules 
granuleuses, mais les faces des cellules endothéliales qui touchent 
aux cellules eranuleuses sont par places assez larges. Quant aux cellules 
granuleuses elles-mêmes, elles ont les propriétés éosinophiles des cellules 
décrites précédemment. On reconnait presque dans chaque cellule 
un ilot un peu plus vivement coloré que le reste du corps cellulaire. 


Le noyau, de configuration reguliere, est plus petit et plus vivement 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 16 


242 Alfred Carrasco, 


color& que dans les cellules endothéliales; il renferme un nucleole 
plus fort. 

Nous arrivons maintenant aux cas où les cellules intercalaires 
ne correspondent que par une partie de leur surface à l’interstice com- 
pris entre les cellules endothéliales et s’etendent plus ou moins loin 
au-dessous de ces cellules. 

La figure 6 montre une cellule qui ne dépasse que de peu l’inter- 
stice imprégné entre cinq cellules endothéliales. Comme dans les cas 
précédents, l'imprégnation devient plus fine au contact de la cellule 
intercalaire. La coloration du noyau est plus faible que dans les cas 
précédents, ce qui s'explique par le fait d'une imprégnation plus forte. 

La figure 7 montre deux cellules intercalaires autour des quelles 
dix cellules endothéliales sont disposées d’une manière rayonnee. 
Quelques dépôts d’argent sont visibles, d’un côté, à la limite des cellules 
endothéliales et d’une des cellules intercalaires. Par une grande partie 
de leur surface, ces dernières cellules s'étendent en dessous de l'endo- 
thélium. La ligne imprégnée marquant la limite entre les cellules 
intercalaires accolées est particulièrement fine. 

La cellule représentée dans la figure 8 ne saurait plus être envi- 
sagée comme une cellule intercalaire, car elle ne s'engage que par une 
petite partie de sa surface dans l’interstice compris entre deux cellules 
endothéliales. Cet interstice, nettement circonserit par un contour 
imprégné, a une forme ovalaire-oblongue. Il est occupé presque en 
entier par une partie du corps d’une cellule granuleuse qui à ce niveau 
a atteint la surface du revêtement. Le reste du corps cellulaire, ainsi 
que le noyau, sont situés en dessous d’une cellule endothéliale recouv- 
rante. Cet exemple est pris non pas sur le mésentère de la grenouille, 
mais sur celui de la salamandre tachetée, ce qui explique le fait que 
les cellules endothéliales apparaissent bien plus grandes sur cette figure 
que sur les figures précédentes. La cellule granuleuse, de forme ovalaire- 
arrondie, mesure 35,2 sur 25 u. Elle a fixé d’une manière assez intense, 
mais diffuse, l'éosine. Le noyau, de forme régulière, est situé excentri- 
quement, et se montre assez vivement coloré par l’hémalun. 

Il est encore à remarquer que le noyau de la cellule endothéliale, 
qui recouvre la cellule granuleuse, apparaît comme modifié dans sa 


Contribution à l’étude des cellules intercalaires du revêtement etc. 243 


configuration du côté qui correspond à cette dernière cellule. Le bord 
nucléaire est moins bombé, plus épais et plus coloré à ce niveau: c’est 
comme s'il était rétracté. 

On trouve finalement dans le mésentère des cellules granuleuses 
qui ont les mêmes propriétés que les cellules intercalaires, mais qui 
sont entièrement recouvertes par l'endothélium et sont situées à l'épais- 
seur de la lame conjonctive sous-jacente (fig. 3 et 9). 

Dans la figure 3 on voit, à part une cellule intercalaire déjà décrite 
plus haut, deux autres cellules vues à travers le revêtement endo- 
thélial qui les recouvre. Ces cellules sont assez vivement colorées par 
l’éosine et renferment aussi des granulations protoplasmatiques mieux 
accusées. Le noyau, également, a les mêmes caractères que dans les 
cellules précédemment décrites. Toutefois, les cellules qui nous occu- 
pent dans ce moment, s’ecartent des cellules granuleuses intercalaires 
par le fait qu’elles peuvent être garnies de prolongements. On les 
distingue avec certitude à l’une des cellules représentées dans la figure 3, 
tandis que l’autre a un contour plus regulier. Les diametres de ces 
cellules mesurent: pour l'une, 10,2 sur 17,6 «; pour l'autre, 11,7 sur 22 u. 

En mettant au foyer le plan sous-endothelial plus profond, on 
reconnaît que les cellules qui viennent d’être spécifiées, sont situées 
dans un interstice du tissu conjonctif, autour duquel les faisceaux 
se groupent circulairement. 

D’autres cellules, de la même nature et situées également dans 
le tissu conjonctif sous-endothélial, sont représentées à un grossisse- 
ment plus fort dans la figure 9. Il est à remarquer que les cellules de 
ce genre sont souvent groupées par deux, et que les bords cellulaires 
qui se regardent ne sont séparés que par un interstice très étroit en 
forme de fente se détachant en clair. A l’une des cellules représentées 
on voit des prolongements. 

On trouve aussi des cellules groupees par trois et mème de i 
îlots renfermant quelques cellules. 

Leur forme est sujette à des variations. On en voit quelques 
exemples dans les figures précitées. Ces cellules peuvent aussi avoir 
la forme de losange, ou celle de demi-lune; elles s'aplatissent au niveau 


des surfaces de contact. Le noyau, de forme ovalaire ou elliptique, 
16* 


244 Alfred Carrasco, 


renferme un nucléole plus fort. Le grand diamètre du noyau peut 
atteindre 11,7—14,7 u. 

En confrontant les observations qui viennent d’être relatées et 
qui portent sur des cellules soit intercalées d’une manière exacte entre 
les cellules endothéliales, soit ne correspondant que par une partie 
de leur surface aux interstices compris entre les cellules endotheliales, 
soit encore situées entièrement en dessous du revêtement endothélial, 
on est amené à conclure qu'il s’agit d'une seule et même espèce cellu- 
laire située d'abord dans le tissu conjonctif sous-endothelial, s’avançant 
- ensuite jusqu'à la surface de manière à occuper par une partie de leur 
corps les interstices entre les cellules endothéliales, et finissant par 
s’intercaler d’une manière complète entre ces dernières cellules. 

Le caractère différentiel commun permettant de distinguer ces 
cellules, qu'elles soit intercalées entre les cellules endothéliales ou 
situées à l’intérieur du tissu conjonctif sous-endothélial, c’est leur 
affinité pour l'éosine. C'est ensuite le fait que le corps cellulaire ren- 
ferme des granulations assez serrées et mieux accusées que dans d’autres 
cellules. La constitution du noyau, très uniforme; la configuration 
cellulaire générale et les dimensions, bien que sujettes à des variations 
assez sensibles, contribuent également à caractériser ces cellules. 
Il existe certainement aussi des différences entre les cellules inter- 
calaires et celles qui sont situées à l’intérieur du tissu conjonctif sous- 
endothélial. On a vu plus haut qu'à ces dernières cellules on observe 
des prolongements qui n’existent pas aux cellules intercalaires propre- 
ment dites; qu’on observe aussi des cellules intercalaires agrandies 
dans leurs dimensions, de forme étirée, ou encore revêtant la forme 
de lamelles polygonales; mais vu l’existence des stades intermédiaires, 
on est porté à admettre que les cellules granuleuses, en s’intercalant 
entre les cellules endothéliales, peuvent subir des modifications de 
forme et de dimensions, et se transformer en éléments qu'on pourrait 
prendre à un examen rapide pour des cellules endothéliales. 

En fait d’autres caractères similaires faisant rapprocher les cellules 
intercalaires des cellules granuleuses situées à l’intérieur du tissu con- 
jonctif sous-endothélial, mentionnons la fréquente disposition par 
deux, ou par petits îlots renfermant quelques cellules accolées. 


Contribution à l’etude des cellules intercalaires du revêtement etc. 245 


Il s’agit maintenant d’examiner de plus près la question de l’ori- 
gine et de la nature de ces cellules. 

On pourrait penser de prime abord, en se basant sur la colorabilité 
de ces cellules par l’éosine, qu’elles derivent effectivement des globules 
Iymphatiques éosinophiles, que quelques-uns de ces globules, situés 
d’abord dans le tissu conjonctif sous-endothélial, finissent par atteindre 
la surface en s’intercalant entre les cellules endothéliales, tout en 
subissant certaines modifications de forme et de constitution. 

Pour aborder cette question par la voie des faits, nous avons 
examiné comparativement, dans les mémes preparations, les vrais 
globules éosinophiles qu'on trouve également dans le mésentére de 
la erenouille, et les cellules granuleuses intercalaires, dans le but de 
reconnaître s’il existe entre ces deux espèces cellulaires, manifestement 
distinctes dans leurs formes définitives, des stades de transition. 

A titre de comparaison, nous avons représenté dans la figure 10 
quelques vrais globules éosinophiles provenant du mésentère d’une 
erenouille verte. Ajoutons que ces globules ne sont pas rares à rencontrer 
dans le mésentère de la grenouille. Les préparations prises sur une 
srenouille, en particulier, en renfermaient un nombre particulièrement 
considérable. Cette grenouille, de sexe femelle, grosse et vigoureuse, 
ne présentait rien d’anormal à son extérieur, et ce n’est qu'après avoir 
examiné les préparations imprégnées du mésentère que nous avons 
été surpris de l’abondance particulière des globules Iymphatiques 
éosinophiles dépassant de beaucoup ce que nous avons trouvé dans 
des préparations provenant d'autres grenouilles.  L’imprégnation 
et la coloration du mésentère ont été faites de la même manière que 
pour les autres grenouilles. | 

Pour ce qui concerne maintenant les globules éosinophiles, ils 
se présentent avec leurs caractères ordinaires: Les granulations ayant 
fixé l’éosine, relativement grosses, bien délimitées et vivement colorées, 
sont agencées d’une manière serrée dans les globules lymphatiques 
plus petits (a,b,c de la figure 10), et d’une manière plus lâche, dans les 
globules particulièrement volumineux, comme on le voit au globule e. 
On trouve des globules à 1, 2, 3 et même 4 noyaux. Certains globules, 
particulièrement gros, se distinguent par le fait que les granulations 


246 Alfred Carrasco, 


qu’ils renferment, sont en partie très dispersées et s’etendent au loin 
de la partie plus compacte du corps cellulaire, comme si elles étaint 
en voie de dissemination. Le contour de ces globules est difficile à 
reconnaître à l’épaisseur de la membrane conjonctive. Dans ces derniers 
globules éosinophiles, les noyaux, se montrent moins bien colorés 
(par l’hémalun) que dans les globules plus petits et mieux circonscrits. 

En comparant maintenant ces vrais globules éosinophiles avec 
les cellules granuleuses soit intercalaires soit situées à l’intérieur de 
la membrane conjonctive, il n’est pas à méconnaître qu’il existe des 
caractères distinctifs tranchés entre ces catégories cellulaires. 

Les differences portent avant tout sur les granulations elles- 
memes, qui sont mieux délimitées, plus vivement colorees, en partie 
plus grosses aussi dans les vrais globules &osinophiles. Dans les cellules 
granuleuses intercalaires ou situées à l’intérieur du tissu conjonctif 
sous-endothelial, par contre, les granulations dont est seme le corps 
cellulaire ne sont ni si vivement colorées ni si nettement circonscrites 
et, de plus, apparaissent souvent comme noyées dans le protoplasma 
coloré par l’éosine d’une manière diffuse. Nous n’avons pas rencontré 
dans ces cellules des images rassemblant aux globules éosinophiles mon- 
trant de fortes granulations éparses comme en voie de dissémination. 

Viennent ensuite les différences qui portent sur la constitution 
du noyau. Nous l’avons vu avoir une constitution très uniforme dans 
les cellules granuleuses soit intercalaires soit interstitielles. Ce noyau 
est ordinairement simple, à contour régulier ovalaire-elliptique, alors 
que dans les globules éosinophiles, on trouve souvent plus d’un noyau 
on encore des noyaux de forme irrégulière. 

D’autres différences portent en partie sur la configuration, en 
partie sur les dimensions cellulaires. On ne voit pas, par exemple, 
des formes si étirées comme celle qui est représentée dans la figure 4, 
aux globules lymphatiques éosinophiles. Si, ensuite, nombre de cellules 
intercalaires ne s’écartent pas de beaucoup, d’après leurs dimensions, 
des globules lymphatiques éosinophiles, on en trouve d’autres qui 
leur sont supérieures. Déjà les cellules granuleuses situées à l’intéri- 
eur du tissu conjonctif sous-endothélial se distinguent souvent, d’après 
leur configuration ou leur mode de groupement, des globules lympha- 


Contribution à l'étude des cellules intercalaires du revêtement etc. 247 


tiques éosinophiles, et se rapprochent davantage des formes cellulaires 
fixes. Telles sont, par exemp'e, les formes cellulaires représentées 
dans la figure 9, et ces formes sont fréquentes; les globules lymphatiques 
éosinophiles, disséminés dans le tissu conjonctif, ne présentent ni 
cette forme ni ce mode de groupement. 

On vient de voir qu'il y a des différences tranchées entre les globu- 
les lymphatiques éosinophiles d’une part, et les cellules granuleuses soit 
intercalaires soit interstitielles d’autre part, lors même que ces dernières 
catégories cellulaires montrent également de l’affinité pour l’éosine. 

Pour pouvoir rattacher, l’un à l’autre les deux groupes cellulaires 
qui viennent d’être spécifiés, il faudrait trouver les stades intermé- 
diaires établissant la transition entre eux. 

Nous n'avons pas pu cependant trouver des preuves décisives 
de la transformation de certains globules Iymphatiques éosinophiles, 
et notamment mononucléaires, en cellules granuleuses intercalaires. 

Sans vouloir nier cette possibilité, nous arrivons à conclure pour 
le moment que les cellules eranuleuses intercalaires ne derivent pas 
des vrais globules Iymphatiques éosinophiles, mais d'une autre espéce 
cellulaire ayant également de l'affinité pour l'éosine. 

Il serait difficile, d'autre part, de faire dériver toutes les cellules 
eranuleuses intercalaires des globules lymphatiques migrateurs situés 
à l’origine dans la cavité abdominale et s’intercalant ensuite entre 
les cellules endothéliales. Pour les cellules intercalaires qui viennent 
d’être examinées de plus près dans cette communication, cette inter- 
prétation n’est pas applicable, vu qu’on trouve au mésentère de nom- 
breux exemples analogues à ceux représentés dans les figures 8, 7, 6 
et 3, et établissant comme quoi certaines cellules granuleuses situées 
à l’origine à l’intérieur du tissu conjonctif sous-endothélial finissent 
par se rapprocher de la surface et se loger dans des interstices cir- 
conscrits entre les cellules endothéliales. 

Addendum: L'origine du travail qui précède est due à une obser- 
vation déjà ancienne faite par le rapporteur de ces lignes sur le mésen- 
tère de la grenouille. Des cellules analogues à celles qui viennent d’être 
spécifiées ci-dessus, existent aussi dans le mésentère du lézard, ce dont 
il sera question à part dans un travail subséquent. N. I 


Explication de la planche. 


A l’exception de la figure 8 qui se rapporte au mesentere de la salamandre 
tachetée, toutes les autres figures se rapportent au mésentère de la grenouille. 


Fig. 1. 
I, 2s 
Fig. 3. 
Fig. 4 
Fig. 5 
Fig. 6. 
Fig. 7. 


Une cellule intercalaire exactement circonscrite par un contour impregne, 
et entourée de trois cellules endothéliales. La disposition en forme de 
rosace n’est pas apparente. Le noyau de la cellule intercalaire semble 
etre partagé en deux moitiés dont chacune renferme un nucléole. Gros- 
siss. 610. i 

Deux cellules intercalaires prises essentiellement entre deux cellules 
endothéliales. Le plan de séparation entre les cellules intercalaires est 
indiqué par une ligne finement imprégnée. Pas de rosace. Grossiss. 610. 
A droite du dessein, une cellule intercalaire exactement incluse entre 
six cellules endothéliales disposées en forme de rosace. Le noyau de la 
cellule intercalaire est situé tout-à-fait excentriquement. A gauche de 
cette cellule, on voit deux autres mais situées en dessous de l’endothélium. 
On peut encore reconnaître par transparence que les faisceaux conjonctifs 
sont disposés circulairement autour de ces dernières cellules. L’une 


_ d'elles montre quelques prolongements. Le noyau de la cellule endothé- 


liale recouvrante montre une certaine déformation et semble être bifur- 
qué à son extrémité tournée vers la cellule granuleuse sous-jacente. 
Grossiss. 360. 

Une cellule intercalaire particulièrement étirée. Le contour imprégné 
est par places à peine perceptible. Grossiss. 360. 

Cinq cellules intercalaires formant un îlot entouré de douze cellules 
endothéliales disposées d'une manière rayonnée. Le noyau d'une des 
cellules (au bas de la figure) dépasse légèrement la ligne imprégnée. 
Les limites intercellulaires sont à peine ou pas imprégnées à l'intérieur 
de Vilot. Grossiss. 360. 

Une cellule intercalaire située au centre d’une rosace formée par six 
cellules endothéliales. La cellule dépasse légèrement le contour imprégné 
pour se continuer en dessous del’endothélium. Grossiss. 610. 

Deux cellules accolées et incomplètement intercalées entre onze cellules 
endothéliales disposées d’une manière rayonnée. Par une grande partie 
de leur surface les cellules intercalaires s'étendent en dessous du revéte- 
ment endothélial. Un petit dépôt d’argent existe à la limite entre deux 
des cellules endothéliales et la cellule intercalaire correspondante. 
Grossiss- 610. 


Alfred Carrasco, Contribution à l’étude des cellules intercalaires du revêtement. 249 


Fig. 8. 
Fig. 9. 
Fig. 10. 


Une cellule granuleuse ayant fixé l’éosine et correspondant par une partie 
de sa surface à un interstice imprégné compris entre deux cellules endo- 
théliales. Salamandre tachetée. Grossiss. 260. 

Deux cellules granuleuses ayant fixé l’éosine, vues in situ & travers l’endo- 
thélium du mésentère. Grossiss. 610. 

Globules lymphatiques éosinophiles situés à l'intérieur du mésentère. 
a = Globule à un noyau. 0b = Globule à quatre noyaux. € = Globule 
à 3 noyaux. d — Globule plus gros renfermant des granulations éosino- 
philes plus fortes. e = Globule à contour indécis et montrant la dissé- 
mination des granulations éosinophiles. Grossiss. 610. 


Laboratorio di Patologia Generale ed Istologia della R. Università di Pavia 
(Direttore: Prof. C. Golgi). 


Sulla struttura e sull’evoluzione delle „Monster cells“ 
di Minot. 1) 


Dott. Antonio Gasbarrini, 
Assistente Onorario-Vincitore del Premio: “Camillo Golgi“. 


(Con Tav. XII.) 


Il Godet ed il Minot studiando la struttura della placenta nel 
coniglio richiamarono per i primi l’attenzione sopra alcune cellule che 
appaiono in seno alla porzione di mucosa uterina situata di rimpetto 
alla placenta, e che il Minot chiama „obplacenta“. 

Le dimensioni enormi di tali elementi giustificano l’appellativo di 
„monster cells“ ad essi assegnato dal Minot. 


Essendo io riuscito a provocare artificialmente la formazione di. 


_monster cells, praticando delle incisioni in uteri di conigli, 2—9 giorni 
dopo l'ovulazione, ho creduto non privo d'interesse istituire delle ri- 
cerche istologiche su questi curiosi e colossali elementi. 

L'argomento si presentava in vero meritevole di studio sotto un 
duplice aspetto: quello di richiamare l’attenzione su alcune particola- 
rità di struttura delle monster cells, non del tutto descritte dai pre- 
cedenti ricercatori, e sulla loro evoluzione; in secondo luogo, di stu- 
diare i rapporti di queste cellule con gli altri elementi del tessuto per 
trarne eventualmente luce sull'origine e sul significato, quesito tuttora 
oscuro ed insoluto. 


1) Comunicazione fatta alla Società Medico-Chirurgica di Pavia nella seduta 
del 12 luglio 1910. 


Sulla struttura e sull’evoluzione delle Monster cells di Minot. 251 


Mi accinsi pertanto alle ricerche sottoponendo all’esame istologico 
pezzi di utero di conigli in diversi giorni di gestazione. 

Per la fissazione e colorazione del materiale usai i comuni espe- 
dienti di tecnica. 

Struttura della „obplacenta“. — Prima di possare alla descrizione 
delle „monster cells“ dirò poche parole sulla struttura dell'obplacenta 
nel coniglio. 

La mucosa dell'utero in condizioni normali presenta sei pieghe 
longitudinali: le due pieghe più vicine al mesometrio sono esclusiva- 
mente impiegate alla formazione della placenta; le due laterali, come 
ha per primo osservato Hollard, si atteggiano a prominenze anulari, 
e costituiscono la periplacenta; le due pieghe infine, situate dirimpetto 
al mesometrio, subiscono una speciale trasformazione istologica per 
dar luogo alla obplacenta. 

Al 7° giorno di gravidanza, vale a dire, immediatamente prima 
che si stabilisca la fissazione dell’ovulo alla mucosa, la parete uterina 
della regione non mesometrica presenta, oltre lo strato muscolare 
longitudinale e circolare, una mucosa risultante di um corion e di un 
epitelio: il corion è formato da tessuto cellulare lasso, povero in ele- 
menti fibrillari, ricco. in cellule stellate e percorso da numerosi vasi, 
che cominciano a dilatarsi. L’epitelio cilindrico forma delle depressioni 
poco profonde a culdisacco, che rappresentano le così dette ghian- 
dole uterine. Fin da questa epoca notasi che mentre le cellule delle 
ghiandole appaiono ben distinte le une dalle altre, i limiti degli ele- 
menti dell’epitelio più superficiale si fanno poco netti e le cellule ten- 
dono a fondersi in uno strato omogeneo. Al 10° giorno le depressioni 
a culdisacco della mucosa si approfondano nel corion ampliandosi note- 
volmente; in questi culdisacchi le cellule sono sempre distinte, al con- 
trario di quelle delle salienze, che hanno subito completamente la 
modificazione accennata al 7° giorno, si sono cioè trasformate in una 
massa omogenea, relativamente spessa, poco colorabile, con numerosi 
nuclei disposti a gruppi e destinati a scomparire più tardi. 

Alle cellule dei culdisacchi spetta la rigenerazione dell’epitelio 
distrutto. 

Nel corion della mucosa, immediatamente al disotto dell’epitelio, 


959 Antonio Gasbarrini, 


a 


si trovano aleune grandi cellule, con nucleo sviluppato e protoplasma 
granuloso o fibrillare: tali elementi rappresentano i primi stadi delle 
monster cells del Minot, le quali al 17° giorno di gravidanza diven- 
tano enormi, e più tardi scompaiono in modo veramente enigmatico. 

Riassumendo, possiamo dire che nella regione non mesometrica 
dell’utero, ad un primo periodo di preparazione, che precede subito la 
fissazione dell’ovulo alla mucosa uterina, ed è caratterizzato da pro- 
liferazione dell’epitelio, moltiplicazione delle cellule connettivali, dila- 
tazione e neoformazione vasale, tien dietro un secondo periodo di in- 
voluzione del tessuto. : 

Topografia delle monster cells. — Le monster cells mostrano di 
avere una sede di predilezione nell’obplacenta: al 10° giorno di gra- 
vidanza le troviamo — come si è detto — accumulate subito al di 
sotto dell’epitelio ed anche più in basso; al 12°, 13°, 14° giorno ap- 
paiono fra le fibre muscolari: in alcuni preparati ho potuto rinvenire 
monster cells fin nell'estremo limite dello strato muscolare. Si constata 
altresì che molte delle più piccole sono poste superficialmente, le più 
grandi per la maggior parte più profondamente, fatto però questo non 
costante, potendosi talora rinvenire cellule di dimensioni enormi vicino 
alla superficie epiteliale. 

Al 15° giorno ho trovato qualche monster cel anche nella peri- 
placenta, accanto alla sua superficie, rivestita a quest'epoca, da un 
epitelio neoformato. Dopo il 17° giorno, non mi è stato possibile 
rintracciare tali elementi nell’obplacenta. 

Struttura delle monster cells. — Non riesce in vero facile dare 
un’esatta descrizione delle monster cells, potendo la forma, le dimensioni 
ed anche l’intima struttura presentare delle numerose varianti. 

In base soprattutto ai caratteri della massa nucleare possiamo 
pertanto distinguere i seguenti tipi ai monster cells: il tipo verosimil- 
mente più giovane, rappresentato da una massa protoplasmatica a 
contorno talora rotondo od ovale, altre volte irregolare, provvisto di 
prolungamenti, che si perdono nel tessuto circostante. Il nucleo unico, 
doppio, raramente triplo, fornito di un contorno deciso che assume 
intensamente il colore, contiene un reticolo il più delle volte non ben 
distinguibile con numerosi granuli; quasi sempre, specie nelle più 


Sulla struttura e sull’evoluzione delle Monster cells di Minot. 253 


giovani monster cells, alcuni granuli che possono riguardarsi come 
nucleoli, spiccano per le loro maggiori dimensioni sul fondo finamente 
granuloso della massa nucleare (vedi fig. I e fig. II‘). 

Mi è occorso di vedere in qualche monster cel la cromatina 
nucleare formare abbozzi di anse, in guisa da richiamare alla mente le 
mitosi multipolari che si verificano nei megacariociti. 

Altri elementi sono caratterizzati da un certo numero di piccoli 
nuclei ben distinti, con membrana nucleare e nucleolo, derivanti vero- 
similmente per divisione dalla massa nucleare delle giovani monster 
cells (vedi fig. III). In diversi preparati infatti si rinvengono delle 
forme di passaggio. In alcune cellule il nucleo si presenta raggrinzato, 
formando così all'intorno uno spazio più o meno ampio (vedi fig. IV). 

In altre il nucleo appare sprovvisto del contorno netto; è quasi 
scomparso il reticolato nucleare e restano dei granuli che tendono a 
diffondersi nella massa protoplasmatica (vedi fig. V). In molte vecchie 
monster cells infatti il protoplasma è finamente cosparso di frammenti 
cromatinici, che finiscono per dissolversi e lasciare qua e là nel cito- 
plasma delle ombre, che assumono assai debolmente la tinta nucleare 
(vedi fig. VI). 

Merita speciale considerazione la struttura del protoplasma delle 
monster cells. Esso appare omogeneamente granuloso nelle forme più 
giovani, mentre nelle più avanzate presenta una struttura fibrillare, 
talora ben manifesta. Non raramente si rinvengono in seno al proto- 
plasma dei vacuoli in cui si deposita la sostanza colorante (vedi fig. VIT). 
Di solito esiste alla periferia di ciascuna monster cel uno straterello 
di protoplasma differenziato a quisa di membrana, facilmente visibile 
per il suo spessore. 


* 


Dando uno sguardo alla Tavola riportata, e lecito supporre che 
le fiv. IV, V e VI rappresentino diversi stadi involutivi delle monster 
cells: in esse infatti sono ben evidenti i processi di cariolisi, fino alla 
quasi scomparsa della sostanza nucleare. 

Mi son domandato se lo spazio perinucleare, ben visibile in alcune 


!) I preparati microscopici furono presentati alla Società. 


954 Antonio Gasbarrini, 


monster cells, stesse a rappresentare un fatto degenerativo della cellula 
o piuttosto un prodotto artificiale dovuto ai reagenti. 

Orbene, all'osservazione microscopica delle monster cells, ottenute 
per raschiamento della mucosa della obplacenta, appena ucciso l’ani- 
male, ed immerse in soluzione fisiologica, a temperatura adeguata, ho 
avuto campo di constatare in molte di esse uno spazio all’intorno del 
nucleo raggrinzato, segno manifesto di involuzione cellulare. 


Ed E 
ES 


In seguito ad un'attenta osservazione di numerosi preparati, ho 
potuto constatare che esiste un rapporto fra le monster cells e i vasi 
sanguigni. Sono infatti rimasto impressionato dalla circostanza che 
spesso intorno a dei vasi si rinvengono monster cells avvicinate fra 
loro per i margini, in modo da costituire dei veri lembi. Non è sempre 
dato di mettere in evidenza il limite di ciascuna cellula, ed in questi 
casi i vasi sanguigni appaiono circondati da una placca plasmodiale, risul- 
tante di un protoplasma granuloso o fibrillare, in cui sono immersi 
nuclei con le particolarità di struttura suddeseritte. 

Altre volte invece, parte della parete vasale appare trasformata 
in uno o due elementi giganteschi, foggiati a semiluna, che accolgono 
nella concavità gli elementi figurati del sangue. 

I vasi che contraggono rapporti così intimi con le monster cells 
sono talora completamente sprovvisti di endotelio, e di esso non si 
riesce a trovare le minime tracce anche con la più accurata osser- 
vazione; altre volte invece è integro; nella maggior parte dei casi, 
non si rinviene in corrispondenza della porzione di parete vasale 
occupata dalle monster cells. 


* = 


ok 


Origine delle monster cells. — Non ancora può dirsi risoluta la 
questione dell’ origine di elementi cosi strani ed interessanti. I] Minot, 
che li descrisse nel 1889, pensava potersi trattare probabilmente di 
cellule epiteliali desquamate, in preda ad ipertrofia degenerativa; tale 
ipotesi era basata sui caratteri del protoplasma che ricordavano l'epi- 
telio uterino degenerato, e sulla presenza nell’epitelio della periplacenta 
di cellule ingrandite con protoplasma granuloso e con più nuclei riuniti 


Sulla struttura e sull’evoluzione delle Monster cells di Minot. 255 


a mucchietto; per distacco di queste cellule dall'epitelio e consecutiva 
fusione dei nuclei trarrebbero origine le monster cells; parimenti al- 
cune cellule epiteliali, che si trovano nell’obplacenta, alquanto ingran- 
dite e provviste di un unico nucleo, rappresenterebbero per il Minot 
con tutta probabilità gli stadî intermedi fra le cellule ricordate e le 
più giovani monster cells. 

Il Duval ritiene che le monster cells rappresentino una tras- 
formazione ipertrofica delle cellule connettive del corion. 

Non è mia intenzione entrare nel cuore dell’arduo argomento. 
Non posso però a meno di dichiarare che in base ai reperti istologici, 
l'origine epiteliale ammessa dal Mznot per le monster cells non spiega 
perchè mai non si debbano ritrovare, fra tante monster cells più 0 
meno evolute, delle forme intermedie che le avvicinino alle cellule 
dell’epitelio uterino degeneratio; nè potremmo comprendere la presenza 
di cellule mostruose nell’estremo limite dello strato muscolare, dove 
non possono giungere le introflessioni dell’epitelio uterino; non si può 
ammettere d’altra parte che le monster cells vi giunsero per movimenti 
propri attraverso gli interstizi del corion e delle fibre muscolari, essendo 
tali elementi sprovvisti di motilità, com'io ho potuto constatare all'esame 
microscopico di pezzi freschissimi di obplacenta, immersi in soluzione 
fisiologica a temperatura adequata, e nemmeno ritenere che esse vi 
furono trasportate dalle contrazioni uterine. 

Lo studio dei rapporti costanti ed intimi delle monster cells con 
i vasi sanguigni mi induce a pensare che queste cellule gigantesche 
rappresentino la trasformazione ipertrofica di elementi delle pareti 
vasali. Non potrei però con abbastanza sicurrezza ammettere un’ori- 
gine endoteliale, avendo — come ho detto — rinvenuto talora monster 
cells attorno a vasi provvisti di endotelio. Più verosimilmente, le 
monster cells derivano dalle cellule avventiziali, che subiscono un pro- 
cesso di ipertrofia ed in seguito cadono in degenerazione. 

Significato delle monster cells. — Ammessa una tale ipotesi sul- 
l’origine delle monster cells, appare meno oscuro il significato di questi 
misteriosi elementi, potendosi stabilire un rapporto fra essi e lo strato 
plasmodiale della placenta. 


Sappiamo infatti come nella regione intermediaria dei cotiledoni, 


256 Antonio Gasbarrini, 


fin dal 10° giorno di gestazione, le pareti dei capillari comincino a 
trasformarsi in uno strato plasmodiale, che dal 12° al 14° giorno invade i 
grandi seni uterini ed al 16° giorno tende ad individualizzarsi in cellule 
distinte, caratteristiche per il volume del corpo cellulare e del nucleo. 

Anche sull’origine di tale strato plasmodiale le opinioni sono con- 
traddittorie: così ad es. il Duwal assegna ad esso un’ origine fetale: 
il Godet ed il Minot lo fanno invece derivare dall’endotelio trasformato 
dei vasi materni: l’Ereolani lo riguarda come una produzione del 
tessuto connettivo dell'utero. 

Comunque si vogliano valutare queste diverse tendenze sull'origine 
dello strato plasmodiale, mi sembra che le mie ricerche mi inducano 
ad ammettere, come molto verosimile, un rapporto fra esso e le monster 
cells. Esiste infatti una perfetta corrispondenza cronologica fra lap- 
parire delle due formazioni, ed entrambe hanno un evidente ed intimo 
rapporto con la parete vasale, dalla quale con ogni probabilità s 
devono ritenere derivate. 

Credo quindi che si possa, almeno in via di ipotesi, accettare la 
sequente interpretazione generale del processo: prima che si stabilisca 
la fissazione dell’ovulo, si inizia in tutta la mucosa uterina, sia nella 
porzione mesometrica, come in quella opposta, un processo che si 
potrebbe dire di preparazione alla formazione della placenta, processo 
al quale, accanto alle accenuate modificazioni dell'epitelio e del corion, 
hanno parte preponderante i vasi. Avvenuta la fissazione dell'ovulo. 
nel punto dove si formerà la placenta, gli elementi perivasali suliscono 
una serie di modificazioni, dando luogo alla formazione dello strato 
plasmodiale; nella rimanente porzione della mucosa uterina compaiono 
attorno ai vasi elementi giganteschi, dotati di particolari caratteri, 
che ben presto entrano in una fase regressiva, caratterizzata dall’ap- 
parire delle monster cells, le quali mostrano una serie di modificazioni 
del nucleo e del protoplasma, di carattere evidentemente involutivo, 
e finiscono per essere riassorbite insieme con i vasi stessi. 

Le monster cells sarebbero in conclusione degli elementi transitori, 
da considerarsi come l'esponente di un inizio di formazione placentare, 
che non raggiunge la sua completa evoluzione per la mancanza, in quel 
punto della mucosa, dello stimolo derivante dalla presenza dell’ovulo. 


Bibliografia. 


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Verson, Sulla struttura dei megacariociti. Bollettino della Sociatà Medico-Chirur- 
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Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVII. 17 


Fig. VIII, 


g. I, IL 


Spiegazione delle figure. 


Forme giovanili di monster cells. (Obbiettivo !/,; semi-apocr. imm. 
omog. — oculare comp. 4 Koristka, camera lucida Koristka.) 


. HI, IV, V, VI. Stadi involutivi delle monster cells. (Obb. '/,, semi-ap. 4 comp. 


INIL, 


Koristka.) 

Monster cel provista di prolungamento, in rapporto con un vaso. 
Presenza nel protoplasma cellulare di un vacuolo ripieno di sostanza 
colorante. (Obb. '/,, semi-ap. 4 comp. Koristka.) 

IX, X. Rapporto delle monster cells con i vasi sanguigni: endotelio 
qua e la scomparso od ipertrofico. (Ob. 8*. oc. 4. Koristka.) 

Sezione trasversale di obplacenta di coniglio (12° giorno di gravi- 
danza). Numerose monster cells, in rapporto con i vasi, al disotto 
dell'epitelio e tra le fibre muscolari. (Ob. 6. oc. 4. Koristka.) 


Laboratorio di Patologia Generale ed Istologia della R. Università di Pavia. 
(Direttore: Prof. C. Golgi.) 


Su una forma particolare di reazione della mucosa 
uterina in seguito ad alcuni traumi. (Placentazione 
artificiale di Leo Loeb).!) 


Dott. Antonio Gasbarrini, 
Assistente Onorario-Vincitore del Premio: „Camillo Golgi“. 


(Con Tav. XIII.) 


In determinati periodi della vita lutero subisce dei cambiamenti 
notevoli che si riflettono in special modo sull’intima struttura della 
mucosa: sappiamo — infatti — come questa all’epoca dell’ovulazione, 
dopo la fecondazione dell’ovulo e particolarmente in seguito all’arrivo 
di esso nel cavo uterino, sia sede di processi non soltanto schietta- 
mente rigenerativi, ma anche di formazioni speciali di tessuto. 

In questi ultimi anni sono state eseguite delle ricerche sperimen- 
tali per studiare il fattore essenziale che conduce allo sviluppo della 
placenta materna. 

Così, in un recentissimo lavoro sull'argomento, il Loeb [1, 2] è 
riuscito ad avere nelle cavie e nei conigli lo sviluppo di decidue 
artificiali, a mezzo di profonde incisioni nei corni uterini, eseguite 
2—9 giorni dopo l’ovulazione, senza che fosse per ciò necessario la 
fecondazione dell’ovulo o il contatto di esso con la mucosa uterina. 

Il Loeb ha osservato inoltre che mentre l'allacciatura delle tube, 
poco tempo dopo l’accoppiamento, non modifica affatto i risultati, 
lovariectomia, quando venga praticata molto tempo prima delle in- 

1) Comunicazione fatta alla Società Medico-Chirurgica di Pavia nella seduta 


del 12 luglio 1910, 
ie 


260 Antonio Gasbarrini, 


cisioni all’utero, ostacola la formazione delle decidue artificiali. Il 
tessuto così originatosi avrebbe una durata assai breve, rinvenendosi 
in esso, dopo pochi giorni dall'atto operativo (13-16 giorni nelle 
cavie e poco più nei conigli) delle ampie zone di necrosi. 


* ES 


Attratto dall'argomento, che all'impronta d'attualità accoppia Yin- 
estimabile pregio di investigare un campo di studi oggi grandemente 
dibattuto, mi son proposto di ricercare: 

1? Se ripetendo le esperienze del Loeb su materiale abbastanza 
ricco, mi fosse dato di rinvenire nel tessuto artificialmente sviluppa- 
tosi elementi sicuramente placentari. 

2? La forma particolare di reazione della mucosa uterina di 
fronte ad aleuni traumi prodotti su essa: a) in un periodo di tempo 
non corrispondente a quello dell'ovulazione; b) previa ovariectomia 
parziale o totale; c) iniettando sostanza ovarica freschissima in ani- 
mali da tempo ovariectomizzati. 

Tecnica delle esperienze. Le ricerche furono eseguite in una serie 
di conigli ed in ratti. In alcuni conigli precisai lepoca dell'ovu- 
lazione, oltre che dai caratteri macroscopici della vagina (mucosa 
tumefatta, coperta di liquido sanguinolento, orli arrossati e rigonfi), 
facendoli accoppiare col maschio, ritenendosi oggi da alcuni ricercatori 
(Regaud e Dubreuil |5]) che la rottura dei follicoli in questi animali 
non sia spotanea, come si ammette dai più (Villemin [4, 5]), ma provo- 
cata dall’accoppiamento. 

Per l'ovulazione nei ratti mi sono attenuto a quanto riferisce in 
proposito il Sobotta [6]. L'A. infatti seguendo le ricerche del Bischoff, 
Tafanı ed altri ha potuto precisare che nel giorno del parto scoppiano 
nelle ovaia dei ratti più follicoli, e le uova vengono accolte nelle 
tube, senza che abbia avuto luogo l'accoppiamento. Gli stessi fatti 
si verificano nel ventunesimo giorno dopo il parto. 

L'atto operatorio sull'utero era in ogni caso condotto con una 
tecnica semplicissima: previo taglio laparatomico mediano ed accurata 
osservazione dell'utero e delle tube per escludere lo stato di gravi- 
danza, si praticavano nei corni uterini brevi ma profonde incisioni 


Su una forma particolare di reazione della mucosa uterina etc. 261 


longitudinali o trasversali, od anche delle punture a mezzo di sottile 
ago sterile. | 

Il tagliente o l'ago veniva quasi sempre ad interessare un tratto 
di mucosa opposta al punto d’ingresso di esso. In alcuni conigli in- 
cuneavo in ciascuna incisione pezzetti di sostanze indifferenti (paraffina 
dura, midollo di sambuco, ecc.). 

Affondati i corni uterini nel ventre, si faceva la sutura a doppio 
strato delle pareti addominali. 

Si eseguiva l'operazione senza anestesia generale e con la massima 
celerità (8—10 minuti appena). 

Il decorso post-operatorio riusciva sempre normale per i conigli: 
le scarse emorragie uterine, a causa delle incisioni, cessavano spon- 
taneamente dopo brevissimo tempo. I ratti invece soccombevano 
alcuni giorni dall'intervento, forse perchè le barriere organiche erano 
notevolmente abbassate, trovandosi questi animali in stato puerperale. 

I conigli si sacrificavano ordinariamente altre i 10 giorni dal- 
l'operazione; di ciascun animale si sottoponevano all'osservazione micro- 
scopica numerosi pezzi di utero. 

Trascivo i risultati delle singole esperienze: 


Esperienza 1. 


25. I. 1910, ore 9. Coniglio no. 1 (tenuto isolato per 15 giorni). 

Previa laparatomia, si praticano nella parete del corno uterino 
sinistro, a tutto spessore, due incisioni longitudinali, e due trasversali 
nel corno destro. Sutura a doppio strato delle pareti addominali. 

4. IL, ore 10. Uccisione del Coniglio no. 1. 

Reperto necroscopico. l corni uterini appaiono edematosi ed ade- 
renti fra loro. Le incisioni riescono appena visibili. 

Sezionato in senso longitudinale un segmento di corno xis 
in corrispondenza di un'incisione, la mucosa presenta un colore rosso- 
lampone. Assenza di noduli placentari. 

Reperto istologico. L’epitelio della mucosa è normale così pure 
l'endotelio vasale. Notansi nel corion numerosi corpuscoli sanguigni 
stravasati ed in alcuni punti vere emorragie. 


262 Antonio Gasbarrini, 


Esperienza 11. 

27. I. 1910. Osservata in tre conigli (no. 2, 3 e 4) l'epoca del- 
l'accoppiamento, si fanno delle incisioni uterine, rispettivamente dopo 
3, 5 e 7 giorni. I conigli vengono uccisi dopo 10, 11 e 12 giorni 
dall’atto operatorio. 

Reperto necroscopico. I corni uterini sono tenacemente saldati 
fra loro per la maggior parte dell’estensione La mucosa presenta in 
corrispondenza delle incisioni delle salienze abbastanza visibili. 

Reperto istologico. La mucosa uterina forma delle estroflessioni 
molto accentuate. Notasi edema ed ipertrofia del connettivo delle 
papille.  L’epitelio uterino mostra una spiccata proliferazione ed un 
rigonfiamento nucleare, specie nei seni di ciascuna papilla. Non è 
possibile talora distinguere i confini delle singole cellule, così che 
lepitelio forma un rivestimento sinciziale. Vi si rinvengono numerose 
figure cariocinetiche. Il citoplasma dello strato plasmodiale assume 
con ematossilina-eosina una colorazione bluastra, quasi che in esso 
siano contenute delle sostanze nucleari. In alcuni punti si osservano 
cellule giganti. 

Le modificazioni dell’epitelio si verificano anche a distanza dalle 
incisioni. - 

Nel Coniglio no. 2, ucciso dopo 10 giorni dall’atto operatorio, 
lendotelio vasale appare alquanto ipertrofico; sono però ben visibili i 
limiti di ciascuna cellula endoteliale. 

Nei Conigli no. 3 e 4, sacrificati rispettivamente 11 e 12 giorni 
dopo l’intervento, si notano nella porzione di mucosa posta di fronte 
al mesometrio (obplacenta del Minot) delle cellule gigantesche, prov- 
viste di protoplasma ora granuloso, oro fibrillare, ed enormi nuclei: 
tali elementi, corrispondenti alle ,,monster cells“ del Minot, contraggono 
in molti punti intimi rapporti con i vasi sanguigni). 


Esperienza Ill. 
28. IL, ore 10. Ad una Coniglia no. 5, che trovasi nel periodo 
dell’ovulazione, si eseguisce l’ovariectomia bilaterale a mezzo di due 
tagli laparatomici lateralizzati. 


!) Sulla struttura e sull'evoluzione delle monster cells riferirò detta-gliatamente 
in un’ altra nota. | 


Su una forma particolare di reazione della mucosa uterina etc. 263 


7. II., ore 10. Si praticano in ciascun corno uterino 2 punture 
a mezzo di sottile ago sterile, interessanti tutta la parete dell’utero. 

17. Il, ore 9. Si uccide il Coniglio no. 5. 

Reperto necroscopico. Nulla di notevole. 

Reperto istologico. La mucosa appare edematosa con piccoli stra- 
vasi sanguigni qua e là. 

Esperienza IV. 

28. I., ore 16. Coniglio no. 6. Ovariectomia sinistra due giorni 
dopo l'accoppiamento. 

5. II., ore 16. Incisione trasversale in ciascun corno dell'utero. 

15. IT, ore 10. Uccisione del Coniglio no. 6. 

Reperto necroscopico. Si rinvengono le solite aderenze fra i corni 
uterini. Esaminata la mucosa in corrispondenza delle incisioni, non è 
dato apprezzare formazione di noduli deciduali. 

Reperto istologico. All'esame microscopico delle sezioni tras- 
versali di ciascun corno uterino, si osserva un discreto aumento del 
tessuto connettivo che predomina sul muscolare. L’epitelio mostrasi 
proliferato in alcuni punti, mancante in altri. Notansi qua e là stra- 
vasi sanguigni. 

Esperienza V. 

27. H., ore 11. Coniglio no. 7. Ovariectomia bilaterale. 

14. III., ore 11. Previo taglio laparatomico mediano, si pratica 
un'incisione trasversale in ciascun corno uterino, un pò al di sopra del 
corpo, e s’immette nell’incisione del corno destro un pezzetto di paraf- 
fina dura. Terminato l’atto operatorio, si iniettano allo stesso animale 
per via ipodermica due ovaia fresschissime di un altro coniglio, spap- 
polate convenientemente in pochi cc. di soluzione fisiologica sterile. 

16. III.,ore 10. Si pratica una seconda iniezione di sostanza ovarica. 

T om REP ore 9 dem 

14. I1L., ore 16. Coniglio no. 8. Ovariectomia bilaterale. 

24. IIL, ore 10. Si penetra con un sottile ago in ciascun corno 
uterino ad 1 cme. circa al di sopra del corpo, e si inietta sottocute, 
come nel coniglio precedente, della sostanza ovarica spappolata in 
siero fisiologico. 

27. ILI., ore 10. Si ripete l'iniezione. 


264 Antonio Gasbarrini, 


I conigli no. 7 e 8 vengono sacrificati dopo 10 giorni dall’atto 
operatorio. 

Reperto necroscopico ed istologico. Non diverso da quello descritto 
per il coniglio no. 6; Vepitelio però mostrasi in molti punti cubico. 


Esperienza VI. 

8. IV., ore 10. Si fa un'incisione trasversale nella parete del 
corno uterino destro di due ratti, rispettivamente 3 e 5 giorni dopo 
l'ovulazione. Gli animali vengono a morte in 4? ed in 5? giornata 
dall'intervento. 

Necroscopia. L'utero appare fortemente edematoso e presenta in 
corrispondenza dell'incisione un piccolo nodulo di colorito bruno. 

Reperto istologico. L’epitelio mostrasi proliferato in alcuni punti, 
distrutto in altri. Non è sempre netto il passaggio fra strato epi- 
teliale e corion, il quale appare edematoso. 


* * 
* 


Dai risultati di queste esperienze chiaramente appare che le 
incisioni in uteri di conigli conducono alla formazione di decidue 
artificiali, solo nei casi in cui l'atto operatorio venga eseguito alcuni 
giorni dopo l'ovulazione. 

Tale reperto è corrispondente a quello ottenuto dal Loeb; se non 
ché, fatto mai finora osservato, in due conigli. ho potuto rinvenire 
in seno alla mucosa così modificata le monster cells del Minot [7], 
elementi caratteristici della decidua naturale. 

Convien quindi pensare che il fattore essenziale per lo sviluppo 
della placenta materna sia rappresentato da una potenza specifica 
delle ovaia. Non è invece specifica la potenza dell’ovulo, potendo esso 
essere sostituito da un'incisione. 

Gli studi moderni tendono infatti a dimostrare con sempre maggiore 
certezza che l’ovaio, oltre a dominare con la sua secrezione interna il 
trofismo di tutto l'apparecchio sessuale (Curatolo e Tarulli [8]. Zapp? 
e Recordati [9]), fornisce all'utero in maniera ciclica come un impulso 
nutritivo, mediante il quale la mucosa uterina si adatta ad accogliere 
l'ovulo ed a favorirne lo sviluppo. 

Si è anzi cercato in questi ultimi tempi di stabilire a quali 


Su uua forma particolare di reazione della mucosa uterina etc. 265 


elementi dell’ovaio spetti il compito di elaborare il prodotto secretivo: 
così si è voluto attribuire una grande importanza alla ghiandola inter- 
stiziale dell'ovaio (Limon [10], Bonin [11], Cohn |12]); al corpo luteo 
(Born, Fraenckel [15], Giorgi [14], Ferroni [15], Malon [16]; ma le 
opinioni sono contraddittorie (Pianese [17], Paladino [16]). 

Comunque, l'intimo meccanismo di azione dell'impulso fornito dal- 
l'apparecchio ovarico all’utero per lo sviluppo della placenta materna 
si sottrae del tutto alla nostra osservazione. 


* * 
* 


Conclusioni. E lecito pertanto concludere: 

1° Che praticando delle profonde incisioni o delle semplici pun- 
ture nei corni uterini di conigli, alcuni giorni (2—9) dopo Vovu- 
lazione, la mucosa si trasforma in un tessuto che ricorda quello 
placentare materno. 

Tale forma particolare di reazione della mucosa uterina appare 
evidente git dopo 10 giorni dall'atto operatorio, sia in corrispondenza 
delle incisioni, sia ad una certa distanza da esse. 

29 Il trauma nell'utero di conigli, in cui non abbia avuto luogo 
pochi giorni innanzi l'ovulazione, non conduce allo sviluppo di tessuto 
deciduale. 

3° Lo stesso avviene, sia estirpando le ovaia qualche tempo 
prima dell'operazione all'utero, sia intettundo a conigli ovariectomiz- 
zati della sostanza ovarica freschissima, spappolata in soluzione 
fisiologica. 

4° Nei ratti, in cui sia avvenuta Vovulazione pochi giorni prima, 
le incisioni uterine non danno luogo a sviluppo di tessuto deciduale, 
dopo 4 e 5 giorni dall'atto operatorio). 

5° Nella formazione artificiale di decidue entra în giuoco vero- 
similmente, oltre lo stimolo traumatico, un principio attivo, di natura 
ignota, fornito dalle ovaia, che con un meccanismo speciale ed in deter- 
minati periodi della vita sessuale dell'animale, prepara l'utero allo 
sviluppo di tessuto deciduale. 


1) Molto probabilmente, ripetendo le esperienze su materiale più abbondante 
e sacrificando questi animali a diversa distanza dall'intervento, si potrà anche in 
essi ottenere la formazione di decidue artificiali. 


or 


=] 


10. 


11. 
12. 
13. 


14. 


15. 


16. 


17. 


18. 


Bibliografia. 


Loeb, L., Beiträge zur Analyse des Gewebswachstums. Die Erzeugung von De- 
ciduen in dem Uterus des Kaninchens. Studies from the Rockefeller 
Institute for Medical Research. Vol. IX. 1909. 

—, The Production of Deciduomata and the relation between the ovaries and 
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Vol. 50. 1908. 

Regaud et Dubreuil, L’ovulation de la lapine n’est pas spontanée. Compt. 
Rend. Soc. Biol. 64. No. 12. 1908. 

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de Biol. 19 fevrier 1908. 

—, L’ovulation est-elle spontanée chez la lapine? (Réponse a M. M. Regaud 
et Dubreuil.) Soc. de Biol. 1908. 

Sobotta, Die Befruchtung und Furchung des Eies der. Maus. Arch. f. mikro- 
skopische Anatomie. Bd. 45. 

Minot, C. S., Die Plazenta des Kaninchens. Biol. Zentralbl. Bd. X. 1890. 

Curatolo e Tarulli, Sulla secrezione interna della ovaia. Ann. d’Ost. e Gin. 
1896. 

Zappi e Recordati, Modificazioni delle ghiandole a secrezione interna in se- 
guito all’ovariectomia, all’isterectomia, e all’ovaroisterectomia. La 
Clinica Ostetrica. A. XI. Fasc. 16. 1909. 

Limon (cit. da Lerda), Sulle alterazioni delle ovaia in seguito a lesioni 
chirurgiche dell'utero e delle trombe. R. Accademia Medica di Torino. 
No. 7—8. 1905. 

Bonin, Révue med. de l'Est. 1902. 

Cohn, Zur Histologie des corpus luteum. Arch. f. mikrosk. Anat. 1893. 

Fraenckel, Fxperimentelle Untersuchungen über die Funktion des Corpus 
luteum. (Verhand. d. med. Sektion des Schles. Ges. f. Vaterl.-Kultur 1901.) 

Giorgi, Ovaio, ipofisi e funzione del corpo luteo. Ginec. Fasc. 16. 1906. 

Ferroni, Sull’azione di estratti di corpo luteo iniettato all’animale. Arch. 
It. di Ginec. 1906. | 

Malon, A propos de la function des corps jaunes chez la cobaye. Compt. 
Rend. Hebdom. des Séances de la Soc. de Biol. No. 6. 1908. 

Pianese, Della ipotetica teoria di Fraenckel sulla funzione del corpo luteo. 
Arch. d’Ist. e Ginec. No. 8. 1904. 

Paladino, Mitosi del corpo luteo e recenti congetture sulla sua significa- 
zione. Arch. d’Ist. e Ginec. 1905. 


Fig. 


Ta. 


Spiegazione delle figure. 


Sezione trasversale di mucosa uterina (di coniglio) in corrispondenza di 
un’incisione praticata 3 giorni dopo l’accoppiamento dell’animale. 
(Osservazione del pezzo dopo dieci giornidall’atto operatorio.) Forma- 
zione artificiale di tessuto deciduale: strato plasmodiale dell'epitelio 
uterino; proliferazione e rigonfiamento nucleare. Cellule giganti. 
Endotelio vasale ipertrofico. (Obbiettivo 4. oculare 8 Koristka.) 
Monster cel provocata artificialmente per mezzo di incisioni in un corno 
uterino di coniglio. Rapporto della monster cel con un vaso sanguigno. 
(Abbiettivo !/,; semi-apocr. imm. omog.-oculare comp. 4 Koristka, camera 
lucida Koristka.) 


(Istituto di Anatomia Patologica della R. Universita di Siena, 
Prof. 0. Barbacci, Direttore.) 


Contributo allo studio del connettivo lamellare. 
Per 


Serafino d’Antona, 
Studente di medicina. 


(Con. Tav. XIV, XV.) 


L'importanza, per tanto tempo disconosciuta, dei tessuti con- 
nettivi è oggi ben dimostrata dalle ricerche di una schiera numerosa di 
osservatori; e mentre da una parte, mercè l’applicazione di metodi di 
cui la tecnica si è recentemente arricchita, si scoprono nuovi particolari 
della loro intima tessitura, dall’altra si rende sempre più evidente 
l'interesse che essi hanno, sia dal punto di vista funzionale che dal 
patologico. 

I notevoli risultati già ottenuti in questo campo, mi indussero ad 
intraprendere le studio de la struttura del connettivo lamellare, del quale 
alcune particolarità istologiche sono ancora discusse. 

Come materiale di ricerca mi servii dei corpuscoli di Pacini della 
mano e del piede dell’uomo e dei nervi collaterali delle dita. 

Fissazione in formolo, in Zenker e in alcool: inclusione in paraffina: 
sezioni da 6 a 10 «. I processi di colo razione usati furono quello di v. Gie- 
son e quello di Bielschowsky, modificato da Levi. Debbo avvertire che il 
trattamento per il Bielschowsky venne fatto non sulle sezioni attaccate 
al vetrino e sparaffinate, ma sulle sezioni libere ancora rivestite dalla 
paraffina, come da lungo tempo si pratica nel nostro laboratorio. Con 


Contributo allo studio del connettivo lamellare. 269 


tal trattamento il precollageno !) si differenzia per una tinta nera dal 
collageno, che assume una tonalità viola, più o mena intensa. 

Per la ricerca delle fibre elastiche mi servii dell’orceina secondo il 
metodo Unna-Tänzer, modificato da Livini. 


I. Corpuscoli di Pacini. 
1. Involucro lamellare. 


L'indagine moderna, con l’aiuto degli eccellenti metodi analitici 
di cui la tecnica dispone, ha portato una gran luce sulla costituzione 
della parte funzionale di questi organi, cioè del loro apparato nervoso. 

Il metodo del cloruro d’oro, quello del bleu di metilene, e sopra 
tutti il prezioso metodo fotografico di Ramon y Cajal hanno permesso 
di seguire tutto il decorso delle fibrille nervose, accompagnandole nei 
più intricati avvolgimenti e nelle più sottili ramificazioni. Le ricerche 
di Kolmer [7], di Dogiel [2], di Botezat [3], di Van de Velde [4], per ricor- 
dare solo i più recenti osservatori, ci hanno ampiamente informati su 
questo lato della questione, la quale ormai presenta ben pochi punti 
meritevoli di ulteriori schiarimenti. 

Ma se questo accade per l’apparato nervoso, altrettanto non può 
dirsi per ciò che riguarda l’involucro connettivale del corpuscolo paci- 
niano. Le conoscenze che possediamo su questo argomento sono ancora 
oggi, eccettuati particolari di poca importanza, quelle che Henle e 
Kölliker [5] stabilirono con le loro classiche ricerche. La descrizione che 
Kölliker diede mezzo secolo fa, si trova ripetuta, con lievi variazioni, 
nei più recenti trattati, e tutta la serie di osservatori che gli tennero 
dietro Key e Retzius [6], Krause [7], Ranvier [8] ed altri, ben poco di 
nuovo aggiunsero a ciò che egli aveva descritto. 

Quasi tutti furono d’accordo nel descrivere due strati di fibrille, 
immerse in una sostanza fondamentale amorfa: l’uno esterno, disposto 
trasversalmente all’asse maggiore del corpuscolo; l'altro interno disposto 

1) L'espressione „fibre precollagene^ che si di frequente si incontrerà nelle 
pagine seguenti, fu adoperata dal mio maestro Prof. Barbacci, in sostituzione della 
tedesca designazione di „Gitterfasern“; perché queste „sono elementi che procedendo 
nella via evolutiva sono destinati a trasformarsi in fibre collagene“. 


Vedi O. Barbacci, Patologia del sistema delle „Gitterfasern“ in alcuni organi 
parenchimali. Atti della R. Acc. dei Fisiocritici in Siena. 1910, Nr. 3, 4. 


270 Serafino d’Antona, 


longitudinalmente. Soltanto Key e Retzius descrissero un unico strato 
di fibre circolari: ma dopo le ricerche di Ranvier fu consacrata la pri- 
mitiva descrizione. 

Più lungo fu il dibattito, che, del resto, dura ancora oggi, circa la 
natura e la disposizione dei nuclei che si accompagnano alle fibre: 
Kölliker li aveva designati come corpuscoli connettivali ed aveva 
notato le anastomosi che spesso li congiungono. 

Quando nel 1865 Hover [9] mediante l’impregnazione col nitrato 
d’argento mise in evidenza la comparsa di linee oscure sulla superficie 
del corpuscolo, dalla disposizione a mosaico di quelle linee, analoga a 
quella che si ottiene impregnando con l’argento gli endotelii delle 
sierose, dedusse l'identità dei due elementi e disse che i nuclei dell'in- 
volucro del corpuscolo erano nuclei di cellule endoteliali. I due strati 
di fibre, insieme al rivestimento endoteliale che li tappezza sulla sola 
faccia interna, secondo alcuni, su entrambe le facce, secondo altri, costi- 
tuiscono la lamella. Ogni lamella è separata dalla successiva da uno 
spazio ripieno di liquido albuminoso (linfa o plasma): qua e là le lamelle 
sì ricambiano setti incompleti. 

Il primitivo concetto di lamella, quale era stato enunciato da Henle 
e Kölliker fu poscia modificato da Key e Retzius, nel senso che questi 
autori inclusero nella lamella quello che Henle e Kölliker avevano 
designato come spazio intercapsulare e ritennero invece per spazio 
quello compreso fra i due strati contigui di cellule endoteliali. La strut- 
tura della lamella o capsula, quale è concepita da questi Autori, si trova 
riassunta nello schema seguente, che riporto dallo Schwalbe: 


Linea capsnlare Linea capsulare 
PR ien —€ r—e—_—___èe-<< 
Rivestimento ‘gs Rivestimento Rivestimento ‘# Rivestimento 
: cS à à a 5 
endoteliale A endoteliale endoteliale e endoteliale 


Spazio con fibrille 
Dons me odi 


Capsula 


bo 


Tra le osservazioni degne di nota ricorderò quella di Tartuferi [70], 
il quale in una breve nota, comparsa nel Bollettino delle scienze di 
Bologna nel 1893, descrisse nel corpuscolo paciniano um reticolo di 
sosteeno di natura elastica: non mi e stato possibile avere la memoria 
completa, né so se sia mai stata publicata, ma; per quanto mi consta, 


Contributo allo studio del connettivo lamellare. 271 


l'osservazione di Tartuferi non ha avuto ulteriore conferma da altri 
ricercatori. 


* ES 
* 


Esaminando sezioni di corpuscoli colorate col v. Gieson (fig. 1) la 
mia attenzione fu, sin dai primi momenti, richiamata da due fatti: 
dalla mancanza degli spazii intercapsulari e dalla di sposizione dei nuclei. 

L'intreccio delle fibrille di cui la capsula risulta essenzialmente 
costituita non è interrotto in alcun punto: numerose e relativamente 
grosse nella porzione più esterna, le fibrille diventano sempre più sottili 
e rade man mano che si procede verso l’interno: ma sono presenti 
ovunque. Siriscontrano bensi qua e là degli spazi chiari, ma è evidente 
che si tratta di spazi artificiali: essi sono conseguenza del raggrinza- 
mento subito dal tessuto e non hanno nulla di quella regolarità che- 
dovrebbero avere gli spazi comunemente ammessi. Ho parlato di in- 
treccio e non di stratificazione delle fibrille noichè effettivamente di 
| stratificazione non può parlarsi. Le fibrille decorrono in tutti i sensi, 
inerociandosi e intrecciandosi senza alcuna regola. Im alcuni punti 
prevalgono le longitudinali, in altri le circolari: ma noi non troviamo dei 
veri strati costituiti esclusivamente dalle une o dalle altre. Esse sono 
sempre commiste ed accompagnate da altre fibre oblique e radiali, 
sebbene queste ultime siano in molto minore quantità. In generale le 
più abbondanti sono le circolari. Là, dove le fibrille longitudinali pre- 
valgono, assumono un caratteristico andamento ondulato, in maniera 
da dar l’immagine di un elegante festone, le cui curve toccano alterna- 
tivamente le due serie di cellule che limitano lo spazio entro cui esso si 
svolge. Nella fig. 1 questa disposizione è lievemente accennata. In 
corrispondenza di queste ondulature, le fibrille circolari si dispongono in 
modo da seguire le longitudinali nelle loro curve successive: di fatti 
accanto, e spesso addossate, alle linee continue segnate dalle fibrille 
longitudinali, si scorgono altre linee pure ondulate, ma costituite da 
puntini seriati. Le fibre circolari sono specialmente abbondanti in 
prossimità della linea secondo la quale si trovano disposti i nuclei; 
quivi spesso si succedono per tratti l’una accanto all’altra, come i grani 
di una fitta corona, mentre in altri punti si vedono raccolte in piccoli 
fasci. 


272 Serafino d’Antona, 


Questo nelle sezioni longitudinali: in quelle trasversali la disposi- 
zione è a un di presso la stessa. Le fibrille si osservano di preferenza 
disposte circolarmente, e più fitte in prossimità dei nuclei. 

Nella porzione più esterna del corpuscolo, le fibrille hanno un 
comportamento un po’ diverso: esse si fanno compatte assumendo una 
disposizione fascicolata, ad andamento lievemente ondulato, rasso- 
migliando ai fasci collageni del connettivo circumambiente. Sono colorite 
più intensamente e di un rosso più schietto che le altre fibrille: formando 
come un guscio alla periferia del corpuscolo. 

Da quanto ho detto risulta che le fibrille sia traversali che longi- 
tudinali, sono spezialmente numerose e stipate lungo le linee nucleari. 

Secondo la descrizione classica, le cellule endoteliali, cui questi 
nuclei appartengono, segnano il limite tra lamella e lamella, limite 
demarcato anche dalla presenza di uno spazio più o meno grande, entro 
il quale i nuclei stessi farebbero sporgenza. 

Invece io ho costantemente osservato il fatto che i nuclei sono 
disposti lungo una linea di massimo addensamento delle fibrille, le quali li 
rivestono sia da un lato che dall’altro. I nuclei, appiattiti e allungati, 
si presentano congiunti l’uno all’altro da una listerella di sostanza 
rifrangente, che a forte ingrandimento, e dove è un po’ più abbondante, 
presenta una delicatissima fibrillatura. Siccome per ottenere ben netta 
la colorazione delle fibrille, i preparati furono sopracolorati, così anche 
questa sostanza presenta una tonalità rossa più o meno spiccata; ma 
nelle sezioni meno intensamente colorate essa mostra la tinta giallastra 
delle sostanze protoplasmatiche. 

La distanza che intercede fra una serie e l’altra di cellule, non è 
uguale in tutte le regioni del corpuscolo: essa è relativamente grande 
nella parte media, diminuisce gradatamente procedendo verso l’esterno 
e verso l’interno. Alla periferia non é raro il caso di vedere due serie di 
cellule così vicine l’una all’altra da sembrare quasi a contatto diretto ; 
ma con un po’ di attenzione riusciamo facilmente a scorgere anche tra 
esse una certa quantità di fibrille. La sostanza che congiunge i nuclei 
non è sempre continua: qua e là, a un’osservazione accurata, essa si 
presenta interrotta e se al nostro occhio la linea conserva la sua con- 
tinuità, ciò è dovuto unicamente alla disposizione delle fibrille. 


— 


Contributo allo studio del connettivo lamellare. 273 


I fatti sono ancora meglio evidenti in quei corpuscoli, in cui non è 
conservata la tipica disposizione regolarmente concentrica delle lamelle, 
come nei corpuscoli dai quali furono tolte le figure 2 e 5. Quivi accanto 
ai nuclei che presentano la solita forma allungata, ve ne sono altri di 
forma più o meno “irregolare, dai quali partono dei prolungamenti a 
direzione per lo più radiale, che si anastomizzano con prolungamenti 
analoghi partiti da altri nuclei, formando dei ponti di congiunzione. 
Le fibrille li accompagnano nel loro decorso, avvolgendoli come in un 
manicotto. 

Ad avvalorare il dubbio in me sorto che qui non si trattasse real- 
mente di cellule endoteliali che rivestissero in strato continuo le facce di 
ogni lamella, contribui un’altra circonstanza. 

Alcune sezioni, per eventuali maltrattamenti subiti nel corso della 
preparazione, presentarono qua e là delle lacerazioni: in questi casi non 
si verificò un semplice distacco lungo la linea cellulare, come sarebbe 
avvenuto se le cellule fossero semplicemente separate da uno spazio di 
cui esse formassero le pareti: invece spesso si ebbe una lacerazione nella 
parte media della lamella, là dove le fibrille sono meno numerose e 
resistenti. 

Entrato così in quest’ordine di idee, io volsi ogni mio sforzo a mettere 
in evidenza il corpo di queste cellule, ricorrendo, per ciò ottenere, al 
metodo del cloruro d’oro e succo di limone secondo Ranvier. Praticai 
un numero considerevole di reazioni, sia sui corpuscoli di Pacini che sul 
perineurium, variando i tempi di acidificazione e di soggiorno nella 
soluzione d’oro: ma i risultati non furono soddisfacenti, tali da per- 
mettere di definire la questione. 

Nei corpuscoli di Pacini, dilacerati ed esaminati in Tot) non 
mi fu dato di riconoscere con certezza la presenza di una quantità più 
o meno grande di protoplasma intorno ai nuclei e di cui potessi scorgere i 
limiti. Qualche volta invero ottenni delle immagini che avevano zutto 
l’aspetto delle comuni cellule connettive, fornite di prolungamenti; ma 
erano sempre immagini pallide e poco nette, si che restava il dubbio si 
trattasse di prodotti artificiali. 

Troveremo in seguito dei fatti che mentre da una parte ci possono 


fornire la ragione della difficoltà di distinguere queste cellule dal tessuto 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys, XXVIII. 13 


274 Serafino d’Antona, 


circostante, dall’altra ci inducono a ritenere che esse siano intimamente 
connesse alla genesi delle fibrille, siano cioè dei veri fibroblasti. 

Nel corso delle ricerche col cloruro d’oro, notai che, mentre delle 
cellule proprie del connettivo non riuscivo a scorgere altro che il nucleo, 
ottenevo invece quasi costantemente ben impregnati altri elementi a 
nucleo più piccolo, protoplasma granuloso, spesso come frammentato; 
fornito di vacuoli. Essi mi richiamarono alla memoria le ,,cellule par- 
ticolari e nucleate e immensamente delitescenti, che stanno negli spazi 
intercapsulari" di cui par la Paladino [41]: e ricordai pure di aver spesso 
osservato nelle sezioni di corpuscoli colorate col v. Gieson elementi 
liberi in mezzo alla trama delle fibrille, che io avevo interpetrato come 
forme leucocitarie, ma le cui particolarità tintoriali non mi erano riuscite 
del tutto chiare. Dalle ricerche bibliografiche non mi risultò che l'esi- 
stenza di questi elementi nel connettivo lamellare, almeno nell'uomo, 
sia stata fatta oggetto di particolari osservazioni: non mi parve quindi 
inutile fermare la mia attenzione su di essi e dopo averne studiata la 
distribuzione e la grossolana conformazione col cloruro d’oro, che, a 
questo scopo, serve ottimamente, ne feci anche un esame più minuto con 
adatti processi colorativi. 5308 

Questi elementi sono abbastanza numerosi nei corpuscoli di Pacini, 
dove spesso a un ingrandimento di tre o quattrocento diametri se ne 
contano cinque o sei nel campo del microscopio: sono un po’ meno 


numerosi nel connettivo perineurico. Sono sparsi e orientati in tutte le 


direzioni in mezzo alla trama fibrillare: talvolta nei corpuscoli di Pacini, 
si. presentano orientati nello stesso senso, trasversalmente all'asse 
maggiore del corpuscolo. In prossimità dei piccoli vasi, dove più fre- 
quentemente si incontrano, si orientano in modo da disporsi parallela- 
mente ad essi: attorno ai capillari ed ai piccoli vasi formano un rivesti- 
mento non continuo, che ha tutte le caratteristiche del perithelium di 
Eberth. Hanno forma variata (fig. 9 e 10), per lo più affusata, ma anche 
rotondeggiante, poligonale o stellata, alcuni sono di notevoli dimen- 
sioni, altri solo di poco più grandi dei comuni leucociti. Frequente- 
mente sono forniti di prolungamenti molto lunghi, che presentano dei 
rigonfiamenti e, in alcuni punti, sono interrotti. Non potrei dire se 
questa frammentazione del protoplasma rappresenti un vero fenomeno 


Contributo allo studio del connettivo lamellare. 275 


di clasmatosi o dipenda da alterazioni cadaveriche o anche da azioni 
meccaniche intervenute nel corso dell’allestimento dei preparati. I 
contorni di questi elementi sono frastagliati, talvolta sono mal definiti 
e sembrano confondersi col tessuto circostante. 

Per ottenerli colorati fissai in alcool assoluto corpuscoli di 
Pacini che poi dilacerai, cercando di ridurli in lamine il più sottili pos- 
sibile, sulle quali feci colorazioni con ematossilina ed eosina, col bleu 
policromo di Unna e con la Dahlia acetica di Ehrlich. 

Così trattati essi si presentano con protoplasma poco intensamente 
colorito, d’aspetto polverulento, abbondantemente fornito di vacuolie 
con granuli spesso numerosi e voluminosi, tinti dal colore nucleare. 
Questi granuli talvolta sono sparsi, ma per lo più raccolti in vicinanza 
del nucleo: in essi non osservai fenomeni di metacromasia. 

Il nucleo è sempre fortemente colorato, tanto che spesso non lascia 
scorgere traccia sua struttura. La cromatina forma zolle voluminose, 
che spesso assumono l’aspetto di veri nucleoli. 

Dai caratteri fondamentali che io ho brevemente riassunti, si com- 
prende come questi elementi debbano ascriversi alla categoria dei 
clasmatociti di Ranvier, ai quali, secondo i recenti lavori di Pardi /12, 13/ 
corrispondono le ,,ruhende Wanderzellen* di Maximow /14/e ‚le cellules 
connectives rhagiocrines elasmatocytiformes" di Rénaut /15/. 

Non entrerò nelle complicate questioni che si riferiscono all’origine 
e al significato di queste cellule, perchè esorbiterei dal tema propostomi: 
a me basta di averne notato l’esistenza nella varietà di tessuto che mi 
occupa e di averne rilevati i principali caratteri con cui in esso si pre- 
sentano. 


I preparati alla Bielschowsky ci mostrano sostanzialmente le stesse 
particolarità che possono rilevarsi mediante il v. Gieson, ma con un det- 
taglio molto più fine. L’inconveniente di questo metodo è quello di 
produrre forti raggrinzamenti nei tessuti, per cui molti rapporti vanno 
alterati o perduti, la qual cosa rende necessari preparati di controllo 


per rendersi conto dello stato reale delle parti. 
15* 


276 Serafino d’Antona, 


I grossi fasci di fibre, uniformemente tinti dalle comuni sostanze 
coloranti, ci si mostrano qui sottilmente analizzati nei loro singoli 
componenti. Porzioni di preparati che, con gli altri metodi, ci appari- 
vano senza struttura, risultano popolate di una gran quantità di esili 
fibrille; membrane omogenee e trasparenti, le famose membrane aniste, 
ci rivelano nettamente la loro natura fibrillare. 

Nei corpuscoli di Pacini, il Bielschowsky, meglio che il v. Gieson, 
mette in evidenza il fitto intreccio fibrillare. Sono fibrille alcune grosse 
e robuste, altre delicatissime, in parte precollagene, in parte collagene, 
queste ultime in maggior quantità. Le precollagene, che per la loro 
colorazione nera risaltano bene sul fondo viola del collageno, sono 
raccolte di prevalenza lungo le linee delle cellule, le quali, col Biel- 
schowsky, restano invisibili; la loro posizione però è segnata da spazi 
lineari, rifrangenti, talora nettamente delimitati dalle fibrille, ma per 
lo più difficili a riconoscere in mezzo al complicato, intreccio di queste. 
Come spazi chiari, circondati da fibrille, ci si presentano pure i tratti 
che nei corrispondenti preparati col v. Gieson sono occupati dai pro- 
lungamenti cellulari. Questi spazi, generalmente sottili, sono, in alcuni 
punti, del tutto interrotti: non sono uniformi, ma di tanto in tanto 
presentano degli slargamenti che corrispondono alla posizione dei nuclei. 
Le cose sono ben evidenti nella fig. 3 la cui semplice ispezione vale più 
di ogni minuta descrizione. 

Le fibrille, dunque, formano come un rivestimento ai corpi cellulari, 
e questa disposizione potrebbe spiegarci perchè col cloruro d’òro e con 
gli altri metodi colorativi non si riesca a differenziare le cellule dal 
tessuto circostante. Il fatto poi che le fibrille, in vicinanza delle cellule, 
sono ancora precollagene e che esse accompagnano fedelmente le cellule 
nella loro distribuzione, ci induce a ritenere che questi due elementi 
siano in intima connessione genetica: che cioè le cellule siano genera- 
trici delle fibrille, ossia dei veri fibroblasti. 

Ma il fatto interessante, messo in evidenza dal metodo Bielschowsky, 
è l’esistenza, nei corpuscoli pacinici, di un reticolo fibrillare, che costi- 
tuisce come l’impalcatura del loro involucro connettivale. La presenza 
di questo reticolo non si rileva ugualmente in tutte le sezioni: esso non 
si scorge nei tagli trasversali, e, delle sezioni longitudinali, le più oppor- 


Contributo allo studio del connettivo lamellare. DA 


tune sono le prime e le ultime di ogni corpuscolo, nelle Quali abbiamo 
la possibilità di osservare in superficie una porzione più o meno grande 
dell'involucro. Il più delle volte io ho potuto scorgerlo e analizzarlo 
nella porzione del corpuscolo opposta a quella per cui entra la fibra 
nervosa; là dove esso, seguendo la configurazione del corpuscolo forma 
una specie di cupola. 

Benchè del reticolo se ne scorgano soltanto porzioni più o meno 
brevi, pure dall’ispezione, anche non troppo accurata, dei preparati, 
resulta che esso è continuo, formando una vera lamina reticolare (fig. 4) 
che costituisce come lo scheletro della lamella, prendendo questa deno- 
minazione, ormai classica, non nel senso di un’unità istologica, ma come 
espressione dell'immagine in noi suscitata dalla disposizione degli ele- 
menti che costituiscono il tessuto. Dalla comparazione con i corrispon- 
denti preparati alla v. Gieson, si vede che le lamine reticolari sono tante 
quante sono le linee cellulari, ed hanno la loro identica disposizione. 

Passando all'esame particolareggiato di questo reticolo, noi vediamo 
che esso è costituito da fasci brevi e robusti di fibrille, in prevalenza 
precollagene; i quali dividendosi e anastomizzandosi, circoscrivono un 
sistema di maglie a configurazione varia ma, per lo più, di forma ovale. 
Talvolta queste maglie sono irregolarmente disposte, ma più spesso sono 
orientate in un medesimo senso, ed allora decorrono trasversalmente 
all'asse maggiore del corpuscolo: relativamente ampie nella porzione 
esterna esse si fanno sempre più piccole man mano che si procede verso 
l’interno. | 

I fasci di fibrille che costituiscono il reticolo, seguono, nel dividersi, 
modalità diverse: talora il fascio primario, dopo un decorso piuttosto 
lungo, si biforca alle due estremità, dando l’immagine di due Y congiunti 
per l’asta; tal'altra, invece, i fascetti secondari si staccano lateralmente 
dal primario, a guisa di rami; tal’altra, ancora, il fascio primario ha 
un decorso brevissimo, rappresentato da un piccolo tratto, quasi un 
punto, in cui le fibrille, dopo formata una maglia, vengono a contatto 
per tornare a separarsi, immediatamente e formare una nuovo maglia. 

Una simile varietà si osserva nel modo di anastomizzarsi dei fasci 
secondarii: talvolta essi si uniscono, restando tali, cioè conservandosi 
compatti, tal’altra, e più frequentemente, si risolvono in un numero 


278 Bs : Serafino d'Antona, | 


grande di fibrille, le quali si dispongono su di un unico piano formando 
come una membranella fibrillare. In questi casi le maglie sono più rare ed 
allora abbiamo un'immagine che ricorda quella delle membrane fenestrate. 

Ogni lamina reticolare non é indipendente, ma intimamente con- 
nessa alle vicine da una grande quantità di fibrille che potremmo 
chiamare interlamellari. Queste fibrille, o isolatamente, o raceolte in 
piccoli fasci, si staccano dal reticolo e vanno ad immedesimarsi col 
reticolo vicino, seguendo in questo tragitto una direzione varia, più o 
meno obliqua: rare volte decorrono. radialmente, in modo da attra- 
versare direttamente l’intervallo che separa due lamine reticolari. Non 
infrequentemente sono fasci primari, i quali abbandonando il reticolo 
cui appartengono, vanno a risolversi in fibrille nel reticolo vicino. 

Una costituzione alquanto differente presentano le tre o quattro 
lamine più esterne del corpuscolo. Le fibrille che le costituiscono sono 
grosse e robuste e sono, per lo più, isolate: pur conservando la dispo- 
sizione reticolare esse non formano delle vere maglie più o meno regolari, 
ma semplicemente si intrecciano e si decussano sotto gli angoli più 
varii, decorrendo prevalentemente in senso longitudinale. Le fibrille di 
congiunzione sono poco numerose; di tanto in tanto qualcuna delle 
grosse fibre, staccandosi dal reticolo cui appartiene, passa nel vicino; 
ma qui non si osservano quei delicatissimi sfibrillamenti così abbondanti 
nelle porzioni più interne del corpuscolo. Le lamine esterne sono molto 
vicine e formano, al resto del corpuscolo, una specie di guscio resistente. 
Man mano che si avvicinano alla periferia le fibre che le costituiscono 
assumono una disposizione fascicolata, finchè prendono l’aspetto dei 
fasci collageni del connettivo circostante, col quale grada tamente si 
confondono. | 

Nelle sezioni trasversali (fig. 6), come già osservai, il reticolo non 
può scorgersi, vediamo soltanto la sezione delle fibrille e dei fasci di 
fibrille che lo sostituiscono, le quali formano delle linee punteggiate, 
più o meno regolarmente concentriche Nelle sezioni trasversali, ma legger 
mente oblique, alzando ed abbassando il fuoco dell’obbiettivo, noi 
possiamo seguire per un breve tratto il decorso delle fibre reticolari, 
e vedere come quella linea, che a un dato fuoco ci appare continua, a 
un fuoso diverso si risolva in una gran quantità di fibrille. 


Contributo allo studio del connettivo lamellare. 279 


Quali sono i rapporti tra cellule e reticolo? Molto intimi: cellula 
e reticolo sono quasi immedesimati le une alle altre e così noi veniamo 
a giustificare l’opinione di Kölliker il quale aveva visto la lamella nella 
linea cellulare e domandava perchè non dovesse considerarsi come 
lamella quella, che secondo la sua espressione, è la parte più consistente 
del corpuscolo. 

Non in tutti i corpuscoli pero la formazione reticolare si presenta 
caratteristica come è stata descritta e come è disegnata nella fig. 4. In 
alcuni corpuscoli le fibrille non formano delle vere maglie, ma si intrec- 
ciano semplicemente tra loro, come abbiamo visto avvenire costante- 
mente per le lamine più esterne: in tali casi la sola differenza esistente 
tra queste e le lamine interne consiste nel diverso spessore delle fibrille che 
nelle lamine interne sono, per lo più, circolari, e nella maggiore ampiezza 
dello spazio che separa le seconde rispetto a quello che intercede fra 
le prime. La descrizione data del reticolo corrisponde fondamental- 
mente a quella fattane da Tartuferi nella nota ricordata. Però, 
mentre Tartuferi ammette delle grosse e numerose fibre di congiunzione 
a direzione radiale, cioè convergente verso l’asse del corpuscolo, io ho 
notato che queste fibre sono molto meno numerose di quello che la sua 
descrizione farebbe supporre e inoltre non hanno quasi. mai una 
direzione nettamente radiale, ma sempre più o meno obliqua. Non 
può quindi parlarsi di un sistema di fibre di congiunzione a direzione 
radiale; i veri elementi di congiunzione tra le varie lamine reticolari 
sono rappresentati dalle sottili fibrille che si staccano da esse. 

Inoltre Tartuferi considera il reticolo di natura elastica, mentre 
abbiamo visto che il reticolo, propriamente detto, è formato da fibrille 
precollagene, con scarse fibre collagene. 

Da ricerche sistematiche fatte con l’orceina applicata, come fu 
detto, risulta che nell'interno del corpuscolo non esistono fibre elastiche 
e che queste si riscontrano soltanto nella porzione più esterna. Sono in 
quantità piuttosto scarsa, abbastanza sottili e ad andamento tortuoso: 
decorrono per lo più isolate formando delle reti molto lasse. 

Non usai il liquido di Weigert per la ricerca delle fibre elastiche, 
perchè esso, specialmente se non è del tutto fresco, non è di una elettività 
assoluta, colorando anche gli elementi collageni, sopratutto se giovani. 


280 — Serafino Mann 


2. La clava centrale. 


Per analogia di argomento, riferirò le osservazioni che ho potuto 
fare, nel corso delle mie ricerche, intorno alla clava centrale, poichè non 
credo inutile portare un contributo alla tanto discussa quistione. 

Giacchè questo della natura della clava centrale è un argomento 
che ha sempre richiamato l’interesse di quanti si occupano della strut- 
tura dei corpuscoli di Pacini. 

Si potrebbero riempire parecchie pagine a enunciare le ipote si 
emesse intorno a questa parte dell’organo pacinico, cominciando da 
Mayer /16] che vide in essa un tessuto ghiandolare fornito di dotto 
escretore, fino a Dogiel [77] e Timofeff [28] che la considerarono come 
uno spazio pieno di linfa limitato da una capsula. Külliker fino dalle 
sue prime ricerche aveva detto che la clava centrale era una formazione 
connettivale in cui decorreva il prolungamento della fibra nervosa; in | 
seguito Leydig [19] la consideró come l’ingrossamento dell’estremità 
della fibra nervosa, mentre Engelmann [20] asserì che la clava era for- 
mata dall’ingrossamento della guaina midollare, conclusione alla quale 
giungeva, molti anni più tardi, anche Pianese [27]. Hoyer [22] la ritenne 
costituita da capsule simili a quelle che compongono l’involuero, e che 
se ne differenziano solo per essere più sottili e ravvicinate e separate 
non da liquido, ma da una sostanza granulosa. Ciaccio [23] riconobbe 
nella clava centrale presenza di connettivo, che distinse in due porzioni: 
una, sottile, periferica, che avvolgeva l’altra centrale. Michelson [24] 
e Schäfer [25] ammisero la presenza di una sostanza connettiva striata 
longitudinalmente; Paladino la descrisse come un cordone di sostanza 
connettiva, molle, chiaro, finemente granuloso contenente nuclei e una 
descrizione poco diversa diede Krause. 

Fin dal 1873 Retzius aveva detto che la clava centrale non era altro 
che il prolungamento, entro il corpuscolo, della guaina endoneurica la 
quale avvolge la fibra sensitiva nel tratto che decorre tra il suo dipartirsi 
dal nervo e l’espansione periferica. 

Ruffini [26] senza conoscere le ricerche di Retzius, ridescrisse la 
guaina endoneurica chiamandola ,,guaina sussidiaria‘. Questo Autore 
osservava, come già l’aveva osservata Retzius, la identità di struttura 


Contributo allo studio del connettivo lamellare. 981 


tra essa e la clava centrale ed egli dimostró all'evidenza che la guaina 
sussidiaria non € altro che una continuazione endocorpuscolare della 
„guaina sussidiaria‘. 

Ruffini dimostrò anche la natura connettivale della clava interna 
con mezzi meccanici (dilacerazione) e con mezzi isto = chimici (colora- 
zione differenziale col metodo. Cayal = Calleja). 

Della osservazione di un gran numero di clave sezionate in tutti i 
sensi, 10 mi sono potuto convincere della giustezza delle vedute di questi 
ultimi due Autori. Sia nei preparati col v. Gieson, sia in quelli col 
Bielschowsky la clava centrale mostra la stessa struttura fibrillare della 
guaina endoneurica; e questo esame comparativo è reso ancor più facile 
e convincente dal fatto che molte volte accanto alla sezione del corpus- 
colo si scorge la sezione della fibra nervosa, prima che penetri nel 
corpuscolo stesso e revestita dalla sua guaina endoneurica. Allora con 
leggieri spostamenti del preparato noi possiamo confrontare punto 
per punto le due immagini ritrovando, nell'una e nell’altra, gli stessi 
elementi. 

La fig. 5 mostra la sezione trasversale di una clava, insieme a quella 
di un vaso che l’avvolge a spirale. Il taglio del corpuscolo al quale la 
clava apparteneva, cadde in senso longitudinale, ma alquanto obliqua- 
mente e siccome la clava aveva, caso non raro, decorso curvilineo, così essa 
fu tagliata trasversalmente pur essendo la sezione longitudinale. L'azione 
del calore e dei varii reagenti ha, nella clava disegnata un po’dissociate 
le parti, rendendo quasi schematica la loro disposizione. Il cilindrasse, 
fortemante retratto, occupa la parte centrale di quella specie di anello 
che intorno ad esso costituiscono le fibrille, in mezzo alle quali si scorgono 
alcuni nuclei. Le sezioni condotte secondo l’asse maggiore del corpus- 
colo, le quali permettono di seguire per un tratto più o meno lungo il 
decorso della clava, mostrano che le fibrille decorrono per la maggior 
parte parallelamente alla fibra nervosa: esse non si intrecciano, sono 
molto sottili e stipate, così che a un ingrandimento non tanto. forte 
e quando non sono perfettamente differenziate, possono presentare 
limmagine di una massa amorfa più o meno granulosa. 

La fig. 6 rappresenta la sezione trasversale di una clava centrale, 
trattata secondo Bielschowsky; in questa la posizione del cilindrasse è 


282 Us Serafino d’Antona, 


indicata dallo spazio chiaro centrale. Quivi le fibrille sono ancora 
meglio evidenti e analizzabili: si tratta di fibrille generalmente molto 
esili, collagene per la maggior parte, e così si spiega la colorazione più 
intensa che la clava assume nei preparati alla v. Gieson: sono raccolte 
in tanti strati, la quale disposizione giustifica la striatura concentrica 
descritta dai varii Autori nella sostanza della clava centrale. Una sola 
volta, su una trentina di corpuscoli esaminati, mi accadde di osservare 
in essa fibre elastiche. 

Circa i rapporti tra la clava centrale e la superficie interna dell’invo- 
lucro corpuscolare, si deve notare che essi non sono dei semplici rapporti 
di contiguità, cioè la clava non è semplicemente rivestita da esso come 
da un astuccio, ma frequentemente la clava ricambia delle fibrille con 
la lamina capsulare più interna; e se talvolta essa ci appare come isolata 
nel mezzo di una cavità, dobbiamo considerare questo fatto come un 
prodotto artificiale. Il limite tra la clava centrale e la lamina più interna, 
nei preparati alla Bielschowsky è generalmente ben segnato dalla 
presenza di un cerchio di fibrille precollagene. 

Quanto ai nuclei della clava, essi per la loro forma e la disposizione, 
come per altri caratteri, sono del tutto simili a quelli che si riscontrano 
nella guaina endoneurica. 

Riguardo a questi nuclei, mi sembra che non si sia tenuto abba- 
stanza conto di un fatto, e cioè della presenza quasi costante di vasi 
sanguigni, in immediata vicinanza della clava: su cento corpuscoli, sono 
oltre novanta quelli in cui la fibra nervosa è accompagnata da uno e 
spesso da due capillari. In questi casi, specialmente nelle sezioni longi- 
tudinali, i nuclei appaiono straordinariamente numerosi, così da sembrar 
giustificata l'ipotesi di Merkel [27] che considerava la clava fatta tutta 
da nuclei. Michailoff [28] interpreta i nuclei della clava centrale come 
appartenenti alle cellule migranti che quivi si incontrano. Nell’interno 
della clava io non ho osservato la presenza di tali cellule, il cui nucleo 
ha caratteri ben diversi da quello delle cellule proprie della clava. Inoltre 
le cellule migranti presentano sempre intorno al nucleo una quantità 
più o meno grande di protoplasma, mentre intorno ai nuclei propri della 
clava non si riesce, almeno con i comuni metodi, a mettere in evidenza 
la minima traccia di protoplasma. 


Contributo allo studio del connettivo lamellare. 283 


II. Struttura del Perineurium. 


Il connettivo dei nervi è un argomento intorno al quale ha regnato 
una certa confusione fino agli ultimi anni: confusione dovuta in gran 
parte alla diversità di denominazioni con cui i varii osservatori designa- 
vano formazioni identiche. Di questo argomento si occuparono quasi 
contemporaneamente Ranvier [29] da una parte e Key e Retzius [30] 
dall’altra; la terminologia proposta da questi Autori fu quella accettata 
dalla maggioranza dei trattatisti, ma non tutti però videro ben chiara 
la corrispondenza tra i termini di Ranvier e quelli di Key e Retzius. 
Questo fatto fu causa di frequenti malintesi, si che più volte Retzius 
stesso fu costretto a intervenire per rimettere le cose a posto. . 

A scanso di equivoci, io mi atterrò alla denominazione proposta da 
questo Autore, distinguendo nel connettivo dei nervi tre parti: Epineu- 
rium = Perineurium = Endoneurium: denominazione chiara e precisa 
che, nella sua brevità, non permette confusioni di sorta. 

Sull’Zpineurium non mi intratterrò a lungo, essendo la sua struttura 
sufficientemente nota: esso è costituito da grossi fasci collageni, stipati 
ed orientati in modo da assumere una grossolana disposizione lamellare. 
L'epineurium è ricchissimo di fibre elastiche. 

A noi maggiormente interessa il perineurium la cui struttura è 
considerata tipicamente lamellare. La descrizione data a proposito 
della costituzione dell’involucro dei corpuscoli di Pacini, mi consente 
qui una maggior brevità, potendosi gran parte di quello che abbiamo 
detto a quel riguardo, ripetere per la struttura del perineurium. Ed è 
logico pensare che così sia, quando si consideri che la capsula del corpus- 
colo pacinico non è altro che il perineurium, il quale, a quel livello, ha 
preso uno sviluppo esagerato. Dove l’identità di struttura resulta più 
evidente è tra il perineurium dei piccoli tronchi e le lamine più esterne 
del corpuscolo: se fosse possibile mettere queste due formazioni isolate 
l'una accanto all'altra, sotto lo stesso campo del microscopio, in molti 
casi, anche ad un occhio esercitato, non riuscirebbe facile distinguere 
Yuna dall'altra. 

Piü che altro io mi riferiró a quanto ho osservato col Bielschowsky, 
poichè il v. Gieson è stato da tempo applicato allo studio del connettivo 


284 Serafino d’Antona, 


dei nervi e sarebbe inutile che io facessi qui una nuova descrizione di 
ciö che esso mostra. 

Nelle sezioni trasversali il perineurium si presenta costituito da una 
serie di linee, più o meno numerose e regolari, formate in prevalenza da 
fibre precollagene. Quanto al numero ho potuto anch'io constatare che 
esse non sono tanto in rapporto allo spessore del nervo che rivestono, 
quanto al grado maggiore o minore con cui esso è esposto alle azioni 
esterne: così non è raro il caso di vedere una piccola diramazione dei 
nervi collaterali delle dita fornita di una guaina tre o quattro volte più 
spessa di quella che avvolge, ad esempio, un grosso fascio del mediano. 

Queste linee concentriche corrispondono, evidentemente, alla sezione 
ottica delle lamine di cui resulta il perineurium, lamine equivalenti a 
quelle che formano l'impalcatura dei corpuscoli di Pacini. Esse hanno 
un andamento ondulato, non sono sempre continue ma qua e là inter- 
rotte: alcune sono formate da tratti pieni rappresentanti le fibre cir- 
colari, mentre altre resultano costituite da tanti punti vicinissimi tra 
loro, ognuno dei quali corrisponde alla sezione di una fibra longitudinale. 
L'intervallo che passa tra le lamine è molto piccolo: spesso paiono 
direttamente addossata l’una all’altra. Là dove sono un po’ allontanate, 
come nella fig. 8, si vede che questo spazio non è vuoto, ma spesso 
occupato da fibre collagene, che fanno da congiunzione tra una lamina 
e l’altra. Il collageno si fa sempre più abbondante man mano che si 
procede verso l'esterno e le lamine periferiche sono costituite quasi 
esclusivamente da esso. 

Ma se le sezioni trasversali servono a darci un’idea di insieme della 
distribuzione del perineurium, sono le longitudinali, di cui generalmente 
si tiene si poco conto, quelle che meglio ci rivelano la sua intima struttura. 
Particolarmente opportune sono quelle sezioni in cui il taglio cadde in 
direzione non perfettamente longitudinale rispetto al decorso del nervo, 
ma un po’ obliqua: in queste una piccola porzione del perineurium si 
presenta in superficie offrendosi, nelle migliori condizioni per essere 
analizzata. 

Possiamo così vedere come ogni lamina resulti formata da robuste 
fibre che hanno un andamento ondulato e decorrono prevalentemente 
in senso longitudinale e trasversale. Sono molto avvicinate le une alle 


Contributo allo studio del connettivo lamellare. 285 


altre così che i pertugi della lamina sono molto piccoli rispetto alle 
maglie che si osservano nei corpuscoli di Pacini. Di gran lunga più 
numerose sono le lamine quasi esclusivamente costituite di fibre circo- 
lari. La struttura delle lamine si fa sempre più delicata procedendo 
dall'esterno verso l'interno: le più interne sono formate da fibrille sottili 
come quelle che costituiscono l’endoneurium. 

L’endoneurinm, oltre che dalle fibre (che potremmo dire proprie) è 
formato anche da setti semplici o ramificati, i quali staccandosi dalla 
superficie interna del cilindro cavo rappresentato dal perineurium, 
suddividono il fascio nervoso in fasci più piccoli. Questi setti sono formati 
da un’ unica lamina, ma spesso, specialmente nei grossi tronchi, sono 
le due o tre lamine più interne che abbandonando il perineurium si 
ripiegano a formare robusti tramezzi. Oltre questi setti, dalla superficie 
interna del perineurium si staccano anche fibre isolate le quali prendono 
parte alla costituzione dell’endoneurium: frequentemente queste fibre 
sono disposte in modo da formare sottilissimi sepimenti che insinuandosi 
nell’endoneurium, lo decompongono in piccoli fasci: questi sepimenti 
corrispondono allo ,,endoneurio reticolare‘ di Ruffini [27] mentre le 
fibre longitudinali rappresentano ,,l’endoneurio fascicolare‘ dello stesso 
Autore. Ciò si verifica specialmente nei piccoli tronchi in cui l'endoneu- 
rium è abbondante, ma può pure dirsi per i grossi tronchi. L’endoneu- 
rium ci presenta un aspetto un po’ diverso a seconda che lo consideriamo 
nei grossi nervi misti e nei piccoli tronchi formati esclusivamente da 
fibre sensitive mieliniche e da fibre di Remak, quali sono per es i nervi 
collaterali delle dita e le loro diramazioni. Nei primi l'endoneurium è 
scarso rispetto alla quantità delle fibre nervose; esso è formato da fibrille 
a direzione longitudinale, che rivestono strettamente ogni fibra nervosa; 
sicchè queste, nei tagli trasversali, si presentano limitate da un anello 
di fibrille. Questi anelli sono di dimensioni varie e potremo in essi 
distinguere dei grandi, dei medii e dei piccoli. corrispondentemente 
alle tre qualità di fibre comunemente ammesse. Negli interstizi tra le 
fibre nervose, dove le fibrille connettive sono più abbondanti, formano 
dei cerchiolini piccolissimi, i quali per le loro minime dimensioni non 
possono evidentemente. contenere elementi nervosi: probabilmente 
questi minuti cerchiolini sono dovuti alla disposizione che le fibrille 


286 | Serafino d’Antona, 


assumono intorno ai prolungamenti delle cellule proprie dell’endoneu- 
rium. Nei piccoli tronchi sensitivi si verifica il contrario, poichè in 
essi, mentre le fibre nervose sono scarse il connettivo endoneurico è 
per converso abbondante. Questa abbondanza è spiegata dal fatto che 
da questi tronchicini partono fibre isolate alle quali l'endoneurium deve 
fornire ricche guaine fibrillari. Se consideriamo la figura 7 che rappre- 
senta il taglio di una piecola diramazione decorrente in prossimità di 
un corpuscolo di Pacini, vediamo che buona parte, anzi la maggior parte 
del tronchicino, è occupata da fibrille connettivali, le quali oltre che 
formare le guaine intorno alle fibre nervose, si vedono anche isolate 0 
raecolte in piccoli fasci. Il metodo Bielschowsky, metodo eminente- 
mente analitico, ci dà un quadro netto, ma in cui, come già notai, 
i rapporti sono un po’ alterati. Questo fatto si verifica ancora 
più spiccatamente nei nervi, i cui elementi sono tanto delicati e 
sensibili. 

Ma se noi, qui, sopprimiamo idealmente lo spazio che esiste tra il 
fascio centrale e il perineurium e se consideriamo che le fibre nervose e 
le fibrille connettivali non sono realmente così dissociate, come il Biel- 
schowsky mostra, abbiamo un quadro che corrisponde esattamente 
a quello descritto da Ruffini nella memoria citata a proposito dell’endo- 
neurium dei piccoli tronchi. Le sezioni trasversali e un po’ oblique, 
mostrano, in modo particolarmente chiaro, la disposizione delle fibrille 
(fig. 8). In sezioni così condotte, mentre a un dato fuoco vediamo il 
taglio trasverso delle fibrille e l’anello che esse formano intorno alla 
fibra nervosa, muovendo adagio, adagio la vite micrometrica, possiamo 
seguirle per un certo tratto del loro decorso. 

Vediamo allora che le fibrille decorrono parallelamente tra loro 
ed alla fibra nervosa, intorno alla quale descrivono al più delle spirali 
molto larghe. 

Altra formazione del connettivo lamellare è la così detta guaina 
di Henle, la quale non è altro che una continuazione diretta del peri- 
neurium, come la guaina endoneurica o ,,guaina sussidiaria‘ di Ruffini 
non è che una continuazione diretta dell’endoneurium. Sotto questo 
riguardo, sarebbe certo più proprio chiamarla con Retzius guaina 
perineurica, ma ormai la prima denominazione è divenuta così comune, 


Contributo allo studio del connettivo lamellare. 981 


che é meglio conservarla integralmente. Certo peró che il concetto 
di guaina di Henle é un concetto poco preciso; potremo domandarci 
con Retzius (32): dove finisce il perineurium e dove comincia la guaina 
di Henle? Comunemente, con questa denominazione, si designa il 
rivestimento delle fibre isolate e dei fascetti costituiti da pochissime 
fibre: ma é un errore dire che essa sia formata da un'unica lamina, 
che sia cioè la ,,gaine lamelleuse dévenue unilamellaire‘‘ come si esprime 
Rénaut (33): poiché allora non dovrebbe considerarsi una guaina di 
Henle, quella che riveste, ad esempio, le fibre sensitive isolate. In- 
fatti queste non sempre si presentano circondate da un'unica lamina, 
ma da tre, quattro e talora anche piu. 

La struttura di queste lamine è simile a quella del perineurium: 
sono formate da un intreccio di fibre che qui sono abbastanza sottili 
e decorrono per lo piü circolarmente. 

Ma il rivestimento connettivo delle fibre isolate non & rappresen- 
tato soltanto dalla guaina endoneurica e dalla guaina di Henle o peri- 
neurica, poichè Ruffini, nella memoria più volte ricordata, disegnò 
e descrisse una terza guaina, che avvolge le altre due e che può con- 
siderarsi come la continuazione dell’epineurium; quindi ad essa ben 
si conviene la denominazione di guaina epineurica. In questa guaina 
Ruffini osservò la presenza di capillari sanguigni e di cellule adipose, 
fatto questo che dimostra l’importanza che essa ha per la nutrizione 
della fibra nervosa. 

Circa la distribuzione del tessuto elastico nel connettivo dei nervi, 
ecco quanto io ho potuto notare: 

Le fibre elastiche sono abbondanti nel perineurium, più nelle 
lamine periferiche, prossime all’epineurium, che nelle interne: esse 
però non sono così numerose da formare una ,,buccia elastica" 
come dice Guerrini (34): decorrono per lo più longitudinalmente e 
anastomizzandosi e intrecciandosi formano delle reti non troppo fitte. 

Nell'interno del fascio io ho trovato fibre elastiche, discretamente 
numerose nei grossi setti che si staccano dal perineurium: nell’endo- 
neurium propriamente detto, pochissime volte mi fu dato osservare 
fibre elastiche e in quei casi si trattava di fibre isolate molto sottili. 


288 ^- Serafino d'Antona, 


Conclusioni. 


1. L'involucro dei corpuscoli di Pacini resulta composto essen- 
zialmente di una serie di lamine reticolari, la cui situazione corrisponde 
a quella delle linee dei nuclei. Queste lamine non sono indipendenti 
ma congiunte le une alle altre da numerose fibrille, decorrenti in tutti i 
sensi. Non esistono quindi gli spazi intercapsulari comunemente ammessi. 

2. Le cellule dell'involucro non possono considerarsi cellule endo- 
teliali, sia perchè mancano spazi formati di cui esse rappresentino 
il rivestimento, sia perchè sono spesso fornite di prolungamenti in 
varie direzioni. Esse sono in intima connessione con le lamine-reti- 
colari e i rapporti che contraggono con le fibre collagene ci inducono 
a ritenere che esse siano veri febroblasti. 

3. Tra le fibre dell’involucro lamellare dei corpuscoli di Pacini 
sono sparsi dei clasmatociti in notevole quantità. 

4. La clava centrale è di natura schiettamente fibrillare; essa. è 
la continuazione endocorpuscolare della guaina endoneurica di Key e 
Retzius o guaina sussidiaria di Ruffini, e di tale guaina presenta tutti 
i caratteri. E’ quasi costante in essa la presenza di capillari sanguigni. 

5. Le fibre elastiche mancano nella parte interna del corpuscolo; 
esse sono limitate alle lamine più esterne e decorrono per lo più isolate 
formando reti molto lasse. 

6. Il perineurium, analogamente all’involucro dei corpuscoli di 
Pacini è costituito da una serie di lamine reticolari, formate da fibre 
decorrenti prevalentemente in senso longitudinale e trasversale: qui 
però le fibre di congiunzione tra lamina e lamina sono molto più scarse 
che non nei corpuscoli di Pacini. 

7. Nel perineurium le fibre elastiche sono abbondanti nelle lamine 
più esterne, si rinvengono in molto minor quantità nelle interne. 

8. Nell’endoneurium possiamo con Ruffini distinguere due parti: 
l’endoneurium reticolare, costituito da sepimenti di struttura delicata 
i quali staccandosi dalla superficie interna del perineurium suddividono 
il fascio nervoso in tanti piccoli fascetti; l’endoneurium fascicolare, 
costituito da fibre decorrenti longitudinalmente. Queste fibre longi- 
tudinali formano uno stretto rivestimento ad ogni fibra nervosa. 


Contributo allo studio del connettivo lamellare. 289 


9. Nell’endoneurium le fibre elastiche sono relativamente frequenti 
nei grossi setti che partono dal perineurium; raramente si riscontrano 
in mezzo alle fibre nervose. 


Ringrazio il Prof. Barbacci nel cui laboratorio ho potuto compiere 
le mie ricerche; e grazie vivissime rendo al Prof. Ruffini che mi fu 
largo di preziosi consigli. 


Siena, Novembre 1910. 


Zusammenfassung. 


1. Die Hülle der Pacinischen Körperchen besteht wesentlich aus 
einer Reihe von netzartigen Lamellen, deren Stellung jener der Nuklear- 
linien entspricht. Diese Lamellen sind nicht voneinander unabhängig, 
sondern durch zahlreiche, in allen Richtungen verlaufenden Fibrillen 
vereint. Die gewöhnlich angenommenen Interkapsularräume sind 
also nicht vorhanden. 

2. Die Zellen der Hülle können nicht als Endothelzellen be- 
trachtet werden, erstens weil. praeformierte Räume fehlen, zweitens 
weil sie häufig Fortsätze in verschiedenen Richtungen haben: die- 
selben sind in inniger Verbindung mit den netzartigen Lamellen, und 
auch ihre Verhältnisse zu den kollagenen Fasern überzeugen uns, dab 
sie wirkliche Frbroblasten sind. 

3. Clasmatocyten befinden sich zahlreich zwischen den Fasern der 
lamellaren Hülle der Pacinischen Körperchen. 

4. In dem inneren Teil des Kórperchens fehlen elastische Fasern ; 
sie sind nur in den äußeren Lamellen vorhanden, wo sie meistens 
einzeln verlaufen und sehr dünne Netze bilden. 

5. Der Innenkolben zeigt einen reinen fibrillären Charakter; er 
stellt die endokorpuskoläre ‚Fortsetzung der Endoneuralscheide von 
Key und Retzius oder guaina sussidiaria von Ruffini dar, hat die 
ganze Struktur dieser Scheide und ist fast regelmäßig von Blutkapillaren 
begleitet. 

6. Das Perineurium, analog der Hülle der Pacinischen Kör- 
perchen, besteht aus einer Reihe von netzartigen Lamellen, welche 


hauptsächlich längs- und querlaufende Fasern enthalten: jedoch sind 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 19 


290 Serafino d’Antona, 


die verbindenden Fasern viel sparsamer als in den Pacinischen Kör- 
perchen. 

7. Die elastischen Fasern des Perineuriums sind in größerer Zahl 
vorhanden in den äußeren Lamellen; in geringer Zahl in den inneren. 

8. Im Endoneurium können wir zwei Teile mit Ruffini unter- 
scheiden: das retikuläre Endoneurium, aus dünnen Scheidewänden 
bestehend, welche sich von der inneren Oberfläche des Perneuriums 
abteilen und das Nervenbündel in kleineren Bündelchen ' zerlegen ; 
das faszikuläre Endoneurium, aus längsverlaufenden Fibrillen be- 
stehend, welche eine direkte Bekleidung jeder Nervenfaser bilden. 

9. Die elastischen Fasern des Endoneuriums befinden sich relativ 
häufig in den dickeren Scheidewänden, die aus dem Perineurium ab- 
stammen, selten zwischen den Nervenfasern. 


Appendice. 


I resultati delle mie ricerche erano già stati comunicati alla 
Accademia dei Fisiocritici in Siena (Seduta del 27 Novembre 1910), 
e il lavoro stesso era stato inviato alla stampa, quando venni a 
conoscenza di un lavoro di Dogiel, riguardante la struttura dei cor- 
puscoli di Pacini, comparso sui Folia Neurobiologica (Dogiel, A. S. 
SATUS Frage über den Bau der Kapseln der Vater-Pacinischen und 
Herbstschen Kórperchen und über das Verhalten der Blutgefäße zu 
denselben. — Folia Neurobiologiea, IV, 1910, pag. 218.) 

Le mie conclusioni concordano sostanzialmente con quelle di 
Dogiel: ‘però su due punti desidero richiamare ancora l'attenzione. 
Dogiel esclude l'esistenza di fibre elastiche nell'involucro connettivale 
dei corpuscoli Pacinici: a me invece le fibre elastiche resultarono 
presenti, sebbene poco numerose e molto delicate, nelle lamelle più 
esterne, Nella mia descrizione, io ho fatto rilevare la grande affinità 
di struttura che esiste fra le lamelle più esterne dei corpuscoli di 
Pacini e le lamelle che costituiscono il perineurium, specie dei piccoli 


Contributo allo studio del connettivo lamellare. 201 


tronchi: mi sembra anche logico ammettere che queste lamelle più 
esterne, insieme agli altri caratteri del perineurium, presentino pure 
quello di esser fornite di fibre elastiche. — L’altro punto, si riferisce 
agli elementi cellulari che si rinvengono negli spazi interlamellari; 
elementi dei quali alcuni, secondo Dogiel, sono leucociti, altri ,,cellule 
capsulari dislocate‘. Con ogni verosimiglianza le forme così designate, 
debbono interpetrarsi come clasmatociti, dei quali io ho rilevato la 
presenza in notevole numero, negli spazi intercapsulari dei corpuscoli 
Pacinici dell’uomo. | 


197 


Bibliografia. 


Kolmer, W., Über das Verhalten der Neurofibrillen an der Peripherie. Anat. 
Anz. Bd. XXVI. Heft 20, 21. 1905. 

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Anz. Bd. XXVII. Heft 16, 17. 1905. 

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Menschen und der Säugetiere usw. Anat. Anz. Bd. XXVII. Heft 45. 1905. 

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TEAM UOTE 

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—, Arch. f. mikr. Anat. Bd. IV. 1868. 


20. 


Serafino d’Antona, Contributo allo studio del connettivo lamellare. 293 


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Ranvier, L., Recherches sur l'histologie et la physiologie des Nerfs. Arch. 
de Physiol. norm, et pathol. 1871—1872. 

Key, A., und Retzius, G., Studien in der Anatomie des Nervensystems. 
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—, L’eidizione originale svedese era stata pubblicata fin dal settembre 1872 
nel „Nordiskt medismiskt arkiv*. 

Ruffini, A., Op. cit. 

Retzius, G., Was ist die Henle'sche Scheide? Anat. Anz. Bd. XV. 1898. 

Rénaut, J., Traité d'histologie pratique. Paris 1899. 

Guerrini, G., Contributo alla conoscenza dell'anatomia minuta dei nervi. 
Anat. Anz. Bd. XV. 1898. 


Fig. 1 
Fig. 2. 
Fig. 3 
Fig. 4 
Fig. 5 
Fig. 6 
ipu 
Fig. 8 
Fig. 9 
Fig. 10. 


Spiegazione delle figure. 


Sezione longitudinale di un corpuscolo di Pacini. Fiss. Zenker.  Color.: 
Ematossilina ferrica (Weigert) e liquido di v. Gieson. Koristka ob. 9, 
oc. comp. 4. 

Sezione longitudinale di un corpuscolo di Pacini. Fiss. formolo. Color.: 
Ematossilina ferrica e v. Gieson. Koristka ob. 9, oc. comp. 4. 
Sezione longitudinale di un corpuscolo di Pacini. Mostra la disposizione 
delle fibrille intorno agli spazi chiari che indicano la posizione delle 
cellule. Paragona alla figura precedente. Fiss. formolo. Color.: Biel- 
schowsky-Levi. Koristka ob. imm. omog. */,,, oc. comp. 8. 

Porzione del reticolo dei corpuscoli di Pacini, Fiss. formolo. Color.: Biel- 
schowsky-Levi. Koristka ob. imm. omog. 1/,,, oc. comp. 4. 

Sezione trasversale di una clava centrale: insieme alla clava si scorge un 
vaso che la circonda a spirale. Fiss. formolo. Color.: Ematossilina ferrica 
e v. Gieson. Koristka ob. imm. omog. 4/,;, oc. comp. 4. 

Sezione trasversale di una clava centrale e delle lamine più interne. 
Fiss. formolo. Color.: Bielschowsky-Levi. Koristka ob. imm. omog. '/. 
oc. comp. 4. 

Sezione trasversale di una piccola diramazione dei nervi collaterali delle 
dita. Fiss. formolo. Color. Bielschowsky-Levi. Koristka ob. imm. omog. 
1/,,. oc. comp. 4. Alcune fibre nervose hanno assunto un tono violetto. 
Sezione trasversale e un po obliqua di un nervo collaterale delle dita. 
Fiss. formolo. Color.: Bielschowsky-Levi. Koristka ob. 9, oc. comp. 4. 
Clasmatociti dei corpuscoli di Pacini. Fiss. alcool assoluto. Color.: bleu 
poncromo di Unna Koristka ob. imm. omog. !/;;, oc. comp. 8. 
Clasmatociti dei corpuscoli di Pacini. Fiss. alcool assoluto. Color.: 
ematossilina ferrica eosina. Koristka ob. imm. omog. ‘/;;. oc. comp. 8. 


\ 


Referate 


von 


Fr. Kopsch. 


J. Sobotta. Atlas und Lehrbuch der Histologie und mikroskopischen 
Anatomie des Menschen. IL, vermehrte und verbesserte Auflage. 
Mit 400 zum grössten Teil mehrfarbigen Abbildungen. 307 Seiten. 
8°. München 1911. Lehmann. Geb. M. 24.—. 


Das Buch ist, wie der Autor im Vorwort sagt, in so durchgreifender Weise 
verändert worden, dass es kaum mehr als eine neue Auflage des alten Buches 
bezeichnet werden kann. Es hat sowohl im Text wie in den Figuren eine so weit- 
gehende Ausgestaltung erfahren, dass es fast als ein völlig neues Werk betrachtet 
werden muss. 

Der Text ist von dem Umfange eines kleinen Grundrisses, wie es die I. Auflage 
war, zu dem eines kurzen Lehrbuches angewachsen. Neu hinzugekommen ist ein 
Kapitel über das Mikroskop und seine Anwendung sowie über mikroskopische Technik. 

Jedes Präparat ist m der Regel dreimal dargestellt, bei schwacher, bei 
mittlerer, bei starker Vergrösserung. 

Ganz besonders wertvoll ist die Tatsache, dass möglichst viele Präparate vom 
Menschen dargestellt werden. Darin stimmen wohl alle Anatomen überein, dass 
sowohl im histologischen Kurs wie im Lehrbuch so viel als möglich menschliches 
Material zu benutzen ist. Der Studierende der Medizin soll den Bau des Menschen 
kennen lernen. 

Die technische Ausführung der Figuren ist ausserordentlich gut. 


Rudolf Krause. Kursus der normalen Histologie. Ein Leitfaden 
für den praktischen Unterricht in der Histologie und mikro- 
skopischen Anatomie Mit 30 Figuren im Text und 208 mehr- 
farbigen Abbildungen auf 98 Tafeln nach Originalzeichnungen des 
Verfassers. Berlin und Wien 1911. Urban und Schwarzenberg. 
441 Seiten. 8° M. 20.—, geb. M. 22.50. 


Ein interessanter Versuch ist das Buch von R. Krause. Es ist ein Leit- 
faden für einen mikroskopischen Kurs, dessen Durchführung und Handhabung 
abweichend ist von der jetzt meist verbreiteten Art der Handhabung des mikro- 


296 Referate. 


skopischen Kurses, Krause erstrebt, dass der Studierende die grosse Mehrzahl 
der Präparate selbst anfertigen soll mit Hilfe der Gefriertechnik und hält es für 
möglich, dass jeder Kursteilnehmer im Laufe des Semesters die ganze Methodik 
der Celloidin- und Paraffineinbettung von Anfang bis zu Ende wenigstens einmal 
durchmacht. Im übrigen sollen ungefärbte Paraffinschnitte auf Glimmerplatten 
gegeben und von den Studierenden selbst gefärbt werden. 

Nach diesen Grundsätzen sind die Präparate angefertigt, welche in dem Buch 
abgebildet und beschrieben sind. Die Figuren, in Autotypie hergestellt, befinden 
sich zum grössten Teil auf Tafeln. Der dazugehörige Text ist jeder Tafel voran- 
gestellt, er erläutert die Technik und gibt eine kurze Beschreibung des Präparates. 


Edward A. Schäfer. Die Funktionen des Gehirnanhanges (Hypo- 
physis cerebri) Gastvortrag gehalten am 23. Mai 1910 in der 
Aula der Hochschule zu Bern. 8°. 39 Seiten. 12 Figuren. 
Verlag von Max Drechsel. Bern 1911. 


Schäfer fasst die Ergebnisse am Schlusse der Darstellung zusammen 
wie folgt: 

Die Hypophyse besteht aus einem vorderen Teil, bestehend aus Epithelzellen, 
einem Zwischenteil, welcher Kolloid absondert, einem nervösen Teil, welcher nur 
aus Neuroglia besteht, aber von der Kolloidsubstanz des Zwischenteils durchsetzt 
ist, welche durch ihn in das Infundibulum und in den dritten Ventrikel gelangt. 
Die Funktion dieser drei Teile ist verschieden. Die Funktion des vorderen Teils 
steht wahrscheinlich in Beziehung zum Wachstum des Skeletes, die Funktion des 
Zwischenteils besteht in der Erzeugung von Kolloid, welches durch die in ihm 
enthaltenen Substanzen auf das Herz, die Blutgefässe und die Nieren wirkt. Es 
gibt wahrscheinlich mehrere solcher Substanzen (Hormone), welche auf Blutgefässe 
und Nieren unabhängig und auch wohl antagonistisch wirken, so dass je nach 
Umständen der Blutdruck steigen oder fallen, die Harnabsonderung vermindert 
oder vermehrt sein kann. 

Tiere, denen die Hypophyse entfernt ist, sterben nach wenigen Tagen. Akro- 
megalie und Riesenwachstum scheinen die Folge von vermehrter Funktion des 
vorderen Lappens zu sein. Tiere, welche mit Zwischenteil oder hinterem Lappen 
gefüttert werden, scheiden eine grössere Menge Urin ab. Ähnlich wirkt die Trans- 
plantation der Drüse, doch dauert die Harnvermehrung nur kurze Zeit, weil das 
implantierte Organ bald resorbiert wird. Der Wuchs von jungen Tieren, denen im 
Futter eine kleine Menge Hypophysensubstanz gegeben wird, scheint begünstigt zu 
werden, dasselbe scheint der Fall bei Transplantation der Drüse zu sein. 


Verlag von Georg Thieme in Leipzig. 


Soeben erschienen: 


Klinische Pathologie des Blutes 


nebst einer Methodik der Blutuntersuchungen und spe- 
ziellen Pathologie und Therapie der Bluterkrankungen. 
Von 


“Por Dr: E. a 
Berlin. i: 


- Mit 45 Abbildungen, 6 Tafeln in Farbendruck und | Tafel mit Mikrophotogrammen. 
Vierte, vollständig neu bearbeitete und vermehrte Auflage. 


| M. 30.—, Nnm 


Einführung in die Psychiatrie. 


Mit Berücksichtigung 
der Differentialdiagnose einzelner Geisteskrankheiten 


von 
Dr. Th. Becker. 
Vierte, vermehrte und veränderte Auflage. 
Geb. M. 4.—. 


: 
È 
S 
| 
| 


Einführung in die Neurologie 
Dr. Th. Beeker. 


-— — Mt 18 Abbildungen. === 
- Geb. M. 4.—. 


Kompendium 


der 


| Kinderheilkunde 


von 


San.-Rat Dr. Paul Berwald, 


Dirig. Arzt am St. Anna-Kinder-Hospital, Schwerin i. M. 
: Geb. M. 6.—. 


Verlag von Georg Thieme in Leipzig. 


‚Soeben erschienen: 


Die Zeugung beim Menschen. 


Eine wo Studie aus der oo 


von 


Dr. med. Hermann Rohleder, 


Spezialarzt für Sexualleiden in Leipzig. 


Mit Anhang: 
Die künstliche Zeugung (Befruchtung). | 
beim Menschen. | 


M.7.—. 


Die Technik der Salvarsanbehandlung. 


von 


Prof. E. Tomasezewski, 
Berlin. . 


{3 


Mit einem Vorwort von Geh. Rat Prof. E. Lesser. 
Mit 7 Abbildungen. 
M. 1.20. 


Die Behandlung der Soie | 
mit dem Ehrlichschen Präparat 606. | 


Verhandlungen auf der 82. Versammlung 
Deutscher Naturforscher und Aerzte in Königsberg, 1910. 


(Sonderabdruck aus Deutsche Medizinische Wochenschrift.) | 
M. 1.60. 


Die ärztliche Beeinflussung des Kranken. 
Ein Versuch | 4 


von 
Sanitátsrat Dr. M. Bresgen, 
Wiesbaden. 
M. 1.50. 


e Diesem Hefte liegt ein Prospekt der Verlagsbuchhandlung | 


Urban & Schwarzenberg in Berlin und Wien betr.: ,Kursus der normalen | DE 
. | Histologie. Ein Leitfaden für den praktischen Unterricht in der Histologie E 
| und mikroskopischen Anatomie von Rud. Krause“ bei. "2g 


Richerd Hahn (H. Otto), Leipzig. 


pale Monatsschrift | 


für 


Anatomie und H 


: GAMA 


ysiologie. 


DE Lh 


. Herausgegeben 


Ure 


E. A. Schäfer ae L. Testut 
in Bäinburg se} $ “in Lyon 


und ; 
Fr. Kopsch 
in Berlin. - 
Band XXVIII. Heft 10/12. 


LEIPZIG 1911 


t Verlag von Georg Thieme. 


Inhalt. 


d "seite : 
E. T. Bell, The Interstitial Granules of Striated Muscle and their Relation E 
to Nutrition, (With Plate XVDE 20.27 200 


Dr. Bernardino Lunghetti, Sopra un. pulcino mena at 200 ore "ui E 
sviluppo. ((&ox: 6 Fig.) CL) lu . . - . . 948 4 


Prof. Dr. J. Boeke, Beiträge zur Kenntnis der motorischen Neryenendiennden j 
(Mit 4 Figuren im Text und mit 56 Figuren auf Tafel XVII/XXIID) . 377 3 
Fr. Kopsch, Referat... ne TER n E ARE : 


Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsützen 50 Sonderabdrücke frei, 1 
eine grössere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise. « 
Frankierte Einsendungen in lateinischer, französischer, italienischer, englischer oder ^ 
deutscher Sprache für die „Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physio- ^ 
logie“ werden direkt an die Redaktion: Prof. Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdorf bei Berlin, M 
Prinzregentenstr. 59, erbeten. ; 


Reprints. Contributors desiring more than 50 extra copies of their articles 3 
can obtain them at reasonable rates by application to the publisher Georg Thieme, © 
Leipzig, Rabensteinplatz 2, Germany. i 


Contributions (French, English, German, Italian or Latin) should be sent to È 
the associate editors or to the editor Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdorf by Berlin, Prinz- 4 
regentenstr. 59. E 


4 
Avis. Les auteurs des mémoires insérés dans ce journal qui désireront plus de | 
50 tirages à part de leurs articles, les obtiendront à des prix modérés en s'adressant | 
a M. Georg Thieme, libraire-éditeur, Leipzig, Rabensteinplatz 2, Allemagne. | 

Les articles écrits en allemand, en anglais, en frangais, en italien ou en latin 
doivent être adressés à l’un des Professeurs qui publient le journal, ou à M. Fr. Kopsch | 
à Wilmersdorf près de Berlin, Prinzregentenstr. 59. 5i 


Die bisher erschienenen Bände kosten: 


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SAXIV ee ree 48.30. 


Bd. I—XXV Pied M. 1706.30 nur M. 1200.— bar. 


The Interstitial Granules of Striated Muscle and their 
Relation to Nutrition. 
By 
E. T. Bell, 


From the Anatomical Laboratory), University of Missouri. 


(With Plate XVI.) 


The term “interstitial granule’ was introduced by Kölliker in 1857, 
and was applied by him to the granules in striated muscle between the 
fibrillae. Kölliker distinguished "true" interstitial granules from fat 
droplets, but stated that the fat droplets were probably metamor- 
phosed granules. Various views as to the origin, chemistry, and signifi- 
cance of the granules are to be found in the literature. A majority of 
observers seem to believe that they represent some form of reserve food 
substance; but others regard them as products of destructive metab- 
olism. "They have been described in some instances as purely albumi- 
nous, in others as purely fatty. It is probable that some interstitial 
granules are artefacts produced by the fixatives employed. Some of 
the confusion in regard to the granules is due to the fact that certain 
granules of insect muscle are widely different chemically from those 
oceurring in vertebrate muscle. 

Among the unsettled questions in connection with this problem 
are: What is the chemical composition of the granules? Does their 
composition vary in different species, or in the individuals of the same 
species? Does their number, size, or composition depend upon the nu- 

7) The Department of Anatomy is cooperating with the Agricultural Experi- 


ment Station in a study of the process of fattening. This is the third of a.series 
of papers. 


298 E. T. Bell, 


tritive plane of the animal? What is the exact genetic relation (if any) 
between Kölliker’s true interstitial granules and fat droplets? Are 
similar granules to be found in other tissues than muscle? What is the 
ultimate significance of the granules? Are they stored food substances ? 
Are they purely metaplasmic substances, or are they cell organs? Are 
Altmann’s interstitial granules identical with those described by other 
observers ? 

This paper is presented with the hope that it will partially answer 
some of the above questions. It is believed that the methods of investiga- 
tion employed, if adopted by other ober vers, will bring out much more 
information in regard to the interstitial granules. In order to make a 
complete presentation of the subject, it has been found necessary to 
repeat a little from the preliminary paper (Bell, 1910) of which this 
article is a continuation. 

In this paper the term “interstitial granule’ will be employed as a 
general term to designate any granule, of whatever nature, occurring 
in the sarcoplasm between the fibrils. Any interstitial granule composed 
wholly or in part of fatty substances will be called a “liposome”. 

Review of the literature‘). The interstitial granules of striated muscle 
were mentioned in 1841 by Henle, who called attention to their insol- 
ubility in acetic acid. In 1846 Lebert and Robin mentioned fine gran- 
ules between the fibrillae in the muscle fibers of some invertebrates. 
The granules were seen by Kolliker in 1850. 

Aubert [1853] figured and gave a brief description of the granules 
in the thoracic muscles of insects. He states that they are to be seen 
only in fresh muscle, that they often form regular rows, and that they 
are not dissolved by acetic acid. 

The first complete description of the granules was given by Kol- 
liker [1857]. He described and figured clearly rows of granules in frog 
muscle. The fat droplets in frog muscle come from the pale interstitial 
granules. As to solubility the granules in frog muscle are not very different 


7) It is not claimed that this review is complete. Some contributions may 
have been omitted where the titles of the papers were not suggestive of the sub- 
Ject in question. It has not seemed advisable to give all of the literature in . 
connection with some of the secondary topics discussed in this paper. 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 299 


from the contractile substance, being more difficultly soluble in caustic 
alkali and more readily soluble in acetic acid than the latter. Boiling in 
5 to 10 per cent potassium hydroxide for some time dissolves the gran- 
ules. In cold acetic acid, dilute or strong, they are visible for several 
days as threads between the fibrillae. In water, alcohol, or ether the 
granules are not dissolved by long boiling, with the exception of the dark 
fat-like forms which disappear in ether at least. The interstitial granules 
are of very general distribution. In mammals they are delicate and pale 
and are best seen when they are fatty. The granules seem to arise by a 
direct degeneration of the fibrillae, which is however a part of the normal 
metabolism of the fiber. Kölliker admits that the considerable resis- 
tance of the granules to chemical agents is against this view that they 
are destructive products of the muscle substance, but nevertheless 
accepts this as the most probable explanation. 

Krause [1873] states that the interstitial granules lie mainly in the 
isotropic band, or are at least most readily visible there. In some in- 
stances (especially flies in winter and ‘‘Maikafer” in June) they are very 
numerous and become arranged in a row om either side of Krause’s mem- 
brane, forming the “Nebenscheiben”. The granules are resistent to 
alkalies and acids and blacken with osmic acid. Thelare destructive 
products of muscle metabolism. 

Knoll (1880— 1881). describes the interstitial granules in the heart 
muscle of pigeons. When examined in normal salt solution the 
muscle fibers are seen to be full of droplets, some of which are 
weakly-refractive and some strongly-refractive. After treatment of 
the tissue with dilute acetic acid or sodium hydroxid, the weakly- 
refractive droplets are harder to see but the others are not affect- 
ed. Practically all the granules disappear after treatment of the 
tissue two days in absolute alcohol and one day in ether. -The 
strongly-refractive droplets are true fat droplets; the weakly-refrac- 
tive droplets are Kölliker’s interstitial granules. The latter are 
different from the true fat droplets but stand in genetic conti- 
nuity with them. The weakly-refractive droplets give a weak 
color with osmic acid and may be composed of lecithin. 

Kölliker [1888] ‘describes the interstitial granules in the wing 


= 


300 E. T. Bell, 


muscles of insects. He gives figures of muscle fibers from Dytiscus and 
the humble bee (drawn in one-half per cent sodium chlorid) showing the 
rows of large interstitial granules. The figures show that these large 
granules are all apparently in the Q-band. He states that 
chemically the granules are unlike any known substance. They 
consist of a soft substance, since they swell in water and shrink 
in alcohol; but they are very difficultly soluble. In water they 
swell markedly to form vesicles with a delicate but distinct wall, the 
contents collecting as a cresent on one side and undergoing partial 
solution. Dilute acids and alkalies cause the granules to swell and 
fade but do not dissolve them. Alcohol, ether, gastric juice, and trypsin 
have little effect. The granules were dissolved only by boiling the musele 
with concentrated potassium hydroxid, and treatment 24 hours with 
cold concentrated nitric acid. Besides these typical granules there 
occur in the wing muscles of insects also true fat droplets which appear 
as dark refractive droplets after the addition of acids or alkalies, and 
dissolve in ether. Usually the fat droplets are few but cases occur, 
especially it seems in animals kept a long time in the room (Dytiscus), 
in which they are present in unusual numbers and the typical granules 
are few or absent. The fat droplets in the fibers are to be regarded as 
food material. 

Kölliker [1889] figures and describes the interstitial granules of 
vertebrates and insects. They are present in all classes of vertebrates 
and insects, sometines in enormous numbers. They probably change 
into the long-known dark (fat ?) droplets of certain animals (winter frog, 
certain muscles of fishes). 

Retzius [1890] describes the interstitial granules (which he calls 
sarcosomes) in both vertebrate and invertebrate muscle as specific 
constituents of the sarcoplasm, not identical with fat droplets. He 
agrees with Krause that the ‘“‘Nebenscheibe”’ is formed by a row of 
interstitial granules. The granules are often connected by delicate 
threads. In vertebrates the granules have a difinite relation to Krause’s 
membrane. 

Knoll [1891] published an extensive paper in which the distribution 
of the dark and light muscle fibers in various vertebrates is given in 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 301 


considerable detail. The dark fibers contain a relatively large amount 
of sarcoplasm in which the interstitial granules are embedded. The 
light fibers have very much less sarcoplasm. In animals that have 
muscles of different color, the red muscles are composed mainly of dark 
fibers; the pale muscles, of light fibers. Im some birds (Gallus, Meleagris, 
and Phasianus) the breast muscles are pale, and the muscles of the 
lower extremities are red. In other birds the breast muscles are redder. 
The leg muscles of wading birds are rich in dark fibers, as is also the 
heart musculature of all birds. Among mammals there are more dark 
fibers in the ox and sheep than in the calf and lamb. In the rabbit, asin 
other mammals, the heart muscle, diaphragm, intercostals, and outer 
eye muscles are red. In the guinea pig the superficial muscle layers of 
the extremities are pale; the deep layers are red. In the dog, cat, and bat 
the muscles are generally red —there are no pronounced differences of 
color. The degree of color in a muscle is not always in proportion to the 
amount of droplets in its fibers. The following muscles are composed 
mainly of dark fibers: the heart musculature of all animals; the muscles 
of mastication in mollusks, fishes, reptiles, and mammals; the respira- 
tory muscles of amphibians, reptiles, and mammals; the outer eye 
muscles. Judging from this distribution, Knoll expresses the view that 
in general the most active muscles are the ones composed mainly of 
dark fibers. He believes that age and domestication are factors that 
have some influence in determining the proportion of the dark and 
light fibers. Muscles that have come into disuse, as the breast muscles 
of the domesticated fowls, are pale. Older animals seem to have more 
dark fibers than younger ones. He finds no constant relation between the 
rapidity of contraction and the amount of droplets in the muscle fiber. 

As to the composition of the interstitial granules, Knoll states 
that the strongly-refractive granules consist entirely of fat; the 
weakly-refractive granules have a fatty marginal layer which stains 
with osmic acid, and a central part which may be lecithin. The weakly- 
refractive granules swell in water and stain intensely with gold chlorid. 
Many transitions between the two types of granules occur. Knoll appar- 
ently believed that the formation of fat in the fiber is not a con- 
Structive process. 


302 E. T. Bell, 


Ballowitz [1892] studied the muscle fibers of Cephalopoda. He 
states that the interstitial granules are neither fat nor glycogen, but 
probably consist of protaplasm different from that of the rest of the 
fiber. 

Schaffer’s paper [1893] is an extensive description of the dark and 
light fibers in the various muscles of vertebrates. The granules are not 
regarded as fat droplets except in those cases where they may be 
blackened with osmic acid. He states that differences in the opacity 
of the fibers are not all due to differences in the content of interstitial 
sranules. Contracted portions of a fiber appear as light fibers in fresh 
preparations, and as dark fibers in fixed and stained preparations. 

Altmann [1894] figures and describes rows of fuchsinophile gran- 
ules between the fibrils in the muscle fibers of the frog, the tadpole, 
and the wing muscle of Dytiscus. 

Galeotti [1895] describes fuchsinophile granules in the muscles of 
amphibians (Spelerpes). Fuchsinophile granules are present in the 
muscle fibers of the young larvae of Triton. He believes that the gran- 
ules are formed from the yolk droplets and that they are metabolic 
products of the fiber. 

Whether the fuchsinophile granules described by Altmann and others 
are identical with the interstitial granules of other observers will be 
discussed later. 

Walbaum [1899] finds fat droplets in varying quantity in the muscle 
fibers of children in about two-thirds of the cases examined. The fat 
content of the fibers bears no relation to the nutritive condition. Sec- 
tions of formalin-fixed tissue were stained in sudan III to demonstrate 
the fat. He notes that decidedly fewer droplets are stained than can 
be seen in the fresh material. He evidently failed to stain a consider- 
able proportion of the interstitial eranules. 

Ricker and Ellenbeck [1899] apparently found no fat at all in the 
muscle fibers of normal rabbits. Altmann’s fixative was used to demon- 
strate the fats. Evidently their results apply only to osmic-staining 
granules. 

Albrecht |1902—1903] finds small fat-like bodies (liposomes) in all 
cytoplasm. In this category belong the interstitial granules of muscle 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 303 


which stain sometimes red, sometimes blackish by Altmann’s granule 
method. The liposomes may be readily demonstrated by treating the 
fresh tissues with 5 per cent potassium hydroxid. After a few hours in this 
alkali, the liposomes show myelin figures. If muscle be removed asep- 
tically and kept in sterile normal salt solution 24 hours at body tem- 
perature, the interstitial granules may now be stained with neutral 
red and they show myelin figures. The term “myelin” is used by Al- 
brecht in a morphological sense, as it was used by Virchow. It is under- 
stood that it is not a definite chemical compound. Myelin swells mar- 
kedly in water to form peculiar characteristic figures — Myelin figures. 
It is readily soluble in alcohol, ether, benzene, etc. Myelin figures are 
usually readily stained by neutral red, and are colored a dark grey by 
osmic acid. It is not stated to what extent myelin figures are doubly- 
refractive, but apparently substances are identified as myelin whether 
this property is present or not?) 

Albrecht’s reasons for believing that the interstitial granules are 
composed of fat-like substances seem to be: 1. They are insoluble in potas- 
sium hydroxid. 2. They may be readily converted into a substance 
(myelin) that is readily soluble in ether, alcohol, benzene, etc., and 
may be stained a dark grey by osmic acid. He seems not to have tested 
the solubility of the interstitial granules in the fresh tissue; and he 
evidently regarded Altmann’s fuchsinophile granules as liposomes. 
No mention is made of insect muscle. 

Albrecht distinguishes *postmortem" myelin (substances in dead 
tissue yielding myelin figures) from “intravital” myelin (substances 
in living tissue yielding myelin figures). He seems certain that the 
changing of the liposomes into myelin is a process of saponification. He 
suggests that the postmortem myelin may be identical with lecithin. The 
liposomes consist of fat-like substances. 


1) Adami (Principles of Pathology, Vol. I) seems to identify myelin mainly by 
its property of forming doubly-refractive droplets. Adami and Aschoff have shown 
that certain compounds of oleic acid (cholesteryl oleate, cholin oleate, etc.) exhibit 
the properties of the so-called myelins. Droplets of these substances show the 
characteristic cross when examined in polarized light. But, as stated above, 
Albrecht does not make it clear to what extent his myelin is doubly-refractive, 
and he may have been dealing with substances considerably different from those . 
studied by Adami and Aschoff. 


304 E. T. Bell, 


Prenant [1904] states that there is no doubt that a large number of 
the interstitial granules, and in certain cases all of them, are of a fatty 
nature; but these fatty granules are certainly only a secondary condi- 
tion. The true interstitial granules have not the reactions of fat. They 
are corpuscles sui generis distinct from fat, and characteristic of the 
muscle cell. By their reactions they resemble a lecithin. In every case 
they are a chemical substance preparatory to fat!). 

Kemp and Hall [1907] did not find any fat in the muscle fibers of 
fattened beef cattle. Keinath [1904], however, found fat in the pectoral 
muscle fibers of a fattened ox. He examined only one adult animal. 
These results as well as my own earlier observations [1909] were appar- 
ently made on fixed material with weak stains, hence the liposomes 
were not shown. 

Holmgren [1907—1910| devotes considerable attention to the inter- 
stitial granules, particularly to those of insect muscle. The granules 
may be well shown in tissues fixed in osmic-bichromate and other 
osmic mixtures; but after fixation in Carnoy’s fluid (alcohol, chloroform, 
and acetic acid), they can be shown only in contracted fibers and not 
so well even there. In the wing muscles of insects and in the heart muscle 
of crustaceans and mammals, the granules correspond in position to the 
anisotropic segment (Q-granules); but in the skeletal muscles of insects 
and in general also in those of mammals, the granules correspond in 
position to the isotropic segment (J-granules) [1910, S. 306]. The fat 
droplets (stainable by osmic acid) in the wing muscles of insects tend 
to lie near Krause’s membrane. They are secondary metabolic products 
of the Q-granules. The entire Q-granule is not changed into fat except 
in special cases (Coleoptera in winter [1910, S. 282]. The appearance 
of the interstitial granules depends upon the phase of activity of the 
fiber. They undergo marked changes as the fiber passes from contrac- 
tion thru the resting stage back to contraction again. Stained prepara- 
tions of fibers in the "facultative" stage (the stage just preceding con- 
traction) show the granules large and pale and the fibrillae deeply 
stained. At the beginning of contraction the granules fade out but 


1) This is mainly a review by Prenant, and it is not clear to what extent 
it represents his own belief. 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 305 


begin to reappear in advanced contraction. In the resting stage follow- 
ing contraction the granules have all reappeared. At this stage the 
granules are intensely stained but the fibrillae are pale. A part of the 
content of the granules is used by the fibrillae during contraction. The 
phase of activity of the fiber may be determined from the appearance 
of the interstitial granules. The same changes (just described for in- 
sects) occur in the interstitial granules of mammalian muscle during 
contraction and relaxation, but the stages are somewhat harder to find 
than in insects. The large Q-granules of insects are similar to some of 
the gland granules described by Heidenhain. They increase by division | 
and do not come from the microsomes. Holmgren seems to believe that 
these granules are cell organs. 

Gutherz [1910] disagrees with Holmgren. He finds that during con- 
traction the muscle fibers merely become shorter and thicker. There 
is no change in the interstitial granules. He worked on the skeletal 
fibers of an insect (Hydrephilus piceus). 

Arnold [1909] studied the distribution of glycogen in the cross- 
striated muscle of the frog. Only a few frogs have muscles rich in gly- 
cogen. The glycogen is bound to the interstitial granules in the isotropic 
band. When a large quantity of glycogen is present it extends thru the 
Q-band. | 

Knoche [1909] finds that the large interstitial granules in the wing 
muscles of the fly (Musca) are composed of albuminous substances. He 
compares them to the crescent-shaped granules (Halbmondkörperchen) 
described by Heidenhain in the pelvic gland of Triton. The granules 
described are evidently the large Q-granules, tho their position is not 
stated. Knoche inclines to the view that the granules consist of a reserve 
food substance, but no substantial evidence is offered to support this 
opinion. 

Regaud and Favre [1909] assign a trophic function to the inter- 
stitial granules. They studied the muscle fibers of the tongue of a rabbit. 
The tissue was fixed in formalin-bichromate several days. 

In a previous paper (Bell, 1910) I have shown that the liposomes of 
the fresh striated muscles of vertebrates can all be stained more or 


less intensely with Herxheimer’s scarlet red. A large number of gran- 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 20 


306 E. T. Bell, 


ules not shown by any other fat stain are stained by this method. The 
sranules are nearly all completely dissolved by absolute alcohol and 
ether. Their solubility and staining reactions seem to afford good 
evidence that they are all composed wholly or in part of fats. Similar 
fatty granules may be demonstrated in almost all kinds of cytoplasm, 
but their number, size, and staining-intensity vary greatly!). 


Material. Muscle samples from a large number of animals have 
been studied. The animals used to the greatest extent were: rats, 
frogs, and cats. A considerable number of cattle and dogs have 
also been studied, as well as the wing muscles of a few moths and flies. 
Usually only a few muscles from each animal were examined, since 
variations in the number, size, etc. of the interstitial granules seems 
always to be uniform thruout the musculature. The muscles usually 
selected were the gastrocnemius, soleus, extensors of the thigh, psoas, 
and diaphragm; but other muscles were sometimes examined. The 
animals studied were on various planes of nutrition. Some were exceed- 
ingly fat, others were very emaciated. The majority, however, were 
in ordinary condition. 

Methods. The methods of staining have been fully explained in a 
previous paper (1910) to which the reader is referred for details. 


a) Fresh tissue. Fresh muscle was teased and examined in the 
tissue juices, or sometimes a little aqueous humor was added. This 
method shows all the more refractive granules readily; but it is usually 
difficult to see the faintly refractive ones. 

b) Normal salt solution and distilled water. Frozen sections or 
teased specimens were examined in these fluids. The granules, are 
shown somewhat more clearly than in the tissue juices. The large 
Q-granules of insect muscle are readily seen in water or salt solution, 
tho they are rather faintly-refractive. 

c) Potassium hydroxid. This was used in 1 to 5 per cent solutions. 
This clears the tissue so that most of the liposomes are very clearly 
shown. Interstitial granules that do not contain any fats, such as 


1) Some other papers will be reviewed later on in connection with special 
topics. 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 307 


the large Q-granules of insect muscle, are not shown in potassium 
hydroxid. Faintly-refraetive granules sometimes disappear rapidly, 
especially if the stronger solutions are used. In order to examine the 
faintly-refractive granules satisfactorily it is sometimes best to mount 
the specimen in distilled water and then draw a 1 per cent solution of 
the alkali slowly under the cover glass with a piece of filter paper- 
watching the specimen meanwhile with the high power. Very faint 
granules are sometimes visible only a short time. 

d) Osmic acid. I now use this in the form of Altmann’s solution 
(equal parts of 2 per cent osmic acid and 5 per cent potassium bichro- 
mate). A simple solution of osmic acid sometimes forms precipitates 
when tissues are exposed 24 hours or longer; but with Altmann’s solution 
this source of error is avoided. The solution was used mainly on frozen 
sections and on teased preparations, but some pieces of tissue were 
fixed and embedded in paraffin. A large proportion of the liposomes 
are not stained at all by this reagent. A great many are colored varying 
shades of brown, and only a small per cent are stained black. The 
degree of staining depends upon the species of the animal, its nutritive 
plane, etc. An exposure of 24 hours is required to get the full effect of 
the stain. The tissues to be embedded in paraffin were cleared in cedar 
oil—if xylol is used most of the brown granules are lost. Even when cedar 
oil is used many of the light brown granules are frequently lost. 

e) Simple alcoholic solutions of scarlet red or Sudan III. These 
are saturated solutions prepared by dissolving the dye in cold or boiling 
70 to 80 per cent alcohol. Very variable results have been obtained 
with these stains. At one time I regarded the solutions in cold alcohol 
as worthless; but I have lately obtained excellent results by using a 
large excess of scarlet red in 80 per cent alcohol (2 grams of the dye to 
100 ccm of 80 per cent alcohol). These solutions will often stain 
liposomes that are not colored by osmic acid. They are however never 
as good as the alkaline solutions since they do not clear up the tissue. 
(See appendix). 

f) Alkaline-alcoholic solution of scarlet red (Herxheimer’s stain). 
This is a very strong solution. When properly used it apparently stains 


all the interstitial granules in vertebrate muscle that are visible in fresh 
20* 


308 E. T. Bell, 


tissue. The granules are stained with varying degrees of intensity. It 
stains many granules not shown by other fat stains. It must 
however be used with caution to guard against precipitates. It is very 
essential that fresh tissues be used if allthe liposomes are to be shown. All 
the fixatives that have been tried affect the liposomes to a greater or 
lesser extent, sometimes removing all of them in a few hours. The 
method of staining is as follows: Small well-teased specimens of fresh 
tissue, or thin frozen sections are rinsed in 70 per cent alcohol about 
1 minute to remove the water. After 5 to 10 minutes in the stain, the 
specimen is removed with a needle and shaken in 70 per cent alcohol 
10 to 20 seconds to remove the excess of the stain. It is then quickly 
transferred to water to remove the alcohol.: After 2 or 3 minutes in 
water it may be mounted in glycerin. Specimens should always be 
mounted in water and potassium hydroxid for controls, at least until 
the technique is thoroly mastered. 

The dark and light fibers. A frozen section of fresh vertebrate 
muscle examined in normal salt solution!) usually shows two types of 
fibers, the so-called dark and light fibers. The differences are much 
better brought out if the section be stained with Herxheimer’s scarlet 
red (figs. 1—3 and 5). In general the dark fibers contain a number of 
coarse, strongly-refractive liposomes, and their protoplasm is stained 
to a considerable degree; the light fibers usually contain small, faintly- 
refractive liposomes, and their protoplasm is only faintly colored. The 
opacity of a dark fiber may be due to a large number of small liposomes. 
The number, size, and staining-properties of the liposomes depend upon 
the species of the animal, its nutritive condition, etc. In very emaciated 
animals nearly all differences between the dark and light fibers may have 
disappeared (figs. 2 and 7). All possible intermediate forms between 
typical dark and light fibers may often be found in the same muscle. 
It is more accurate to speak of dark, light, and intermediate fibers. 

The terms “dark” and “light” seem to have only a relative mean- 
ing. The darkest fibers of some animals, such as the adult ox (fig. 3), 
do not contain any coarse droplets. They correspond to the intermediate 


1) The dark and light fibers cannot be distinguished if the unstained specimen 
be mounted in alcohol or glycerin. 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 309 


fibers of animals like the cat. In some light fibers no liposomes at all 
can be demonstrated (fig. 3); in others a large number mav be shown 
(fig. 1). 

The opacity of a fiber when examined fresh in normal salt solution 
seems to depend on the number, size, and refractive power of its lipo- 
somes; but in sections that have been treated with a fixative differ- 
ences in opacity may be due to other factors. Schaffer apparently 
believes that a considerable number of the light fibers seen in normal 
salt solution may be contracted portions of dark fibers. I have not 
found any evidence to support this view. 

Under normal conditions the proportion of dark and lisht fibers 
is fairly constant in any particular muscle of animals of the same 
species, e. g., the soleus of a well-nourished rat nearly always contains 
a large per cent of dark fibers, and the gastrocnemius only a small 
per cent. Good accounts of the distribution of the dark and light fibers 
are given by Knoll and by Schaffer (see review of the literature). My 
own observations in so far as they extend are essentially in agreement 
with their results. In the brown rat (Mus decumanus) which has been 
used to a considerable extent in this research, the gastrocnemius con-. 
sists mainly of light fibers; the soleus contains a large per cent of dark 
and intermediate fibers. The diaphragm resembles the soleus. The 
cardiac fibers contain a large number of small liposomes that seldom 
stain intensely. These fibers resemble the intermediate fibers of the 
diaphragm and soleus, tho they are usually classified as dark fibers. 

In the adult ox (fig. 3) there are none of the coarse-droplet fibers | 
such as occur in the dog and cat. The darkest fibers are usually full of 
small moderately-refractive granules. In many of the pale fibers no 
interstitial eranules can be demonstrated. The granules are fewest and 
faintest in the panniculus muscle. No striking differences among the 
other muscles were noted. 

In the frog (R. pipiens was used to the grestest extent) the dark 
fibers are usually of smaller diameter than the light. The dark fibers 
contain coarse liposomes. Under certain conditions the light fibers are 
full of small liposomes (figs. 1 and 4), but wnder other conditions the 
liposomes may be so small and faint that they escape ordinary obser- 


310 E. T. Bell, 


vation (fig. 2). The well-known differences between the muscles 
of summer and winter frogs are due in part to differences in the nutritive 
condition. This point will be fully discussed later. 


As to the significance of the dark and light fibers, Knoll advanced 
the view that the activity of the muscle is a factor of importance—the 
most active muscles contain the largest percentage of dark fibers. Age 
and domestication have also been regarded as factors influencing the 
proportion of the dark fibers. 


It will be shown later on in this paper that the interstitial granules 
in some vertebrates at least are composed essentially of fats and that 
they are used up during inanition. They certainly represent a reserve 
food supply. We may therefore regard the dark fibers as fibers espec- 
ially adapted for the storage of fats, just as one hepatic cell or one con- 
nective tissue cell may be more adapted to store fat than another. In 
the frog the muscles are the main place for the storage of fat, since the 
fat body isthe only representative ofthe adipose tissue of other animals. It 
is easy to understand how in the course of evolution one species, e. g., 
the cat or the frog, may have come to use its muscles more as a place for 
the storage of fats than another species, e. g., the ox. 


The term “fat” is used in this paper in a general sense to 
include both true fats and lipoids. 

But it is more difficult to explain why one muscle of an animal should 
contain more fibers especially adapted for the storage of fat (dark fibers) 
than another muscle of the same animal. Knoll’s explanation does not 
seem satisfactory since it does not explain such differences as are found 
between the gastrocnemius and soleus of a rat, and a number of similar 
cases might be cited. I can only suggest that these may be accidental 
differences developed during evolution. 

There were no fibers comparable to the dark and light fibers of 
vertebrates in the muscles of the moths and flies examined; but I have 
made only a few observations on these animals. 

Position of the interstitial granules in the fiber. Few observers have 
treated this question in detail. All of course agree with Kölliker that 
the granules lie in the sarcoplasm between the fibrils. Krause stated 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 311 


that the granules lie mainly in the isotropic band, or that they are at 
least most readily visible there. In Kölliker’s figures of the wing 
muscle fibers of insects it is apparent that the granules correspond in 
position to the anisotropie segment, tho the author does not call atten- 
tion to this relation. Arnold describes the glycogen-holding granules in 
the skeletal muscles of the frog in the isotropic segment —J-granules. 
He figures the glycogen as extending thru the anisotropic segment 
when a large quantity is present. 

Holmgren (1910, S. 306) states that in the wing muscles of insects 
and in the heart muscle of crustaceans and mammals the interstitial 
granules correspond in position to the anisotropic segment (Q-granules); 
but that in the skeletal muscles of insects and in general also in those of 
mammals they lie in the isotropic segment (J-granules). A number 
of observers have noted that the granules are sometimes arranged in 
transverse as well as in longitudinal rows. 

It is easy to verify Holmgren’s observation on the wing muscles 
of insects. In the moth (Phlegethontius) and the fly (Musca), in June 
at least, it can readily be seen even in unstained preparations that the 
large granules occupy the Q-band; but in other muscles it is often 
difficult to determine the position of the granules. In the skeletal 
muscles of vertebrates, when the cross markings are wide and distinct, 
it can usually be seen that the granules occupy the J-band. But when 
the striations are narrow the granules seem to extend the entire distance 
between adjacent Krause’s membranes. Large granules nearly always 
lie partly at least in the Q-band. In many fibers the granules are 
arranged in distinct transverse rows, being apparently limited by 
Krause’s membrane. I have not been able to determine the position of 
the granules in cardiac muscle. 

It will be pointed out farther on that the large Q-granules of 
imsect muscle are chemically different from the granules of vertebrate 
muscle; but the observations are too few to warrant any general state- 
ment as to whether there are fundamentally any differences between 
Q-eranules and J-granules. 

Chemical composition of the interstitial granules. The observations 
of the various authors on this topic have been given in the review of the 


312 E. T. Bell, 


literature. Kölliker, in 1857, made a distinction between “true” intersti- 
tial granules and fat droplets. He stated that the true interstitial gran- 
ules are corpuscles peculiar to muscle and distinct from fat droplets, 
but expressed the view that the fat droplets are derived from the intersti- 
tial granules by metamorphosis. This apparently has been the pre- 
vailing belief since Kölliker’s publication. Knoll however stated that 
the strongly-refractive granules consist entirely of neutral fat, and that 
the weakly-refractive granules have a peripheral layer of neutral fat 
and a central core probably composed of lecithin. Some years later 
Albrecht came to the conclusion that the granules are composed of 
lipoid substances. Among those who have regarded the interstitial 
granules as distinct from fat droplets may be mentioned Retzius, 
Ballowitz, Prenant, Heidenhain, Holmgren, and Knoche. Prenant 
apparently believes that the granules are composed of a chemical 
substance preparatory to fat. Undoubtedly much of the disagreement 
in regard to the composition of the interstitial granules is due to the 
fact that observers have been dealing with different structures. The 
large Q-granules of insect muscle are not liposomes. In my judgment 
the fuchsinophile granules of Altmann are not liposomes. Some of 
Arnold’s plasmosomes and Retzius’ sarcosomes may be liposomes, but 
the majority of them are not. Knoll, Albrecht and Kölliker (1857) 
were dealing with liposomes. Holmgren, Knoche, and Kölliker (1888) 
were discussing the large Q-granules of insect muscle. 

Several methods have been employed to determine the composition 
of the granules: the study of a) their appearance in fresh tissues, 
b) their solubility, c) their behavior toward histological fixatives and 
stains, d) their behavior during inanition, e) the effect of special 
feeding on the granules. The evidence from each of these sources will 
be considered separately. 

a) The appearance of the interstitial granules in fresh tissue. It 
has been known for a long time that droplets of ordinary neutral fat 
are strongly-refractive when examined in the fresh tissue. As a rule it 
is conversely true that the strongly-refractive droplets to be seen in fresh 
tissue are of a fatty composition, but of course solubility and staining 
tests are necessary for a certain identification. Some tests were made 


| 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 313 


with a few fats to study the appearance of the droplets in aqueous 
solutions. Thin smears of ordinary connective tissue fat, olive oil, 
lecithin, and oleie acid were examined in water. The droplets in every 
case show a wide range in size but allofthem, however small, are strongly- 
refractive. 

The refractive index of the interstitial granules, however, varies 
greatly. Some are strongly-refractive; others are faintly refractive. 
All possible intermediate forms between the two extremes are often to 
be seen. In vertebrate muscle large granules are nearly always strongly- 
refractive, and as a rule the smaller granules are less refractive. But 
the refractive power does not depend merely upon size, since many 
small granules are strongly-refractive. 

The above tests with fat smears would lead us to expect that the 
strongly-refractive droplets in the tissues consist entirely of fats, and 
all the tests (to be given later) bear out this view; but the study of the 
fat smears also shows that the faintly refractive droplets in the tissues 
do not consist entirely of ordinary neutral fat, oleic acid, or lecithin, 
since all the droplets of these substances are strongly-refractive. 

Some evidence will be presented later to support the view that 
the refractive power of a granule depends upon the percentage of fat it 
contains. According to this view the same kind of fat may be present in 
both kinds of granules, but there is relatively less in those that are less 
refractive. 

All the liposomes except those that are very faintly-refractive 
may be seen when the fresh muscle is examined in aqueous humor or 
the tissue juices). The study of the fresh tissue shows us that these 
interstitial granules are not artefacts, and suggests their fatty nature. 
The differences in refractive power point to differences in chemical 
composition. | 

b) Solubility. Kölliker (1857) found that the solubility of the 
interstitial granules of frog muscle was not very different from that of 
the contractile substance. He states that the granules are somewhat 
more difficultly soluble in caustic alkali and more readily soluble in 


1) The fuchsinophile granules shown by Altmann in vertebrate muscle are not 
visible in the fresh tissue. 


314 E. T. Bell, 


acetic acid than the contractile substance. As to the large Q-granules 
in the wing muscles of insects he states (1887) that chemically they are 
unlike any known substance. He succeeded in dissolving them only by 
boiling the muscle with concentrated potassium hydroxid, and treat- 
ment twenty-four hours with cold concentrated nitric acid. Kölliker 
was sure that the "true" interstitial granules are not composed of fat, 
but he believed that the fat droplets are derived from them. He 
was evidently sometimes unanble to distinguish “true” interstitial granu- 
les from fat droplets (1889). He states definitely that the true inter- 
stitial granules of neither frogs nor insects are soluble in alcohol or ether. 

Several observers are in agreement with Kölliker that true inter- 
stitial granules are insoluble in alcohol and ether. Usually however 
they were not dealing with liposomes. 

Knoll [1880—1881] found that practically all the interstitial gran- 
ules of the heart muscle of pigeons disappear after treatment of the 
tissue two days in absolute alcohol and one day in ether. 

Holmgren |1907—1908| states that usually the interstitial granules 
cannot be shown if the tissues be fixed in Carnoy’s fluid (alcohol, 
chloroform, and acetic acid), except in contracted fibers. 

A large number of teased preparations and frozen sections of fresh 
muscle from various vertebrates have been treated with absolute alcohol. 
It has been invariably found that after a few hours extraction nothing 
can be shown in the tissue with any fat stain. Often a well teased 
Specimen or a thin section is completely extracted in ten or fifteen 
minutes. It seems certain that at least the stainable substance in the 
granules is completely dissolved by absolute alcohol in a very short 
time. If the tissue be examined in water or very dilute potassium 
hydroxid after the alcohol extraction, a few fibers are occasionally found 
in which shrunken remnants of a few granules are to be seen; but in 
the great majority of the fibers no trace of any of the granules is to be 
found. Nearly all the granules seem to be completely dissolved by ab- 
solute alcohol, but some of them may leave a small residue. 

It is possible that some of the remnants found after the alcohol 
extraction are portions of pigment granules. The relation of pigment 
granules to liposomes has not been determined. 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 315 


It seems certain that absolute alcohol dissolves the stainable 
portion of the granules-presumably the fatty portion. Whether the 
other constituent of the granules (if there be such) has been dissolved 
or is merely not visible cannot be determined. 

95 per cent alcohol is nearly as strong a solvent for the granules 
as absolute alcohol. It requires somewhat longer for a complete ex- 
traction. The solvent action of the weaker alcohols is very much less 
than that of absolute alcohol. 70 per cent alcohol does not have much 
effect on the strongly-refractive granules, but the faintly-refractive 
granules usually disappear after one to seven days exposure. 

To determine the effect of the alcohols, two or three thin frozen 
sections or very small teased specimens were put in several cubic centi- 
meters of the alcohol. The volume of the solvent was more than one 
hundred times that of the tissue. If a block of tissue be used the ex- 
traction is much slower and seldom complete. Kölliker does not state 
the strength of alcohol he used or the way the extraction was made. 
Possibly some of the facts just given will explain his negative results. 

The large Q-granules of the wing muscles of insects are not dis- 
solved by absolute alcohol. If the sections be examined in water after 
the alcohol treatment the granules are seen to be shrunken but none of 
them have disappeared. These granules are also insoluble in ether. 

Ether dissolves all the liposomes, but its action is much slower 
than that of absolute alcohol. Thin frozen sections or well-teased 
specimens must be used, and the ether should be changed two or three 
times. The ether penetrates very slowly. In teased fibers the peripheral 
granules disappear first-usually in two or three hours. An expo- 
sure of 24 hours or longer may be necessary to remove all the 
central granules. The extraction proceeds more rapidly if the specimens 
be first rinsed in 70 per cent alcohol to remove the excess of water. -The 
fact that the peripheral granules dissappear first and the central ones 
later indicates that the ether gradually penetrates the fiber and dis- 
solves the granules, and that they are not removed by autolysis. In 
many tissues the action of ether is much more rapid than the above 
account indicates. 

Other solvents. Chloroform and acetone were used on a few spec- 


316 i E. T. Bell, 


imens. These seem to dissolve the granules in 24 hours or less. Benzene 
and xyol do not penetrate the specimens well unless the water is first 
removed by absolute alcohol, and it is also necessary to wash the spec- 
imen with alcohol after extraction before it can be stained. For these 
reasons it is difficult to determine whether the granules were dissolved 
by the alcohol or by the benzene or xylol. 

Potassium hydroxid, 1 to 5 per cent. All the liposomes, except 
possibly those that are very faintly-refractive, are insoluble in this 
solution at least after exposure of a few hours. It is a valuable reagent 
for the study of the liposomes, since it clears the tissue and renders 
them visible. Very faintly-refractive liposomes may be seen for a few 
moments if a very dilute solution of potassium hydroxid be drawn 
slowly under the cover glass and the fiber be watched just as the alkali 
Strikes it. 

c) The effect of stains and fixatives. 1. Herxheimer's solution. 
This solution when properly employed will stain all the liposomes of 
vertebrate muscle, tho with varying degrees of intensity. The color it 
eives the granules varies from a bright red to an extremely faint reddish 
tinge. The more refractive a droplet appears in the fresh tissue the 
brighter is the red color given by this stain. Some very faintly-refractive 
eranules may be shown clearly tho they are barely visible in unstained 
preparations (Fig. 2). Some granules are stained faintly by this stain, 
but cannot be demonstrated by any other method. The large Q-gran- 
ules of the wing muscles of insects (in the few specimens studied) 
could not be stained at all by Herxheimer's or any other fat stain. 
These granules contain no fats. The fact that the interstitial granules 
of vertebrate muscle are soluble in alcohol and ether, may be stained 
with Herxheimer's solution, and are insoluble in potassium hydroxid 
is taken as proof that they consist entirely or in part of fats. 

What is the difference in the chemical composition of the granules 
that stain intensely and those that stain faintly? To determine this 
thin smears of oleic acid, lecithin, olive oil, and ordinary connective 
tissue fat were stained. All of these substances stain a bright red with 
Herxheimer's solution. 

Sodium oleate is a solid at ordinary temperatures. Since it is 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 317 


readily soluble in water it probably exists in aqueous mixture if present 
in the tissues. A thick paste was made with water and smears were 
stained with Herxheimer’s solution. Only a faint red is obtained. 

Palmitic and stearic acids are solids at room temperature. In the 
solid condition they are not stained by Herxheimer’s solution. If the 
staining be attempted at a temperature above the melting point of the 
fat, the fat is quickly dissolved by the warm 70 per cent alcohol which 
contains the Scarlet red. 70 per cent alcohol alone dissolves these fats 
rapidly when its temperature is high enough to melt them. 

It seems that fats that are solid at ordinary temperatures cannot 
be concerned directly in forming the stainable portion of the liposomes. 
All soaps and fatty acids may be excluded, because invariably negative 
tests were obtained with the methods of Benda, Fischler, and Klotz. 

The medullary sheaths of the nerve fibers stain a faint red with 
Herxheimer’s stain. Cerebrin, moistened with water, gives a similar 
color. I have not tested any other fats. Probably others may be 
found that stain faintly. However, the suggestion I offer to account 
for differences in intensity of staining among the granules is the same 
as that offered to explain differences in the refractive index, i. e., the 
differences are quantitative rather than qualitative. The deeply- 
staining granules contain a larger percentage of fats than those 
that stain less strongly. Some additional evidence supporting this 
view will be presented in connection with the inanition and feeding 
experiments. 

2. Simple alcoholic solutions of scarlet red and sudan III. The 
varying strength of these stains has already been discussed. A large 
excess of the dye (2grams to each 100 cc. of alcohol) seems to give the 
best results. These solutions often fail to stain a large number of faintly- 
refractive liposomes. The color given the liposomes is seldom as intense 
as that imparted by the alkaline solution. The alkaline solution has 
the additional advantage that it clears up the tissue and makes the 
granules much more readily visible. | 

There is, however, no good evidence to show that the alkaline 
solution will show fats qualitatively different from those brought 
out by the simple alcoholic stains. Both stains give essentially the same 


€ 


318 E. T. Bell, 


results on smears of ordinary connective tissue fat, olive oil, oleic acid, 
sodium oleate, medullary sheaths of nerve fibers, cerebrin, palmitic and 
stearic acids. The color obtained by the alkaline stain is usually a 
deeper red. The main difference between these stains seems to be 
in intensity of staining, such as is found between dilute and concen- 
trated haematoxylin. The alkaline solution is more highly saturated 
and gives up the dye more readily, as is shown by its greater tendency 
to form precipitates. It is to be expected then that it should be capable 
of detecting traces of fat that a weaker stain would miss. If it be true that 
the faintly-refractive liposomes contain a smaller proportion of fatty 
substances it is easy to understand how they are so frequently missed by 
the simple alcoholic solutions, but shown by the alkaline alcoholic stain. 

Both the simple and the alkaline-alcoholic solutions stain a large 
number of liposomes that are unaffected by osmic acid. They also color 
intensely the large fat droplets in the Harderian gland of the rabbit, 
tho these are not stained at all by osmic acid. 

3. Osmic. acid. Sometimes (some cats and dogs) a muscle is found 
in which this reagent will blacken every liposome that can be shown by 
any other method, but such instances are rare. Asa rule it fails to stain 
a large proportion of the liposomes. Faintly-refractive liposomes are 
usually not colored at all; but sometimes (as in the frog and rat) some 
of them may be stained a faint brown. The strongly-refractive liposomes 
are usually colored black; and those that are moderately-refractive 
may be stained varying shades of brown or grey. But muscles are often 
found (some young pups, rats, and cattle) containing a large number of 
moderately- or even strongly-refractive liposomes that are not stained 
at all by osmic acid. It is well known that the large fat droplets in the 
Harderian gland of the rabbit are not stained at all by osmic acid, tho 
they are intensely colored by scarlet red and sudan III. There are 
therefore fats that are not stained by osmic acid. 

What fats are stained by osmic acid? Altmann (1894) has shown 
that this substance is not a reagent for fats in general. He found that 
oleic acid and triolein are blackened by it, but that palmatin and stearin 
and their acids, lecithin, and solium oleate are colored only a light gray. 
Bucyrin does nov reduce osmic acid. 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 319 


Starke [1891, 1895] contended that palmatin and stearin are also 
blackened if the preparation de kept in 80 per cent alcohol for 24 hours 
after the osmic treatment. He called attention to a large number of 
sranules in the frog liver (Rana esculenta) that are colored brown by 
the direct osmic treatment, but change to black after the secondary 
treatment in alcohol. 

Handwerck [1898] admits the accuracy of Starke’s observations 
but does not agree with his interpretation of them. He finds that pure 
palmatin and stearin are not blackened at all by osmic acid even after 
the secondary treatment in alcohol. But some blackening may be ob- 
tained if a trace of olein be added to pure palmatin or stearin. Osmic 
acid is a very delicate reagent for oleic fat. The droplets in the tissues 
that stain brown by the direct osmie treatment owe their color to the 
presence of a small quantity of olein. 

Mulon [1904| agrees essentially with Handwerck. He states that 
the secondary blackening in alcohol cannot be obta ned w'th pure 
palmatin and stearin. His conclusions are: 1. All fat in the tissues that 
is blackened directly under the influence of osmic acid is composed for 
the most part of olein. 2. All fat in the tissues which turns yellow or 
. brown in osmic acid is composed for the most part of palmatin and 
stearin, but contains a small quantity of olein. It is poorly fixed by 
osmic acid and is therefore readily soluble in the essences after this 
reagent. Brown fat is apt to become black by the action of weak alcohol. 
3. Since lecithin is poor in olein it would belong to the group which 
stains brown. 

My own observations are in accord with those of Altmann. Finely 
sround palmitic and stearic acid were rubbed on cover glasses and 
stained over night in 1 per cent osmic acid. The particles are colored 
only a light grey. But it appeared possible that the fats were not blacken- 
ed because they were solid. Smears were therefore made of the melted 
fats and put in 1 per cent osmic acid at a temperature slightly above 
the melting point of the fat. The melted fats were exposed to the action 
of osmic acid in this way for about six hours. Some blackish spots may 
appear in the smear but nearly all of it remains a light grey. Droplets 
of oleic acid are stained intensely black by osmic acid solutions. 


390 E. T. Bell, 


It seems clear that the blackening or browning of liposomes in 
osmic acid is not due at all to palmitic or stearic fat. It has already been | 
pointed out that the crystals of palmitic and stearic acids are not stained 
by scarlet red or Sudan III. These fats, therefore do not form any part 
of the stainable substance in the liposomes. 

Altmann found that lecithin is colored macroscopically black but 
microscopically a light grey by osmic acid. Wlassak [1898] agrees 
essentially with Altmann. Microscopically he obtained a yellowish- 
brown color which changes to pure grey if left in water that is changed 
repeatedly. Wlassak states nevertheless that we are justified in attri- 
buting the blackening of medullary substances with osmic acid to the 
lecithin present, but his arguments for this point are not convincing. 
It can hardly be said that we know the exact chemical body in the medul- 
lary substance which reduces osmic acid. Aschoff [1909] believes that 
it is practically impossible to obtain pure lecithin, and if this view 
be correct the grey color obtained with osmic acid may be due to a 
trace of olein. 

My own observations on the staining of lecithin with osmic acid 
are in agreement with those of Altmann and Wlassak. But we cannot 
decide whether pure lecithin reduces osmic acid until we are assured 
that the lecithin used is free from olein. 

It has been known for a long time that osmic acid may be reduced 
by substances other than fat. It is known that several of the more 
readily oxidizable metals will reduce osmium from aqueous solutions. 
Azoulay (1895) states that osmic acid gives a black, brown-black, or violet 
blue (according to the quality and quantity of the substance present) 
with gall-nut, tannin, gallic and pyrogallic acids, hydroquinone, etc. 
Neubauer (1902) believes that osmic acid is not a reagent for fats 
but for substances having a double bond between the C- or CH-atoms. 

I have verified Azoulay’s observations with gallic and pyrogallic 
acids, and hydroquinone. The last named substance produces a blackish 
color, the two acids a violet-blue color immediately upon being brought 
in contact with osmic acid. It is however improbable that any of these 
substances are present in the liposomes. At the present time oleic acid 
and triolein are the only fats that are certainly known to reduce 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 321 


osmic acid; but that there are other fats is shown by the staining of 
the medullary substances. We cannot say that all osmic-staining fat 
is oleic acid or triolein. 

The intensity of the osmic stain varies from an intense black to a 
very faint gray. How is this to be explained? The most probable ex- 
planation seems to be the one suggested by Handwerck’s results. The 
intensity of the stain is in proportion to the percentage of oleic fat 
present. Droplets that stain brown or grey contain less oleic fat than 
those that stain black. But it is to be remembered that there may be 
other fats that can cause this color. 

There are a great many liposomes that cannot be stained at all by 
osmic acid. What is their composition? These liposomes are soluble in 
ether and absolute alcohol, and may be stained with scarlet red (at 
least with the alkaline solutions). They must therfore be regarded as 
composed of fatty substances. Altmann called attention to the large 
droplets in the Harderian gland of the rabbit that do not blacken in 
osmic acid. These stain intensely with scarlet red and sudan III, and 
are readily soluble in alcohol and ether. 

I have tested the muscle liposomes (not stainable with osmic acid) 
and the Harderian gland of the rabbit with the solutions of Benda and 
Klotz. The results were always negative showing the absence of fatty 
acids and soaps. It is also certain that these droplets cannot to any con- 
siderable extent consist of palmatin and stearin, since they do not form 
crystals when the temperature is reduced nearly to freezing. Palmatin 
and stearin would crystallize readily at room temperature since the 
melting point of each is far higher. Of course if the liposome contains 
a considerable amount of low-melting fat the higher melting fats may 
be held in solution. Altmann suggested that butyrin might compose 
the fat of the Harderian gland of the rabbit, since it is a low-melting 
fat and does not reduce osmic acid. All we can say at present of lipo- 
somes that do not reduce osmic acid is that they must consist mainly 
of some low-melting fat other than olein. 

In the light of the facts just given we cannot agree with Mulon 
that the droplets that stain grey or brown with osmic acid consist 


mainly of palmatin and stearin. It seems more probable that these 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 21 


322 E. T. Bell, 


liposomes contain a small amount of olein mixed with some low-melting 
fat that does not reduce osmic acid. 

Altmann believed that the droplets stained brown or grey with 
osmic acid consist of olein mixed with vital substances. In the case 
of faintly-refractive liposomes it seems probable that some ingredient 
other than fat is mixed with the olein. On theoretical grounds an albu- 
mino-lipoid seems probable. 

The extent to which osmic acid colors the liposomes is found to 
vary with the species of the animal. Nearly all cats and some dogs 
normally contain a large amount of osmic-staining fat in their muscle 
fibers; but six pups and two adult dogs were found in which none of 
the liposomes were colored at all by osmic acid. In the brown rat the 
coarse liposomes may often be stained brown or black; but in the adult 
ox it is seldom that any of the liposomes are colored at all. No osmic- 
staining fat was found in the muscles of the rabbit, but only two animals 
were examined. 

The nutritive condition is a factor of the greatest importance in 
some animals. If a wild rat (ordinary brown rat, Mus decumanus) be 
kept two days without food it loses about 20 per cent of its body weight, 
the liposomes are greatly reduced in size, and none of them can be 
stained at all with osmic acid. The liposomes of the rat are very sen- 
sitive to changes in the food supply, and this factor alone will account 
for the variations one finds in these animals. In the cat the staining- 
power of the liposomes is also reduced by hunger, but they are not 
nearly so sensitive as those of the rat. It is well known that the inter- 
stitial granules of the muscle of the winter frog may be stained by 
osmic acid, while those of the summer frog are not affected. 

Summarizing- our knowledge of osmic acid we may say: 1. Osmic 
acid is known to blacken oleic acid and triolein. It is not reduced by 
palmatin, stearin, butyrin (Altmann), or their acids, or by sodium 
oleate. It may stain lecithin a light grey-but this is not certain. It is 
reduced by the more readily oxidizable metals, tannin, gallic and 
pyrogallic acids, hydroquinone, etc. 2. Liposomes that stain black with 
osmic acid are probably composed mainly of olein. 3. Liposomes that 
are colored brown or grey probably contain some olein mixed with a 


The Interstitial Granules of Striated Muscle ete. 323 


low-melting fat. The faintly-refractive liposomes of this group may 
contain olein mixed with an albumino-lipoid. 4. Liposomes that do 
not stain at all in osmie acid consist mainly of some low-melting fat 
other than olein. 5. The extent to which osmic acid stains the lipo- 
somes depends upon the species of the animal, and its nutritive con- 
dition. 

4. Cupric acetate (Benda’s method). Benda [1900] found that 
erystals of fatty acid are colored a bright green by neutral cupric 
acetate. Fischler (1904) gave a modification of Benda’s method by 
which he claimed to be able to differentiate fatty acids from soaps in 
the tissues. Klotz (1906) states that Fischler’s method does not give an 
accurate differentiation between fatty acids and soaps. For the demon- 
stration of the fatty acids and soaps. Klotz recommends a mixture of 
cupric acetate, formalin, chromalum, and acetic acid. Klotz’ solution 
seems to give a brighter stain, at least on cover glass preparations of 
oleic acid and sodium oleate, than cupric acetate alone. A considerable 
number of muscle samples were treated with the above cupric acetate 
methods, but always with negative results. The conclusion is that the | 
liposomes do not contain either fatty acids or soaps. 

5. Neutral red and methylene blue. Schultze [1877| stained living 
frog and triton larvae in very dilute aqueous solutions of methylene 
blue. He obtained rows of blue granules in the muscle fibers which he 
stated were apparently identical with Kölliker’s interstitial granules. 
Arnold [1900] injected methylene blue into the dorsal lymph sac of a 
frog and found a few coarse blue granules in muscle fibers from the thigh. 

Albrecht found that the liposomes of fresh muscle are not stained 
by neutral red. But if the muscle be removed aseptically and kept in 
sterile normal salt solution 24 hours at body temperature, neutral red 
will stain the liposomes intensely. 

Cesa-Bianchi [1910] studied the renal cells of the white mouse 
immediately after death in a 1.25 per cent solution of sodium chlorid, 
lightly colored with neutral red. A large number of fine granules are 
shown in the central half of the cells which he regards as liposomes. 
The fact that the granules are shown by neutral red seems to be the 


only evidence offered to establish their identity as liposomes. 
21% 


324 .E. T. Bell, 


I have not succeeded in staining any granules in muscle with 
neutral red. In the kidney it is, however, easy to show a large number 
of neutral red granules. Free-hand sections were cut immediately after 


death and stained from a few minutes to one hour at 37° C in a 1: 10000 | 
solution. But the number, size, and arrangement of the granules shows 
that they cannot to any considerable extent correspond to the lipo- | 


somes. Some tubules, that contain only a few small liposomes, are 
shown full of coarse granules by neutral red. A great many liposomes 
are certainly not stained since they may be seen among the neutral red 


granules. The neutral red picture is also variable. The granules often | 


appear coarser after a long exposure than after a few minutes in the 
stain. It may be that some liposomes are stained by neutral red ; but 
to assume that all neutral red granules are liposomes, as Cesa-Bianchi 
apparently does, is entirely unwarranted. Neutral red does not seem 
to me to deserve a place among fat stains. I have not used methy- 
lene blue. 

Effect of fixatives. It was stated in my preliminary paper (1910) 
that a large part of the liposomes may be lost if the tissue be fixed 
first in formalin, alcohol, etc. Liposomes that stain intensely are only 
slightly affected as a rule by long exposure in formalin. The liposomes 
in the muscles of cats, and those of some dogs and frogs belong to this 
group. It is the weakly-stainine, faintly-refractive liposomes that suffer 
. most readily. The more refractive a liposome is, and the more intensely 
it stains, the greater is its resistance to formalin. A great many of 
the liposomes of ox muscle and also those of many rats, pups, ete., 
are lost after a few hours exposure in 10 per cent formalin, and every 
liposome often disappears after two or three days in this solution. The 
liposomes of a sucking pup (fig. 10) nearly all disappeared after one day 
in 10 per cent formalin. In some pups the liposomes are not much af- 
fected. 

In general the resistance of the liposomes to formalin may be 
judged from the intensity of their staining with Herxheimer's solution. 
The liposomes of a well-nourished cat stain intensely and are very 
resistant to formalin; but those of a somewhat emaciated cat (fig. 5) 
stain with only moderate intensity and are gradually removed by for- 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 325 


malin. Fig. 5 is a section of the soleus stained fresh in Herxheimer’s 
solution; Fig. 6 is a section of the same muscle similarly stained, after 
5 days in 10 per cent formalin. Most of the liposomes are lost. After 


ten days in this solution no liposomes could be demonstrated. 


It has been noted that liposomes staining either black or brown 
with osmic acid, such as those of the winter frog, are seldom affected 
by formalin. 

70 per cent alcohol has an effect essentially similar to that of 
formalin but somewhat less rapid. No fixative was found which 
preserves all the liposomes. 


The rapid action of the ordinay histological fixatives on the lipo- 
somes large ly explains the fact that so many observers have failed to 
find fat in the muscle fibers. 


The liposomes also largely disappear if the tissue be left 12 to 
24 hours in water. It has not been determined in what way the lipo- 
somes are removed by the fixatives. Probably their disappearance is 
due to autolysis. 

d) Effect of inanition on the liposomes. Morpurgo [1899] states that 
in pigeons starved to death the average diameter of the voluntary 
muscle fibers is reduced from 334 to 18.64 (about 68 per cent loss in 
volume); the cardiac fibers, from 9.2u to 6.5u (about 50 per cent loss 
in volume). I have made a few observations on the size of the fibers in 
| emaciated cats and rats. In extreme cases there is a loss of volume of 
lat least 50 per cent. 

Knoll [1880] found that the “true fat droplets” (the strongly- 
‘refractive granules) in the muscle fibers of pigeons are greatly reduced 
by starvation. : 

Knoll and Hauer [1892] studied the muscles of five pigeons after. 
{complete starvation (6 to 14 days). In physiological salt solution, only 
| weakly-refractive granules were to be seen. No granules were blackened 
by osmie acid. The granules were reduced in number — the reduction 
|being most marked in animals that lived longest. 

Statkewitch [1894] studied the tissues of a number of animals that 
had been starved to death. He noted that in fresh preparations of the 


326 E. T. Bell, 


voluntary muscle fibers there were never any refractive droplets to be 
seen, and that preparations fixed in Flemming’s fluid never contained 
any blackened granules. His observations were offered mainly to refute 
the claim made by a number of earlier writers that a fattv degeneration 
of muscle occurs during starvation. 


Miescher [1897] described a fatty degeneration of certain muscles 
of the Basel salmon during its hunger period which lasts six to twelve 
months. 

A number of earlier observers!) have stated that a fatty degeneration 
of muscle occurs during starvation. 


Walbaum [1899] states that in children there is no particular 
relation between the nutritive condition and the amount of fat in the 
muscle fibers. 

My own observations are based on experiments with a large 
number of rats, and several cats. The animals were kept without food 
for varying lengths of time. Water was not withheld. The fatness 
of the animal at the beginning of the experiment was always estimated, 
since a fat animal will live longer than a thin one. The percentage loss 
of body weight is a good index of the amount of connctive tissue fat 
and intramuscular fat when the initial condition of the animal is known. 
A rat lives without food only three or four days. The loss of body weight 
in complete starvation is usually 25 to 30 per cent. Of course thin ani- 
mals die before losing so much. If a little food be given each day a loss 
of over 40 per cent may sometimes be obtained. The loss of weight in 
the cat is very much slower than in the rat — these animals often endure 
starvation three weeks or longer. In every animal there is a gradual 
disappearance of the liposomes during inanition. As the animal loses 
weight the liposomes gradually become smaller and less refractive; 
and they also stain with decreasing intensity. The muscle fibers of a 
well-nourished cat are usually full of coarse deeply-staining droplets 
such as is shown in fig. 1, from the frog. After the animal has lost about 
20 per cent of the body weight, the liposomes are not nearly so refrac- 
tive and stain much less intensely with Herxheimer’s solution (fig. 5). 


1) See papers of Statkewitch and Knoll. 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 397 


They no longer stain with osmic acid. After a still greater loss of body 
weight only a few small faintly-refractive liposomes are to be seen 
(fig. 1) — these can be shown only with Herxheimer’s solution. 

In the rat there is a very rapid decrease in the number, size, re- 
fractive power, and staining-intensity of the liposomes. A well-fed rat 
may. contain a large number of strongly-refractive liposomes in its 
muscle fibers, manv of which may be stained with osmic acid. After 
a reduetion in the body weight of 15 to 20 per cent only a few faintly- 
refractive liposomes are usually left. After a reduction of 25 to 30 per 
cent, it is often found that no liposomes at all can be demonstrated. 
Every liposome has disappeared. 

During inanition the cardiac muscle fibers behave similarly to the 
dark fibers of skeletal muscle. In extreme emaciation no liposomes 
at all are to be found in the muscles of the rat. A few faintly-refractive 
liposomes were found in the most emaciated cats examined. 

It is noteworthy that the liposomes lose the power to reduce osmic 
acid some time before they disappear. They may be seen in fresh prep- 
arations and stained in Herxheimer’s solution long after the osmic 
reaction is negative. There is presumably an early loss of oleic fat. 

Moulton and Trowbridge [1909] have shown that the connective 
tissue fat of very fat beef animals contains a considerably greater per- 
centage of olein than that of very thin animals. In the connective tissue 
fat the olein is therefore removed to a greater extent than the other fats 
when the animal is put on low rations. 

The remarkable sensitiveness of the liposomes in rat muscle to 
the food supply undoubtedly accounts to a considerable extent for the 
large variations one finds in animals gathered at random. It will be 
shown, however, later that the quality of the food is a factor of almost 
as much importance as the quantity. A rat whose body weight has been 
reduced 25 to 30 per cent, may develop a large number of deeply- 
staining liposomes in its muscle fibers (if fed on a diet largely composed 
of fat meat) tho the body weight remains far below normal. 

There is, as has been shown, a marked difference in the number 
and character of the liposomes of a well-nourished normal animal and 
those of an emaciated animal; but the liposomes of an animal in ordinary 


328 E. T. Bell, 


condition may not differ essentially from those of a very fat individual. 
No particular differences were noted between the muscle liposomes 
of steers, in which the subeutaneous fatty layer was 6cm thick, and those 
of steers in which this laver was only 5 mm thick. It was also noted in 
rats and dogs that excessive amounts of connective tissue fat are not 
coordinated with excessive development of the liposomes. 

It is however clear from the above-described disappearance of 
the liposomes during inanition that they consist of some form of reserve 
food substance. This conclusion is in accord with the view that they 
consist of true fats or fat-like substances. The gradual decrease in the 
refractive power and staining-intensity of the liposomes indicates that 
the fats are mixed in the liposome with some substance other than fat. 

The seasonal changes that occur in the musculature of the frog 
are given separate consideration since they are not due to starvation 
tho they present a strikinglv similar picture. Fig.1 is from the gastroc- 
nemius of a frog (Rana pipiens) killed May 12, 1910. All the fibers are 
full of granules. The dark fibers may be distinguished by their coarser, 
more deeply-staining granules. All the large granules and many of 
the smaller ones may be stained with osmic acid-the intensity of the 
stain being greater on the larger droplets. Several other frogs Killed about 
the same time show the liposomes developed to about the same extent 
as shown in fig. 1. 

Some control frogs of this same group were kept in the labora- 
tory without food until June 14—33 days later. Fig. 2 shows a section 
of the gastrocnemius of one of these animals, stained with Herxheimer’s 
solution. The muscle fibers are much smaller than in the May specimen. 
This frog lost 20 per cent in weight during the 33 days. The liposomes 
are fewer, usually smaller, and they stain much less intensely. They 
are all faintly-refractive, and none of them can be stained with osmic 
acid. These changes were at first attributed to starvation; but it was 
found that frogs caught in the open showed a similar disappearance of 
the liposomes at this season. At the present time, Oct.1,1910, the lipo- 
somes have again become refractive and most of them stain brown with 
osmic acid. They are not nearly so large and deeply-staining, however, 
as those shown in fig. 1. 


The Interstitial Granules of Striated Musole etc. 329 


During the summer months, therefore, the liposomes fade out. In 
a fresh preparation faintly-refractive granules are visible in the dark 
fibers; but those in the light fibers can’t be seen without a stain (fig. 2). 
Here also, as in the emaciated cat and rat, the osmic-staining portion 
of the liposome has been removed; but the remaining part can be 
stained with Herxheimer’s solution. 

During the early autumn the liposomes gradually regain their 
staining power. The staining-intensity with Herxheimer’s solution 
increases. The power to reduce osmic acid reappears and gradually 
increases. 

The peculiar cycle of changes in the liposomes is presumably due 
to the feeding habits of the frog. The following explanation is offered. 
During the winter the frog hibernates. Fat is continually being formed 
in the muscle fibers, perhaps partly from the muscle substance. This 
fat is being used all the time to carry the animal thru the hibernating 
period. In the summer however when the frog begins to feed again, the 
formation of fat in the muscle ceases and the supply on hand is grad- 
ually used up. 

e) Effect of special feeding on the liposomes. 1. The frog. Some inte- 
resting results were obtained by feeding summer frogs on special rations. 
It has been pointed out above that in the summer months (June, July, 
and August) the muscle fibers contain very little fat. In a great many 
animals, in July and early August at least, no liposomes at all can be 
demonstrated in the light fibers, and those in the dark fibers are very 
small and faint and can only be stained with Herxheimer’s solution. 
Some young frogs were found in which no liposomes at all could be 
shown. It was found that when frogs in this condition were fed heavily 
on olive oil or fat meat for a few days the fibers become loaded with 
liposomes, giving a picture similar to that found in winter animals. 

To determine the condition of the muscle at the beginning of the 
experiment, a small piece of muscle from one gastrocnemius was 
removed and studied. Some typical experiments will be given. 

Leopard frog (Rana pipiens). No. 4. July 20, 1910. Weight, 
24.4 e. Plug from rt. gastroc. shows large number of granules in both 
dark,and light fibers, but all are very faint. Fed heavily on olive oil 


330 EXIT eel 


5 days. Killed, July 25. There is a marked increase in the size and 
staining intensity of all the liposomes. They are now readily visible in 
unstained preparations, and a large number may be colored brown by 
osmic acid. Fig. 8 shows a dark fiber from the plug taken July 20. 
Fig. 9 shown a dark fiber of the opposite gastocnemius taken July 25. 
Both preparations were stained with Herxheimer’s solution. The marked 
increase in size and staining-intensity of the liposomes will be apparent. 

Aug. 4. Leopard frog, caught in the open field. Plug shows a few 
faint liposomes in the dark fibers, none in the light fibers. Fed heavily 
on fat meat and olive oil. Killed Aug. 10. All the fibers are loaded with 
liposomes. Those in the dark fibers are large and stain with considerable 
intensity. 

Aug. 4. Young leopard frog, caught in open field. Weight, 12.5 e. 
Plug shows no liposomes at all in the fibers. Fed heavily on fat meat. 
Killed Aug. 10. All the fibers are loaded with liposomes similar to those 
just described. 

Aug. 4. Young bull frog (Rana catesbiana) caught in the open 
field. Weight 13.3 g. Plug shows no liposomes at all. Fed heavily on 
olive oil and fat meat. Killed, Aug.9. Fibers are all full of liposomes. 
There are only a few dark fibers. The liposomes in these are larger and 
stain more intensely than those in the pale fibers. Altmann’s solution, 
24 hours, stains most of the liposomes a very light brown. Some are 
visible but not appreciably colored. 

Aug. 1. Leopard frog. Weight 35.5 g. Plug shows that the granules 
are few and very faint. Fed heavily on grape sugar. Killed Aug. 10. 
The liposomes are unchanged. 

July 21. Leopard frog. Weight 32 s. Plug, shows that the lipo- 
somes are all very faint. Fed starch paste. Killed July 27. The lipo- 
somes are unchanged. 

Aug. 1. Leopard frog. Weight 32.1 g. Plug shows a large number 
of very faint liposomes. Fed pure lean meat four days. The liposomes 
are unchanged. 

Aug. 15. Bull frog. Weight, 41.3 e. Plug shows a considerable 
number of faint liposomes. Fed heavily on palmitic acid). Plugs of 


1) Palmitic acid and sodium oleate are solids, and it is difficult to feed them. 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 331 


muscle were examined Aug. 29 and Sept 7, but no decided increase 
in the liposomes could be seen. 

A leopard frog similarly fed on palmitic acid from Aug. 28th to 
Sept. 7 Shows no decided. changes in the liposomes. 

Aug. 22. Leopard frog, weight 42.5 g. Plug shows only faint lipo- 
somes present. Fed sodium oleate. Killed Sept. 7. No decided change 
in the liposomes. 

The frogs fed on oleic acid all died before any definite results were 
obtained. It would have been very instructive to get the effects of 
feeding tripalmatin, tristearin, lecithin and tributyrin, but these sub- 
stances were not available. 

It is apparent that if the frog be fed an excessive amount of fat, 
the fat will be rapidly stored up in the muscle fibers. The liposomes 
rapidly become more refractive and stain more intensely. Even when 
no liposomes at all are present, the fibers fill up with them after a few 
days of feeding. When the liposomes first appear, they are very small 
and faintly-refractive. They never stain with osmic acid at this stage, 
but they may be shown with Herxheimer’s solution. After the second 
day of feeding they may stain a light brown with osmic acid — the 
intensity of the osmic stain increases as the liposomes become larger and 
more refractive. 

Only olive oil and fat meat produced the increase in the liposomes. 
Negative results were obtained with palmitic acid, sodium oleate, 
Starch, grape sugar, and lean meat. The inference is that olein is the 
substance taken up by the liposomes. The early staining of the lipo- 
somes with osmic acid also supports this view. 

The rat (Mus decumanus). It was found that when a rat has lost 
as much as 20 per cent of its body weight only a few faint liposomes 
are left — often none at all are to be seen. When it has lost 25 per cent 
or more there are seldom anv liposomes at all to be seen. The experi- 
ment was made of starving the rat until the liposomes were removed, and 
then feeding again to see how they are regenerated. 


I am indebted to my Assistant, Mr, T. J. Heldt, for devising a glass tube and 
plunger by which these or any other solid substance can be readily put into the 
frog’s stomach. 


332 E. T. Bell, 


Aue. 18, 1910. Brown rat, weight 192 g. Fed a little grain each 
day but gradually reduced to 139 g. by Aug. 26. Loss of weight, 
27.6 per cent. Full fed on fat meat until Sept. 22, on which date it 
was killed. The rat gained slowly until Sept. 6, attaining a weight 
of 159 g. It maintained an approximately constant weight from that 
time. When killed it was still 18 per cent below its normal weight, 
but microscopic examination shows all the fibers filled with liposomes. 
Herxheimer’s solution stains the droplets in the dark fibers a deep red; 
those in the light fibers, a pale red. Altmann’s osmic-bichromate colors 
many of the liposomes in the dark fibers a dark brown; those in the pale 
fibers are not stained. A great many more liposomes were shown in this 
rat than are to be found in the other rats in the laboratory that were not 
specially fed. 

Aug. 27. Brown rat. Weight 188 g. Reduced gradually to 149 g. 
by Aug. 31. Loss of weight 20.7 per cent. Fed a mixed ration of bread, 
milk, fat and lean meat, etc. Weight Sept. 6, 181 g. Microscopic exami- 
nation shows all the fibers full of liposomes essentially similar to the 
one just described. Some of the liposomes in the light fibers stain a 
lieht brown in Altmann’s solution. 

Aug. 27. Brown rat. Weight 191 g. Reduced gradually to 144 © 
by Sept. 1. Loss of weight, 24.6 per cent. Fed a mixed ration. Weight 
Sept. 7, 187 g. The fibers are loaded with liposomes similar to those of 
the two preceding. i 

Aug. 22. Brown rat. Weight 205 g. Reduced to 140 g. by Aug. 29. 
Loss of weight, 31.2 per cent. Full fed on lean meat until Sept. 7, when 
it was killed. Final weight 188 e. The fibers are all full of liposomes. 
Those in the dark fibers stain a bright red; those in the light fibers, a 
pale red. Altmann’s solution colors a few liposomes in some of the 
dark fibers a light brown. 

Several rats were reduced in weight but could not be made to 
increase, and died in this condition. These showed practically no lipo- 
somes. Extreme hunger produces marked degenerations in the kidney, 
liver and other organs; and it is usually difficult to bring the animal back 
to its normal weight. The less the reduction, the quicker the animal 
recovers. 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 333 


Oct. 13. White rat. Weight 146 g. (Three other rats in the same 
cage at this time showed only a few faint liposomes in the dark fibers, 
and none at all in the pale fibers). Fed heavily on fat meat. Killed 
October 24. Ten embryos not far from full term were found on section. 
The muscle fibers contained an unusually large number of liposomes. 
Every fiber was loaded, pale as well as dark fibers. The liposomes all 
stained readily in Herxheimer’s solution and in 80 per cent alcoholic 
solution of scarlet red, but only those in the dark fibers were stained 
by osmie acid. 

These experiments prove that the liposomes may be restored by 
feeding, after they have been entirely, or almost entirely removed. 
A diet of fat meat seems to produce more liposomes than a lean meat 
diet. The liposomes in the rat are readily influenced by the quantity 
and quality of the food. 

Effect of fatigue. The gastrocnemius of a May frog (Rana pipiens) 
in which the liposomes were nearly as stronglv developed as those 
shown in fig. 1, was completely fatigued by electrical stimulation!). 
No differences could be detected between the liposomes of the fatigued 
muscle and those of the opposite gastrocnemius. The food in the lipo- 
somes seems not to be immediately available to the muscle fiber. 

Relation of the liposomes to the granules of Altmann. The fuchsin- 
ophile granules demonstrable by Altmann’s granule method include 
a number of structures of widely different nature. The large Q-gran- 
ules of the wing muscles of insects, and many secretory granules are 
stained by this technique. These structures may be seen in the fresh 
tissue. But Altmann’s microsomes are not visible in the fresh tissue, 
and it is easily possible that these are artefacts. It is known that 
the size of protoplasmic granulations varies with the composition of 
the fixative employed. 

Fuchsinophile granules may be shown in muscle fibers by Alt- 
mann’s method. These are commonlv regarded as ordinary inter- 
stitial granules. They lie in the sarcoplasm between the fibrils. Altmann 
believed that the fuchsinophile granules were gradually converted into 


1) I am indebted to Dr. R. B. Gibson of the Department of Physiology for 
the performance of this experiment. 


334 E. T. Bell, 


fat droplets by accumulation of fat. He also held that fat droplets 
in all tissues arise from fuchsinophile granules. 

Metzner [1890] attempted to trace the origin of fat droplets from 
fuchsinophile granules in the primitive fat organs of the cat. His main 
arguments were: 1. the differences in intensity of staining among the 
granules, and 2. the demonstration of so-called "ring" granules. Osmic 
acid was used as the fat stain. Lowenstein [1908] found that in the 
axillary fat of the new-born child, stained with osmic acid or sudan III, 
great differences are to be found in the intensity of the stain on the fat 
droplets. This fact he takes as evidence supporting Metzner’s view. 

My observations have shown conclusively that the staining- 
intensity of the liposomes may be varied by feeding or starving the 
animal. There are nearly always marked differences in staining-inten- 
sity among them. This proves that the liposome takes up fat, but it does 
not prove that it comes from a fuchsinophile granule. 

As to Metzner's second point (the "ring" granules) Starke has shown 
that this appearance is an artefact. It does not appear except after the 
use of strong alcohol. A frozen section of fresh tissue stained in osmic 
acid does not show ring granules. Heidenhain [1907], after a thorough 
discussion, concludes that the origin of fat droplets from fuchsinophile 
granules has not been established. My observations support Heiden- 
hain’s view. 

The only liposomes demonstrable by Altmann’s granule method 
are those that stain brown or black. Fuchsinophile granules may be 
demonstrated in the sarcoplasm of the muscle fiber, but in vertebrate 
muscle at least, there is no evidence to warrant the view that they 
develop into liposomes. The fuchsinophile interstitial granules of verte- 
brate muscle are not visible in the fresh tissue. 

In the wing muscles of insects (Phlegethontius, and Musca) in June 
at least, the large Q-granules are visible in the fresh tissue, and stain 
red by Altmann’s granule method. These are not liposomes. If it be true, 
as stated by Holmgren and Kölliker, that these granules under certain 
conditions change into fat droplets, then the origin of fat droplets from 
fuchsinophile granules must be conceded. 

Relation of the liposomes to Arnold’s plasmosomes. Arnold macerates 


The Interstitial Granules of Striatet Muscle etc. 335 


tissues for varying lengths of time (a few hours to several days) in an 
iodine-potassium iodide solution. The granules shown in this way he 
calls plasmosomes. He regards the plasmoso mes as cell organs. Some 
plasmosomes assimilate fat and become fat droplets. 

Arnold [1901| put pieces of elder pith (some of which were soaked 

in milk, others in oleic acid) into the dorsal lymph space of a frog, and 
found that some of the eosinophile granules of the leucocytes that come 
into the pith take up fat, as is shown by their staining with sudan III. 
If Arnold’s observations be correct, he has shown that in the leucocytes 
at least, fat droplets may be formed from preexistent protoplasmic gran- 
ules, as was held by Altmann and Metzner. 
I have not studied the liposomes in the leucocytes, but I wish to 
call attention to the fact that Arnold uses the same argument employed 
by Metzner and Löwenstein to trace the origin of fat droplets from gran- 
ules: viz, the presence of deeply-stained and faintly-stained droplets. 
The mere fact that the fat droplets stain faintly when they first appear 
does not prove that they come from the eosinophile granules. 

Some of Arnold’s plasmosomes may be liposomes since manv lipo- 
somes persist for some time in his macerating fluid. 

Relation of the liposomes to the sarcosomes of Retzius. Retzius [1890] 
worked largely with invertebrate muscle, and it is probable that many 
of his sarcosomes are similar to the Q-granules of insect wing muscle. 
He used chrom-osmic-acetic as a fixative. In discussing the effect of 
fixatives in a preceding paragraph, it was mentioned that osmic acid 
sometimes preserves liposomes some time without staining them appre- 
ciably. It is therefore possible that some of the sarcosomes are lipo- 
somes. 

The ultimate nature of the liposomes. Are the liposomes cell organs, 
or are they merely metaplasmic substances? It has already been shown 
that the liposomes may all be removed (in rat muscle) by starving the 
animal. During starvation they gradually become fainter and finally 
disappear. They may be shown with Herxheimer’s solution after osmic 
acid no longer stains them. When the animal, whose muscle liposomes 
have been entirely removed, is fed heavily on fat the liposomes reappear 
in large numbers, and gradually increase in staining intensity. Even the 


336 ET Bell, 


pale fibers of the gastrocnemius become loaded with moderately-stain- 
ing liposomes when the rat is fed a week or more on fat meat. When the 
liposomes first appear they are very faintly-refractive and small. At 
this stage they are colored faintly by Herxheimer’s stain, but are un- 
affected by osmic acid. Both in the frog and in the rat they gradually 
increase in size and in staining-intensity as the animal is fed (figs. 8 
and 9). There is every indication that in the rat and frog at least (as 
shown by the feeding experiments) the liposomes take up olein from the 
fat in the food. Certainly the liposome represents a well-defined focus 
where fat is deposited; but there is no evidence that this focus is a 
fuchsinophile granule or any other kind of granule. 

When the liposome first appears it seems to contain a relatively 
small percentage of fat, since it stains very faintly. It has not been 
determined what the non-stainable portion consists of. Possibly it is an 
albumino-lipoid. It seems better to regard the liposomes as foci where 
fat is deposited than to consider them cell organs. 

Fat content of muscle. It is frequently stated that organs microscop- 
ically free from fat show a large amount of fat upon chemical analysis. 
But in the microscopic examination the liposomes have been generally 
overlooked. There are few if any normal tissues microscopically fat-free. 
The liposomes therefore account for a large amount of the fat that has 
been supposed to be microscopically invisible. The following experi- 
ments were made: a) A large part of the musculature of an adult 
rat was very carefully separated from all connective tissue fat. 
It is of course impossible to remove absolutely all the connective 
tissue fat, but certainly very little was left. The muscles were 
thoroly ground and mixed. Samples were dried and extracted in 
absolute ether’). The ether extract amounted to 0.8 per cent of 
the dry substance. The greater part of the extract consisted of an oil 
that stained intensely in osmic acid and scarlet red. It was probably 
mainly triolein. The muscle fibers of this rat contained a relatively 
small amount of fat. The light fibers showed few or no liposomes 
and the liposomes in the dark fibers stained with only moderate inten- 


1) The extration was made by Messrs. Moulton and Haigh of the Department 
of Agricultural Chemistry. 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 337 


sity. b) A rat was starved until it had lost 31 per cent of its body weight. 
Microscopic examination showed a complete absence of all the muscle 
liposomes. The connective tissue fat was practically all removed. 
A large part of the musculature was carefully freed from connective 
tissue and extracted as above. This muscle was as nearly a microscopically 
fat-free tissue as it is possible to obtain. The ether extract amounted to 
about 0.2 per cent of the dry substance. The extract clung to the sides 
of the flask and was oily when melted. Cover glass smears showed a 
large number of crystals. Osmic acid colored the smears a light grey. 
The extract presumably consisted mainly of fats solid at ordinary 
temperatures'). The olein seems to have been almost entirely removed. 

The muscles as a place for the storage of fats. The feeding experiments 
with rats have shown that when the animal is heavily fed for a week or 
longer on fat meat, an unusually large amount of fat is deposited in its 
muscle fibers. All the muscle fibers become filled with liposomes that 
are readily stained. In two rats the fat in the muscle fibers must have 
been quantitatively greater than that in the connective tissues. It has 
been pointed out that the intramuscular fat is rapidly removed when the 
animal is deprived of food. It is clear that in the rat the muscle fibers 
have a much more important role in the storage of fats than has hitherto 
been attributed to them. It is well known that the muscle fibers of the 
frog are very important organs for the storage of fat. 

Relation of the liposomes to the quality of the food. When a frog is 
heavily fed on olive oil, or fat meat, the muscle fibers become filled with 
liposomes, tho the animal does not increase in weight appreciably. 
Frogs fed on lean meat, grape sugar, or starch show no changes in the 
liposomes. It is apparent that in the frog there is a close relation between 
the quality of the food and the development of the liposomes, tho, of 
course, factors other than the quality of the food may influence them. 


The excessive development of the liposomes in rats fed on a fat 
meat diet indicates that in the rat also there is a close relation between 
the amount of fat in the food and the development of the liposomes. 


1) The quantity of the extract was so small that no farther tests could 
be made. 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 22 


338 E. T. Bell, 


Summary. 


All the interstitial granules of vertebrate striated muscle that are 
visible in the fresh tissue consist entirely or in part of fatty sub- 
stances, as is shown by their solubility and staining properties. They are 
called liposomes. Fuchsinophile interstitial granules are not liposomes. 

The liposomes may be best shown by staining the fresh tissues 
with Herxheimer’s scarlet red. 

In nearly all muscles some of the fibers (dark, or cloudy) contain a 
relatively large amount of sarcoplasm, and coarse liposomes; others 
(pale, or light) contain relatively little sarcoplasm, and small liposomes, 
if any. These are not distinct types since numerous intermediate fibers 
are present. The dark fibers of the ox have not as much sarcoplasm as 
those of the cat or frog. When the liposomes are removed (as in inanition) 
there are no striking differences between the fibers. After feeding with 
fats the pale fibers may become so filled with liposomes that they 
resemble the dark fibers of an animal under ordinary feeding. Since the 
dark fibers contain more sarcoplasm than the light fibers, they are better 
adapted for the storage of fat. 

Some liposomes are strongly-refractive, others are faintly-refrac- 
tive; and numerous intermediate forms occur. The staining-intensity of 
a liposome is in proportion to its refractive power. The less refractive 
liposomes probably contain a smaller percentage of fatty substances 
than those that are more strongly-refractive. 

The liposomes are apparently entirely dissolved by absolute alcohol 
and ether. 

Fats that are solid at ordinary temperature probably do not form 
any part of the stainable substance in the liposomes, tho such fats may 
be present in small quantity. 

Osmic acid stains some liposomes black, others various shades 
of brown; but a great many are not stained at all. Probably the lipo- 
somes colored black consist mainly of olein; those colored brown, of a | 
little olein mixed with some low-melting fat that does not reduce 
osmic acid. Those that do not reduce osmic acid at all consist of some 
low-melting fat other than olein. 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. i 339 


The liposomes in the fresh tissue are seldom, if ever, stained by 
neutral red. It is incorrect to call neutral red granules liposomes. 
The muscle liposomes do not contain any fatty acids or soaps. 

The muscle liposomes are all isotropic. 

Fresh tissues must be used if all the liposomes are to be shown. : 
A great many liposomes are often missed if the tissue be first fixed in 
formalin, alcohol, ete. Liposomes that stain with osmic acid are, how- 
ever, only slightly affected as a rule by fixatives. 

The liposomes of rat muscle may be entirely removed by starvation, 
and they reappear when the animal is fed. During starvation they 
eradually decrease in size, number, and staining-intensity. In the frog 
the liposomes gradually disappear in early summer and reappear in the 
autumn. 

When a rat is heavily fed on fat meat for several days, the lipo- 
somes are greatly increased in number. They also increase in size and 
staining-intensity. 

When a summer frog is heavily fed on olive oil or fat meat, there 
is a striking increase in the number, size, and staining-intensity of the 
liposomes. Other foods (grape sugar, starch, palmitic acid, sodium 
oleate, and lean meat) produce no changes in the liposomes. 

The extent to which the liposomes of the rat are developed depends 
upon the quality and the quantity of the food supply. 

The liposomes first appear as faintly-refractive droplets. At this 
stage they may be stained with Herxheimer’s solution but not with osmic 
acid. Before their final disappearance they pass thru a similar stage. 

The liposomes are probably not cell organs but merely foci where 
fat is deposited. Some substance other than fat must be present at 
this focus. They consist of reserve food substances mainly, at least, 
in the form of fats. 

Some of the sarcosomes of Retzius and some of the plasmosomes 
of Arnold may be liposomes. i 

It is improbable that liposomes have any genetic connection with 
fuchsinophile granules. 


22% 


Plate XVI. 


All the figures were drawn from fresh specimens stained with Herxheimer’s scarlet 
red. d refers to a dark fiber; 1, to a light fiber. Figs. 8 and 9 were drawn by Mr. 


ie. dle 


Fig. 2. 
Fig. 28. 
Fig. 4. 
Fig. 5. 
Eoo. 
Eno m, 
Fig. À 
Biss) 
Fig. 10 


Heldt; the others by Mr. Kline. 


Gastrocnemius of a frog (R. pipiens), killed May 12, 1910. All the fibers 
are filled with liposomes. x 475. 

Gastrocnemius of a frog (R. pipiens), killed June 14, 1910. The liposomes 
are much fainter, and those in the dark fibers are smaller than in the 
May frog. >< 475. 

Diaphragm of a moderately fat beef steer, killed June 30, 1910. The lipo- 
somes in the dark fibers are small. No liposomes are to be seen in the 
light fibers. >< 475. 

Light fiber from gastrocnemius of frog (R. pipiens). The frog was fed 
two days on olive oil. Only a few faint liposomes were visible in the 
pale fibers before the feeding. >< 1300. 

Fresh Soleus of moderately emaciated cat, killed Jan. 22, 1910. The 
liposomes are much less brightly stained than those of a normal cat. 
They are not stained by osmic acid. > 700. 

Soleus (same as shown in fig. 5) stained after an exposure of four days 
in 10 per cent formalin. No liposomes are left in the light fibers, and 
those in the dark fibers are smaller, fewer, and less deeply-stained. After 
10 days in formalin no liposomes could be stained. >< 700. 

Soleus of a very emaciated cat. A few small faint liposomes are visible 
in the dark fibers. The soleus of a well-fed cat is somewhat similar to 
the frog muscle shown in fig. 1. >< 700. 

Dark fiber from gastrocnemius of frog (R. pipiens), July 23. The lipo- 
somes are small and faint in all the dark fibers. >< 1300. 

Dark fiber from opposite gastrocnemius of same frog shown in fig. 8, 
after five days feeding with olive oil. All the dark fibers show large 
bright liposomes. >< 1300. 

Soleus of a sucking pup, Jan. 19, 1910.. The animal was moderately fat. 
The dark and light fibers can already be distinguished. The liposomes 
are not colored at all by osmic acid, and are largely lost after one day 
in 10 per cent formalin. >< 700. 


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Appendix. 

This work was completed at the Anatomical Institute of the 
University of Minnesota, but the greater part of it was done at the 
University of Missouri. Some additional observations have been made 
since the manuscripts were sent to the publisher. Better results have . 
been obtained with the simple alcoholic solutions of scarlet red aud 
Sudan III. It was noted in the body of the paper that these stains 
give very inconsistent results, but the cause of this variability was 
not clear at that time. The staining-power of these solutions depends 
apparently upon the degree of saturation of the alcohol with the dye. 
A stain may be weak because it was not thoroly saturated when pre- 
pared; and a strong stain may weaken upon standing because of pre- 
cipitation of the dye. If a clean vial be filled with a freshly-filtered 
highly-saturated solution, it will usually be noticed that a precipitate 
soon collects upon the sides and the bottom of the vial. In proportion 
to the accumulation of this precipitate the stain becomes weaker. 
For this reason a stain that has been in the laboratory several days 

is apt to be considerably weaker than a freshly-prepared solution. 
The stain must be at its maximum efficiency to color the faintly- 
refractive liposomes. 

The quality of the dye employed seems also to be a factor of some 
importance. Only Grübler’s dyes have been used, but with some 
samples it seems impossible to prepare a simple alcoholic stain strong 
enough to bring out the faint liposomes. This difficulty was not en- 
countered in preparing the Herxheimer solution. 

Very efficient solutions have been prepared by using a large 
excess of the dye (2 g to each 100 cc of 70 or 80 per cent alcohol) and 
shaking vigorously fifteen or twenty minutes. It is safer to heat the 
alcohol (as recommended by Fischer), but equally good results have 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 345 


been obtained with cold aleohol. If the alcohol be heated the solution 
must of course be cooled to room temperature before it is used. Freshly- 
prepared stains usually give better results than those that are several 
days old, a stain less than two hours old should be used to stain faint 
liposomes. When a simple alcoholic solution is brought to maximum 
efficiency, it will stain all but the very faintest liposomes; but since 
it colors the protoplasm to some extent and does not clear the tissue, 
the fainter liposomes are not so distinctly shown as with the Herx- 
heimer solution, and are apt,to be overlooked. The Herxheimer solu- 
tion does not seem to vary in its staining capacity. When using the 
simple alcoholic solutions I have found it necessary to use the Herx- 
heimer solution as a control in order to be sure that the former stains 
are showing all the liposomes. 


On the other hand a simple alcoholic solution of Sudan III gives 
better results than the Herxheimer solution on material that has been 
fixed in potassium bichromate. It is also easier to stain the nuclei 
after the simple alcoholic solution. 


I have confirmed the observation of Altmann that tributyrin 
does not reduce osmic acid. Tristearin behaves toward the fat stains 
in about the same way as palmitic acid. 


Ciaccio [1909, 1910] has recently published papers in which a 
modification of Weigert’s myelin method is used to demonstrate certain 
fatty substances in the tissues. This observor fixes the tissues 24 to 
48 hours in the following mixture: 5 per cent potassium bichromate, 
100 cc; formalin, 20 cc; acetic acid, 5 cc. The tissue is then kept 5 to 
8 days in 3 per cent potassium bichromate. It is ultimately embedded 
in paraffin, and the sections are stained on the slide with a simple 
alcoholic solution of Sudan III. Ciaccio has shown that fatty droplets 
may be demonstrated in a large variety of tissues by his method. In 
his earlier papers he regarded the fat droplets shown by his method 
as lecithin, but in a later paper /1910/] the term lipoids (lipoidi) is 
used. He believes that ordinary fats are unaffected by his fixative 
and therefore dissolved by the fat solvents employed in embedding, 
but that the lipoids are rendered insoluble so that they are not removed. 


346 E. T. Bell, 


Kasarinoff [1910] uses Ciaccio’s method to distinguish true fats 
from lipoids. 


Smith, Mair, and Thorpe /1908] studied the principles under- 
lying Weigert’s method of staining medullated nerves. They have 
shown that asa result of the bichromate treatment chromium combines 
with unsaturated fat to form a substance that is insoluble in alcohol, 
xylol, etc., and therefore not removed in the process of embedding 
in celloidin or paraffin. The chromated fat lakes haematoxylin giving 
the characteristic purple stain. By using a saturated solution of po- 
tassium bichromate at 39°C or 65°C, they have shown that the bi- 
chromate-haematoxylin method will stain oleic acid, elaidic acid, 
erucic acid, undecylenic acid, triolein, and also certain loose com- 
binations of cholesterin and fatty acid that give myelin figures. Amyl 
alcohol and cetyl alcohol are also stained. They even succeeded in 
Staining ordinary connective tissue fat cells by strong bichromate 
treatment. In a later paper /1910/ Smith and Mair state that the 
substance in the medullary sheath that stains by Weigert’s method 
is a cerebroside. They also add that cholesterin may be stained if the 
temperature is kept at 145° C during the bichromate treatment. They 
believe that the staining ,,depends upon the presence in the molecule 
of an unsaturated group or of an alcohol or aldehyde radical‘. Sub- 
stances in the fluid crystalline condition stain much more rapidly 
by the bichromate-haematoxylin method than other fatty bodies. 


Sudan III, as employed by Ciaccio, is better than haematoxylin 
to stain the chromated fat since the former stain is much more selective. 
However Smith’s work indicates that the Ciaccio method does not 
distinguish true fats from lipoids. 


By making smears of oleic acid and triolein, obtained from Kahl- 
baum, on cigarette paper (Wlassak’s method) and treating them by 
Ciaccio’s method, I have found that both these substances give positive 
results. It is very noticeable that a great many droplets appear as 
hollow rings with a clear center. Apparently only the periphery of 
the droplet is chromated. The central portion not being oxidized is 
dissolved. This would seem to explain the ring-droplets obtained by 


The Interstitial Granules of Striated Muscle etc. 347 


Ciaccio. It is therefore probable that some of the small solid droplets 
and larger ring droplets described by Ciaccio consist of triolein, 
But the larger solid droplets shown by Ciaccio’s method cannot 
consist of pure triolein. This technique is a valuable addition to 
our histological methods, but it gives only a rough distinction bet- 
ween the neutral fats and the lipoids. 

I have used the Ciaccio method on a number of tissues. It gives 
excellent results on medullated nerves, the fat droplets in some leuco- 
cytes, and the doubly-refractive fat of the adrenal. It brings out part 
of the fat in the kidney. In rat muscle I have succeded in showing 
the liposomes only once by this technique, and in this case they were 
very faint and much less numerous than in the fresh tissue. But by 
modifications of the Ciaccio method suggested by Smith’s paper it is 
possible to stain a large part of the liposomes in paraffin sections. 
In place of Ciaccio’s fixative I use 10 per cent potassium bichromate 
at 379 C for 24 to 72 hours. The material is then embedded in paraffin 
and stained on the slide with Sudan III in simple alcoholic solution. 
As might be expected from Smith’s work, the bichromate treatment 
must be varied in accordance with the particular fat that is to be 
fixed. No general bichromate treatment can be recommended for all 
fatty droplets. 

The results obtained by Smith and Ciaccio are not against the 
probability expressed in the body of this paper that the muscle lipo- 
somes often contain triolein as the chief staimable component. 


Istituto di Anatomia Umana Normale della R. Universitä di Bologna 
diretto dal Prof. Giulio Valenti. 


Sopra un pulcino mostruoso di 200 ore di sviluppo. 


Nota del 
Dott. Bernardino Lunghetti, 


assistente e libero docente. 


(Con 6 Fig.) 


Tra le mostruosità che occorre osservare più spesso nella pratica 
anatomica si può senza dubbio annoverare quel gruppo di malforma- 
zioni del sistema nervoso centrale, tra loro intimamente connesse, e 
che nella loro infinita varietà si possono raggruppare sotto i due tipi prin- 
cipali dell’anencefalia e della pseudencefalia. Tali e tanti sono i casi fin 
ora descritti che ormai può dirsi quasi impossibile raccoglierli tutti e darne 
una rivista sintetica completa. Potrebbe quindi sembrare inutile de- 
scrivere questo pulcino nel quale si osserva appunto una mostruosità 
di questa natura; se non che essa ci interessa sotto due diversi punti 
di vista. 

E? noto infatti che mentre l’anencefalia e la pseudencefalia si ri- 
scontrano molto spesso nell’uomo, sono invece molto rare nei mammiferi 
e negli altri gruppi di vertebrati, specie negli uccelli!); fatto costatato 
da numerosi autori (Lanceraux, Taruffi, Dareste, Ziegler, Rabaud ecc.) 


1) In questi oltre le antiche osservazioni di Winslow e di Otto ne abbiamo 
pochissimi altri casi, raccolti sopratutto dal Dareste. 


Sopra un pulcino mostruoso di 200 ore di sviluppo. 349 


e al quale si è data grande importanza per l’etiologia delle due mo- 
struosità, in quanto si volle in esso trovare una prova degli stretti 
rapporti etiologici di esse coll’infezione sifilitica. D’altra parte il 
massimo numero delle osservazioni fin ora raccolte di pseudencefalia e 
di anencefalia si riferiscono a feti a termine o per lo meno giunti a 
gradi di sviluppo molto avanzati. 

Mi sembrò quindi che interessasse descrivere questo pulcino nel 
quale la mostruosità si presenta in uno stadio di sviluppo tale che, 
mentre da un lato permette di risalire alla genesi di essa, dall’altro 
offre a considerare dei fatti che spiegano chiaramente molte disposizioni 
che si osservano negli anencefali e negli pseudencefali nei quali il ciclo 
evolutivo della mostruosità è giunto al suo termine. 

Il pulcino al quale si riferisce la presente descrizione fu da me 
raccolto l’anno passato da 24 uova poste ad incubare contemporaneamente 
in un termostato Schribeaux, e che pel resto mi dettero tutte embrioni 
normali. 

La presenza della mostruosità apparve evidente appena rotto 
l'uovo, attraverso glinvogli embrionali; procedetti quindi all'apertura 
di questi anche con maggiori cautele del solito in modo che potei con 
assoluta sicurezza escludere qualunque anomalia da parte di essi. 

Sgusciato dall’amnios, l'embrione apparve vivente, senza alcun 
segno di sofferenza e dotato di movimenti vivaci. Il tronco ed il collo 
erano di forma e dimensioni normali. Invece sulla testa, alquanto 
schiacciata in senso dorso-ventrale, notai la presenza di una massa 
molle, semitrasparente, estesa dalla regione frontale alla nuca e per- 
corsa da vari solchi (fig. 1—3). Tra questi il più esteso e profondo 
decorreva in senso sagittale lungo la linea mediana interessando la 
massa dal polo frontale al polo occipitale. Due altri, del pari molto 
marcati, erano diretti trasversalmente e incrociandosi col primo divide- 
vano tutta la massa in sei lobi disposti con una certa simmetria tre a 
destra e tre a sinistra della linea mediana, e che alla loro volta erano 
percorsi da solchi di minore importanza. 

Tra questi lobi i più voluminosi erano i posteriori; gli anteriori, 
invece, si distinguevano dagli altri per essere più sporgenti e di un 


colorito rosso scuro. 


350 Bernardino Lunghetti, 


Accanto ad essi, e in parte intercalati tra loro, si notavano altri 
lobuli più piccoli e di forma e aspetto molto diverso. Di questi lobuli, 
due eran posti, uno dietro l’altro, in corrispondenza dell'estremo fron- 
tale del solco sagittale mediano tra i lobi anteriori (fig. 1); un altro, un pò 
più voluminoso, risiedeva nell'estremo occipitale del medesimo solco tra 
i lobi posteriori. Infine due lobuletti, a superficie irregolare e colorito 
scuro, risiedevano sul fondo del solco che limitava lateralmente i lobi 
anteriori (fig. 2 u. 3). 

Oltre alla presenza di questa massa che, tanto per la forma che 
per la posizione, si rivelava senz'altro per un abbozzo anomalo del 
cervello, si notava la mancanza completa della metà superiore del becco 


(fig. 2), e il deficiente sviluppo della metà inferiore di esso; per cui 
l'apertura buccale vista di prospetto, appariva limitata superiormente da 
una linea curva a concavità inferiore. Le fosse nasali si aprivano 
all’esterno per mezzo di due forellini distinti posti sull’apice di un 
piccolo tubercoletto sovrastante l'apertura buccale (fig. 1). 

Il pulcino, così raccolto e osservato sommariamente, venne fissato 
in liquido di Zenker, incluso in celloidina e sezionato in serie da prima 
in senso frontale, poi trasversalmente in modo da poter seguire in 
tutto il suo decorso il comportamento dell’asse cerebro-spinale, normal- 
mente incurvato. Le sezioni, dello spessore di 25 x, vennero disposte 
in serie e colorate coll’emallume. 

Dall'esame delle prime sezioni, nelle quali si trova interessata la 
faccia e la parte anteriore del cranio, si vede che, mentre l’abbozzo 


Sopra un puleino mostruoso di 200 ore di sviluppo. 351 


del setto nasale, dei turbinati, del mascellare inferiore & ben costituito, 
manca completamente quello del mascellare superiore. In queste sezioni 
si osserva pure, sezionato trasversalmente, il primo dei due piccoli 
lobuli ricordati in corrispondenza dell’ estremo frontale del solco 
sagittale; il quale appare costituito da un ammasso di connettivo 
rivestito da un epitelio pavimentoso, molto sottile e simile a quello 
della superficie cutanea vicina. Esso dunque non fa parte dell’ab- 
bozzo del cervello, il quale comincia ad essere interessato più tardi 
e compare nella serie sette sezioni dopo che è cessato il primo 
lobulo. 


Descrivendo l’abbozzo del cervello suddividerò la massa sporgente 
in tre porzioni, distinte tra loro dai solchi trasversali e comprendenti 
ciascuna due grossi lobi pari e i respettivi lobuli accessori; divisione 
questa che è giustificata non tanto per comodo di descrizione quanto 
perchè, come risulterà dalla seguente descrizione, i solchi tra i vari 
lobi corrispondono in parte ai limiti tra alcune vescicole cerebrali. 

Nella prima porzione, oltre ai due grossi lobi pari, dobbiamo 
considerare il secondo dei due lobuli mediani anteriori, e i due lobuli 
posti nel solco che segna il limite laterale dei lobi pari. Questi sono 
molto sporgenti e nelle sezioni trasverse (fig. 4. L. p.) presentano da 


352 Bernardino Lunghetti, 


prima una forma ovoidale e aderiscono alle parti sottostanti per mezzo 
di un peduncolo piuttosto ristretto: poi divengono globosi e assumono 
una superficie d'impianto più larga. 

Lungo la linea mediana sono separati tra loro dal piccolo lobulo 
mediano (l. m.) la cui presenza fa sì che nel primo tratto il fondo 
del solco sagittale (s. s. m.) sia diviso in due piccoli solchi pari (fig. 4). 
Il limite laterale dei lobi è segnato da un solco il quale, stretto 
e profondo verso il polo frontale del lobo (s.l), viene in seguito 
occupato da un ammasso di pieghe molto irregolari le quali col loro 
insieme costituiscono i lobuli laterali già ricordati. 

Quanto alla costituzione di queste varie parti dobbiamo prima di 
tutto far osservare come nei grossi lobi pari troviamo ben distinto 
uno strato corticale e una porzione centrale di struttura molto diversa 
tra loro. Quest'ultima risulta costituita da un ammasso di tessuto 
connettivo molto lasso, che è più o meno voluminoso nei vari punti 
e che sta ventralmente in continuazione diretta coll’ abbozzo mesen- 
chimale della base del cranio. 

Lo strato corticale invece è formato da un tessuto molto ricco di 
elementi cellulari e che, per quanto modificati, presenta tutti i caratteri 
del tessuto nervoso embrionale. Nel suo insieme esso costituisce una 
lamina ininterrotta la quale, medialmente, dopo aver tappezzate le 
pareti del solco sagittale, si continua sul lobulo mediano e, coll’inter- 
mezzo di questo, sul lobo del lato opposto: lateralmente va poco a poco 
assottigliandosi finchè cessa sul fondo del solco laterale; ove stà in 
diretta continuazione col rivestimento epidermico. 

La sua faccia profonda è nettamente distinta dalla parte centrale 
connettiva per mezzo di una sottile membrana fibrosa riccamente va- 
scolarizzata e che ci rappresenta l’abbozzo della pia meninge. La 
superficie libera è invece rivestita da un epitelio che ha tutti i caratteri 
dell’ependima. 

Il lobulo medio risulta completamente di tessuto nervoso e vi si 
può distinguere uno strato superficiale immediatamente sottoposto 
al rivestimento ependimale, ove i nuclei sono molto più addensati, e 
una porzione centrale più chiara e meno ricca di elementi cellulari. 
Nello spessore del lobulo e in corrispondenza del fondo dei solchi che 


Sopra un pulcino mostruoso di 200 ore di sviluppo. 353 


lo limitano lateralmente si nota un certo numero di piccole vescicole 
cave, rotondeggianti, rivestite da un epitelio cilindrico, che in parte 
stanno ancora in rapporto coll’epitelio superficiale per mezzo di una 
specie di peduncolo, il quale stà a dimostrare come esse siano derivate 
da un’evaginazione dell’epitelio medesimo. 

Molto diversa è la conformazione e la struttura dei lobuli laterali. 
Come sopra accennavo, essi risultano da un ammasso di pieghe molto 
irregolari per forma e volume, ciascuna delle quali è costituita al 
centro da connettivo riccamente vascolarizzato e da un epitelio di 
rivestimento cilindrico; in una parola presentano tutti i caratteri 
posseduti a quest'epoca dall’abbozzo dei plessi coroidei dei ventricoli 
laterali. 

Nell'ambito della prima porzione, dalla faccia profonda della la- 
mina nervosa si vedono distaccare due paia di nervi. Quelli del primo 
paio, che per il decorso e i rapporti che assumono colle parti vicine 
si lasciano identificare pei nervi olfattivi, prendono origine dalla la- 
mina in corrispondenza del fondo dei solchi che limitano lateralmente 
il lobulo mediano; ciò che fa con ogni verosomiglianza suppore che 
essi ci rappresentino i ventricoli dei lobi olfattivi rimasti aperti lungo 
la volta. Il secondo paio è rappresentato dai nervi ottici i quali 
presentano una disposizione e un decorso perfettamente normale; ciò 
che vale anche per le bandellette, il chiasma, i bulbi oculari. 

Ma oltre alla disposizione speciale, nella prima porzione dall’ab- 
bozzo cerebrale il tessuto nervoso presenta a considerare anche partico- 
larità strutturali speciali, sulle quali dobbiamo subito intrattenerci. 

Osservando specialmente il tessuto nervoso dei lobi pari si 
rimane subito colpiti dall'aspetto spugnoso tutto caratteristico, che pre- 
senta. Quest'apparenza è, in primo luogo, legata al fatto che nello spessore 
della lamina nervosa risiedono diverse cavità rotondeggianti (fig. 4, s. e.) 
molto ampie, delle quali aleune sono vuote, altre pit o meno comple- 
tamente ripiene di sangue ben conservato. Con un esame accurato, 
seguendole nella serie, é facile vedere come esse stiano in comunicazione 
diretta con nno o più vasi sanguigni, l'endotelio dei quali si può seguire 
per un certo tratto nella parete della sacca; poi scompare, in modo 


che, nelle parti lontane dallo sbocco dei vasi, questa & costituita diretta- 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys, XXVIII. 23 


304 Bernardino Lunghetti, 


mente dal tessuto nervoso. Fatti questi che lascian supporre che 
queste sacche siano originate dalla rottura di vasi in precedenza di- 
latati. 

D'altra parte, nel tessuto interposto a queste grosse cavità, si 
nota una straordinaria ricchezza di vasi sanguigni per lo più capillari, 
tortuosi, anastomizzati tra loro, abbondanti sopra tutto negli strati 
superficiali e che derivano dei vasi decorrenti nello spessore della 
pia meninge. 

Infine, proprio al di sotto dell’epitelio ependimale, si riscontra 
la presenza di numerosi spazi chiari, in apparenza vuoti, i quali in 
vari punti formano uno strato continuo di lacune irregolari, separate 
da sottili setti radiati. 

Molto interessante è il fatto, sul quale credo opportuno fin d’ora 
insistere, che sia nel tessuto nervoso che nel connettivo sottostante 
non troviamo alcun fatto che possa’ essere interpretato come un pro- 
cesso infiammatorio in atto, o come reliquati di questo. 

Assai più semplice è la costituzione della seconda porzione, la 
quale, come abbiamo visto dall’esame esterno, risulta dei soli lobi pari. 

Questi sono meno voluminosi degli anteriori ed hanno una base d’im- 
pianto tanto larga che il solco che segna il loro limite laterale è appena 
marcato. Il solco mediano è invece molto profondo e notevolmente slar- 
gato nella parte superficiale, ove si notano nelle sue pareti dei piccoli 
solchi secondari (fig. 5, s. s. m.). A livello circa della metà della sua lun- 
ghezza si vede staccarsi da esso un cul di sacco imbutiforme il quale 
si dirige ventralmente fino a giungere in contatto, per mezzo dell’apice 
rotondeggiante, con un piccolo ammasso di cordoni epiteliali, contorti 
e serrati tra loro, che si manifesta senz’altro per l’abbozzo della por- 
zione ghiandolare dell’ipofisi (fig. 5, 1. g. ip.). 

Anche nei lobi della seconda porzione dobbiamo distinguere una 
parte di natura nervosa e una parte connettivale. Però, a differenza 
dei lobi anteriori, il tessuto nervoso non si estende a tutta la super- 
ficie del lobo, ma si limita alle pareti del solco mediano e al terzo 
interno della superficie dorsale del lobi, la quale è nel rimanente tap- 
pezzata da un epitelio cubico non differenziato. 

La lamina nervosa raggiunge il massimo di spessore nella parte 


Sopra un pulcino mostruoso di 200 ore di sviluppo. 355 


più superficiale del solco ove questo comincia a farsi slargato; quivi 
‘si scorgono gli abbozzi dei talami ottici e della commessura grigia 
La sua struttura è molto meno alterata di quella dei lobi anteriori; 
il solo fatto che può riportarsi a quelli osservati nella prima porzione 
è costituito dalla presenza in alcuni punti sporgenti di un certo numero 
di spazi chiari sottoependimali del tutto identici a quelli osservati 
nei lobi anteriori. 

Nella terza porzione troviamo di nuovo a considerare, oltre ai due 


grossi lobi pari, un lobulo impari, il quale risiede nell’ultima porzione 
del solco sagittale. Questo si presenta variamente conformato nei 
diversi punti. Nel primo tratto è molto superficiale ed ha la forma 
di una larga doccia; procedendo in direzione occipitale compaiono sul 
fondo di questa tre solchi, dei quali uno decorre lungo la linea me- 
diana, gli altri ai lati di questa (fig. 6). 

Il primo ha la forma di un semicanale ed è tappezzato da un 


epitelio cilindrico molto alto, i cui elementi sono disposti radialmente 
23* 


356 Bernardino Lnnghetti, 


a mò di quelli del cuneo ependimale; da prima poco profondo, si cambia 
presto in una stretta fessura sagittale le cui labbra finiscono per 
saldarsi in modo che si costituisce un tubo che si continua col canale 
ependimale del midollo. Questa trasformazione in canale avviene in 
corrispondenza del limite inferiore del bulbo. 

I solchi laterali invece sono, fin dal principio, molti più profondi 
del solco mediano; si dirigono ventralmente e lateralmente e deli- 
mitano il lobulo accessorio mediano. Così conformati si possono 
seguire fino in corrispondenza del polo occipitale dei lobi pari, 
ove assumono una direzione trasversale per continuarsi coi solchi 
che segnano il limite laterale dei lobi medesimi (s.1.); solchi che sono 
molto profondi in tutta la loro lunghezza, di guisa che i margini 


S.S.772 
Lp Ep 


b ——s.4 


fig. 6. 


laterali e i poli occipitali dei lobi sporgono notevolmente sulle parti 
circostanti. 

Come dimostra la fig. 6, nella terza porzione il tessuto nervoso 
torna a rivestire completamente la superficie dei lobi, ma presenta 
una conformazione molto diversa nelle varie parti. In tutto l'ambito 
dei lobi pari, il tessuto nervoso costituisce una lamina uniforme che 
si avvolge attorno a una grossa massa centrale connettiva, e che si 
spinge fin sul fondo del solco che segna il limite laterale del lobo. 
Per la struttura essa ricorda molto da vicino quella che presentano 
a quest'epoca, e nei punti corrispondenti, le pareti delle vescicole cere- 
brali, colla differenza che la disposizione degli elementi é completamente 
invertita. Come nella prima e nella seconda porzione, la superficie 


Sopra un puleino mostruoso di 200 ore di sviluppo. 357 


del lobo, invece che dalla pia meninge & rivestita dall’ependima; la 
pia si scorge in corrispondenza della faccia profonda della lamina 
nervosa a contatto della massa connettiva centrale. 

Il lobulo medio al contrario è costituito completamente da tessuto 
nervoso; ed in esso, oltre che meglio differenziate, le varie parti 
(nuclei bulbari, peduncoli cerebrali e fasci relativi) conservano 
la loro posizione normale. I soli fatti anomali che in esso si osser- 
vano sono costituiti dalla presenza, nella sua ultima porzione, di un 
gran numero di tubuli e ripiegature epiteliali che distaccatesi dalla 
faccia dorsale del lobulo si approfondano più o meno nel suo spessore, 
e dallo sviluppo eccessivo della neuroglia. 

Ventralmente, dal lobulo, si distaccano numerosi nervi tra i quali 
si possono riconoscere con sicurezza il III°, il V9, il VIE, PVIII® paio; 
e un gran numero di altri fasci che indubbiamente ci rappresentano 
le ultime paia, ma che sono di più difficile identificazione. Molto 
voluminosi e normalmente sviluppati sono i gangli del V? e dell VIII? 
paio. Fatti questi che nel loro complesso ci permettono di riconoscere 
nel lobulo mediano l’abbozzo dei peduncoli cerebrali e del bulbo e nei 
lobi laterali l'abbozzo del cervelletto. 

Nella terza porzione, per quanto in grado minore, tornano in scena 
le alterazioni strutturali del tessuto nervoso rilevate nella prima 
porzione. 

In tutta l’estensione dei lobi laterali, ma specie in corrispondenza 
dei poli occipitali di essi, nello spessore della lamina nervosa, si nota 
una ricchezza di capillari sanguigni la quale, se non raggiunge quella 
osservata nei lobi anteriori, è pur sempre molto maggiore che in con- 
dizioni normali; anche qui si ha dunque un accenno di struttura spu- 
gnosa. Un fatto simile si osserva anche nella parte dorsale del lobulo 
medio ove questo aspetto non è legato alla presenza di vasi sanguigni, 
bensì di spazi chiari molto numerosi, ampi e strettamente stipati 
tra loro. 

Per terminare la descrizione della mostruosità non ci rimane che 
dire due parole sulla conformazione dell’abbozzo cartilagineo del cranio. 
Oltre a ciò che abbiamo detto a proposito della faccia, dobbiamo 
notare che del crani osono abbozzate solamente le parti basilari tra 


358 Bernardino Lunghetti, 


le quali si riscontrano il corpo dello sfenoide, e l’apofisi basilare e 
i condili dell’oceipitale, la rocca petrosa del temporale. Manca invece 
completamente l'abbozzo delle pareti laterali e della volta del cranio. 
Tale difetto si spinge caudalmente fino al gran foro oceipitale che 
appare largamente aperto dorsalmente; ed anche l’arco posteriore del- 
latlante non é rappresentato che da una sottile lamina connettiva. 
Dei grossi vasi della base si scorgono ben sviluppati i seni cavernosi 
(fig. 5, s. e); gli altri più difficilmente si riconoscono in quanto hanno 
perduto i rapporti normali; sono rappresentati indubbiamente da quei 
grossi tronchi vascolari che anche nelle figure, si scorgono in seno alla 
parte connettiva dei lobi. Nulla di anomalo si rileva nel collo e neile 


altre parti dell'embrione. 


Facendoci ora a considerare questa mostruosità, l'impressione 
che a prima vista si riceve dalla sua conformazione esterna è che si tratti 
di un esencefalo tipico e che la massa sporgente sia costituita dalle vesci- 
cole cerebrali estroflesse attraverso la volta del cranio. Ed io stesso 
fui da prima tratto verso questa opinione, tanto più che rimasi col- 
pito dalla strana somiglianza che il mio caso presentava col mostro 
raffigurato dal Dareste a pag. 405 del suo Trattato sulla produzione 
artificiale delle mostruosità e interpretato da lui come un caso d’ipe- 
rencefalia. 

Ma l'esame microscopico dimostra che si tratta di un fatto molto 
diverso. 

Da questo, come ho detto, risulta in primo luogo lo sviluppo 
oltremodo deficiente del cranio, del quale troviamo abbozzata sola- 
mente la base; mancano del tutto le pareti e la volta, dal frontale al 
gran foro occipitale, ampiamente aperto verso il piano dorsale; come 
pure l’arco posteriore dell’atlante è sostituito da una sottile membrana 
fibrosa. 

Dal lato dell’abbozzo del cervello si nota poi come il tessuto 
nervoso in complesso costituisce una semplice lamina estesa in super- 
ficie, ininterotta, e che si continua direttamente coll'epidermide circo- 


x 


stante. Questa lamina è rivestita. nella faccia libera dall’ependima; 


Sopra un puleino mostruoso di 200 ore di sviluppo. 359 


x 


profondamente è limitata dalle parti sottostanti da una membrana 
connettivo-vascolare corrispondente alla pia. Da essa troviamo già 
differenziate varie delle parti che si originano dal cervello (bulbi ocu- 
lari, infundibolo, plessi coroidei ecc.); e nel suo spessore troviamo 
presenti si può dir tutti gli elementi istologici che a quest'epoca si 
riscontrano di norma nelle pareti delle vescicole cerebrali; solo che 
sono disposti in senso inverso, in modo che le parti che nel caso nostro 
stanno più superficialmente, sono le più profonde in condizioni normali. 

In nessun punto di questa lamina si trova una disposizione che 
si possa in qualche modo riportare a una vescicola cerebrale, per quanto 
profondamente modificata. D’altra parte il fatto che la lamina nervosa 
si continua coll’epidermide circostante senza presentare la minima 
irregolarità e la più piccola soluzione di continuo, ci permette anche 
di escludere che vescicole cerebrali si siano in precedenza formate e 
che la lamina nervosa ci rappresenti la parete ventrale di una sacca 
idrocefalica lacerata. 

Questa disposizione del tessuto nervoso evidentemente non può 
spiegarsi in altro modo che supponendo, che, come spesso si osserva 
negli embrioni mostruosi, la placca midollare sia rimasta aperta in tutto 
l'ambito del cervello, e che seguitando ad accrescersi come e quanto 
le nuove condizioni lo permettevano (e infatti meglio sviluppate ap- 
paiono le parti che si originano dalla base, che ha maggiormente con- 
servati i rapporti normali) ha dato luogo a una disposizione tutta 
speciale del cervello, consistente in una completa inversione di esso, 
simile a quella che si otterrebbe, rovesciandolo a mo’ di un sacco, dopo 
averlo inciso lungo la linea sagittale mediana. 

Resta da ciò chiaramente provato che la mostruosità non consiste 
essenzialmente in uno spostamento del cervello, che è solo apparente 
e dovuto al mancato sviluppo del cranio, bensì in una grave deviazione 
del modo di sviluppo di esso, la quale ha portato a una dispo- 
sizione che, a differenza di quella del cranio, facilmente identificabile 
con una delle forme dell’acrania, ha caratteri del tutto particolari!). Ac- 


1) Una disposizione che ha qualche punto di contatto colla nostra è stata 
osservata dal Sauerbeck in un mostro esencefalo di Hatteria punctata e da lui 
descritta col nome di eversio encephali e neuroporo, transgressus persistens laminae 


360 Bernardino Lunghetti, 


canto a questi troviamo poi delle gravi alterazioni istologiche della 
lamina nervosa simili a quelle che si riscontrano negli pseudencefali. 


Ma nel considerare la nostra mostruosità non dobbiamo perder 
di vista una circostanza che, secondo me ha la massima importanza. 


La disposizione che abbiamo ora descritta è stata da noi osser- 
vata in un individuo ancora molto lontano dallo sviluppo completo e 
in tali condizioni di vitalità da far giustamente ritenere che, senza il 
nostro intervento, avrebbe potuto svilupparsi ancora per un tempo più 
o meno lungo nel quale necessariamente pure la mostruosità avrebbe 
subito modificazioni più o meno importanti. In altre parole, più che 
una mostruosità giunta al termine del suo ciclo evolutivo, noi abbiamo 
innanzi un processo teratologico in pieno svolgimento, onde per valutare 
giustamente la nostra disposizione insieme allo stato attuale dob- 
biamo considerare i probabili esiti di essa. 

A questo proposito evidentemente non si possono fare che due 
ipotesi. 

Da un lato cioè può supporsi che nel seguito dello sviluppo tanto 
il cranio che il cervello avessero potuto riprendere, almeno in parte, 
la via del normale sviluppo ricostituendo più o meno completamente il 
cranio e le vescicole cerebrali. Basta però dare un’occhiata alle 
figure da me riportate per convincersi come le parti mediane della 
lamina nervosa, fortemente estroflesse, costituiscano un ostacolo tale 
al ravvicinamento e alla saldatura dei suoi margini, che è lecito du- 
bitare molto della possibilità di una tale evenienza. D'altro canto in 
nessun punto delle parti mesenchimali adiacenti all’abbozzo del cer- 
vello si osserva un fatto che possa interpretarsi come un tentativo 
diretto a formare un invoglio, anche parziale, al tessuto nervoso e 


ricostituire le pareti del cranio. 
Molto più logica e razionale mi sembra quindi l'ipotesi che l'ab- 


nervosae in epidermidem. Si trattava essenzialmente del fatto che nel centro della 
massa cerebrale fuoriuscita dal cranio e comprendente il cervelletto, il mesencefalo, 
il diencefalo, il proencefalo, si apriva il tubo nervoso; come pure comunicavano 
coll’esterno i ventricoli laterali. Evidentemente si tratta del prolasso di un parte 
del cervello attraverso il neuroporo rimasto ‘aperto. 


Sopra un pulcino mostruoso di 200 ore di sviluppo. 361 


bozzo del cervello, anche nel seguito dello sviluppo, avrebbe continuato 
a seguire la via anomala nella quale lo troviamo avviato. E pero 
indubitato che in queste condizioni lo sviluppo del cervello non poteva 
procedere molto nel proprio cammino; ben presto al periodo progres- 
sivo se ne sarebbe sostituito un altro, per cosi dire regressivo, carat- 
terizzato dalla comparsa di fatti di atrofia e di profonda degenerazione 
del tessuto nervoso; e ció come conseguenza necessaria di vari fattori. 

Tra questi pongo in prima linea l'assoluta mancanza d'invogli 
che protegganno il cervello dagli agenti esterni, l'azione dei quali si 
deve far risentire nel tessuto nervoso sopratutto negli stadi tardivi di 
sviluppo quando cioé i suoi elementi hanno raggiunto una delicatezza 
molto maggiore che negli stadi embrionali. Nè minore importanza 
attribuisco al fatto che, in seguito al modo speciale di accrescimento 
della lamina nervosa, ben presto si debbono stabilire nell'abbozzo del 
cervello delle gravi alterazioni di circolo, sia per la diminuita pressione 
periferica, sia perché la ristretta superficie d'impianto di ciascun lobo 
costituisce una specie di cingolo strozzante. 

E che le cose procedano realmente cosi é, nel modo migliore, 
provato dal fatto che nel caso nostro sono già iniziate queste altera- 
zioni, spiccate sopratutto nelle parti più sporgenti, nelle quali maggior- 
mente si fanno risentire gli effetti delle cause ricordate. 

: Ma questa regressione del tessuto nervoso può avvenire con due 
processi istologici diversi. Potrebbe darsi cioè che l’invasione vasco- 
lare, che troviamo già iniziata, si estendesse a tutta la lamina nervosa 
e che avessimo in definitiva un mostro pseudencefalo. Oppure che, 
più o meno indipendentemente dal comportamento dei vasi, si stabi- 
lissero fatti di atrofia del tessuto nervoso, i quali prendessero il soprav- 
vento in modo tale da dare al mostro i caratteri di un anencefalo. 

L'uniea obiezione che può farsi a questo modo di vedere è, che 
non possiamo escludere che qualche piccola parte del cervello non 
fosse sopravissuta al processo ora accennato; ma questa obiezione non 
ha un valore eccessivo. Basta infatti dare uno sguardo alla ricca 
letteratura dell'argomento per costatare come nella massima parte dei 
mostri che si sono descritti come anencefali o pseudencefali fossero 
presenti dei residui di cervello più o meno estesi. Anzi dalla 


362 Bernardino Lunghetti, 


presenza di questi si è voluta perfino basare una classificazione dei 
mostri anencefalici (Preyer, Leris e Vurpas). In altre parole accanto 
alla completa anencefalia si sono distinte numerose varietà che ci 
rappresentano forme incomplete di essa e che sono state variamente 
denominate. 

Ma infinitamente più importante della questione, dirò così 
tassonomica, (in quanto è noto come tra le diverse forme di acrania 
esistano vari termini di passaggio, e forme miste /Cortese, Förster ecc./) 
è quella che riguarda la genesi della nostra mostruosità, sopra tutto 
in rapporto alle varie teorie fin ora formulate sul modo con cui si 
stabiliscono ed evolvono le gravi malformazioni del cranio e del cer- 
vello che alla nostra si avvicinano maggiormente. 

Il Zaruffi parlando della genesi delle varie forme di acrania 
scrive che „la dottrina più antica e la più apprezzata è quella imma- 
ginata dal Morgagni“ secondo la quale il cervello da prima si forma 
„come al solito“ ma poi vi si produce un idrocefalo; il quale „per la 
sua abbondanza, o per la sua comparsa quando le ossa del cranio 
sono meno atte a resistere, impedisce alle medesime non solo di rav- 
vicinarsi, ben anche di crescere, in guisa che sembra talvolta che 
quelle manchino.  L'idrope dilatando il cervello, distende le circonvo- 
luzioni e le assottiglia sino al punto da distruggerle tutte o in parte: 
e quando l’involucro è rotto tanto il liquido quanto i residui cerebrali 
vanno perduti“ (pag. 150). 

Questa teoria trovò in seguito appoggio nelle osservazioni raccolte 
da vari autori, e più o meno integralmente, venne sostenuta da Schlegel, 
Meckel, Beclard, Ollivier, Rudolphi, Tiedemann, Förster, Guerin, 
Ahlfeld, Ribbert, Virchow e per un certo tempo anche dal Dareste. 
Fu difesa poi strenuamente dal Taruffi; anche Duval, Petzalis e 
Cosmettatos e altri ammisero l’idrocefalo, almeno come fatto conco- 
mitante. 

Ma varie obiezioni le vennero ripetutamente mosse da numerosi 
ricercatori; obiezioni basate essenzialmente sul confronto della diversa 
conformazione del cranio negli anencefali e negl'idrocefali, e sul di- 
verso modo di evolversi delle due mostruosità; onde da molti si ricorse 
a ricercare la causa della mostruosità in un arresto di sviluppo. 


Sopra un pulcino mostruoso di 200 ore di sviluppo. 363 


Questa teoria, cui più o meno vagamente avevano accennato Sömmer- 
ring, Gall, Meckel, fu enunciata, secondo le idee del tempo, da Stefano 
Geoffroy Saint-Hilaire, che riconobbe nell’anencefalo un essere nel 
quale, nella regione rachidiena non si è operata la trasformazione del 
primo versamento acquoso del liquido organico; cioè un essere che 
conserva sempre le prime condizioni fetali. Con diversi argomenti fu 
poi sostenuta da Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire, Burggraeve, Vrolik, 
Lebedeff; ma chi le dette il maggiore impulso fu il Dareste. 

Egli afferma che, a somiglianza della fessura spinale, nell’anen- 
cefalia si ha un arresto di sviluppo della doccia midollare, la quale 
non si chiude o si chiude solo tardivamente. In conseguenza „de 
cette fermeture tardive ... les parties ectodermiques qui doivent 
donner naissance aux éléments nerveux, au lieu de s’unir sur la ligne 
mediane, comme dans l’etat normale, n’occupent que la paroi inferieure 
et les parois latérales du tube médullaire, tandis que la paroi supérieure 
est formée par deux replis de l’ectoderme qui conservent toujours leure 
nature primitive“. La lamina ectodermica che forma „la paroi infé- 
rieure et les parois latérales s'arrête dans son développement, et ne 
produit que une couche nerveuse de peu d'épaisseur“. La sierosità 
che oceupa la cavità del tubo continua ad accumularsi e ,produit une 
veritable hydropsie“ esagerazione di un fatto fisiologico (pag. 386 
e seg.). 

L'uniea differenza che si noterebbe nelle vescicole cerebrali in 
confronto al midollo spinale sarebbe costituita dal fatto che in quello 
già normalmente in uno stadio precoce la parete superiore conserva i 
caratteri dell’ectoderma essendo allora ,absolument comparable aux 
poches anencephaliques“ per cui, più che modificare la struttura delle 
pareti, la chiusura tardiva della doccia midollare aumenta il diametro 
trasverso delle vescicole cerebrali. 

L'arresto di sviluppo delle vescicole cerebrali porterebbe come 
conseguenza necessaria l'arresto di sviluppo del cranio, perchè non per- 
mette la formazione della lamina riuniente dorsale. 

Com'é noto, riguardo alla causa della disturbata chiusura della 
doccia midollare, Dareste ritiene sia da ricercarsi in un'azione meccanica 
del sacco amniotico. La quale invocata già prima di lui da Stefano 


364 Bernardino Lunghetti, 


Geoffroy Saint-Hilaire in un caso di mero-acrania, fu in seguito am- 
messa da Perls, Marchand, Ahlfeld, Kundrat, Gueniot, Duval, ecc. 

Altri autori invece ne ricercano la causa in fatti molto diversi. 
Così il Lebedeff chiamò in campo anomale curve dell’asse embrionale 
le quali impedirebbero al tubo nervoso di chiudersi, o produrrebbero 
secondariamente la rottura della parete dorsale nel caso che il tubo 
nervoso fosse già costituito. Molti infine (Meckel, v. Baer, Reckling- 
hausen, Jacoby, Zingerle, Ernst) ammettono un’aplasia primaria del- 
l'embrione sia che la parte preponderante spetti al mesenchima, o al 
tessuto nervoso, sia che i due tessuti vi concorrano in eguale misura. 

Di fronte alle due teorie fin ora enunciate, dell'idrocefalo e del- 
l’arresto di sviluppo, dobbiamo ricordarne una terza che pone la mo- 
struosità in rapporto con un fatto patologico. 

L'idea che le varie forme teratologiche stiano in dipendenza di 
una malattia sofferta dal feto nel seno della madre, è antichissima e 
la troviamo accennata fin negli di scritti d’Zppocrate. E anche in 
seguito può dirsi che non sia stata più abbandonata completamente, 
perchè molti degli stessi autori che hanno sostenuta la teoria idroce- 
falica o quella dell’ arresto di sviluppo, hanno attribuito l'uno o l'altro 
a malattie del feto o della madre. Ma è solo da poco che ha assunto 
un valore indipendente, e ciò sopratutto per opera del Rabaud. 

Secondo questo autore „la pseudencéphalie et l’anencéphalie sous 
leurs diverses formes ne sont autre chose qu'une méningite cérébro- 
spinale dont l'évolution à pu se poursuivre jusqu'à destruction complete 
du système nerveux et son remplacement par un tissu de sclérose“. 
D’accordo con Vaschide e Vurpas egli aggiunge che „ou ne peut, sous 
aucun prétexte ramener la pseudencéphalie et l’anencéphalie à la theorie 
classique de l’arrét de développement... L’organisme foetal à été 
envahi en pleine évolution normale par un atteinte morbide interne“ 
la quale „n’a pas été facilitée par un, anomalie preexistente; elle s’est 
abbattue sur des ebauches normales“ dei quali si trovano frammenti. 
Durante questo tempo „le squelette encéphalo-rachidien, primitive- 
ment normale, subissait une déformation considerable, sous l'effort 
d'une action mécanique“. L’apertura del canale ependimario sarebbe 
dovuta a „une action destructrice secondaire“. La meningite non 


Sopra un puleino mostruoso di 200 ore di sviluppo. 365 


sarebbe dovuta alle aderenze amniotiche le quali „sont le résultat et 
non la cause de la meningite“ (pag. 687 e seg.). 

Un concetto simile a questo hanno espresso anche Petzalis e 
Cosmettatos i quali pur concedendo una certa importanza all’idrocefalo 
nella patogenesi dell’anencefalia, ritengono che questo sia „la conse- 
quence de la méningite ou épendimite, qui à son tour, peut-être 
attribui à plusieurs facteurs“ (pag. 618). Fatti infiammatori sono 
stati osservati anche da Opocher, che però li ritiene secondari al- 
l'arresto di sviluppo dello scheletro; e da Chambrelent e Brandeis che 
sostengono integralmente la teoria di Aabaud. 


Zingerle invece pone la sede della malattia in seno allo stesso 
abbozzo nervoso, e afferma che in conseguenza di questa „das ur- 
sprüngliche Keimgewebe seine Fühigkeit verliert, neue differente Zell- 
formen zu produzieren . . . Die Erkrankung kann zu verschiedenen 
Zeiten, vor oder nach Schluss der Medullarrinne eintreten“ (pag. 219). 


Per ció che riguarda quella che potrebbe chiamarsi degenerazione 
pseudencefalica del tessuto nervoso, Blandin ritenne che fosse l'espres- 
sione di un processo infiammatorio; da altri invece fu, almeno in parte, 
posta in rapporto col fatto che, in queste condizioni di anomalo svi- 
luppo della placca midollare, si formano numerosi infossamenti epite- 
liali, cosi abbondanti nei casi di Oellacher e Lebedeff, e che anche 
nel caso nostro non fanno difetto. 


Dareste suppose inoltre un'evoluzione anomala delle isole san- 
suigne le quali, invece di emettere prolungamenti e anastomizzarsi tra 
loro, si dilaterebbero formando tante sacche distinte, più o meno volu- 
minose. 

Il Taruffi invece ritiene che il tumore sia „il prodotto di una 
malattia accaduta dopo che il cervello aveva progredito nella sua 
evoluzione cioé dopo che i vasi erano già formati, come ne fanno 
fede i residui di sostanza nervosa che spesso si rinvengono (pag. 159)*, 
e suppone che siano i capillari stessi del cervello che si dilatano a 
guisa di angiomi, per una ragione che egli non puó splegare. 

Barbieri ammette che la proliferazione connettivo-vascolare sia 
dovuta a una specie d’ipertrofia compensativa. 


366 Bernardino Lunghetti, 


Muscatello ricercd la causa dell’anomalo sviluppo dei vasi nella 
diminuzione della pressione periferica. 

Zingerle, Anton ed altri ammisero che fosse legato a ristagno del 
sangue per deficiente sviluppo delle vie di deflusso. 

Troppo lungo, e anche fuor di proposito, sarebbe discutere parti- 
colarmente queste teorie e riferire benchè in succinto le obiezioni 
che a ciascuna di esse sono state mosse. Uredo quindi più opportuno 
limitarmi ad alcune considerazioni che alla stregua di esse si possono 
fare sul nostro caso. 

Da quanto abbiamo detto da un lato risulta evidente come non 
possiamo spiegare la nostra mostruosità colla teoria idrocefalica. In- 
fatti la disposizione della lamina nervosa nel suo complesso e la sua 
diretta continuazione coll’epidermide circostante, non solo dimostrano 
chiaramente che la doccia cerebrale è completamente aperta nel 
momento presente, ma permettono anche di escludere che essa sia stata 
chiusa in un’epoca precedente e che la lamina nervosa ci rappresenti 
la parete ventrale di una sacca idrocefalica lacerata. 

D’altro canto, in nessun punto dell’abbozzo del cervello e delle 
parti mesenchimali circostanti, troviamo fatti che si possano inter- 
pretare per un processo morboso, specie di natura infiammatoria, in 
atto o pregresso; onde anche la teoria patologica è nel caso nostro in- 
sufficiente. 

Siamo quindi per necessità spinti verso la teoria dell’arresto di 
sviluppo. Ma a questo proposito ci si presenta subito una questione 
da risolvere. Già abbiamo veduto come, secondo Zingerle, il processo 
morboso causa della mostruosità possa impiantarsi sul sistema nervoso 
prima o dopo la chiusura della placca midollare. Ora siccome il tes- 
suto nervoso è, nel caso nostro, profondamente alterato dobbiamo 
chiederci se queste alterazioni non siano per caso il fatto primitivo 
che ha impedito il normale ripiegamento della placca midollare e il 
saldamento consecutivo delle labbra di essa; nel qual caso l'arresto 
di sviluppo sarebbe quasi una circostanza accessoria. 

A questa domanda possiamo adeguatamente rispondere con un 
minuto esame della disposizione e della distribuzione delle alterazioni 
in seno all’abbozzo mostruoso del cervello; dal quale si vede che 


Sopra un pulcino mostruoso di 200 ore di sviluppo. 367 


mentre la mancata chiusura della doccia midollare si estende a tutte 
le vescicole cerebrali, le alterazioni strutturali sono distribuite molto 
diversamente nei vari punti, lasciando anche dei tratti completamente 
illesi; dimostrando così come esse non siano la causa ma l’effetto delle 
anomale condizioni in cui si è trovato il tessuto nervoso per la non 
avvenuta chiusura della doccia cerebrale. 

Però ponendo a base del processo teratologico un arresto di svi- 
luppo dobbiamo intenderci bene sul valore che si deve attribuire a 
questa espressione, sul quale si è fatta un po’ di confusione. 

Così il Guerin, combattendo la teoria dell'arresto di sviluppo, 
chiedeva ai sostenitori della medesima in quale epoca della vita umana 
si trovi la mancanza completa o parziale del cervello come nell’anen- 
cefalia. E il Rabaud scrive in proposito „l’ärret de developpement au 
sens classique est la fissation d’un état evolutif sans distruction ni 
déformation secondaires. L’&bauche interessée conserve integralement 
les caractères superficiels d'une phase transitoire du foetus ou de 
Vembrion. Quelque soit c'état de différentiation des tissus de cette 
ébauche, ces tissus sont en bon état de santé; il se nourrissent et 
persistent“ (pag. 688). 

Ora è evidente che d’ordinario le cose procedono in modo molto 
diverso. Quando un organo per una ragione qualunque si arresta nel 
proprio sviluppo, due sono i fatti che possono avvenire. O le con- 
dizioni di nutrizione sono tali da non permettere ulteriormente la vita 
dell'organo e si avra d'emblée l’atrofia; oppure, se la vita è possibile, 
l'organo più o meno attivamente continuerà nel suo sviluppo portando 
alla costituzione di anomalie più o meno gravi. Molto raro, quasi 
eccezionale, è il caso supposto dal Rabaud; e anche in questo caso è 
da chiedersi se l’atrofia non si stabilirà in seguito sia per la 
mancata funzione, sia perchè l’organo in arresto di sviluppo vien 
sopraffatto dall’accrescimento delle parti normali circostanti. In un 
caso o nell’altro quindi sarà quasi impossibile riscontrare dopo un 
certo periodo la riproduzione esatta dell’originaria disposizione em- 
brionale. 

E questo è appunto ciò che troviamo nel caso nostro. In esso 
la placca midollare rimasta aperta non ha perduto il potere di svilup- 


368 Bernardino Lunghetti, 


parsi; se non che, per le nuove condizioni, lo sviluppo è avvenuto 
necessariamente in modo molto diverso dal normale essendo la devia- 
zione sopratutto accentuata nelle parti dove i rapporti normali sono 
maggiormente alterati. 

Tutto quindi sta luminosamente a provare che la causa prima 
della nostra mostruosità è stata un arresto di sviluppo della placca 
midollare in conseguenza del quale, invece di cambiarsi come di 
norma in un tubo chiuso questa è rimasta aperta in tutto l’ambito del 
cervello. 

Naturalmente ciò non sta affatto a significare che questo sia il 
modo di origine e di evolversi di tutte le anencefalie e pseu- 
dencefalie. La sola conclusione giusta e quella che voglio trarne io è 
che vi sono dei easi nei quali il semplice arresto di sviluppo della 
placca midollare basta di per se a stabilire delle condizioni le quali, 
più o meno precocemente, portano all’atrofia o alla degenerazione pseu- 
dencefalica dell’abbozzo del cervello, originando così, a seconda dei 
casi, un anencefalo o uno pseudencefalo. Mostruosita che si svolgono 
con una serie di fatti piuttosto complessa, che comprende essenzial- 
mente due periodi, uno progressivo nel quale l’abbozzo del cervello 
continua ad accrescersi come è quanto può; l’altro regressivo nel 
quale si stabiliscono nel tessuto nervoso fatti degenerativi e atrofici. 

Per quando poi si riferisce particolarmente alle cause e al mecca- 
nismo col quale si produce la degenerazione pseudencefalica del tessuto 
nervoso, come sopra accennavo, l'abnorme sviluppo dei vasi in seno 
di questo, nel caso nostro credo sia dovuto a due condizioni principali. 
L'una è la diminuzione della pressione che dall'esterno si esercita 
sulla parete dei vasi, la quale rende piü facile il loro sfiancamento e 
l'eventuale rottura; l’altra è che, siccome l'abbozzo del cervello si 
accresce in proporzione molto maggiore della superficie d'impianto 
giunge un momento nel quale i vasi devono a questo livello subire una 
. Specie di strozzamento; il quale porta per conseguenza immediata. un 
ristagno di sangue anche, se come nel caso nostro, i vasi della base 
del cervello e quelli del collo sono normalmente sviluppati. 

D'altro canto una certa importanza nello stabilire la neoforma- 
zione dei vasi deve senza dubbio riconoscersi al fatto che la con- 


Sopra un puleino mostruoso di 200 ore di sviluppo. 369 


formazione tutta speciale dell’abbozzo del cervello, e la completa 
mancanza deglinvogli di protezione (cranio e meningi) fa si che l’epen- 
dima e il tessuto nervoso si trovino direttamente esposti agli agenti 
esterni, di qualunque natura essi siano e qualunque sia il loro modo 
di azione. 

Ma laver costatato come nel nostro caso anche a placca midollare 
aperta si siano ben sviluppati i bulbi oculari, l’infundibolo, e in seno 
al tessuto nervoso siano differenziati molti dei nuclei e dei fasci è im- 
portante per risolvere delle questioni sollevate a proposito di varie 
disposizioni osservate negli anencefali, e perchè da reperti simili si 
vollero dedurre criteri per stabilire, non solo il meccanismo di produ- 
zione, ma anche l’epoca in cui s’ iniziò la mostruosità. 

Così il Taruffi riferendo l'opinione di Ahlfeld secondo cui lo 
scoppio del cranio idropico non avverrebbe prima della 42 settimana 
scrive: „la ragione probabile di tale restrizione si è che se la distruzione 
del cervello accadesse in precedenza, gli occhi non acquisterebbero il loro 
sviluppo, e non si allontanerebbero tra loro, perchè l'embriologia in- 
segna come, affinchè gli occhi possono separarsi dal cervello e svilup- 
parsi indipendentemente dal medesimo, bisogni che la vescicola anteriore 
cerebrale sia già completa e divisa in due emisferi. Questa induzione 
dalla embriologia comparata è gia stata ricavata da Ritter, Cleland, 
Hugues; resta però a verificare se anche nell’embrione umano l’occhio 
nella 42 settimana è abbastanza indipendente per potersi sviluppare 
per proprio conto“ (pag. 151—152). 

A quest'ordine d'idee può pure riportarsi quanto scrivono Petzalis 
e Cosmettatos a proposito dell’anencefalo da loro descritto. Secondo 
loro ,l'anencéphalie n'est pas une monstruosité (Et. G. S. Hilaire) mais 
une abnormité (Davaine) survenant ordinairement vers l'époque du 
passage de la vie embryonnaire à la vie foetale ou vers le milieu 
de la vie intra-utérine. Ainsi, étant donné, d'une part, que le passage 
de l’état embryonnaire à l'état foetal ait lieu, chez l’homme vers la 
fin du 3* mois de la vie intra-utérine, que le développement des trois 
vésicules cérébrales, dont l'antérieure à des rapports avec la formation 
normale des yeux ou anormale comme la cyclopie, et la posterieure avec 


la formation de la partie interne de l’organ de l'ouie, et d'autre part que 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 24 


370 Bernardino Lunghetti, 


le developpement normal de ces organe est accompli vers le 4° ou 
5e mois de la vie intra-utérine, il est certain que dans le cas de l’a- 
nencéphalie, pour les raisons embryogéniques que nous venons d’invoquer, 
on devait rencontrer concurremment la cyclopie ou le non-développe- 
ment de l’organ de l’ouie dans sa partie interne . . .“ (pag. 620). 

Anche Ernst a proposito dello sviluppo delle vescicole ottiche dice: 
„Wenn in der Netzhaut zwischen Müllerschen Stützfasern grosse birn- 
förmige Zellen gefunden und als Neuroblasten gedeutet wurden, musste 
man darauf den Schluss bauen, dass die Entwicklung des Gehirns 
das Stadium des primären Vorderhirnbläschens erreicht haben müsse, 
weil die Augenblasen als Abkömmlinge desselben zu betrachten seien. 
Man kommt damit zur Annahme sekundärer Ursachen, die die Vorder- 
hirnanlage zerstört hätten, in einem Zeitpunkt, da die Augenblasen 
schon abgeschnürt und gleichsam in Sicherheit gebracht waren. Es 
können sogar bei völligem Mangel von Nerv und Tractus opticus doch 
Bulbi vorhanden sein, d. h. auch die Augenblasenstiele sind der Zer- 
störung zum Opfer gefallen“ (pag. 101). 

È più oltre a proposito dell’ipofisi: „Das Vorhandensein oder Fehlen 
der Hypophyse bei Anencephalen — beides kommt vor — wird nur 
von Wert sein, wenn man speziell über den cerebralen hinteren Lappen, 
der vom Zwischenhirn geliefert wird, Aufschluss erhält, ob er sich 
beteiligt oder nicht. Da die Verbindung des Medullarrohrs und des 
Darmrohrs oder des glandulären und cerebralen Lappens des Hirn- 
anhangs in die 5. Woche fällt, so wäre es wohl denkbar, dass eine 
genaue Untersuchung der Hypophyse nach ihrem cerebralen Anteil 
bei Bestimmung des teratogenetischen Terminationspunktes künftig 
in die Wagschale fallen könnte“ (pag. 108). 

Simile questione si agita sui nervi motori, in quanto si è osser- 
vato come spesso negli anencefali siano bene sviluppati quantunque 
manchino completamente i loro nuclei di origine. 

Questo fatto da alcuni è stato interpretato come una prova 
dell’origine indipendente dei nervi periferici. 

Dareste invece ritiene probabile che nell'anencefalia la lamina 
ectodermica che riveste la parete inferiore della doccia cerebrale si 


trasformi molto rapidamente in uno strato nervoso simile alla mappa 


Sopra un puleino mostruoso di 200 ore di sviluppo. Sil 


midollare della spina bifida nella quale risiederebbero elementi ner- 
vosi da cui partirebbero i nervi. 

Ernst riferendo un’ osservazione di Veraguth nella quale pur 
mancando i nuclei rispettivi di origine erano presenti il III? e il XII? 
paio „sogar mit Markfasern versehen“ conclude dicendo „ob solche 
Ursprungskerne einmal vorhanden und hinterher durch Blütung zer- 
stört worden, oder ob III und XII doch auch sensible Anteile führen 
und mit Ganglien (ciliare und hintere Wurzeln mit dem G. des XII.) 
Beziehungen eingehen (G. Schwalbe, Veraguth), wäre in künftigen 
Fällen zu prüfen“ (pag. 101). 

È simili considerazioni sono state fatte sui resultati delle ricerche 
eseguite da Leonowa, Arnold, Schürof, Bulloch, Petren, Raffone, 
Vaschide e Vurpas, Veraguth, Zingerle, Rabaud, sullo sviluppo dei 
fasci dell'asse cerebrospinale, a proposito del quale Ernst formula la 
seguente conclusione: „Fasersysteme, deren Ursprung im fehlenden 
Gehirn liegt, entwickeln sich nicht. Wo eine Pyramidenkreuzung oder 
Spuren eines Pyramidenstrangs gefunden wurden, da mussten doch 
ansehnliche Hirnreste vorhanden gewesen und übersehen worden sein, 
oder die Fortsetzung der vorderen Kommissur könnte eine Pyramiden- 
kreuzung vorgetäuscht haben“ (pag. 105). 


Ora a me sembra che dal nostro caso resti chiaramente dimo- 
strato come la mancata chiusura della doccia midollare non porti 
sempre come conseguenza l'immediato arresto di sviluppo del sistema 
nervoso centrale; il quale anzi, se le condizioni dell'ambiente lo per- 
mettano, può continuare a svilupparsi fino al punto da formare parti, 
che a differenza delle vescicole ottiche, compaiono molto tardi. E che per 
conseguenza sia molto facile spiegarsi i fatti sopra ricordati, supponendo 
che prima dell’inizio e dell’estendersi dei fatti regressivi, fossero già 
sviluppate alcune parti del cervello compresi i nuclei di origine dei 
nervi motori e i centri corticali coi nervi e i fasci respettivi; 
i quali per esser meglio difesi sono più o meno completamente sopra- 
vissuti alla distruzione del cervello. 


Abbozzate così a grandi tratti le questioni che riguardano le 


disposizioni che nel caso nostro si osservano, per la completa illu- 
24* 


319 Bernardino Lunghetti, Sopra un pulcino mostruoso di 200 ore di sviluppo. 


strazione di esso, dovremmo parlare della causa cui deve attribuirsi 
la mancata chiusura della doccia cerebrale. 

Da quanto abbiamo detto risulta come non si possa metterla in 
rapporto con un’ alterazione primitiva della lamina midollare, avendo 
argomenti per dimostrare come questa sia invece un fatto secondario 
all’ arresto di sviluppo. 

D'altro canto possiamo escludere qualunque influenza di curve 
anomale dell’asse embrionale simili a quelle riscontrate nelle sue osser- 
vazioni dal Lebedeff; come pure mancavano completamente aderenze 
dell’amnios all’embrione e qualsiasi anomalia da parti degl’invogli. Al 
quale proposito anzi io ritengo che la completa chiusura e la normale 
conformazione del sacco amniotico abbiano contribuito in modo 
speciale a creare all’abbozzo del cervello un ambiente tale che gli ha 
permesso di potersi sviluppare fino a un punto relativamente avanzato. 

Onde in mancanza di dati precisi dobbiamo anche noi ricorrere a 
una spiegazione molto vaga supponendo cioè che, per cause che ci 
‘sfuggono completamente, siano state nel loro complesso disturbate 
quelle forze e quell’energie la cui componente porta alla costituzione 
della forma normale del cervello e del cranio. 


Bibliografia. 


Oltre i cenni contenuti nei comuni trattati di Anatomia e Teratologia v. 


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Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nerven- 
endigungen. 


I. Die Form und Struktur der motorischen Endplatte der 
quergestreiften Muskelfasern bei den höheren Vertebraten. 


II. Die akzessorischen Fasern und Endplättchen. 


.Von 
Prof. Dr. J. Boeke, 


Direktor des Anatomischen Institutes der Universität Leiden, Holland. 


Mit 4 Figuren im Text und 
mit 56 Figuren auf Tafel XVII/XXIII. 


I. Die Form und Struktur der motorischen Endplatte. 
Einleitung. 

Trotz der Fülle der Arbeiten, welche den motorischen Nervenend- 
platten bei den Wirbeltieren gewidmet sind, ist die neurofibrilläre 
Struktur der motorischen Endplatte nur von wenigen Forschern unter- 
sucht worden. Nur Ramon y Cajal [58]'), Gemelli [30] und Tello [66] 
haben mittelst der neueren Neurofibrillenfärbungsmethoden die moto- 
rischen Endigungen untersucht, und ich selber habe in den letzten Jahren 
in einer Reihe von Arbeiten (6 —10) die Struktur und die Entwicklung 
der motorischen Endplatte beim Amphioxus und bei den hóheren 
Vertebraten beschrieben. Die letztgenannten Arbeiten waren alle, mit 
Ausnahme der unter 6 und 8 genannten, ziemlich kurz gehalten, und 
gaben nur die Hauptpunkte. Jetzt werde ich in vorliegender Arbeit 
die Form und die Struktur der motorischen Platten bei verschiedenen 
Vertretern der hóheren Vertebratenklassen mehr ausführlich beschrei- 
ben, die Ausbildung der verschiedenen Typen der Form des Neuro- 
fibrillengerüstes der Platte auseinandersetzen, die von mir als akzesso- 
rische Fasern und Endplatten beschriebenen Gebilden bei den ver- 


! Die Zahlen beziehen sich auf die Literaturangabe am Schlusse der Arbeit. 


378 | J. Boeke, 


schiedenen quergestreiften Muskeln mehr eingehend behandeln als 
es in denobengenannten Arbeiten geschah, und die einschlägige Literatur 
mehr eingehend berücksichtigen. Die Arbeit schließt also durchaus 
an die vorigen kurzgehaltenen Arbeiten an. 

Später hoffe ich die Ergebnisse experimenteller Untersuchungen, 
die De- und Regeneration der motorischen Endplatte und der akzes- 
sorischen Fasern betreffend, mitzuteilen. Es wird da noch manche Frage 
zu lösen sein, welche hier nur gestreift werden kann. In vorliegender 
Abhandlung werde ich mich ausschließlich auf die Ergebnisse der 
morphologischen Untersuchungen beschränken. 


Methode. Fragestellung. 


Auch die dieser Arbeit zugrundeliegenden Präparate waren nach 
neurofibrillären Färbungsmethoden behandelt. Für die hier zu behan- 
delnden Fragen sind meines Erachtens derartige Präparate, falls gut 
gelungen, den nach anderen Nervenfärbungsmethoden (Methylenblau, 
Goldchlorid) behandelten Präparaten entschieden vorzuziehen. Sie 
seben eine sehr deutliche und klare, schwarzbraune Nervenfärbung, 
die Markscheiden und Kerne sind sichtbar, Bindegewebsfasern und 
-zellen werden in braunrotem Ton mitgefàrbt, an den Muskelfasern ist 
das Sarkolemma, das Sarkoplasma und die fibrilläre Struktur deutlich 


sichtbar und es zeigen dabei die Muskelfibrillen die brillantesten Quer- . 


streifungsbilder, welche man sich nur denken kann, weit vollständiger 
als bei den mit Goldchlorid gefärbten Muskelfasern. Auch kann man 
die Gewebe in dünnen und dicken Schnittserien zerlegen, welche mittels 
stärkster Vergrößerung untersucht werden können, und lassen sich die 
gefärbten Präparate sogar zerzupfen ; die Schnitte können nachher noch 
mit anderen Kern- oder Protoplasmafärbungsmethoden nachbehandelt 
werden, kurz, die Methode erlaubt eine fast erschöpfende histologische 
Durcharbeitung des betreffenden Materiales. Dabei ist die Färbung 
noch elektiver als bei Methylenblau- oder Goldchloridpräparaten, wobei 
immer die perifibrilläre Substanz mehr oder weniger mitgefàrbt wird 
und, was besonders für die motorischen Nervenendigungen wichtig ist 
und die Untersuchung bedeutend erschwert, die körnige Substanz der 
Sohlenplatte oft so stark mitgefärbt wird, daß die eigentlichen Nerven- 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 379 


endigungen schwer zu unterscheiden sind. Es fragt sich nur, ob die in 
diesen Präparaten so bestimmt in den Vordergrund tretenden neuro- 
fibrillären Strukturen auch wirklich ein wichtiges oder sogar das für 
die physiologische Aufgabe des peripheren Nervensystems, die Leitung 
der Erregungsvorgänge, wichtigste Strukturelement der Nerven vor- 
stellen, oder ob man nicht am Ende ein erst an zweiter Stelle zu setzen- 
des, mehr die untergeordnete Rolle eines Stützgewebes spielendes 
Element der Nerven färbt und untersucht. Besonders nach dem kri- 
tischen und sich gegen die Neurofibrillen ziemlich ablehnend ver- 
haltenden Aufsatz v. Lenhossék's im Anatomischen Anzeiger [47] muß 
man sich diese Frage gewiß stellen. 

Es ist hier nicht die geeignete Stelle, diese Frage näher zu disku- 
tieren. Mir scheint aber, daß wenn man das ganze Problem so genau 
und objektiv wie nur möglich studiert, wenn man sich das so durchaus 
charakteristische Verhalten der Neurofibrillenstruktur in den verschie- 
denen Nervenzellen und peripheren Nervenendorganen beiden Wirbellosen 
und Wirbeltieren vor Augen stellt, wenn man Acht gibt auf die zuneh- 
mende Feinheit der Neurofibrillenstruktur bei den Ganglienzellen von 
Wirbellosen, Chordaten und niederen und höheren Vertebraten, wie ich 
es vor mehreren Jahren in einem kleinen Aufsatz (4) tat!), wenn man 
die Eigentümlichkeiten des Neurofibrillenverlaufes an der Teilungs- 
stelle des T-auslaufers der Spinalganglienzellen in ihrer Entwicklung - 
und in der ausgebildeten Form studiert, und wenn man besonders die 
Beziehungen des Neurofibrillengefüges der motorischen Endplatte zur 
Substanz der Sohlenplatte in Betracht zieht (8), wie es weiter unten 
ausführlich erörtert werden wird?), — so kann man ja nur einen Schluß 
ziehen, nämlich daß die Neurofibrillen, der faserige Bestandteil der 
Nervenendorgane, Nerven und Nervenzellen, das spezifisch leitende 
Element des Nervensystems bilden, obwohl damit nicht gesagt sein 
soll, daß die Neurofibrillen das ausschließlich ohne Mithilfe der umgeben- 
den Gewebsbestandteile leitende Element vorstellen. Wissen wir doch 
von den eigentlichen Vorgängen bei dem Prozeß der Nervenerregung 
und der Erregungsleitung absolut nichts. Ich stehe hiermit also auf 


1) Dieselbe Auffassung findet man später bei v. Zenhossek (1. c. S. 267). 
2) Man vgl. das auf S. 20 ff. Gesagte. 


380 J. Boeke, 


derselben Seite wie Cajal, Heidenhain, Retzius, Held und so vieler 
anderer Forscher, welche ebenfalls die Neurofibrillen als das spezifisch 
Leitende, aber nicht das ausschließlich Leitende des peripheren Nerven- 
systems auffassen. 

Aus diesen Gründen betrachten wir daher die Neurofibrillen- 
struktur als das physiologisch wichtigste und dabei besonders bei den 
peripheren Nervenendorganen als das formbestimmende Element, und 
halten daher das Studium der Beziehungen diese Gefüges zu dem um- 
sebenden Gewebe, wie sie in dem von mir sogenannten ,,periterminalen 
Netzwerke‘ zu tage treten, für eine ebenso morphologisch als physiolo- 
gisch gleich wichtige Aufgabe. Diese Verhältnisse sind nur an nach 
den neueren Fibrillenmethoden angefertigten Präparaten zu studieren. 
Daher daß ich in den letzten Jahren immer wieder zu diesen Methoden 
zurückgekehrt bin, und auch jetzt in dieser Arbeit mich fast nur auf 
derartige Präparate beziehen werde. 


Material. 

Das Material bestand aus Muskeln, den verschiedenen Körper- 
stellen entnommen (Rücken-, Bein-, Zungen-, Interkostal-, Augen- 
muskeln) von jungen und erwachsenen Reptilien (Lacertaarten), Vögeln 
(Gallus, Columba, Sterna), Säugetieren (Talpa, Erinaceus, Vespertilio- 
und Vesperugo-Arten, Pteropus edulis, Mus musculus, Mus rattus, 
Lepus cuniculus, Felis cato, Canis familiaris, Homo sapiens). Die Muskel- 
stückchen oder die Embryonen wurden in Formol 12% oder in Formol- 
alkohol fixiert, und nach der Methode Bielschowsky-Pollack [2], neuer- 
dings bei erwachsenen Muskelfasern auch mit Vorteil in der von 
Bielschowsky angegebenen Modifikation mit Einschaltung eines drei- 
tägigen Aufenthaltes in Pyridin (3), behandelt. In Paraffin von 56° C 
eingeschlossen, wurden die Stückchen in Schnittserien von 5 bis 20 u 
Dicke zerlegt, und in den meisten Fällen vergoldet und, wenn nötig, 
nachher mittels irgendeinem Kernfärbemittel (Hämatoxylin, Safranin 
usw.) nachgefärbt. Einschluß in Canadabalsam. Die Präparate halten 
sich, wie schon in meiner vorigen Arbeit angegeben wurde, jahrelang 
unverändert. 

Die intensive und doch so elektive Färbung macht es notwendig, 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 381 


die Präparate mit möglichst intensiver Beleuchtung (oft mit Immer- 
sion des Kondensors) zu untersuchen, und ermöglicht dabei die An- 
wendung der stärksten Vergrößerungen. Meistens wurden die wichtigen 
Stellen bei einer Vergrößerung von 2600 mal (Apochromat-Ölimmersion 
2 mm, Kompens.-Okular 12) auf ihre Details geprüft und dann bei 
2100 oder 1800 maliger Vergrößerung mit Hilfe der Abbeschen Camera 
lucida gezeichnet. Schematisiert wurden die Zeichnungen niemals. 
Jeder Punkt, jeder Strich der Zeichnungen war in den Präparaten vor- 
handen. Nur mußte natürlich alles in eine Ebene projektiert werden, 
so daß die ‚en face gesehenen Nervenendplatten flach ausgebreitet 
gezeichnet sind, während doch manchmal die Teile derselben Platte 
in verschiedenen Ebenen der oft ziemlich dicken Sohlenplatte ausge- 
breitet waren. Wo die verschiedenen Äste des Neurofibrillengefüges 
einander überkreuzten, habe ich das immer in den Zeichnungen deutlich 
angegeben, und auch da wo ein Teil der Nervenendausbreitung sich 
um die Muskelfaser herumbog, das in den Zeichnungen so deutlich 
wie nur möglich hervorgehoben. 

Für ein gutes Verständnis der oft verwickelten Verhältnisse ist 
solch ein genaues Studium der Präparate unbedingt notwendig. Bei 
der Besprechung der von anderen Autoren gegebenen Abbildungen 
komme ich auf diesen Punkt nochmals zurück. 

Auch die Querstreifung der Muskelfaser in den Abbildungen (Breite 
der Fächer, Richtung der Querlinien usw.) entspricht immer so genau 
wie möglich den tatsächlichen Verhältnissen im Präparate, nur habe ich 
meistens das Querstreifungsbild etwas vereinfacht, weil es sonst in den 
Abbildungen zu stark in den Vordergrund treten würde, und sonst 
das an sich doch schon so zeitraubende Zeichnen vieler Präparate noch 
mehr Zeit in Anspruch nehmen würde. Die Unterschiede in dem Quer- 
streifungsbild der embryonalen Muskelfasern (z. B. in der Fig. 1), der 
ausgewachsenen Muskelfasern (z. B. Fig. 25) und der Fasern der neuro- 
muskulären Spindel der Figg. 39 und 40 sind genau nach den Präpa- 
raten entworfen. Sobald man die hypolemmale Lage der motorischen 
Endplatten und die innigen Beziehungen des Neurofibrillengefüges der 
Platten zu dem Sarkoplasma der Sohlenplatte und der kontraktilen 
Substanz der Muskelfaser erkannt hat, bekommen diese Verhältnisse ein 


382 J. Boeke, 


erhöhtes Interesse und müssen so genau wie möglich in den Zeichnungen 
hervorgehoben werden. Denn sonst bekommen auch die besten Abbildun- 
sen, wie z. B. dieschönen Zeichnungen Retzius [60] oder Perroncitos [54] 
etwas starres, schematisiertes, welches die Vergleichung derselben 
mit den Details der eigenen mikroskopischen Präparaten bedeutend er- 
schwert. Darum habe ich mich bemüht, diese Verhältnisse in den 
Zeichnungen immer naturgetreu abzubilden, obwohl die diese Verhält- 
nisse bestimmenden Faktoren und der Wert dieser Details uns in den 
meisten Fällen noch völlig unbekannt sind. 


Form und Struktur der motorischen Platten. 
Obwohl eine große Reihe von Arbeiten der Struktur der moto- 
rischen Nervenendigungen gewidmet sind, bringen die meisten Arbeiten 
in dieser Beziehung tatsächlich wenig Neues. Jede neue Nervenfärbungs- 


methode, die Färbung mittels Goldchloid, die Golgimethoden, die Fär- 


bung des Nervensystems mittels Methylenblau, brachte auch eine An- 
zahl Arbeiten hervor, in welchen die motorischen Endigungen be- 
schrieben wurden, aber viel weiter als die ersten Untersucher kam man 
ja doch eigentlich nicht. Es stellte sich heraus, daß die Gestalt der 
motorischen Endverzweigungen auf den Muskelfasern eine so überaus 
wechselnde war!), daß man wohl eine Anzahl verschiedener Typen 
aufstellen konnte, bei weiterem Studium jedoch die verschiedenen Typen 
durch Übergangsformen miteinander verbunden sah. So stellte Cucatti 
[22] bei den Amphibien (Rana, Triton) fünf verschiedene Typen der 
motorischen Endplatten auf, während Retzius [60] angab, daß er alle 
die Formen, welche Cucatti beschrieben und abgebildet hatte, zwar 
wiederfinden konnte, daß er sie jedoch alle durch Übergangsformen 
miteinander verbunden sah (1. c. S. 47). Dogiel [23], der Meister der 
Methylenblau-Technik, leistete auch auf diesem Gebiete Treffliches, und 
gab eine vorzügliche Beschreibung der motorischen Endplatten und 
deren Struktur bei den quergestreiften Muskelfasern von Rana und 
Lacerta. Retzius [60] gab 1892 auf einer Reihe von Tafeln prachtvolle 


! Man betrachte ja nur einmal die stattliche Reihe von Abbildungen moto- 
rischer Nervenplatten (mehr als 300) der grossen Arbeit Kühnes aus dem 
Jahre 1887. 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 383 


Abbildungen bei den verschiedenen Wirbeltierklassen (Amphioxus, 
Fische, Reptilien, Amphibien, Vögeln und Säugetiere), wobei aber nur 
der Umriß der blau (oder schwarz) tingierten Endverzweigungen der 
motorischen Nerven auf den Muskelfasern gezeichnet wurde, die Struktur 
der Muskelfasern nur schematisch eingefüllt wurde und von Kernen oder 
Sohlenplatte nichts zu sehen ist. Trotz der Fülle der Abbildungen und 
der schönen Ausführung der Zeichnungen läßt dann auch die Arbeit 
ziemlich unbefriedigt. Über den Zusammenhang mit den Muskelfasern 
läßt sich nichts Bestimmtes sagen, auch Retzius selber sagt, die Frage, 
ob die motorische Platte hypo- oder epilemmal liegt, ließe sich aus 
seinen Präparaten nicht entscheiden, und es erwecken dann auch manche 
seiner Abbildungen den Verdacht, es liegen hier keine motorischen, 
sondern sensiblen Endigungen auf den Muskelfasern vor, wie sie später, 
z. B. von Dogiel, so überaus schön dargestellt wurden!). Auch ließen 
sich die Angaben Retzius über die motorischen Nervenendigungen beim 
Amphioxus von späteren Forschern (Heymans et v. d. Stricht [37], 
Dogiel [25], Boeke [6]) nicht bestätigen. 

Die alte Einteilung Kühnes [45], des Entdeckers der motorischen 
Endplatten, in ,,Stangengeweihe und ,,Plattengeweihe", je nachdem 
die Äste des Geweihes auf der Muskelfaser mehr schmale, ungefähr 
geradlinig verlaufende Fasern darstellen, oder mehr breite platte flach 
ausgebreitete bogen- oder hakenförmig verlaufende Bildungen sind, 
wie sie in den tvpischen Formen bei Amphibien einerseits und Reptilien, 
Vögeln und Säugetieren andererseits (jedoch mit Übergängen) vor- 
kommen, bleibt noch immer zu recht bestehen. Und so konnte Kallius, 
der 1897 die auf diesem Gebiete in den letzten Jahrzehnten erschienenen 
Arbeiten referierte, mit einem gewissen Recht sagen, daß ein leidlich 
zufriedenstellender Abschluß dieses Gebietes vorläufig gegeben werden 
konnte (41, S. 28). 


1) Für die von Retzius als atypische motorische Endigungen beschriebenen 
Gebilde auf den Muskelfasern der Augenmuskel des Kaninchen wurde das später 
von Huber (39) auch bewiesen. Man vergleiche jedoch das auf S. 41 gesagte. 
So erweckt z. B. auch die Fig. 3 auf Tafel XVI, wo eine Endplatte von Proteus 
"abgebildet ist, welche kontinuierlich über zwei Muskelfasern hinwegläuft, gerechten 
Zweifel an die motorische Natur der abgebildeten Platte. Und dasselbe gilt für 
die Fig. 4 auf Tafel XVII (Augenmuskeln von Rana). Wie können derartige End- 
ausbreitungen hypolemmal liegen ? 


384 J. Boeke, 


Seitdem ist noch eine beträchtliche Anzahl Arbeiten auf diesem 
Gebiete erschienen. Besonders die italienischen Forscher der Golgischen 
Schule bereicherten unsere Kenntnisse durch eine Menge Arbeiten, 
welche weiter unten im Zusammenhang mit der Besprechung anderer 
Ergebnisse wohl Erwähnung finden werden. Obwohl einige abweichende 
Typen der motorischen Endplatte beschrieben wurden (terminazioni à 
grappolo, schon in 1879 von T'schiriew entdeckt, a paniere, usw.), wird 
die Gestalt der gewöhnlichen, normalen Endplatte Kühnes meist nicht 
näher diskutiert. [ 

Schon Kühne hatte bei seinen Goldchloridpráparaten in der Aus- 
breitung der Nervenfasern zur Bildung der motorischen Endplatte 
einen Axialbaum und ein Stroma unterscheiden kónnen, und er hatte 
schon richtig den Axialbaum als die Fortsetzung des fibrillären Anteils 
des Achsenzylinders, das Stroma als aus der perifibrillären Substanz 
hervorgehend gedeutet. Auch Dogiel hatte bei seinen Methylenblau- 
präparaten der motorischen Endigungen auf den Muskelfasern von 
Lacerta gesehen, daß gewöhnlich der mittlere Achsenteil der dicken 
Endästchen sich bedeutend intensiver fárbte als der peripherische Teil 
und die Gestalt hatte eines dünnen Fadens, welcher leicht bis zur 
Teilungsstelle des Achsenzylinders verfolgt werden konnte. Ebenso 
sah Feist [26], allerdings nur nach Fixierung der Methylenblaupräparate 
durch Pikrokarmin, in den Endästen des Geweihes deutlich zwei ver- 
schieden gefärbte Abschnitte auftreten. Retzius hat aber Recht, wo er 
meint, eine solche Differenzierung der Färbung kann auch durch die 

Fixierung hervorgerufen werden, ohne ihren Grund zu haben in einer 
wirklich strukturellen Verschiedenheit des Gefärbten. | 

Erst in den letzten Jahren ist die neurofibrilläre Struktur der moto- 
rischen Endplatten von Ramon y Cajal [58] und von Tello [66] 
mittels der von dem erstgenannten Forscher ausgearbeiteten Methode, 
von mir in den oben erwähnten Arbeiten mittels der Methode Biel- 
schowskys studiert worden. 

Ramon y Cajal [58] untersuchte die Struktur der motorischen 
Platten ganz junger Tiere (Kaninchen von 2 Tagen, Taube und Sperling 
von 4 bis 6 Tagen). Tello gelang es auch die Platten erwachsener Tiere 
und des Menschen (M. orbicularis oculi) zu färben. Cajal bildet in seinem 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 385 


ganz kurz gehaltenen Aufsatz sechs Platten ab, beschreibt die Netz- 
bildung der Neurofibrillen in den Endästen der Nervenzweige, das 
varicöse Aussehen der dünnen Endzweige und meint, man finde nur 
Netzbildung mit wirklicher Verknotung und Verschmelzung der Neuro- 
fibrillen in den Endzweigen. Auch sah Cajal bei Platten von ganz 
jungen Vögeln feinste ausstrahlende neurofibrilläre Fädchen, welche 
vielleicht Wachstumsbilder von dickeren Endästen vorstellen sollen 
(ie. S. 98). 

Die oft verwickelte Form der Platten geht meist aus einer einfachen 
Bifurkation eines mit der Sohlenplatte verbundenen Nervenastes hervor. 

Tello findet in den motorischen Endplatten der Säugetiere (Kanin- 
chen) immer ein mehr oder weniger dichtes Netzwerk der Neurofibrillen; 
die Äste des Geweihes sind wenig zahlreich ; Anastomosen zwischen den 
verschiedenen Ästen des Neurofibrillengefüges derselben Endplatte, 
wie sie von Kühne, und neuerdings von Grabower [34] und Krebs [44] 
beschrieben wurden, fand Tello nie; auch von Cajal wurden sie geleugnet. 
Die Äste des Geweihes der Platten enden entweder plötzlich oder nach 
allmählicher Verjüngung des Neurofibrillengitters in mit einer Endöse 
oder einer netzförmig gebauten Endknospe. Die dünnen Endäste 
können einander überkreuzen. Bisweilen fand Tello zwischen den 
retikulierten Endknospen ganz schwarz gefärbte Endknospen (Abul- 
tamiento final grueso, intensamente tenido), in welchen hin und wieder 
eine Netzstruktur auf dunkel gefärbter Grundlage erkannt werden 
konnte. Marklose Nervenfasern, in die Platte eindringend, sah Tello nie 
(1. c. S. 112) . Im allgemeinen fand Tello die Gestalt der Endausbreitung 
der motorischen Nerven so, wie sie von den Autoren auf Grund der 
Goldchlorid- oder Methylenblaupräparate beschrieben wurde, nur läßt 
das Neurofibrillengefüge nach der Dichtigkeit des Netzwerkes und die 
Dicke und Varikositàt der Aste drei Typen der Endplatten unterscheiden, 
von welchen jedoch die mittlere Form „alle nur denkbaren Übergänge 
zwischen den beiden anderen Typen bietet‘). Die Einteilung bringt 
uns daher nicht sehr viel weiter! 

Am Schlusse der Arbeit beschreibt Tello noch kurz einige patholo- 

1) 1. c. S. 107. „El Grupo intermedio exhibe todas las formas de transición 


imaginables entre los dos anteriores.“ 
Internationale Monatsschrift f. Anat, u. Phys. XXVIII, 29 


386 J. Boeke, 


gische Abweichungen der Plattenform, mit stark varicösen Ästen, welche 
er als Entzündungserscheinungen der Platten (placas inflamadas) deutet, 
und Platten mit stark retikulierten Ästen bei kurarisierten Tieren. 


Eigene Beobachtungen. 
a) Struktur des Neurofibrillengefüges der Endplatten. 


Wenn man die vorliegender Arbeit beigegebenen Abbildungen 
durchmustert, bekommt man ein recht wechselvolles Bild des Neuro- 
fibrillengefüges der Endplatten zu sehen. Formen mit dicken, dicht- 
gewebten Ästen wie die Fig. 18 aus der Interkostalmuskulatur eines er- 
wachsenen Igels wechseln ab mit solchen mit ganz dünnen Ästen wie 
die denselben Präparaten entstammende Platte der Figg. 11 und 13. 
Blätterförmige, in einer Ebene ausgebreitete Gebilde wechseln ab mit 
dünnen kompakten Ästen, große und kleine Endösen mit retikulierten 
Endknospen usw. Im allgemeinen kann man die Form und Struktur 
des Neurofibrillengefüges in folgender Weise beschreiben: 

Die in den meisten Fällen, besonders bei erwachsenen Tieren, dicke 
motorische Nervenfaser verliert ihre Schwannsche Scheide und ihre 
Markscheide und tritt unter das Sarkolemma (Fig. 37, 41, 30, 50). Oft 
zeigt da zur Stelle der Achsenzylinder eine Verdickung (Figg. 15, 25), 
von einer starken Einschnürung gefolgt. Diese Einschnürung findet 
man auch ohne vorangehende Verdickung. Sie ist von allen Autoren 
gesehen (cf. Ruffini) und an Neurofibrillenpráparaten von T'ello erwähnt. 
Sie kommt jedoch gar nicht immer vor. In manchen Fällen behält 
das Neurofibrillenbündel des Achsenzylinders seine normale Dicke 
bei, auch da wo die Nervenfaser durch das Sarkolemma dringt und 
in die Muskelfaser eintritt (so in den Figg. 14, 29, 31, 32). So stark 
wie in Goldchloridpräparaten erscheint die Einschnürung in Neu- 
rofibrillenpräparaten nie, 

In allen Fällen folgt auf den Verlust der Markscheide und Eintritt 
in die Muskelfaser eine Lockerung des Neurofibrillengefüges des Achsen- 
zylinders. Bisweilen wird diese Lockerung schon etwas früher bemerk- 
bar (Figg. 16, 29). Diese Lockerung des Neurofibrillengefüges geht 
manchmal zusammen mit einer mehr oder weniger beträchtlichen Ver- 
breitung des Stranges (Figg. 18, 21, 42), welche dann auf die oben 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 387 


beschriebene Einschnürung folet. In anderen Fällen bleibt der Durch- 
messer des Stranges ziemlich gleich, oder kann sich sogar noch ver- 
kleinern (Fig. 19). Es kann nun sofort die Verästelung des Neuro- : 
fibrillenstranges folgen, (wie z. B. in den Figg. 13, 17, 15, 18, 25), oder 
aber der gelockerte Strang läuft noch eine Strecke weit innerhalb der 
Substanz der Sohlenplatte weiter, bevor die Endverästelung anfängt 
(Figg. 11, 20, 21, 30 usw.). Bisweilen teilt sich die Nervenfaser schon 
bevor sie sich in die Substanz der Sohlenplatte hineinsenkt, und treten 
also zwei Nervenfasern?) in die Sohlenplatte ein (Figg. 37, 41). Das ist 
jedoch nur Ausnahme. Regel ist, daß die Verästelung erst innerhalb 
des Bezirkes der Sohlenplatte, unterhalb des Sarkolemmas, auftritt. 
Über die Verästelungsweise weiter unten mehr, gelegentlich der Be- 
schreibung der äußeren Form des Neurofibrillengerüstes der End- 
platte (S. 35 und ff.). Nur eins muß gleich hier in diesem Verbande 
hervorgehoben werden. 

Unverástelte Plattenform. In manchen Fällen kann die Ver- 
ástelung gánzlich unterbleiben. In solchen Füllen, wie ich sie manch- 
mal bei den Endplatten in der Zungenmuskulatur von jungen Mäusen 
fand, findet nur eine gleichmáDige Lockerung und Ausbreitung des 
Neurofibrillengefüges statt, ohne die geringste Astbildung, so daß eine 
ganz einfach gebaute, flach ausgebreitete, länglich ovale, spatelfórmige 
oder fuchsschwanzähnliche Endplatte zustande kommt, wie es in den 
Figg. 8, 10, 39 und 42 abgebildet wurde. Wohl sind bei genauer Be- 
trachtung bestimmte Hauptzüge in dem neurofibrillären Netzwerke 
erkennbar, eine Verástelung bleibt jedoch vóllig aus. Liegt die spatel- 
fórmige Platte mit ihrer Längsachse in der Richtung der Muskelfaser, 
so bleibt sie einfach auf der Oberfläche der Faser in einer Ebene aus- 
gebreitet liegen, ist die Längsachse der Platte gekrümmt und mehr 
oder weniger quer zur Längsachse der Muskelfaser gerichtet, so biegt 
sie sich um die Muskelfaser herum. Besonders bei großen Platten und 
dünnen Muskelfasern tritt das deutlich hervor, wie z. B. in der oberen 


1) Auch in ganz anderer Weise können scheinbar zwei verschiedene Nerven- 
fasern zusammen eine Platte aufbauen. Das wird weiter unten beschrieben werden 
(S.19 u. 20) und lässt sich aus dem Entwickelungsgang der Nervenendplatte erklären. 


Hier sind es immer nur zwei dichotomisch aus einer Faser hervorgehende Aste. 
25* 


388 J. Boeke, 


Endplatte der Fig. 39. In dieser Figur, welche bei derselben Vergröße- 
rung (2600) gezeichnet wurde als z. B. die Figg. 13, 15, 17, derselben 
Präparatenserie, sind zwei äußerst dünne Muskelfasern einer neuro- 
muskulären Spindel aus dem Interkostalmuskel eines erwachsenen 
Igels abgebildet. Man sieht wie die spatelförmige Platte sich fast 
ganz um die dünne Muskelfaser herumbiegt. Weiter unten komme 
ich noch einmal auf diese Figur zurùck!). 

Es sind diese spatelförmigen Platten recht eigentümliche Bildungen, 
welche lebhaft an die motorischen Endplatten beim Amphioxus er- 
innern, wie ich sie im Anschluß an die Beobachtungen von van W yhe, 
Heymans et v. d. Stricht und Dogiel vor einigen Jahren nach Silber- 
präparaten beschrieben habe (6). Auch bei anderen Formen scheinen 
sie vorzukommen. So beschreibt Dogiel [23] bei Froschmuskeln neben 
den gewöhnlichen Endplatten solche, deren Endnervenapparate aus einem 
Netze von dünnen anastomosierenden Nervenzweigen bestehen (1. c. 
S. 314). Weil er jedoch nichts weiteres darüber sagt, und diese Art von 
Nervenplatten nicht abbildet, ist nicht zu sagen, ob hier eine áhnliche 
Plattenform vorliegt. Auch bringen sie einem die eigentümlichen Bilder 
der von Poloumordwinoff in 1898 für die quergestreiften Muskelfasern 
von Raja und Torpedo beschriebenen ,,terminaisons nerveuses en pin- 
ceaux'' (56) in die Gedanken, wobei jedoch nur eine pinselartige Aus- 
breitung der Endäste und keine Netzbildung auftreten soll). Zwar 
hält der Autor diese pinselfórmigen Platten für sensibel, aber die dichte 
 Anlagerung an die Muskelfaser (die Zenlesche Scheide soll mit dem 
Sarkolemma verwachsen) und die große Anzahl Kerne, welche da zur 
Stelle die Muskelfaser aufweist, lassen vermuten, daß man eine hypo- 
lemmale motorische Endigung vor sich hat. — Wie dem sei, die spatel- 
förmigen, unverästelten Platten aus der Mäusezunge (auch bei Talpa 
und Igel fand ich sie) stellen ganz bestimmt motorische Endigungen 
vor. Das geht schon unzweideutig daraus hervor, daß, wie in der Fig. 6 
abgebildet wurde, dieselbe Nervenfaser auf benachbarten Muskelfasern 


1) Man vgl. S. 56. 

-2) Vielleicht konnte unvollständige Färbung des Methylenblaues daran Schuld 
sein. Die gleiche pinselartige Ausbreitung wurde jedoch später von Cavalie (16) 
beschrieben. 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 389 


eine spatelförmige Endplatte und eine ganz typische, reich verästelte 
motorische Platte bilden kann. Auch die hypolemmale Lage und die 
Anwesenheit einer Sohlenplatte und einer Anzahl Kerne da zur Stelle 
im Sarkoplasma beweisen zur Genüge, daß es sich hier um ganz gewöhn- 
liche motorische Endplatten handelt, welche nur eine abweichende 
Form ihres Neurofibrillengefüges aufweisen. — Bisweilen findet man 
Formen, wo die spatelförmige Platte ein wenig gelappt erscheint 
(Fig. 42) und man konnte sich abfragen, ob nicht die unverästelten 
Platten nur junge, noch nicht ausgewachsene Bildungen vorstellen, 
welche später durch Kondensation ihres Neurofibrillengefüges in die 
übliche Form der verästelten Platten übergehen werden. Dagegen 
würde sich anführen lassen, daß sie auch, wie die Fig. 39 beweist, auf 
den Muskelfasern erwachsener Tiere vorkommen, allerdings auf den 
eigentümlichen umgestalteten dünnen Muskelfasern der neuromusku- 
lären Spindeln, denn auf gewöhnlichen Muskelfasern ganz erwachsener 
Tiere fand ich sie bisher nicht; zweitens, daß sie zwar bei jungen Tieren 
gefunden werden, aber auf vollkommen ausgebildeten Muskelfasern, 
welche sich in nichts unterscheiden von denen, auf welchen typische 
verästelte Endplatten vorkommen, ja daß sie sogar, wie die Fig. 39 
beweist, an derselben Nervenfaser vorkommen können, als die verästel- 
ten Endplatten, und drittens, daß man auch bei ausgebildeten verästel- 
ten Endplatten bisweilen lappenförmige flache Ausbreitungen des 
Neurofibrillengefiiges finden kann (wie sie auch von Cucatti als ,,piastre 
nastriforme und ,,piastre aberranti‘‘ beschrieben wurden [22]). . 

Auf der anderen Seite kommt, wie ich schon in meiner vorigen 
Arbeit betonte, nachträgliche Veränderung und Umgestaltung des 
Neurofibrillengefüges der schon funktionierenden Endplatte ganz ent- 
schieden vor, und findet man die breite, flächenhaft ausgebreitete Neuro- 
fibrillennetze mehr bei jungen Platten als bei jenen erwachsener Tiere. 

Auf diese Frage komme ich jedoch weiter unten ausführlicher 
zurück, als die Ausbildung der Form der Verästelung beschrieben wird). 
| Hier werde ich nur die Struktur des Neurofibrillengefüges weiter be- 
| schreiben. 


1) Auf S. 35 und ff. 


390 J. Boeke, 


Wie wechselvoll auch das Bild der Endverästelung der motorischen 
Nerven sich gestalten kann, bei der Ausbildung des Neurofibrillen- 
gerüstes handelt es sich wie bei den anderen nervósen Endkórperchen 
auch hier immer um eine OberflächenvergrôBerung, eine flächen- 
hafte Ausbreitung des Gerüstes, wobei eine netzartige Struktur des 
Neurofibrillengerüstes zutage tritt. Die Oberflächenvergrößerung kann 
im Verlaufe der Astbildung auftreten, so daß lappen- oder bandförmige 


Verbreiterungen der einzelnen Äste oder Teile davon entstehen, oder 


die Äste bleiben ganz dünn und bilden nur an ihrem Ende nach mannig- 
fachen Verzweigungen Endösen oder retikulierte Endknospen. So 
findet man an der einen Seite die breiten Platten der Figg. 8, 10, 42, 
die in den Figg. 15, 17, 18, 5, 6, 7 abgebildeten bandfórmigen verzweigten 
Endplatten, an der anderen Seite die aus einer großen Anzahl von ganz 
dünnen, feinen, mit einer Endöse endigenden Ästen aufgebauten Platten 
der Figg. 11, 13, 27, 32 oder die Platten mit dünnen Ästen und großen weit- 
maschig retikulierten Endknospen der Fig. 31. Dazwischen finden sich, 
was die Ausbildung des Neurofibrillengerüstes anbetrifft, alle möglichen 
Übergänge. Die Äste des Geweihes der Endplatte können gleichmäßig 
dünn bleiben, sie können gleichmäßig verbreitet, bandförmig erscheinen, 
sie können lokale Verbreiterungen und Lockerungen des Netzwerkes 
aufweisen, sie können im Anfange ganz dünn bleiben und dann an ihrem 
Ende plötzlich sich zu großen feinmaschig retikulierten runden Scheiben 
umbilden (Fig. 25), so daß eine Form entsteht, welche stark an die 


von Tschiriew zuerst beschriebene ,,terminaisons en grappe‘ erinnert, | 


kurz es finden sich alle möglichen Formen der Ausbildung des Neuro- 
fibrilengeästes vor, aber die Grundform des Gerüstes ist immer die 


Auflockerung, die Netzbildung und die Endösenbildung. Meistens sind | 


die Netze dicht, engmaschig und finden sich locker gebaute Netzbil- 


dungen besonders bei ganz jungen, sich entwickelnden Platten, wie ich | 


sie in meiner vorigen Arbeit abgebildet habe, und wie sie in vorliegender 
Arbeit, z. B. in den Figg. 2—4 gezeichnet wurden. So locker gebaute 


Netze wie sie T'ello bei erwachsenen Tieren (Kaninchen, Interkostal- | 


und Lippenmuskeln) abbildet, habe ich eigentlich nur bei den Muskel- 


fasern ganz junger Tiere gefunden. Das geht aus den Abbildungen auf | 


den dieser Arbeit beigegebenen Tafeln zur Genüge hervor. Daß die netz- 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 391 


förmigen Verbreiterungen im Verlaufe der Äste des Geweihes ganz lokal 
vorkommen können, habe ich schon in Übereinstimmung mit den Be- 
funden T'ellos in meiner vorigen Arbeit beschrieben. Die Betrachtung 
der Figg. 5, 10, 14, 18, 19, 28, 45 und 47 zeigt dasselbe ohne weiteres. 

Die ebenfalls in meiner vorigen Arbeit aufgestellte Behauptung, 
die Äste des Geweihes der motorischen Platte enden alle in Endringen 
oder Endnetzen (1. c. S. 212) stellte sich im Verlaufe der Untersuchung 
als vollkommen begründet heraus. Falls mur die Imprägnierung der 
Präparate vollkommen gelungen ist, sieht man überall in den Platten ent- 
weder die Endnetze oder die auf ganz dünnen Stielchen sitzenden feinen 
Endringe. Diese dünnen Stielchen können sowohl am Ende der Endäste 
sitzen, als irgendwo im Verlaufe der dickeren Äste seitlich aus diesen 
hervorwachsen. Gelegentlich der Besprechung der Form des Geästes 
komme ich noch einmal hierauf zurück?). 

Auch lehrt uns die Betrachtung der abgebildeten Endplatten un- 
zweideutig die Richtigkeit der früher gegebenen Beschreibung der End- 
netze und Endringe (1. c. S. 213). Sie können als große, ganz dünne 
Ringe erscheinen, sie können mehr oder weniger kompliziert sein und 
eine locker gebaute Netzstruktur in ihrem Innern zeigen (Fig. 31), sie 
können ganz klein sein und dann entweder auf sehr dünnen langen 
Stielchen sitzend oder am Ende ziemlich dicker, netzartig gelockerter 
Äste erscheinen, sie können auch ganz fehlen, wie bei den oben beschrie- 
benen spatelförmigen unverästelten Platten der Figg. 8 und 42, kurz, 
sie zeigen sich in Ausbildung und Zahl überaus wechselvoll. Bestimmte 
Regeln lassen sich hierbei kaum formulieren, und für die Funktion der 
‘Endplatte scheint die Gestalt des Endplattengerüstes ziemlich gleichgültig 


:1) Auf S. 35 ff. Nebenbei möchte ich hier erwähnen, dass auch die ganz 
homogen schwarz gefärbten Endknospen, welche Tello bisweilen fand, wie auf S. 9 
angegeben wurde, hin und wieder zur Beobachtung kamen. In der Fig. 16 habe 
ich eine derartige Endknospe bei einer Platte einer Interkostalmuskelfaser des Igels 
abgebildet. Die Erscheinung scheint auf partielle Überimprägnierung zu beruhen, 
aber dabei zeigen diese Endknospen oft eine von den gewöhnlichen Endknospen 
der Platte etwas abweichende Gestalt, wie es auch die Fig. 16 zeigt, und welche 
uns die eigentümlichen, von Cajal, Dogiel u. a. beschriebenen kolbigen Aus- 
wachsungen bestimmter Spinalganglienzellen in die Gedanken bringen. Ob sie 
jedoch wirklich eine von den anderen Endknospen abweichende Struktur und 
Funktion haben, läßt sich einstweilen absolut nicht sagen. 


392 J. Boeke, 


zu sein. Man findet nebeneinander in demselben Muskelfaserkomplex 
Endplatten mit einer großen Anzahl kleiner Endringe, Endplatten mit 
ganz wenigen Endringen, mit grofen mehr oder weniger kompliziert 
gebauten Endnetzen usw. Und so findet man oft nebeneinander in 
derselben Endplatte Endósen und große Endnetze (man vgl. nur die 
Figg. 31 und 21), und daneben lange lappenfórmige Endnetzbildungen 
(Fig. 17). In demselben Muskelkomplex findet man dann wieder End- 
platten, wie diejenige der Fig. 11, wo die auf langen Stielchen sitzenden 
einfachen Endringe die ganze Gestalt der Endplatte beherrschen und 
lappenfórmige Ausbreitungen des  Neurofibrillengerüstes durchaus 
fehlen. Die Struktur, Gestalt, Breite, Querstreifung usw. der beiden 
Muskelfasern der Figg. 17 und 11 waren, wie aus den Abbildungen 
hervorgeht, fast völlig identisch; die motorischen Platten jedoch in 
ihrer Gestalt grundverschieden. Ebenso konnte ich zur Begründung 
des oben formulierten Satzes auf die Fig. 10 hinweisen, welche den Fall 
illustriert, dab aus derselben Nervenfaser zwei grundverschiedene 
Platten hervorgewachsen sind, während die Muskelfasern, auf den sie 
liegen, einander völlig gleich erscheinen und sich wohl in durchaus 
gleicher Weise kontrahiert haben werden. 

Die Größe und die Gestalt der Endknospen und Endösen, die mehr 
oder weniger bandförmige Ausbreitung der Äste des Neurofibrillen- 
gefüges scheint für die Funktion der Endplatten von sekundärer Bedeu- 
tung zu sein. Es kommt nur darauf an, daß durch die Endverästelung 
ein bestimmtes Areal der Muskelfaseroberfläche bedeckt, umspannt 
wird. Darauf werde ich weiter unten noch einmal zurückkommen 
gelegentlich der Besprechung des Zusammenhanges der Endverästelung 
des Neurofibrillengerüstes der Endplatte mit der Muskelfaser!). 

Bevor wir zur Behandlung dieser Frage übergehen, harren noch zwei 
Fragen, die Struktur des Neurofibrillengerüstes betreffend, der Be- 
handlung. 


Schlingenbildung und Netzbildung. 
Erstens die Frage, ob man das Strukturbild des Neurofibrillen- 
gerüstes als Schlingenbildung (,,Entbtindelung‘‘, Heidenhain) oder als 


1) Auf S. 24 und ff. 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 393 


wirkliche Netzbildung der Neurofibrillen mit geschlossenen Maschen 
und mehr oder weniger verdickten Knotenpunkten auffassen soll. 

In meiner vorigen Arbeit [8] wurde diese Frage schon gestreift, und 
darauf hingewiesen!), daß wenn auch von Cajal und Tello behauptet 
wird, die Endigungsweise der Äste des Geweihes beruhe nur auf Netz- 
bildung?), Schlingenbildung ganz gewiß vorkommt. Die Abbildung der 
Nervenplatte, welche dieses illustrieren sollte, habe ich in der Fig. 32 
wieder reproduzieren lassen, weil sie so vorzüglich die Details der Schlin- 
genbildung, der Entbündelung, der Endösenbildung zeigt. Daneben 
habe ich in den Figg. 33, 34, 35 einige motorische Endplatten gezeichnet, 
welche ebenfalls in sehr vollkommener Weise die Ausbreitung des 
Neurofibrillengerüstes durch Entbündelung und Schlingenbildung zur 
Schau tragen. Diese Bilder sind so klar, daß eine weitere Beschreibung 
überflüssig sein dürfte. Nur möchte ich die Aufmerksamkeit noch 
besonders lenken auf das auch in dieser Hinsicht wichtige Verhältnis 
der Neurofibrillen an der mit X bezeichneten Stelle der Fig. 33, wo 
die motorische Platte mit der quer über die Muskelfaser hinziehenden 
Nervenfaser zusammenhängt, und wo die Überkreuzung der Neuro- 
fibrillen, bevor sie in die zwei Hauptäste der Nervenplatte eintreten, 
und überhaupt der ganze Verlauf der Neurofibrillen ein recht instruk- 
tives Bild gibt. 

In diesen Platten scheint. die Ausbreitung des Neurofibrillengerüstes 
fast ausschließlich durch Entbündelung und Schlingenbildung der 
einzelnen Neurofibrillen zustande zu kommen. Und so beruht, wie ich 
ebenfalls schon in meiner vorigen Arbeit betonte, in manchen Fällen 
auch die Bildung der auf feinen Stielchen sitzenden runden oder birnen- 
förmigen Endringen ganz gewiß auf einer Schlingenbildung und nicht 
auf Ringbildung am Ende einer einzigen Neurofibrille. 

Man würde aber entschieden zu weit gehen, wenn man auf Grund 
dieser Bilder dem Vorgange der Schlingenbildung und Endbündelung 
eine sehr große oder sogar eine ausschließliche Rolle bei der Ausbildung 
der Endausbreitungen des Neurofibrillengerüstes der Nervenendorgane 
(sei es motorische oder sensibele) zuschreiben wollte. Wirkliche Netz- 


1) 1. c. Seite 213. 
2) Cajal, S. 100. 


394 J. Boeke, 


bildung, durch Spaltung und Verwachsung verschiedener Fibrillen 
entstanden, mit vieleckigen regelmäßigen Maschen und etwas verdickten 
Knotenpunkten, kommt ganz entschieden vor. Besonders die embryo- 
nalen, sich entwickelnden Endplatten, wie sie in großer Anzahl in meiner 
vorigen Arbeit abgebildet wurden (man vergleiche hierzu auch die 
Figg. 2, 3, 4, 46, 52 vorliegender Arbeit) zeigen eine exquisite Netzbil- 
dung. So sind z. B. in der Endplatte der Fig. 3 die Neurofibrillen alle 
so ziemlich von gleicher Dicke. Der obere breite Ast des Neurofibrillen- 
gerüstes a zeigt eine sehr deutliche und regelmäßige Netzbildung, und 
ist durch eine schmale Brücke, welche nur aus zwei Neurofibrillen be- 
steht, mit dem anderen Teil der Platte verbunden. Die zwei Fibrillen 
dieser Brücke sind von durchaus demselben Kaliber als die anderen 
Fibrillen der Platte. Und doch ist aus ihnen das ganze Gerüst des 
oberen Astes hervorgegangen. Da kann man ja doch nichts anderes 
annehmen als eine Spaltung und Verwachsung der Neurofibrillen, 
Bildung eines wirklichen Netzwerkes, aus der primären Endschlinge 
hervorgewachsen. Auch die regelmäßige Form mancher embryonaler 
Endnetzchen, die spätere Vergrößerung einzelner Maschen (cf. 8, 
Seite 207) usw. weisen auf wirkliche Netzbildung hin. Und so findet 
man in demselben Muskelkomplex, in welchem die fast nur schlingen- 
bildenden Endplatten der Figg. 32 und 33 aufgefunden wurden, End- 
platten, welche ebenso gut fixiert sind als die obengenannten End- 
platten, und welche eine Struktur der Endknospen zeigen, wie sie in 
der Fig. 31 gezeichnet ist. Neben den kleinen, einfach gebauten, offenbar 
als Schlingenbildung aufzufassenden Endösen des dünnen oberen 
Zweiges a, zeigen die großen kompliziert gebauten Endknospen 5 und c 
eine Struktur, welche nur als eine typische Netzbildung zu deuten ist. 
An künstliche Deformierung des Gerüstes durch die Fixation, wodurch 
eine Netzbildung vorgetäuscht wird, ist bei der Regelmäßigkeit des 
Neurofibrillengefüges kaum zu denken. Es liest hier eine wirkliche 
Netzbildung vor. Und dasselbe trifft, wie mir scheint, für viele andere 
Fällezu. — Durch Entbündelung und Schlingenbildung, zusammen mit 
partieller Spaltung und netzartiger Verwachsung der Neurofibrillen 
wird die so wechselvolle Gestalt des Neurofibrillengefüges der nervösen 
Endorgane geschaffen. 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 395 


Bildung der motorischen Platten im Verlaufe der Nervenfasern. 

Zweitens die Bedeutung der Figg. 8 und 33. 

Die Plattenbilder, welche mit am schönsten den Prozeß der Ent- 
bündelung und Ausbreitung des Neurofibrillengeristes zeigen, die 
Fig. 33 und 8, dienen auch zur Illustration des Entwickelungsmodus der 
motorischen Endplatten, wie ich ihn in meiner vorigen Arbeit [8] be- 
schrieben habe. 

Es wurde damals gezeigt, daß im allgemeinen die motorischen 
Nervenendigungen nicht als Endanschwellungen am Ende von Nerven- 
fasern entstehen, sondern als lokale Auflockerungen, Ring- und Netz- 
bildungen im Verlaufe der Nervenfasern des motorischen Plexus. Die 
Auflockerungen und Ringbildungen entstehen da, wo die Nervenfaser 
die Muskelfaser berührt. In den Figg. 1 bis 3 jener Arbeit wurden diese 
Verhältnisse illustriert. In vorliegender Arbeit habe ich zur Illustration 
des Entwicklungsganges die Fig. 1 hinzugefügt. Die lokalen Auflocke- 
rungen der Nervenfaser haben sich schon ein wenig kompliziert (man 
vol. die Figg. 1 und 2 meiner vorigen Arbeit) und zeigen eine netzförmige 
Struktur. Auch zeigen sie schon die Neigung, aus dem Verlaufe der 
Nervenfaser herauszutreten, kollateral zu werden, sind jedoch noch immer 
in der Nervenfaserbahn eingeschaltet. Später treten sie ganz aus dem 
Verlaufe der Nervenfaser heraus, sind dann noch mittels eines kurzen, 
später längeren Stieles mit der Nervenfaser verbunden (Figg. 2, 3, 4) 
und erlangen dann allmählig die definitive Form (vgl. 1. c. Seite 200 
und 201) der Endplatten. Auf die Details dieser Entwicklung werde 
ich hier nicht weiter eingehen, um nicht in Wiederholungen zu verfallen. 

Bleibt nun im Laufe der weiteren Entwicklung der Endplatte der 
Verbindungsstiel mit der Nervenfaser kurz, so bekommt man ein Bild 
zu sehen, wie es die Platte der Fig. 15 vorliegender Arbeit zeigt. Es 
macht den Eindruck als ob die Nervenfaser, welche die Platte gebildet 
hat, sich T-förmie spaltet. In Wirklichkeit ist der Entwicklungsgang 
zu vergleichen mit dem allbekannten Bildungsmodus des sich T-förmig 
spaltenden Ausläufers der Spinalganglienzellen, aus der Verschmelzung 
zweier ursprünglich getrennt verlaufenden Ausläufern. 

Nun kann es aber vorkommen, daß die Ausschaltung aus der Nerven- 
faserbahn auch bei der vollkommen ausgebildeten Platte unterbleibt. 


396 J. Boeke, . 


Dann bleibt die motorische Platte sozusagen im Verlaufe der Nerven- 
faser eingeschaltet liegen, macht hier ihre weitere Entwicklung durch, 
und es resultieren Plattenformen, wie sie in den Figg. 8 und 33 abge- 
bildet sind. Besonders die Fig. 8 zeigt in überaus klarer Weise wie eine 
derartige Platte entstanden sein muß, wie durch weitgehende Spaltung, 
Entbündelung und einseitige Ausbreitung des Neurofibrillengefüges sich 
die Platte aus der ursprünglichen lokalen Auflockerung des Neuro- 
fibrillenbündels im Verlaufe der Nervenfaser gebildet hat. Die Fig. 33 
zeigt eine Platte, welche aus zwei Hauptästen aufgebaut ist, welche sich 
schlängeln, kurze und längere Seitensprossen entsenden und in End- 
ósen und Endschlingen enden, die einander teilweise überkreuzen und 
den Prozef der Entbündelung und Schlingenbildung, wie oben schon 
hervorgehoben wurde, in schönster Weise zur Schau tragen. Scheinbar 
wird die Platte durch zwei Nervenfasern gebildet, der eigentümliche 
Verlauf der Neurofibrillen an der Verbindungsstelle X zeigt jedoch aufs 
Deutlichste, daß hier derselbe Bildungsmodus vorliegt wie bei der 
Platte der Fig. 8, und daß auch hier die Platte seitlich aus einer quer 
zur Längsachse der Muskelfaser gerichteten Nervenfaser hervorgewach- 
sen ist. Man sieht, wie ein Teil der Neurofibrillen der Nervenfaser 
einfach durchgeht, ohne in den Verband der Plattenäste einzutreten 
und wie andere Neurofibrillenbündel einander an der Verbindungsstelle 
überkreuzen bevor sie in die Äste der Platte übergehen und so die Zu- 
sammengehórigkeit der zwei Äste beweisen. 

; Ein besserer Beweis für die Richtigkeit des oben beschriebenen 
Bildungsmodus der motorischen Nervenendigungen als diese Figuren 
liebe sich kaum bringen. 


b. Zusammenhang des Neurofibrillengerüstes der motorischen Platte mit 
der Substanz der Muskelfaser. 


Was sich von dem Zusammenhange des Neurofibrillengerüstes der 
Platte mit der Substanz der Sohlenplatte und der Muskelfaser an meinen 
Präparaten beobachten ließ, habe ich in meiner vorigen Arbeit schon 
kurz beschrieben und durch eine Reihe von Abbildungen illustriert 
(1. c. Seite 214—920). Hier werde ich diese Verhältnisse etwas ausführ- 
licher beschreiben. Als Einleitung möchte ich hier den Schlußpassus 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 397 


aus dem diese Frage kurz behandelnden Abschnitt meiner vorigen Arbeit 
wiederholen: ,,so viel scheint durch die mitgeteilten Beobachtungen 
sichergestellt zu sein, daß die motorische Nervenplatte nicht das Ende 
des leitenden Elementes vorstellt, welches nur durch den Kontakt der 
Sohlenplatte mit der Muskelfaser verbunden ist, sondern daß von der 
Stelle des motorischen Nerven, wo durch Verbreiterung, Auflockerung, 
Ring- und Netzbildung des Neurofibrillengefüges eine sehr starke Ver- 
gróDerung der Oberfläche des leitenden Elementes erzielt ist, feinste 
Fibrillen abgehen, welche, netzartig miteinander verbunden, an der 
einen Seite mit dem Neurofibrillengitter der motorischen Platte in ganz 
bestimmter Weise zusammenhängen, an der anderen Seite durch das 
Protoplasma der Sohlenplatte hindurch mit der kontraktilen Substanz 
selber in Verbindung treten und sich als ein äußerst feines Netzwerk 
zwischen die quergestreiften Myofibrillen ausbreiten“ (S220) 
Diese Angaben ließen sich auch bei weiterem Studium voll und ganz 
bestätigen. 

In der Literatur läßt sich über diese Frage wenig finden. Die meisten 
Forscher, auch die welche eine hypolemmale Lage der motorischen 
Platte annehmen, finden nur das körnige Sarkoplasma oder Protoplasma 
der Sohlenplatte mit den eingestreuten Kernen, und darin eingebettet 
die Endigung des motorischen Nerven selbst. Ein so zuverlässiger Be- 
obachter wie Dogiel, der auch ganz richtig die hypolemmale Lage der 
Endplatte schildert, sagt, die Endzweige der Nervenäste liegen nur 
zwischen dem Sarkolemma und der Substanz der Muskelfasern ohne 
in die Tiefe derselben zu dringen. ‚Bei vollständig gelungenen und 
reinen Methylenblautinktionen ist es mir nicht gelungen, zwischen den 
gefärbten Endnervenapparaten und den ungefärbten Muskelfasern 
irgendeinen anderen Zusammenhang zu konstatieren, als den des ein- 
fachen Anlagerns‘ (1. c. S. 314). „Nur wenn die Färbung der Muskeln 
allzulange dauert oder die Muskelfasern einer fettigen Degeneration 
unterworfen worden waren, so tingieren sich auch das Sarkoplasma 
und... die in Reihen liegenden Fettkörnchen, wobei ein Bild erhalten 
wird, das an den intravaginalen Nervenplexus von Gerlach erinnert. 
Bei einer gehörig gelungenen Tinktion normaler Muskelfasern ist nichts 
Derartiges zu bemerken“ (1, c, S. 315). Auf dem gleichen Standpunkte 


398 J. Boeke, 


stehen die meisten Forscher der letzten Jahre. Zwar hatte Gerlach in 
1889 seine früher an Goldchloridpráparaten gemachten Beobachtungen 
auch an Methylenblaupräparaten bestätigt gefunden [32], wie gesagt, 
wurden seine Angaben jedoch von Arnstein und Dogiel zurück- 
gewiesen. Nur werden von Reizius in seinen oben zitierten Unter- 
suchungen über die motorischen Nervenendigungen der Wirbeltiere 
folgende Angaben gemacht: Ob die Endplatten auf oder unter dem 
Sarkolemma liegen, konnte Retzius an seinen Präparaten nicht ent- 
scheiden. Die leichte reine Färbung der Nervenfasern und ihrer End- 
scheiben, ohne gleichzeitige Färbung des Inhalts der Muskelfaser, 
schien ihm indessen für eine Anhaftung an der Außenseite des Sarko- 
lemmas zu sprechen, denn an den abgerissenen Enden der fraglichen 
Muskelfasern sah er in der Regel gleichzeitig eine diffuse Blauung des 
Muskelfaserinhalts. Gerade bei unversehrtem Sarkolemma färbten sich 
jedoch beim Frosch oft einzelne Körnchen und Körnchenreihen, wie 
J. v. Gerlach hervorgehoben hat. Hin und wieder sah Retzius sie durch 
äußerst feine Fädchen verbunden, und es hatte den Anschein, als ob 
sie einem durch die Substanz distribuierten Netze angehörten, welches 
indessen mit dem übrigen Sarkoplasma nicht ganz identisch war. Einen 
Zusammenhang der fraglichen gekörnten, äußerst dünnen Fädchen mit 
den Endplatten der Nerven vermochte Retzius nicht darzutun. Hin und 
wieder sah er von den Rändern der Endplatten feine, körnige, verästelte 
Fäserchen auslaufen, die jedoch bald wieder aufhörten und frei zu 
. endigen schienen. Auch hierbei war kein Zusammenhang mit dem oben 
beschriebenen Netze zu erweisen (1. c. S. 47). — Was die letzte Beobach- 
tung anbetrifft, so hat Retzius hier, nach seinen diesbezüglichen Abbil- 
dungen zu schließen, offenbar die ganz dünnen, feinen, in einer Endóse 
endigenden Seitenástchen gefárbt erhalten, welche in manchen Abbil- 
dungen vorliegender Arbeit gezeichnet worden sind (z. B. in den Figg. 11, 
13, 15, 18, 19, 21 usw.), welche sich jedoch in den allermeisten Fällen in 
mittels Methylenblau gefárbten Práparaten nicht zeigen. 

Die erstgenannte Beobachtung von Retzius scheint jedoch darauf 
hinzuweisen, daß doch im Sarkoplasma der Muskelfaser eine bestimmte 
netzförmige Differenzierung bestehen kann. 

Dasselbe geht aus den trefflichen Beobachtungen Veratts [69] an 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 399 


nach Golgi imprägnierten Muskeln von Wirbeltieren und Insekten 
hervor. Diesen letzten Bildungen scheint jedoch nach den schönen 
Untersuchungen Holmgrens [38] eine andere, trophische Bedeutung zu- 
zukommen. Ich kenne das Netzwerk Verattis recht wohl, habe es an 
dünnen Golgischnitten wiederholte Male mittels stärkster Vergrößerung 
(Immersion) studieren können, habe jedoch da, wo auch die motorische 
Endplatte imprägniert war, mich vergeblich bemüht, einen Zusammen- 
hang zwischen den beiden Strukturen in dem Sinne, wie es weiter unten 
für das ,,periterminale Netzwerk“ beschrieben werden wird, festzustellen. 
Auch Veratti selber war das nicht gelungen (l. c. S. 126). 


Das periterminale Netzwerk. 

Gut gelungene Silberpráparate zeigen nun aber, daß in der Muskel- 
faser, wenigstens was die Sarkoplasmaanhäufung der Sohlenplatte an- 
betrifft, eine netzartige Differenzierung der Grundsubstanz ganz sicher 
besteht, welche wohl mit der Nervenendplatte, und zwar mit dem Neuro- 
fibrillengerüste der Platte in Verbindung steht. 

Wenden wir uns also zu unseren eigenen Beobachtungen über den 
Zusammenhang zwischen Nervenendplatte und Substanz der Muskel- 
faser. 

Daß die motorische Nervenendigung unterhalb des Sarkolemmas, 
hypolemmal, liegt, habe ich schon in meiner vorigen Arbeit gezeigt. Der 
dort abgebildete Querschnitt durch die Muskelfaser und die Nervenplatte 
gibt ein vollkommen richtiges. Bild der tatsächlichen Verhältnisse. 
Jeder Querschnitt gibt dasselbe Bild. Ich werde dann auch keine 
neuen Abbildungen vorführen, um nicht allzusehr in Wiederholungen zu 
verfallen. Übrigens geben auch Längsschnitte durch die Muskelfaser 
mit im Profil gesehener Endplatte, wie sie in den Figg. 30 und 50 ab- 
gebildet wurden, besonders da wo die motorische Platte sich um die 
Muskelfaser herumbiegt und also teilweise von der Fläche und im Profil 
gesehen wird, wie sie in den Figg. 5, 39 usw. abgebildet wurden, ein 
vollkommen klares Bild der hypolemmalen Lage der Endplatte. 

Und daß die nach der oben beschriebenen Methode angefertigten 
Präparate ein sicheres Urteil hierüber auszusprechen gestatten, geht 
unzweideutig daraus hervor, daß man bei den sensibelen Nervenendi- 


400 ‘ J. Boeke, 


sungen der Muskelfasern wohl die epilemmale Lage der Endausbreitung 
der Nervenfaser feststellen kann. So gibt die Brelschowsky-Methode eine 
ganz vorzügliche Färbung des nervösen Apparates der neuromuskulären 
Spindeln. Die motorischen Endigungen der Muskelspindeln, von denen 
in den Figg. 39 und 40 einige Beispiele abgebildet werden, liegen, wie 
aus diesen Abbildungen hervorgeht, unter dem Sarkolemma. Bei den 
die dünnen Muskelfasern umschnürenden sensibelen Spiralnerven- 
fasern konnte, obwohl sie den Muskelfasern fest anliegen, ganz deutlich 
das Sarkolemma als eine ganz feine Linie zwischen der Nerven- und der 
Muskelfaser gesehen werden?) Da war also die epilemmale Lage auch 
in dem schwierigen Fall einer eine dünne Muskelfaser fest umschnürender 
Nervenfaser ganz richtig und deutlich festzustellen. 

Es liegt also die Endausbreitung der motorischen Nervenfaser 
hypolemmal, in dem da zur Stelle zur Sohlenplatte verdichtetem Sarko- 
plasma eingebettet. Wie wird man sich nun aber diese „Einbettung“ 
vorzustellen haben? Gilt hier der Satz v. Lenhosseks [47, S. 265), daß 
bei den motorischen Endigungen die Neurofibrillen nicht in direkte 
Verbindung oder selbst auch nur in unmittelbarer Berührung gelangen 
mit der Substanz der Muskelfaser, weder mit den Fibrillen, noch mit 
dem Sarkoplasma, weil sie bis in ihre letzten Endschlingen und Endnetze 
umgeben sind von dem Axoplasma des Terminalzweiges? Und gilt 
dazu der zweite Satz v. Lenhosseks (1. c. S. 279), daß die Gegenwart der 
Endschlingen und Endnetze des Neurofibrillengerüstes in den Terminal- 

organen ein schwerwiegender Beweis ist gegen den leitenden Charakter 
der Neurofibrillen, daß sie förmliche Sackgassen darstellen, ‚aus denen 
die Erregung nicht heraus und in die sie nicht hinein kann?" Meiner 
Ansicht nach gilt weder der eine, noch der andere Satz. Was den letzt- 
genannten Satz betrifft, so wissen wir doch eigentlich absolut nichts 
von dem Prozesse der Erregungsleitung und der Abänderung dieser 
Erregungsprozesse in den Endorganen. Wir wissen ja nicht einmal, ob 
die Neurofibrillen da, wo sie in das Terminalorgan eintreten und die 


1) In dieser Arbeit werde ich mich ausschliesslich auf die motorischen End- 
platten beschränken. Die Beschreibung der so äusserst merkwürdigen Verhältnisse 
der sensiblen Innervation der Muskelspindeln wird man in einer demnächst zu 
erscheinenden Arbeit hierüber von Dr. van de Velde finden. 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 401 


eigentümlichen Veränderungen ihres Gefüges, welche für die motorischen 
Endorgane oben geschildert wurden, zeigen, dieselben Eigenschaften 
besitzen, welche sie in den die Erregung nur fortleitenden Nerven- 
fasern aufweisen. Wir wissen auch gar nichts von den Eigenschaften 
des Axoplasmasim Nervenfaser und in den Terminalzweigen der Nerven. 
Nur sehen wir, daß es sich in den Endorganen den Farbstoffen gegen- 
über anders verhält als in den Nervenfasern. Darin ist schon ein 
Fingerzeig gelegen, daß dem Axoplasma der Terminalorgane nicht die 
isolierende oder im allgemeinen die gleiche Rolle zugeschrieben zu werden 
braucht, welche ihr in den Axenzylindern der Nervenfaser vielleicht 
zukommt. 

Von einer in lebender Substanz eingebetteten neurofibrillären End- 
schlinge oder Endnetzchen zu sagen, sie stelle eine förmliche Sackgasse 
dar, aus der die Erregung nicht heraus und in die sie nicht hinein kann, 
ist eben aus dem Grunde ganz verfehlt, weil wir von dem Wesen dieser 
Erregung nichts wissen. 

Und schließlich finden wir gerade bei den motorischen Endplatten 
tatsächlich einen Übergang, finden wir, wie gesagt, eine netzartige 
Differenzierung in der Substanz der Sohlenplatte, welche sich direkt 
dem Endapparat des Neurofibrillengerüstes anschließt, damit in ganz 
bestimmter Weise verbunden ist, und an der anderen Seite mit der 
kontraktilen Substanz in Verbindung tritt, ein Verbindungsglied also, 
das in bestimmter Weise bei der Übertragung der Erregung von dem 
Nervenendapparat auf die Muskelfibrillen eine Rolle spielen kann, 
Das ist das von mir sogenannte ,,periterminale Netzwerk‘ (1. c. S. 218). 

Sobald ein derartiges Netzwerk, ein Verbindungsglied zwischen die 
kontraktile Substanz der Muskelfaser einerseits und des Neurofibrillen- 
geristes des motorischen Organs andererseits sich einwandsfrei nach- 
weisen läßt, fällt auch der erstgenannte Satz von v. Lenhossek. Und es 
muß der von Heidenhain [36] für diese Art des Zusammenhanges von 
Nervenendorganen und Zellsubstanz, wie sie bei der hypolemmalen Lage 
der motorischen Endplatte vorliegt, aufgestellte Begriff der ,,Einbet- 
tung‘‘ wesentlich umgeändert werden, will es mit den tatsächlichen 
Verhältnissen in Übereinstimmung bleiben. 

Wie gesast, habe ich in meiner vorigen Arbeit dieses periterminale 

Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII, 26 


402 J. Boeke, 


Netzwerk schon kurz beschrieben und abgebildet. Die damals gegebene 
Beschreibung ließ sich bei fortgesetzter Untersuchung vollauf bestätigen. 


Es läßt sich innerhalb der feinkörnig erscheinenden Sarkoplasma- 
substanz der Sohlenplatte nach gelungener Silberimprägnierung ein 
äußerst feines, feinmaschiges, sehr zartes Netzwerk nachweisen, das 
aus ziemlich regelmäßigen, bisweilen stellenweise sehr regelmäßigen 
Maschen besteht, sich in äußerst charakteristischer Weise an das Neuro- 
fibrillengerüst der Nervenplatte anschließt und an günstigen Stellen 
bis zwischen die kontraktilen Fibrillen verfolgt werden konnte. 

In den Figg. 9, 29, 31, 32, 33, 34, 35, 37, 38, 42, 43, 44 habe ich 
gezeichnet, was sich beobachten ließ. Manche Details sind auch in den 
meiner vorigen Arbeit beigegebenen Figuren ersichtlich. 


In nach gewöhnlichen histologischen Methoden behandelten Prä- 
paraten zeigt das Sarkoplasma, auch das der Sohlenplatte, eine sehr 
feinkörnige oder mehr grobkörnige (z. B. nach subl. Fixierung und Eisen- 
haem.-Färbung) Beschaffenheit. Von einer Netzstruktur mit deutlichen 
Maschen ist nichts zu sehen. Nur in mittels der Neurofibrillenfärbungs- 
methoden behandelten Präparaten zeigt sich bei gelungener Reaktion 
inmitten des feinkörnigen Protoplasmas das obengenannte Netzwerk 
als äußerst zarte, braunrot oder leicht braunviolett bis rosa gefärbten?) 
Fibrillen, welche netzartig untereinander zusammenhängen mit oft 
leicht verdiekten Knotenpunkten, und an dem Neurofibrillengerüste 
sich unmittelbar anschließen. Besonders um die Endösen und retiku- 
lierten Endknospen der Aste des Neurofibrillengerüstes herum sind sie 
oft sehr deutlich sichtbar, und bilden da entweder sofort Maschen von 
polygonaler Gestalt und von ziemlich gleichmaBiger Größe, oder die 
Maschen, welche die Endknöpfe umgeben, sind besonders um größere 
Endknöpfe herum, mehr oder weniger in die Länge ausgezogen, halb- 
mondfórmig oder schalenförmig. Das sieht man sehr deutlich in der 
Fig. 32, besonders bei der mit d bezeichneten aus einer doppelten 
Schlinge bestehenden Endöse, und bei der kleinen Endschlinge 6, so 
auch in der Fig. 35, in der Fig. 31 bei b usw. Sind die Endósen oder 
Endknöpfe mehr rundlich, ringförmig, so sind die sich ihnen anschlie- 


!) Nach Vergoldung der Präparate. 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 403 


Benden Maschen des periterminalen Netzwerkes meist sofort von poly- 
gonaler Gestalt. So z. B. in der Fig. 9 um die Kleine ringförmige Endöse 
des dünnen Mittelastes 5 herum, in dem feinen engmaschigen peri- 
terminalen Netze der Figg. 37 und 38 usw. Aber auch da, wo die 
innersten, um die Endknöpfe herum liegenden Maschen langgezogene 
Form haben, sind doch die weiter peripherwärts liegenden Maschen 
meist polygonaler Gestalt. Da wo die Endknöpfe nicht flächenhaft aus- 
gebreitet sind, sondern mehr oder weniger birnenförmig, von drei- 
dimensioneller Ausbreitung, sind die Maschen des periterminalen Netz- 
werkes nach allen Richtungen hin an dem Neurofibrillengerüste der 
Endknöpfe angeheftet. Sehr deutlich war das sichtbar in der im Profil 
gesehenen Endplatte der Fig. 38. 

Nicht nur mit den netz- oder ringförmig verbreiteten Enden der 
Nervenäste der motorischen Platte stehen die Fibrillen des peritermi- 
nalen Netzes in Verbindung. Auch an die ringförmigen Verbreiterungen 
im Verlaufe der Teilungsäste setzen sich die feinen Fibrillen an und 
auch da, wo die Nervenäste nicht aufgelockert sind oder eine netz- 
förmige plattenförmige Verbreiterung des Neurofibrillengerüstes zeigen, 
sieht man an günstigen Stellen die Maschen des periterminalen Netzes 
sich an dem Fibrillenbündel seitlich anschließen. Schon in meiner 
vorigen Arbeit habe ich eine Anzahl Abbildungen gegeben, weiche dieses 
illustrieren. Bei den vorliegender Arbeit beigegebenen Figuren ist dieses 
Verhalten besonders schön in den Figg. 32, 34, 38, 29 sichtbar. Man 
sieht oft, wie die dünneren Äste wie mit feinen Dörnchen besetzt sind. 
An diesen heften sich die periterminalen Fibrillen an. Mit den die End- 
knöpfe und Endösen umschließenden Maschen stehen diese. letzteren 
Teile des periterminalen Netzwerkes in kontinuierlichem Zusammenhang. 
Sie bilden damit ein einheitliches Ganzes. In mehreren Figuren ist das 
deutlich sichtbar, besonders schön in der Fig.34 und in dem feinen, 
engmaschigen periterminalen Netze der Figg. 37 und 38. In der Fig. 38, 
nach einem Präparate aus dem Muse. obliquus superior oculi einer ein- 
jährigen Katze gezeichnet, in welchem das periterminale Netzwerk 
besonders um die neurofibrillären Äste herum ziemlich dunkel gefärbt 
war, bilden die spezifisch neurofibrillären Gerüste des motorischen End- 


geweihes innerhalb der Sohlenplatte sozusagen ein axiales Skelett, um- 
j 26* 


404 J. Boeke, 


geben von dem die weitere Substanz der Sohlenplatte durchsetzenden 
feinen Maschenwerk des periterminalen Netzes. 

In meiner vorigen Arbeit gab ich schon an, daß nicht nur die Teile 
des periterminalen Netzes, welche die Äste des Geweihes umgeben, mit 
dem sich um die eigentlichen Endnetze und Endknöpfe des Neuro- 
fibrillengerüstes der Platte in kontinuierlicher Verbindung stehen, 
sondern daß auch die die verschiedenen Endnetze der Nervenäste der 
Platte umgebenden periterminalen Fibrillen miteinander in kontinuier- 
licher Verbindung stehen, auch da, wo diese Endnetze, wie das bei 
dicker Sohlenplatte so oft vorkommt, innerhalb der Sohlenplatte nicht | 
in demselben Niveau liegen (man vgl. die Fig. 29, 37, 9 usw.). Seitdem 
habe ich an manchen Präparaten das periterminale Netzwerk noch 
besser gefärbt erhalten, so daß ich es in seiner ganzen Ausdehnung 
studieren konnte. Es stellte sich dabei als richtig heraus, was aus den 
früher mitgeteilten Beobachtungen sich schon schließen ließ, daß auch 
bei dickeren Sohlenplatten das feine Netzwerk durch die ganze Aus- 
dehnung der Sohlenplatte verfolgt werden konnte, daß es aus dem Be- 
zirke der Sohlenplatte hinaus in das übrige Sarkoplasma zu verfolgen 
war, und daß von da aus feinste Fibrillen in die Interstitien zwischen den 
kontraktilen Muskelfibrillen eintreten und ein wirkliches intramusku- 
läres Netz bilden, von dem man annehmen kann, daß es, in derselben 
Weise wie das Veratti-Holmgrensche Netz, die ganze Muskelfaser durch- 
zieht. 

Besonders bei den Muskelfasern, welche eine dicke Sarkoplasma- 
rinde besitzen, kann man bisweilen gut sehen, wie das Retikulum der 
Sohlenplatte bis in diese sarkoplasmatische Rindenschicht hinein zu 
verfolgen war (Fig. 36), und wie von hieraus feinste Fibrillen zwischen 
die Muskelfibrillen eintreten und da ein äußerst zartes Netzwerk zu 
bilden scheinen, welches jedoch mit Sicherheit nicht weiter zu ver- 
folgen war. | 

In bezug auf dieses ,,periterminale Netzwerk‘ sind nun eine Anzahl 
Fragen aufzustellen, welche jedoch leichter zu formulieren als einiger- 
maßen befriedigend zu beantworten sind. Ist es identisch mit schon 
früher von verschiedenen Forschern (Kölliker, Rollett, Cajal, Retzius, 
Fusari, M. Heidenhain, Veratti, Holmgren, Nystrom) innerhalb der 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 405 


Muskelfasern beschriebenen netzförmigen Differenzierungen? Ist es - 
neurofibrillärer oder protopiasmatischer Natur? Ist es eine Tropho- 
spongiumbildung, oder hat es im Anschluß an das Neurofibrillen- 
serüst der Nervenendplatte mit der Übertragung der Erregung zu 
schaffen ? i 

Was die erste Frage anbetrifft, so kommen eigentlich nur die von 
Veratti und Holmgren dargestellten sarkoplasmatischen Netzstrukturen 
in Betracht. Die von den älteren Autoren in den Muskelfasern beschrie- 
benen Querfasernetze sind auf Grund der Beschreibung und der Form 
der Netze sofort auszuschließen. Die oben erwähnten Angaben von 
Retzius (1892) sind zu unbestimmt, um sie mit den meinigen vergleichen 
zu können. 

Veratti [69] hat die von ihm mittels der Golgi-Methode dargestellten 
Netzstrukturen im Sarkoplasma vorzüglich abgebildet, für die höheren 
Vertebraten viel besser als Holmgren, der z. B. in den sechs Bildern, 
welche er in seiner Arbeit von den Skelettmuskelfasern von Säugetieren 
(Mus decumanus) gibt, tatsächlich nur in zwei Figuren (89 und 90) das 
in Frage stehende Netz abbildet. Die genauen Zeichnungen Verattis 
lassen jedoch einen direkten Vergleich zu. Es ist dabei leicht, sich an 
dünnen Golgipräparaten von der Richtigkeit seiner Angaben zu über- 
zeugen. Wie ich oben schon angab, habe ich das von ihm beschriebene 
Sarkoplasmanetz bei jungen Säugetieren wiederholte Male studieren 
können!). In der Größe und der Gestalt der Maschen stimmte es so 
ziemlich mit meinen Befunden über das periterminale Netz an Biel- 
schowsky-Präparaten überein, aber damit ist auch alles gesagt. Gerade 
die für das periterminale Netzwerk so charakteristische Verbindung mit 
dem Neurofibrillengerüste der motorischen Nervenplatte war nicht 
vorhanden. Ich bin daher meinesteils davon überzeugt, daß die zwei 
Strukturen nicht miteinander identisch sind und nebeneinander im 
Sarkoplasma vorkommen. Dafür würde auch die Tatsache sprechen, 
daß bei den Insekten die zwei Strukturen deutlich voneinander unter- 
scheidbar sind. Das Cajal-Fusarische, mit den Tracheen in Verbindung 
stehende Netzwerk läßt sich durch die Bielschowsky-Methode oft in 


1) Die Bilder, welche ich an meinen Go/gi-Priparaten von dem Verattischen 
Netze erhielt, stimmten vollkommen mit denen überein, welche Veratti abbildet. 


406 J. Boeke, 


prachtvoller Weise darstellen, wenigstens bei Dytiscus und Hydro- 
philus; weiter reichen meine Erfahrungen nicht. Daneben kann man 
dann die Nervenenden färben, mit retikulierten Endknospen und An- 
deutungen von einem diese umgebenden feinmaschigen periterminalen 
Netzwerke. Ich hoffe später diese Ergebnisse mehr in extenso mitzu- 
teilen, und werde mich in dieser Arbeit auf die höheren Vertebraten 
beschränken. Hier führte ich es nur an als weitere Stütze für die Be- 
hauptung, daß das Veratti-Holmgrensche Netz nicht identisch sei mit 
dem oben beschriebenen periterminalen Netzwerke im Sarkoplasma. 
Etwas Positiveres läßt sich jedoch zurzeit nicht hierüber sagen, denn 
auch über das Veratti-Holmgrensche Netzwerk wäre auch nach der 
Arbeit Holmgrens noch vieles zu untersuchen und harren viele Fragen 
noch der Lösung. 

Ist das periterminale Netzwerk neurofibrillärer oder protoplasma- 
tischer, besser gesagt, sarkoplasmatischer Natur? 

M. Heidenhain, der einzige Autor, der sich nach meiner vorigen 
Arbeit hierüber äußert (36, S. 903), sagt, er fasse es nach der von mir 
gegebenen Schilderung nicht als neurofibrillàr auf, sondern nehme an, 
daß es eine Differenzierung des Plasmas der Plattensohle ist. Ob Heiden- 
hain hierin Recht hat, ist nicht so auf einmal zu sagen. Ich habe mich 
in meiner vorigen Arbeit reservierter ausgedrückt und nur gesagt, die 
Verbindung zwischen dem Neurofibrillengerüste der motorischen Platte 
und die kontraktile Substanz kommt bei den höheren Vertebraten durch 

‘Vermittlung eines im Innern des Sarkoplasmas der Sohlenplatte in 
bestimmter Weise differenzierten Netzwerkes zustande, welches einer- 
seits wieder in das äußerst zarte Sarkoplasmagewebe zwischen den kon- 
traktilen Fibrillen überzugehen scheint (1. c. S. 217). Die Differenzierung 
dieses Netzwerkes geht, so weit man sehen kann, bei seiner Entwicklung 
von dem Neurofibrillenapparat der motorischen Platte aus. Es fragt 
sich nun, ob es sich dabei um ein Auswachsen von ursprünglich nervöser 
Substanz, mehr oder weniger undifferenziertes Neuroplasma, wie wir 
es auch in den ,,Cônes de croissance‘ der auswachsenden Neuroblasten 
finden, als feinste, sich netzartig verbindende Fibrillen, in die Substanz 
der Muskelfasern hinein, handelt, oder ob es mehr eine Differenzierung 
in Loco von Sarkoplasmateilchen unter dem Stimulanz von und in 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 407 


Anschluß an die Differenzierung des nervösen Endapparates ist, welche 
dann netzförmig immer weiter in die Muskelfaser hineinwächst — — um 
eine alte Vergleichungsweise zu gebrauchen, so wie wir in einer über- 
sättigten Lösung unter dem Stimulanz von und in Anschluß an das 
hineingeworfene Krystall sich in immer weiterer Entfernung die Mo- 
lekeln des gelösten Salzes zu Krystallen zusammenfügen sehen. 

Daß es sich um ein Auswachsen von ursprünglich nervöser Substanz 
in das Sarkoplasmagewebe der Muskelfaser hinein handeın konnte, hat 
an und für sich nichts Befremdendes. Sehen wir doch an dem Cajal- 
Fusarischen Netzwerk der Insektenmuskelfasern, wie ein vollkommen 
regelmäßiges, die ganze Muskelfaser durchsetzendes Netz von außen her, 
als Ausläufer multipolar gestalteter Tracheen-Endzellen, in die Muskel- 
faser eindringen und sich darin allmählich verzweigen und ausbreiten 
kann (c. f. Holmgren 1.c. S. 239). Die Bilder sind so klar, daß sie kaum 
anders zu deuten sind. Man sieht die doppelkonturierten intrazellulären 
Endverzweigungen der Tracheen-Endzellen in die Muskelfaser ein- 
dringen, sich verzweigen und dann schließlich in das die Muskelsäulchen 
umspinnende Netz übergehen. Nach Holmgren sind dabei die die Säul- 
chen direkt umspinnenden Netzteile rein protoplasmatisch, bei den 
Tracheaten aus den protoplasmatischen Umhüllungen der gröberen 
intrazellulären Tracheenröhrchen hervorgehend. Bei den Vertebraten 
scheint jedoch das anscheinend homologe, von Veratti beschriebene 
Fadennetz aus dem Sarkoplasma der Muskelfaser selber hervorzugehen 
und mit dem Sarkolemma in Verbindung zu stehen, obwohl auch hier 
Beteiligung von ursprünglich außerhalb der Muskelfaser liegenden 
Gewebsteilen wahrscheinlich nicht ausgeschlossen werden kann. In 
diesem letzten Fall kann man sich sehr gut eine Differenzierung in loco 
des Sarkoplasmas unter dem Einfluß bestimmter an der Oberfläche 
der Muskelfaser sich befindender richtender Faktoren denken. 

Bei dem periterminalen Netzwerk, dem Verbindungsgliede zwischen 
Neurofibrillengerüst der motorischen Nervenendplatte und der kontrak- 
tilen Substanz, muß nun für die richtige Beurteilung der Sachlage an 
erster Stelle hervorgehoben werden, daß es sich immer im Anschluß an 
den Neurofibrillenapparat zu entwickeln scheint. Wie ich in meiner 
vorigen Arbeit angab, ist das erste, was man davon bei den embryonalen 


408 J. Boeke, 


sich entwickelnden Platten sieht, daß der Umriß der netzförmigen Aus- 
breitungen des Neurofibrillengerüstes der Platte ein wenig hóckerig 
erscheint, und daß man einige feinste Fädchen von den Neurofibrillen - 
netzchen auf die Muskelfaser ausstrahlen sieht, welche nur eine kleine 
Strecke weit zu verfolgen waren. Sobald die Platte ihre definitive 
Form erreicht hat, findet man das periterminale Netzwerk da, wo esin 
den Präparaten färberisch differenziert hervortritt, immer mit dem 
Neurofibrillenapparat in engster Verbindung. Man betrachte nur die 
Figg. 9, 31, 32, 34, 38, 36. Oft erscheint in guten Präparaten, wie z. B. 
in der Fig. 38, der Neurofibrillenapparat als ein axiales Gebilde im feinen 
Maschenwerk des periterminalen Netzes. Da wo es an das Neurofibrillen- 
apparat anschließt, ist die Färbung auch manchmal untensiver und sie 
klingt in einiger Entfernung davon, blasser und blasser werdend, sozu- 
sagen allmählich aus. Man würde geneigt sein, daraus den Schluß zu 
ziehen, daß es sich um eine Fortsetzung des nervösen Apparates in das 
Innere der Muskelfaser handelt. Auf der anderen Seite ist es tatsächlich 
doch immer etwas anderes. Es tritt immer in der Form eines wirklichen 
Netzes auf. Auch da, wo es, wie in der Fig. 34, sich direkt an ein dickes 
Neurofibrillenbündel des Endgeweihes anschließt, bildet es sofort 
regelmäßige, geschlossene Maschen. In denjenigen motorischen Platten, 
welche gerade die Entbündelung und die Schlingenbildung am schön- 
sten zur Schau tragen, sieht man doch um die Endschlingen herum (so 
in der Fig. 32 bei d) sofort die Maschen des periterminalen Netzes sich 
- daran anschließen. Daß diese sich jedoch in Anschluß an die Endschlin- 
sen entwickelt haben müssen, geht aus der eigentümlich langgezogenen 
Form der Maschen hervor. 

Ebenso macht das in seiner ganzen Ausdehnung, auch in der sarko- 
plasmatischen Rindenschicht außerhalb des Bezirkes der Sohlen- 
platte, gefärbte und gezeichnete periterminale Netz der Fig. 36 den 
Eindruck eines Protoplasmanetzes, steht aber in vollkommener Ver- 
bindung mit dem Neurofibrillengerüst der Platte. 

Es scheint mir daher einstweilen die Antwort auf die oben gestellte 
Frage nach der Natur des periterminalen, intrasarkoplasmatischen 
Netzes so zu formulieren zu sein, daß es eine Differenzierung in Loco 
des. interstitiellen sarkoplasmatischen Gewebes der Muskelfaser ist, 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 409 


welche in vollkommenem Anschluß an den Neurofibrillenapparat der 
motorischen Platte entsteht und weiter wächst. Inwieweit die nervöse 
Substanz selber daran beteiligt ist, ist zurzeit nicht zu sagen. So lange 
wir für die Beantwortung der Frage, was eigentlich neurofibrillärer Natur 
ist, angewiesen sind auf Färbungsmethoden, über deren Wirkungsweise 
wir vollkommen im Unklaren sind (der Ausdruck ,,argentophile Sub- 
stanz'' ist doch ja nur ein gelinder Euphemismus für unsere Unkenntnis, 
wie die ,, Vis dormitiva‘ des Opiums beim Molière), wird eine definitive 
Antwort auch nicht gegeben werden können. 

Was die zuletzt gestellte Frage nach der Natur des periterminalen 
Netzes anbelangt, ob es eine Trophospongiumbildung ist, oder mit 
der Übertragung der Erregung zu schaffen hat, so ist hier selbstver- 
ständlich keine sichere Entscheidung zu bringen. Aber es scheint 
mir doch das letztere richtiger zu sein. 

Gerade der vollkommene Anschluß des periterminalen Netzes an 
den Neurofibrillenapparat der motorischen Platte, das eigentümliche 
Verhalten der langgezogenen Maschen um die Endschlingen und End- 
netzchen herum, die Entwicklung des Netzes im Anschluß an die 
Ausbildung der definitiven Form des Neurofibrillenapparates, der Über- 
sang des Netzes aus der Sarkoplasmaanhäufung der Sohlenplatte in 
das Sarkoplasmagewebe, das die Muskelsäulchen umspinnt, — das 
alles scheint darauf hinzuweisen, daß durch das periterminale Netz- 
werk die Erregungsprozesse aus dem Endapparat der motorischen 
Nerven auf die kontraktile Substanz der Muskelfaser übertragen wer- 
den. So habe ich es dann auch schon in meiner vorigen Arbeit formu- 
liert. Weitere Beweise sind selbstverständlich für diese Behauptung 
nicht zu bringen. Nur wenn man z. B. bei der Regeneration der moto- 
rischen Endplatten nach Durchschneidung der motorischen Nerven 
das Wiederauftreten der Muskelzuckungen nach schwacher Erregung 
des Nerven zusammenfallen sah, nicht mit der Ausbildung des Neuro- 
fibrillenapparates der Endplatte, sondern mit der Wiederherstellung 
des Verbindungsgliedes des periterminalen Netzes, würde man etwas 
Positiveres darüber sagen können. In dieser Richtung ist ja noch alles 
zu tun. 

Nur eine Beobachtung werde ich noch erwähnen. Die Maschen 


410 J. Boeke, 


des periterminalen Netzes sind nicht immer von derselben Ordnung. 
So fand ich sie z. B. bei den Augenmuskeln der Katze (Figg. 37, 38) 
viel feiner als bei den Zungenmuskelfasern (Fige. 32, 34 usw.) Das konnte 
vielleicht damit zusammenhängen, daß die Kontraktionen der Augen- 
muskeln schneller, besser abgestuft, besser reguliert vor sich gehen 
müssen, als die der Zungenmuskelfasern, und in Anschluß daran auch. 
das periterminale Netzwerk mehr entwickelt ist. Weiter als diese Ver- 
mutung kann man jedoch zurzeit nicht gehen. Aber auch in dieser 
Richtung wird noch wohl manches zu eruieren sein. 

Wenn wir uns das periterminale Netzwerk als ein leitendes Ver- 
bindungsglied zwischen dem Neurofibrillenapparat der motorischen 
Platte und der kontraktilen Substanz der Muskelfaser denken, verstehen 
wir auch, warum die Größe und die Gestalt der Endknospen, die mehr 
oder weniger bandförmige Ausbreitung der Äste des Neurofibrillen- 
geftiges, überhaupt die Gestalt der Endplatte an und für sich so überaus 
wechselvoll sein kann, ohne daß dadurch die Funktion der motorischen 
Endplatte, die Übertragung der Erregung anscheinend beeinflußt zu 
werden braucht. Es kommt nur darauf an, daß eine bestimmte Ober- 
flächenvergrößerung des Neurofibrillenapparates erreicht und daß durch 
die Endverästelung ein bestimmtes Areal der Muskelfaseroberfläche 
bedeckt, umspannt wird. Das Übrige wird von dem Verbindungsgliede, 
dem periterminalen Netzwerke, besorgt. 


Einbettung oder direkter Zusammenhang. 

Der Begriff der ‚Einbettung‘, von M. Heidenhain [36] eingeführt 
für die Fälle, in welchen das Ende einer Nervenfaser, in irgendwelcher 
Weise differenziert, in eine andere Zelle hineindringt!), wobei eine orga- 
nische Kontinuität mit Verschmelzung der Substanz nicht vorhanden 
zu sein braucht, und von ihm auch auf den Fall des Zusammenhanges 
von motorischer Nervenplatte und Muskelfaser angewendet, ist meiner 
Ansicht nach gerade auf diesen Fall nicht anwendbar. Heidenhain 
meint, die motorischen Nervenenden haben tatsächlich den allgemeinen 


.1) Wie es z. B. vor mehreren Jahren von de Groot und mir (5) für die Nerven- 
fasern des Zimerschen Organs in der Schnauze des Maulwurfes nachgewiesen 
wurde. 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 411 


biologischen Charakter freier Nervenenden, welche mit den angeschlosse- 
nen Endorganen in „Kontakt“ stehen (1. c. S. 902), und sucht die Er- 
klärung der hypolemmalen Lage der motorischen Endplatten wesentlich 
in den mechanischen Verhältnissen. ‚Bei der starken Beweglichkeit 
der quergestreiften Muskelmassen dürfte das mechanische Verhältnis 
der Fixierung oder Verankerung der Nervenenden innerhalb der Faser 
von hervorragender Bedeutung sein‘ (1. c. S. 902). 

Mir scheint, behufs besserer Fixierung braucht die motorische End- 
platte doch nicht unterhalb des Sarkolemmas zulagern. Die Sehnenfasern 
haften sich außerhalb des Sarkolemmas an die Muskelfasern an!), und 
doch hat man dabei nicht über schlechte Fixierung des Muskelfaserendes 
zu klagen. Wie ich in meiner vorigen Arbeit gezeigt habe?), ist das 
Sarkolemma gerade über der Nervenendausbreitung sogar etwas dünner 
als sonst. Wollte man die ‚Verankerung‘ der Nervenenden innerhalb 
der Muskelfaser in Betracht ziehen, so würde man eher dem peritermi- 
nalen Netzwerke eine mechanische Bedeutung zuschreiben. Aber mir 
scheint, die Sache liegt tiefer. Nur bei vollkommener Kontinuität 
zwischen Nervenende und Muskelfaser kann man sich eine richtige 
Übertragung der Erregung denken. Hierbei ist gerade in der Reiz- 
umleitungszone das periterminale Netzwerk als unentbehrliches Inter- 
medium eingeschaltet. Gerade hierdurch wird die Übertragung der 
Erregung von der Nervenendigung auf den ganzen Inhalt der Muskel- 
faser gesichert. 


c. Äußere Form und Verästelung des Neurofibrillengerüstes. 

Auf diesem Gebiete, das der Erforschung der Gestalt, der äußeren 
Form der motorischen Endplatte, ist nach den großen Arbeiten von 
Kühne [45] und Retzius [60] wenig mehr geleistet worden. Einige abwei- 
chende Formen von Endplatten sind beschrieben worden, unrichtige 
Angaben richtiggestellt, die sensibelen Endigungen an den Sehnen und 
den Muskelfasern sind in mustergültiger Weise beschrieben worden (ich 
brauche nur an die schönen Arbeiten von Dogiel, Ruffini, Giacomini zu 

1) Falls man nicht mit 0. Schultze (1911) eine vollkommene Kontinuität zwischen 


Muskel- und Sehnenfibrillen annimmt. 
DC Sale ie 50; 


412 | J. Boeke, 


erinnern), aber die Gestalt der gewöhnlichen motorischen Nervenplatten 
hat wenig Bearbeiter mehr gefunden. Und kein Wunder: durch die 
sroße Arbeit Kühnes mit ihren 320 Abbildungen war so ziemlich alles 
gegeben, was die Goldmethode zu leisten vermochte, die Methylenblau- 
methode und die Golgi-Methoden hatten in den Händen dieser Meister 
der Technik, Retzius und Dogiel, immer das wechselvoile und doch 
schließlich so einförmige in den Bildern der motorischen Platte gezeigt, 
— nur an einem wahrhaft riesigen vergleichenden Materiale würde man 
vielleicht imstande sein, die Gesetze der Gestaltung der motorischen 
Nervenplatte bei den verschiedenen Tiergruppen und -klassen, und bei 
den verschiedenen Muskeln desselben Tieres, zu formulieren. Hat doch 
schon Kühne sich darüber gewundert, daß bei verschiedenen Vögeln 
(z. B. Krähe und Kanarienvogel) ganz andere Plattenformen vorherr- 
schen, daß man die Plattenformen der Maus oder der Ratte sofort von 
denjenigen des Meerschweinchens oder des Kaninchens unterscheiden 
kann, daß z. B. die atypischen Geweihformen sich beim Frosch vor- 
wiegend an den Zungen-, Kiefern- und Brustmuskeln und ziemlich 
selten in den übrigen Muskeln vorfinden, usw. usw. In alle diese Mannig- 
faltigkeiten wird wohl die Zukunft erst Ordnung zu bringen haben. — 

Auch in vorliegender Arbeit werde ich nur einen kleinen Beitrag 
liefern können. Für eine übersichtliche, umfassende Darstellung ist 
mein Material vollkommen unzureichend. Ein Blick auf die Figuren der 
Tafeln genügt, zu zeigen, wie überaus wechselvoll die Gestalt des Neuro- 
- fibrillengerüstes sich in den Präparaten zeigt, nicht nur bei verschiedenen 
Tieren und Vertretern verschiedener Tierklassen, sondern auch bei dem- 
selben Tiere, ja sogar in demselben Präparat, und am Ende derselben 
Nervenfaser (Fig. 10). 

Ich werde nun zu zeigen versuchen, daß man aus den Neurofibrillen- 
präparaten doch ein besseres, man könnte sagen, ein mehr schematisches 
Bild der äußeren Form der Platte bekommt, und daß es besser selinst, 
eine große Anzahl anscheinend sehr verschieden gestalteter Platten- 
formen als durch einfache Wachstumsvorgänge aus derselben Grund- 
form hervorgegangen zusammenzubringen, als aus den der Arbeit Kühnes 
zugrunde liegenden Goldchloridpräparaten. 

Eine Tatsache, welche das vergleichende Studium der Platten- 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 413 


formen nicht unerheblich erschwert, will ich hier schon im Anfang nach- 
drücklich hervorheben. Auch wenn die motorische Endplatte schon 
kompliziert gebaut ist und die von ihr innervierte Muskelfaser schon 
lange Zeit funktioniert hat, gehen noch immer Veränderungen in dem 
Neurofibrillengefüge der Endplatten vor sich. Das lehren ohne weiteres 
vergleichende Beobachtungen einer großen Anzahl motorischer End- 
platten von Embryonen, neugeborener, junger und erwachsener Tiere. 
Es wäre durchaus unrichtig, das einmal gebildete Neurofibrillennetz- 
werk als etwas starres, zur Umbildung Unfähiges darzustellen, bei 
welchem nur am Rande neue Endschlingen oder neue Endnetze heraus- 
wachsen können. Das lehrt auch schon die Betrachtung wachsender 
Platten. Man findet breite, gelappte, flach ausgebreitete Plattenformen 
viel mehr bei jungen, neugeborenen Tieren als bei erwachsenen Exem- 
plaren. An der anderen Seite findet man die kompliziert gebauten End- 
platten, wie die in den Figg. 11 und 21 abgebildeten mehr bei älteren 
Tieren. Man fragt sich, ob nicht vielleicht die motorische Platte eine 
Rolle spielt beim physiologischen Wachstumsprozesse des Muskels, 
in dem Sinne, daß unter dem Einflusse wiederholter starker Innervation 
(Übung, wiederholter Anstrengung, Verstärkung bestimmter Muskel- 
sruppen) das Neurofibrillengerüst der motorischen Endplatte sich kom- 
komplizierter gestaltet, neue Seitensprossen treibt, ob nicht vielleicht 
besonders die feinen seitlichen auf dünnen Stielchen sitzenden End- 
zweige Zeichen gesteigerter Innervationskraft der motorischen Platten 
sind. Man vergleiche nur die Bilder der Fig. 7 (eines ganz jungen 
Tieres) und der Figuren 11 und 21 (erwachsener Tiere) miteinander. 
Experimentell wäre in dieser Beziehung vielleicht etwas zu erreichen. 
Neben den unverästelten spatelförmigen oder fuchsschwanzähn- 
lichen Platten, welche schon auf Seite 11 besprochen wurden, lassen sich 
bei den verästelten Platten die von Kühne so schön abgebildeten Grund- 
formen immer wieder erkennen. 
Ausgangspunkt ist fast immer die dichotomische Verästelung, wie 
Sie.in ihrer einfachsten Form bei den embryonalen Endplatten von 
Vögeln und Säugetieren zu finden ist (Figs. 2, 3, 4, 52 usw.). Bleiben 
diese zwei Äste auch in ihrer weiteren Entwicklung gleich groß und gehen 
sie auf der Oberfläche der Muskelfaser weit auseinander, so können sie bei 


414 J. Boeke, 


weiterer gespreizter Verzweigung das Bild eines H geben, wie es z. B. 
in den Figg. 36 (Maulwurf) und 6 (Taube) abgebildet wurde. Sind sie 
anfänglich weit gespreizt, doch verästeln sie sich nicht weiter und 
krümmen sie sich mit ihren Enden hakenförmig nach innen, so bekommt 
man die hübschen Formen der Fig. 9 oder 44 (hier muß man natürlich 
die akzessorische Faser af, welche nicht zum System der motorischen 
Platte gehört, außer Acht lassen). In der Fig. 9 hat sich noch ein feiner 
dünner Zwischenast entwickelt. Sind die zwei hakenförmig gekrümmten 
Äste lang und die Muskelfasern dünn, so können die Äste wie eine Kneif- 
zange fast die ganze Muskelfaser umgreifen. 

Verästeln die beiden Hauptzweige sich noch weiter dichotomisch, 
so können die verschiedensten Bilder entstehen; das braucht nicht aus- 
führlich beschrieben zu werden. Die Figuren zeigen diese Art des Aus- 
wachsens besser als lange Beschreibungen. 

Fast immer wird dabei noch, wenigstens bei ausgewachsenen Platten, 
wie es ebenfalls aus den Figuren hervorgeht, das Bild komplizierter ge- 
staltet durch die kurzen, dünnen, in einer einfachen Endöse endigenden 
Seitenzweige, welche an jedem Punkte aus dem Hauptaste entspringen 
können. In Goldchloridpräparaten sind sie, wenn sie mitgefärbt sind, 
meist kurz und dick, und ohne weitere Differenzierung, weil sich auch 
ein Teil des umgebenden Gewebes mitfärbt. Sie sind daher, wie es 
ohne weiteres aus den Abbildungen Kühnes hervorgeht, nicht zu unter- 
scheiden von anders gebauten kurzen Seitenästchen. An Bielschowsky- 
_ Präparaten sind sie immer als ganz dünne feine Seitenästchen sichtbar 
und verschleiern nicht das Bild der Verästelung des Hauptgerüstes. 

Auch kann die ursprüngliche Verästelung des Gerüstes nicht zwei | 
spaltig sein, sondern der Hauptast splittert sich sofort in mehrere End- 
zweige auf. Dann entsteht die handförmig verästelte Platte, wie es 
eine in der Fig. 31 (Fledermauszunge) abgebildet wurde. 

In den allermeisten Fällen ist jedoch auch die anscheinend äußerst 
kompliziert gebaute Platte auf die dichotomische Spaltung des ur- 
sprünglichen Netzchens mit zwei ungleich langen Ästen, welche haken- 
formig gekrümmt erscheinen, die c- oder Ç-Formen von Kühne, zurück- 
zuführen. , Was den Säugergeweihen (und er hatte hinzufügen können, 
manche Geweihe der Vögel) das Gepräge gibt, ist der sich immer wieder- 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 415 


holende, in großer Mannigfaltigkeit komplizierte und mit anderen 
kombinierte Haken‘ sagt Kühne (1. c. S. 131). „Geht man ... die 
Figuren durch, mit dem einfachsten Haken beginnend zu den mehr 
vorbogenen und krauseren Formen weiter, dann zu den Kombinationen 
mehrerer Haken, so zweifle ich nicht, daß man, schließlich bei den 
verwickeltsten Geweihen anlangend, doch die Grundformen fast überall 
herausfinden und dieselben wie aus dem Versteck hervorholen wird“ 
(1. c. S. 131). Diese Worte könnte man sofort unterschreiben. Nur 
würde ich anstatt das Bild des Hakens lieber das Bild des ,,Bischof- 
stabes' oder des ‚„Fragezeichens“ anwenden, weil es besser die eigen- 
tümliche Grundform angibt. 

In den Figg. 2, 3 und 4 (aus der Zunge junger Maulwurfembryonen) 
sieht man die ersten Anfänge dieser Plattenform. 

In den Figg. 5 und 7 (Augenmuskeln einer 3 Tage alten Taube) 
sind zwei weiter entwickelte Formen dieses Typus abgebildet. 

Aus diesen Anfangsformen lassen sich nun, wie gesagt, die aller- 
meisten Plattenformen des Plattengeweihes herleiten. 

Besonders der eine der Äste, der Hauptast, ist fast immer stark 
sekrümmt und ganz regelmäßig, so daß die Platte die elegante Form 
der Figg. 12 und 14 aufweist. Wie man sieht, gibt diese Form vollkom- 
men das Bild des Bischofstabes. 

Der kürzere Ast, der Nebenast (n der Figg. 12 und 14), meist dünn 
und schmächtie und in wenige kleine Endzweige auslaufend (Figg. 12 
und 14) kann ganz fehlen (Figg. 11, 20, 24, 34). Dann hat man die ein- 
fache Hakenform vor sich. Das ist jedoch der seltenere Fall und eine 
Reduktionserscheinung. Der Nebenast kann auch lang und stark ent- 
wickelt sein, und kann dann sogar bei schwacher Entwicklung des 
Hauptastes fast ebenso stark sein, wie dieser. Das Fehlen der dem 
Hauptaste charakteristischen Krümmung läßt dann doch immer eine 
sichere Unterscheidung zu (Fig. 13, Igel). 

Wächst der Hauptast weiter in die Länge mit Beibehaltung der 
charakteristischen hakenfórmigen Krümmung, dann kann eine fórm- 
liche Schlinge oder ein Rad gebildet werden (Fig. 19 Igel, Fig. 22 Fleder- 
maus). Wächst der Hauptast besonders in die Breite aus, so kommt die 
eigentümliche Form der Fig. 18 (Igel) zustande. Aus diesen zwei Ästen 


416 J. Boeke, 


können nun nach jeder Richtung hin wieder Seitenzweige hervorsprossen, 
und es ist gewiß beachtenswert, zu sehen, wie bei der einen Platte die 
eine Richtung bevorzugt wird, bei der anderen Platte die andere Rich- 
tung, ohne daß dabei aus der Bevorzugung der einen oder der anderen 
Richtung irgendein Schluß auf die Herkunft der Platte gezogen werden 
konnte. 

Wachsen aus dem Hauptaste Zweige nach innen, nach der konvexen 
Seite aus, so bekommt man das Bild der Fig. 17, wo diese Zweige sogar 
sehr stark entwickelt sind. In demselben Präparate, den Interkostal- 
muskeln eines erwachsenen Igels entstammend, fand sich die in der 
Fig. 20 abgebildete Platte, in welcher die Zweige sich gerade an der 
. Außenseite des Hauptastes vorfinden. Dasselbe findet man in den 
Figg. 27 und 15 (Igel). In der letztgenannten Abbildung sind die sekun- 
dären Zweige so lange, daß sie auf dem ersten Blick das ganze Bild der 
Verästelung zu beherrschen scheinen. Genauere Betrachtung läßt auch 
hier die zwei primären Äste, den Haupt- und Nebenast, erkennen. 

Auch bei der Krümmung der Seitenzweige wird manchmal 
eine bestimmte Richtung bevorzugt. So sind z. B. in der Fig. 21 
(Igel) fast alle Äste des Gerüstes nach derselben Seite gekrümmt. 
In der Platte der Fig. 25 (Igel) ist die Krümmung der verschiedenen 
Aste und Zweige ziemlich regelmäßig. Der aus dem Ende des Ge- 
rüstes hervorwachsende Ast schlägt sich aber sozusagen auf einmal 
nach hinten um und wächst unter den nach der anderen Seite ge- 
- krümmten Hauptast hindurch. 

Der Grund hierfür wie für alle diese Verschiedenheiten entzieht 
sich natürlich vollkommen unserem Erkenntnis. 

Bisweilen kann schließlich die sekundäre Sprossenbildung so stark 
sein, daß es nicht gelingt, mit Sicherheit die zwei primären Äste von den 
Sekundärsprossen zu unterscheiden (Figg. 11 und 21 Igel). Dann be- 
kommt man Formen, welche von den durch einfache wiederholte 
Sprossenbildung und dichotomische Verästelung gebildeten kaum zu 
unterscheiden sind. 

Bevor wir diese flüchtige Beschreibung der äußeren Form und 
Gestalt der Platte schließen, will ich noch zwei Sachen einige Worte 
widmen: 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 417 


Erstens der Frage der Anastomosenbildung zwischen den verschie- 
denen Ästen. In meiner vorigen Arbeit [8] habe ich diese Frage schon 
diskutiert, einige Beispiele unzweideutiger Anastomosenbildung zwischen 
den Ästen des Geweihes abgebildet, und gezeigt, auf welche Weise man 
aus der Entwicklung der Platte solche Anastomosenbildung ungezwun- 
gen erklären kann. Ich werde das hier nicht wiederholen und verweise 
auf die dort (1. c. S. 207 und 208) gegebene Beschreibung. Nur möchte 
ich hier noch einmal betonen, daß diese Anastomosen zwischen den 
verschiedenen Ästen des Geweihes zwar vorkommen, aber doch nur 
sehr selten. In allen den in vorliegender Arbeit abgebildeten Platten- 
formen wird man Anastomosen vergeblich suchen. Die Äste wachsen 
frei aus, und endigen in retikulierten Endknospen oder Endringen und 
Endösen. Um so häufiger dagegen wachsen die Äste und Seitensprossen 
über und unter einander durch, so daß sie einander überkreuzen und 
eine Anastomose vorgetäuscht werden kann. Das kann sogar mit 
sroßen Hauptästen der Fall sein, wie bei der unteren Platte der Fig. 19 
und mit dicken Seitenzweigen wie in der Fig. 25. Es gibt eine Menge 
Beispiele in den verschiedenen Abbildungen auf den dieser Arbeit bei- 
gegebenen Tafeln. — 

Zweitens will ich noch einige Worte der Fig. 28 widmen; sie stellt 
eine Platte vor aus den Augenmuskeln (obliquus superior) einer Katze. 
Von Retzius wurde in seiner Arbeit über die motorischen Endplatten [60] 
eine eigentümliche Form von Platten beschrieben, welche er in den 
Augenmuskeln des Kaninchens fand, wobei die Nervenfasern, immer 
als Seitenzweige einer an der Muskelfaser entlang ziehenden markhaltigen 
Nervenfaser auftretend, auf der Muskelfaser kleine scheibenfórmige 
Platten bilden, welche aus einer oder auch aus mehreren runden Scheib- 
chen bestehen, durch dünnere Äste verbunden. Sie erinnern dadurch 
an die ,,Terminaisons en grappe‘ von T'schériew. Retzius faBte sie als 
atypische motorische Endigungen auf, später wurde jedoch von Huber 
[29] nachgewiesen, daß es sich um epilemmale, sensibele Endigungen 
handelte. 

Später wurden dieselben eigentümlichen Endorgane von Crevatin 
[20, 21] in den Augenmuskeln des Menschen, des Ochsen und der Eselin 


beschrieben, und von ihm ebenso für sensibel erklärt. Im Jahre 1906 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys, XXVIII. 27 


418 J. Boeke, 


wurden die Endigungen der sensibelen Nerven in den Ausenmuskeln 
beim Menschen und weiter bei Affen, Pferden, Ochsen, Hund und 
Katze in mustergültiger Weise von Dogiel [24] untersucht. - Auch er 
fand die von Retzius beschriebenen Bildungen und erklärte sie ebenfalls 
für sensibel. 

Ohne den Wert der schönen Arbeiten von Huber, Crevatin und 
Dogiel und ihrer zweifellos vollkommen richtigen Schlußfolgerungen 
verkleinern zu wollen, will ich doch unter Hinweis auf die Fig. 28 davor 
warnen, hier zu generalisieren. Die hier abgebildete Platte entspricht 
vollkommen den Beschreibungen und Abbildungen von Retzius und 
Huber. Man vergleiche ja nur diese Platte mit der Fig. 2 der Huberschen 
Arbeit. Nur befindet sie sich nicht am Ende eines kurzen Seitenastes 
der Nervenfaser und findet man nicht eine ganze Reihe derartiger 
Nervenplatten auf derselben Muskelfaser. Und schließlich ist die in 
der Fig. 28 abgebildete Endplatte zweifelsohne motorischer und nicht 
sensibeler Natur. Dafür spricht die deutliche Sohlenplatte, die große 
Anzahl Kerne in dieser Sohlenplatte zerstreut, die Verbreiterung der 
Muskelfaser dort wo die Platte ihr aufliegt, und der ganze Habitus der 
Platte. Derartige Platten fand ich öfters, immer nur in den Augen- 
muskeln. Sie waren fast immer, auch in übrigens schwach imprägnierten 
Präparaten, ganz dunkel gefärbt. 

Die von Huber untersuchten Plattenformen in den Augenmuskeln 
des Kaninchens sind wohl sicher sensibeler Art. Das wird bewiesen 
durch die von Huber nachgewiesene epilemmale Lage. Und dasselbe 
gilt für die von Crevatin und Dogiel beschriebenen Endapparate. — 
Die hier von mir abgebildete Platte beweist aber, daß es gerade in den 
Augenmuskeln auch derartige, atypisch gestaltete Platten gibt, welche 
nicht als sensibel, sondern als motorisch aufgefaBt werden müssen. 
Vielleicht hat eben eine derartige Platte in seinen Präparaten seinerzeit 
Retzius dazu gebracht, die von ihm gefundene Plattenform als ,,atypi- 
sche motorische Platten‘ zu deuten. 

Hiermit werde ich die Beschreibung der äußeren Form schließen. 
Wie ich oben sagte, ist mein Material viel zu gering, um eine eingehende 
und umfassende Behandlung dieses Themas zu gestatten. 

Aus den abgebildeten Platten ist das allgemeine Gepräge des 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 419 


Neurofibrillengerüstes in seinen verschiedenen Formen deutlich zu. 
sehen. In dem dieser Frage gewidmeten Abschnitt dieser Arbeit habe 
ich nur versucht zu zeigen, daß zwar auch das Bild des Neurofibrillen- 
gerüstes der motorischen Platte äußerst wechselvoll ist, daß es jedoch 
viel leichter gelingt, es auf bestimmte einfache Grundformen zu bringen, 
als das bei den mittels Goldchlorid gefärbten Platten möglich ist. 
Wenn man, nachdem man an einer großen Anzahl Präparaten 
versucht hat, die Neurofibrillengerüste der Platten zu analysieren, die 
Bilder Kühnes betrachtet, erscheint es gar nicht mehr so schwierig, 
auch z. B. die von Kühne als , unentwirrbare Formen der labyrinthischen 
Geweihe‘‘ bezeichneten Plattenformen, als durch sekundäre Sprossen- 
bildung aus der einfachen Grundform des Bischofstabes oder des zwei- 
schenkligen Hakens hervorgegangen, mit Erfolg zu entwirren. 


II. Die akzessorischen Nervenfasern und ihre Endplättchen. 


Beobachtungen über akzessorische, neben den gewöhnlichen Nerven- 
fasern in die Muskelfaser eintretende Fasern sind wiederholte Male ge- 
macht worden. Als erster war es wohl Z. Bremer [13, 14], welcher in 
1882 und 1883 das Eintreten markloser Nervenfasern in die motorische 
Nervenendplatte beim Frosche und bei der Eidechse beschrieben hat. 
Leider sind weder seine Beschreibungen noch seine Figuren immer 
deutlich und klar, und er hat vielfach seine Beobachtungen falsch ge- 
deutet (er hielt z. B. die Muskelspindel für junge Muskelfasern im Sta- 
dium der Entwicklung und beschreibt ihre sensibelen Nerven als moto- 
rische, die motorische als sensibele usw.). Und so konnten Grabower und 
Perroncito in bezug auf seine Angabe, die Muskelfaser werde von einer 
markhaltigen und von einer marklosen Nervenfaser innerviert, welche 
jede eine Endplatte bilden, mit einigem Rechte behaupten, es handle 
sich bei den diesbezüglichen Präparaten Bremers nur um zwei Zweige 
derselben Nervenfaser, welche eine Strecke weit, bevor sie die Muskel- 
‘ faser erreichten, getrennt nebeneinander verliefen und, durch das Zer- 


. zupfen des Präparates auseinander gerissen, von Bremer für zwei von- 
27* 


420 Mand Boeke 


einander unabhangige Nervenfasern gehalten wurden. Wenn man jedoch 
die Arbeiten Bremers und die beigegebenen Abbildungen genau studiert, 
so wird man doch, wie es mir scheint, zugeben müssen, daß er in einigen 
Fällen wirklich das Herantreten von zwei verschiedenen Nervenfasern, 
eine markhaltig und eine marklos, an dieselbe: Muskelfaser richtig be- 
obachtet und beschrieben hat. i 

Die Literatur, wach gerufen durch die bekannte Mitteilung von 
Ruffini und Apathy [62] über die ,,ultraterminalen^ Fibrillen der moto- 
rischen Nervenplatten und ihre Bedeutung (Crevatin, Rossi, Fusari, 
Perroncito, Sommariva, Ceccherelli, Gemelli u. a.), die älteren diesbezüg- 
lichen Beobachtungen von Bremer, Kühne, Kerschner, Dogiel, Huber, 
de Witt und Landauer werde ich hier nicht weiter beschreiben. Die Frage 
der ultraterminalen Fibrillen wird noch weiter unten kurze Erwähnung 
finden. 

Von Bedeutung für die Frage, welche uns hier beschäftist, sind be- 
sonders die Untersuchungen von Rossi [61], Ceccherelli [17], Perron- 
cito [54, 55] und Gemelli [30]. Von Rossi und Ceccherelli wurde in voll- 
kommenem Anschluß an die theoretischen Erwägungen Apathys ein 
Netz von feinen Elementarfibrillen zwischen den Muskelfasern be- 
schrieben, von Rossi bei Lacerta, von Ceccherelli in der Zunge des 
Frosches. Rossi meint sogar, er habe das Elementargitter Apathys 
aufgefunden. ,,C’est là la grille, le treillis ou le réseau qui, d’après 
Apathy, serait intercalé périphériquement entre les voies nerveuses 
efférentes et les voies nerveuses afférentes. Wenn man aber die Be- 
schreibung und die Abbildungen Rossis genau studiert, kann man einen 
gerechten Zweifel an der Richtigkeit seiner Ergebnisse nicht unter- 
drücken, darin muß man Perroncito, der sich auch abfrast, ob wohl das 
was Rossi gesehen zu haben glaubt, nervóses Gewebe sei, durchaus bei- 
stimmen. 

Auch Ceccherelli hat in einer kurzen Notiz [17] auf das Vorhanden- 
sein eines Netzes von marklosen Nervenfasern zwischen den Muskel- 
fasern der Froschzunge hingewiesen, welches nach ihm von den ultra- 
terminalen Fibrillen der motorischen Nervenplatten gebildet werden 
soll. Ob er dabei das Richtige getroffen hat, ist aus seiner Beschreibung 
nicht zu konstatieren. Perroncito, der dasselbe Objekt untersuchte und 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 491 


außerdem die Präparate von Ceccherell? selbst studieren konnte, konnte 
seine Angaben nicht bestätigen. 

In betreff der Beobachtungen Bremers und Ceccherellis, welche alle 
an den Zungenmuskelfasern gemacht wurden, wird außerdem noch von 
Regaud und Favre [59] davor gewarnt, derartige nur an der Zunge ge- 
machten Beobachtungen zu generalisieren, weil in der Zunge ganz be- 
sondere Innervationsverhältnisse bestehen, welche an denen der oberen 
Speiseróhre und des Herzens erinnern. Bis zu einem gewissen Grade 
haben die französischen Forscher gewiß recht, aber auf der anderen 
Seite darf man nicht vergessen, daß die Muskelfasern der Zunge doch 
schließlich vollkommen nach dem Typus der übrigen willkürlichen 
Muskeln gebaut sind und innerviert werden. Aber jedenfalls muß man 
immer damit Rechnung halten und seine Untersuchungen auch auf 
andere Skelettmuskeln ausdehnen. 

Grabower [34] beschrieb in 1902 bei menschlichen Muskelfasern das 
wiederholte Male Eintreten von dünnen marklosen Nervenfasern in die 
motorische Nervenplatte. Er konnte jedoch immer konstatieren, daß 
es sich hierbei lediglich um Äste der motorischen Fasern handelte, 
welche sich schon von der motorischen Nervenfaser abzweigten, bevor 
diese an die Muskelfaser herantrat, und also nichts Spezifisches vor- 
stellten. Daß dies öfters vorkommen kann, geht auch aus den vorzüg- 
lichen Abbildungen Perroncitos von Eidechsenplatten hervor. 

In 1902 und 1903 hat Perroncito [54, 55] eine ganz andere Art von 
Fasern beschrieben. Er sah in die motorischen Nervenplatten bei der 
Eidechse feinste Fibrillen eintreten, welche eine Strecke weit innerhalb 
der Henleschen Scheide der motorischen Nervenfaser verliefen, dann in 
die motorische Platte eintraten, und sich da stark verzweigten. Die 
Endigung dieser Fäserchen konnte er nicht auffinden. Sie schienen 
einfach zugespitzt in die Substanz der Sohlenplatte auszulaufen. Auch 
an die Muskelspindeln der Eidechsenmuskeln sah er diese feinen Fäser- 
chen herantreten. Hier verliefen sie innerhalb der Henleschen Scheide 
der sensibelen Nervenfasern. Nach Perroncito sind diese Fibrillen unab- 
hangig von den motorischen Nervenfasern. In seiner ersten diesbezüg- 
lichen Mitteilung hielt er sie für sensibel, später!) hat er sie für sympa- 


1) Beim Niederschreiben meiner vorigen Arbeit (8) kannte ich nur die erste 


422 J. Boeke, 


thisch erklärt, weil er in einigen Fällen die feinen Fibrillen mit einem 
perivasalen Nervenplexus zusammenhängen sah. Er neigt denn auch 
zu der Vorstellung, daß durch diese Fibrillen die motorische Nerven- 
endigung einen Einfluß auf die Gefäße des Muskels ausüben kann. 


Von Mosso, dem allbekannten jüngst gestorbenen italienischen 
Physiologen, ist diese allerdings nur bei Lacerta gemachte Entdeckung 
von Perroncito sogar zur Aufstellung einer allgemeinen physiologischen 
Theorie über die doppelte Innervation der quergestreiften Muskel- 
fasern gebraucht worden, zusammen mit Beobachtungen Botazzis 
über physiologische Erscheinungen an Schildkrötenherzen [48]. Die 
Deutung der Befunde Perroncitos scheint mir jedoch mehr in der 
oben erwähnten, von Perroncito selber vermutungsweise angegebenen 
Richtung zu suchen zu sein. Während Perroncito selber die defini- 
tive Endigungsweise der von ihm beschriebenen feinsten Fibrillen 
nicht auffinden konnte, ist das später Gemelli gelungen [30]. Er 
sah die von Perroncito beschriebenen Fibrillen bei den motorischen 
Endplatten der Eidechsen nicht nur in die motorische Platte eintreten 
und sich innerhalb der Sohlenplatte verzweigen, sondern sah sie da 
direkt übergehen in die Verzweigungen der motorischen Nervenfaser. 
In seinen der Arbeit beigegebenen Abbildungen sieht man die feinen Fäser- 
chen in das Retikulum der motorischen Endäste und Terminalkörperchen 
der Platte übergehen, ja bisweilen hängen die netzförmigen Ausbreitun- 
sen der motorischen Platte nur mittels dieser Fädchen mit den Haupt- 
- ästen zusammen’). Es sind daher keine selbständigen Bildungen, 
sondern Kollateralen der motorischen Nervenfaser, sie treten nicht in die 
Platte ein, sondern aus der Platte hinaus, und gehören durchaus in der 
Kategorie der ultraterminalen Fasern zu Hause., Damit wird auch die 
Hypothese Perroncitos, daß sie zum sympathischen System gehören, 
unwahrscheinlich, obwohl dann allerdings seine Beobachtung, daß ein 
Zusammenhang zwischen diesen Fibrillen und dem perivasalen Plexus 


Mitteilung und erwähnte ich daher nur die erstgenannte Ansicht Perroncitos. Erst 
später lernte ich auch die zweite Arbeit (eine ziemlich kurze Mitteilung auf der 
Versammlung der Società Italiana di Patologia zu Florenz im Oktober 1903) — 
kennen, und kann also jetzt meine damalige Angabe rektifizieren. 


2) So z. B. in der Fig. 1 und 5 der Arbeit Gemellis. 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 493 


bestehe, sehr merkwürdig bleibt!). Die Sache bedarf gewiß noch näherer 
Aufklärung. Für eine Theorie der doppelten Innervation der quer- 
gestreiften Muskelfasern sind die Befunde Perroncitos bis jetzt noch 
nicht zu verwerten?), denn man kann sich kaum vorstellen, daß während 
die Erregung von den motorischen Nerven in die Platte hinein geleitet 
wird, in diesen von den netzförmigen Verbreiterungen des Geweihes 
ausgehenden Fädchen der Strom ebenfalls in die Richtung der Platte 
geleitet würde. 

Zum Schluß muß ich noch erwähnen eine ausführliche und schöne 
Arbeit von Hug. Botezat [11] aus dem Jahre 1906 über Nervenend- 
organe bei den Vögeln, in welcher ebenfalls in kurzen Zügen eine doppelte 
Innervation der Muskelfaser durch eine markhaltige und eine zweite 
marklose Faser bei den Vögeln beschrieben wird. Weil Boterat die moto- 
rische Endplatte für epilemmal hält, ist von einem Durchtritt durch das 
Sarkolemma bei den marklosen Fasern selbstverständlich ebenfalls keine 

Rede, und war auch die Entscheidung, ob sensibele oder motorische 
Fasern vorlagen, unmöglich. Ich habe schon früher darauf hingewiesen 
[9], daß auch die Abbildungen Botezats im allgemeinen nicht geeignet 
sind, seine Ansichten zu unterstützen, und zum Teil auf anderen Ver- 
hältnissen beruhen (1. c. S. 482); die vom Autor behauptete Spezifizitàt 
der marklosen Fasern und ihrer Endplatten wurde durch jene Abbil- 
dungen nicht bewiesen. Ich brauche das hier nicht zu wiederholen und 
verweise auf den oben erwähnten Aufsatz. Wenn auch seine Präparate, 
nach den Abbildungen zu urteilen, die weitgehenden, von Botezat ge- 
zogenen Schlußfolgerungen, nicht rechtfertigen, scheint der Autor mir 
i doch mit seinen theoretischen Erwägungen das Richtige getroffen zu 
haben. 

| Eigene Beobachtungen. 

In der oben erwähnten Arbeit vom Jahre 1909 wurde von mir 
i das Vorkommen akzessorischer dünner Nervenfasern, welche in die 
| motorische Platte der quergestreiften Muskelfasern eintreten, beschrie- 
| ben und abgebildet, nachdem schon im Anfang jenes Jahres die haupt- 
+) Man denkt sofort an die vollkommen analoge Abbildung Bremers aus dem 


| Jahre 1882 (1. c. Taf. XIX Fig. 2). 
2) Man vgl. das weiter unten auf Seite 433 Gesagte. 


424 J. Boeke, 


sächlichsten Resultate in den Sitzungsberichten der Königl. Akademie 
der Wissenschaften zu Amsterdam veröffentlicht und auf dem Kon- 
gresse für Natur- und Heilkunde in Utrecht demonstriert waren. Später 
habe ich in einem kleinen Aufsatze [9] in demselben Bande des Antomi- 
schen Anzeigers als die ersterwähnte Arbeit, in AnschluD.an die oben 
erwähnte Arbeit Botezats, das Vorkommen solcher akzessorischer Fasern 
und Endigungen bei den Muskelfasern der Vögel beschrieben. 

Es handelt sich um äußerst feine, dünne Nervenfasern, welche 
zusammen mit den motorischen Nervenfasern die Muskelfaser erreichen, 
in den Bezirk der motorischen Endplatte eindringen und dort ein zweites 
Endnetzchen bilden. Sowohl bei Reptilien als bei Vögeln und Säuge- 
tieren ließen sich diese akzessorischen Nervenfasern und ihre Endigungen 
auffinden. Schon bei ganz jungen embryonalen Muskelfasern waren 


Fig. 1. Zwei in der Entwicklung begriffene motorische 
Nervenplatten aus der Zunge eines Embryo von Talpa 
europaea, von 29 mm Länge. 

m = motorische Nervenfaser 

a = akzessorische Nervenfaser 


sie neben den gewöhnlichen motorischen Nervenendplatten sichtbar. 
Ihr aus sehr zarten Maschen und Endringen bestehendes Neurofibrillen- 
gerùst war immer völlig unabhängige von demjenigen der motorischen 
Endplatte, obwohl die akzessorischen Endplatten ebenfalls eine hypo- 
lemmale Lage einnahmen, wie es Profilbilder lehrten. Vollkommen 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 425 


Fig. 2. Motorische Endplatte mit einer 
ultraterminalen Faser (v) und eine kleine 
akzessorische Endplatte (a) aus der Zunge 
eines Talpa-Embryo von 31 mm Länge. 
Vergr. 1800. 


Fig. 3. Motorische 

Endplatte einerInter- 
costalmuskelfaser 

eines menschlichen 

Embryo von 51/, Mo- 

nat mit akzessori- 

NÉ AMD scher Nervenfaser a. 


Fig. 4.  Motorische Nerven- 
platte mit akzessorischer End- 
platte auf einer Muskelfaser 
des Pectoralis eines jungen 
Sturnus vulgaris L. 
Vergr. 2100. 
M = Muskelfaser. 


426 J. Boeke, 


analoge Bildungen waren schließlich auch frei, außerhalb des Bezirkes 
der gewöhnlichen motorischen Endplatten, auf der Oberfläche der 
Muskelfaser bei jungen und erwachsenen Reptilien und Säugetieren 
aufzufinden.- Zur besseren Orientierung gebe ich hier in den Text- 
figuren 1 bis 4 noch einmal einige schon früher veröffentlichten Abbil- 
dungen dieser akzessorischen Platten bei Vögeln und sich entwickelnden 
Säugetiermuskelfasern. 

Weitere Aufschlüsse über diese akzessorischen Fasern und End- 
plättchen geben die Figg. 2, 26, 41 bis 56, auf den vorliegender Arbeit 
beigegebenen Tafeln. 

An diesen Befunden der akzessorischen Nervenfasern und End- 
plättchen knüpfen sich eine Anzahl Fragen, welche sich in folgender 
Weise formulieren und behandeln lassen, Fragen nach Form und 
Lagerung der Endplättchen, nach dem Zusammenhang mit den moto- 
rischen Endplatten, die Beziehungen der Endplättchen zum peritermi- 
nalen Netzwerk, ihr Vorkommen und Herkunft, und schließlich die 
Frage nach ihrer mutmaßlichen Funktion und Bedeutung. 

Die Form der sich am Ende der dünnen Nervenfasern befindlichen 
Endplättchen ist immer eine sehr einfache. Eine einfache Endöse (Figg. 
50,51)oder ein sehr zartes weitmaschiges Endnetzchen ist manchmal 
alles, was sich zeigt. Eine sehr oft vorkommende Form ist die, daß das 
Ende der dünnen Nervenfaser leicht gekrümmt, hakenförmig erscheint, 
während sich da zur Stelle einige zarte Ringe oder Netzchen ausge- 
- bildet haben, und das Ende der Faser wird immer von einer Endöse 
gebildet. Die Textfiguren 3 und 4, die Tafelfiguren 48, 42, 43, 44, 47 USW. 
geben die Eigentümlichkeiten dieser Form besser wieder als eine lange 
Beschreibung. Manchmal ist auch eine Andeutung einer dichotomischen 
Verästelung da, wie in den Textfiguren 3 und 4, der Tafelfiguren 51 
(Maus), 52 (Star), 42 (Maus), 47 (Kaninchen), wobei dann der eine Ast 
sanz kurz bleibt, nur aus einer kleinen Endöse auf dünnem Stielchen 
sitzend, besteht, so daß in einfachster Form der Grundform der moto- 
rischen Platte, der doppelschenkelige Haken mit Haupt- und Nebenast 
nachgeahmt wird. Immer, auch bei älteren Tieren mit vollkommen 
ausgebildeten Muskelfasern und Endplatten, bleibt die Form der 
akzessorischen Plättchen so einfach, wie sie bei Embryonen und jungen 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 427 


Tieren war. Übergänge zu der Form gewöhnlicher Endplatten fand 
ich nie. 

Die Lage der akzessorischen Nervenplättchen ist hypolemmal wie 
die der motorischen Endplatten. Das geht aber schon unzweideutig 
aus Profilbildern hervor, wie z. B. die Figg. 50, 46. Aber es wird auch 
dadurch unzweideutig und einwandfrei bewiesen, daß man oft die Ver- 
ästelungen des motorischen Geweihes, die Endplättchen und die End- 
aste der akzessorischen Plättchen überkreuzen sieht, wobei sich dann 
die akzessorischen Plättchen oft unterhalb des motorischen Geweihes, 
d. h. zwischen diesem und der Muskelfaser befinden. Man betrachte 
nur die Bilder der Textfigur 4, der Tafelfiguren 44, 49, 48. Ich habe 
dieses Verhalten nur in den Figuren angegeben, wo es sich in den Präpa- 
raten bei genauester Prüfung mittels stärkster Vergrößerung sicher fest- 
stellen ließ. Wo das nun der Fall ist, und die hypolemmale Lage der 
motorischen Platte als gesichert angenommen werden darf, da muß 
auch dem akzessorischen Nervenplättchen eine hypolemmale Lage 
zukommen. Diese Tatsache ist von großer Wichtigkeit, weil dadurch 
diese Gebilde sich scharf trennen lassen von sensiblen Nervenendigungen, 
welche ebenfalls oft als kleine Endplättchen am Ende markloser Nerven- 
fasern erscheinen, dann aber immer eine epilemmale Lage einnehmen 
(c. f. Dogiel). 

Wo nun also die akzessorischen Nervenpláttchen sich hypolemmal, 
im Bezirke der motorischen Nervenendigung, in der Substanz der Sohlen- 
platte eingebettet befinden, da fragt man sich sofort ab, ob nicht diese 
„akzessorischen‘‘ Plättchen einfach ,,abgesprengte" Teile der moto- 
rischen Nervenplatte vorstellen, welche derselben Nervenfaser ent- 
stammen wie diese, aber am Ende eines schon vorher von der Haupt- 
faser abgegangenen Seitenzweiges gebildet wurden. Schon die älteren 
Untersucher wußten, und besonders von Perroncito ist es unzweideutig 
gezeigt und vorzüglich abgebildet worden!), wie manchmal, schon bevor 
die motorische Nervenfaser die Muskelfaser erreicht, ein Ast abgegeben 
wird, welcher dann neben der Hauptfaser zur Muskelfaser verláuft, oft 
marklos bleibt, und auf der Muskelfaser ein kleines Endpláttchen bildet, 
welches neben der Hauptplatte in derselben Sohlenplatte eingebettet liegt. 


1) Man sehe nur die Figuren 4, 5, 6 und 10 seiner unter 54 genannten Arbeit. 


428 J. Boeke, 


Das ist vollkommen richtig, und man muß diese Tatsache bei der 
Beurteilung der Verhältnisse immer im Auge behalten. So ist esz. B. 
möglich, daß in der Fig. 41 ein derartiger Fall vorliegt, denn da hat das 
Endnetzchen der Faser x alle die Eigenschaften der anderen Teile der 
motorischen Platte. Bei den anderen Bildern, in welchen ,,akzessorische'* 
Pláttchen und Fasern abgebildet sind, trifft das aber nicht zu. Erstens 
der eigentümlichen einfachen, zarten Struktur wegen. Zweitens habe 
ich immer daran festgehalten, nur dann von einer „akzessorischen‘“ 
Platte zu reden, wenn ich die zugehórige Nervenfaser über eine weite 
Strecke unabhängig von der motorischen Nervenfaser verfolgen konnte. 
Man betrachte z. B. das Bild der Fig. 46 aus der Zunge eines fast aus- 
getragenen Maulwurfembryos. Da konnte ich durch zwei Schnitte hin- 
durch die zwei Fasern unabhängig voneinander verfolgen. Der gerade 
Strich zwischen den zwei Muskelfasern gibt die Stelle an, wo die Fasern 
in einem Schnitt aufhórten, im anderen Schnitt wieder zu verfolgen 
waren. Die motorische Nervenfaser m bildet zwei Endplatten auf den 
zwei Muskelfasern und gibt zwischen den beiden Muskelfasern einen 
nicht weiter verfolgten Seitenzweig ab, Daneben verläuft die dünne 
Nervenfaser af, welche ebenfalls zwei Endplättchen bildet, und Seiten- 
zweige abschickt. Die zwei Nervenfasern bleiben immer vollkommen 
unabhängig voneinander. Dasselbe ist in der Fig. 51, der Zunge einer 
jungen Maus entnommen, zu sehen, bei welcher die zwei Muskel- 
fasern von Seitenzweigen derselben motorischen Faser innerviert 
werden, die akzessorischen Endigungen jedoch aus zwei verschiedenen 
dünnen Nervenfasern (af) stammen. Da ist es doch ja wohl sicher 
auszuschließen, daß die zwei Nervenfasern af und m Seitenzweige der- 
selben Nervenfaser in dem oben angegebenen Sinne seien. 

Noch mehr beweisend scheinen mir die Bilder der in den Tafel- 
figuren 44 (junge Maus), 48 (Interkostalmuskel eines jungen Kaninchens), 
47 (Interkostalmuskel eines jungen Kaninchens) gezeichneten Platten 
zu sein. Denn da ließen sich die dünnen, feinen akzessorischen Fasern 
bis in ein Nervenbündel verfolgen, durchaus unabhängig von dem 
weiteren Verlaufe der motorischen Faser m. Auch die Bilder der Figg.42, 
43 und 45 (Zungenmuskulatur einer jungen Maus), die Textfiguren 3 
(Interkostalmuskelfasern eines menschlichen Embryos) und 4 (Pectoralis 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 429 


eines jungen Staren) zeigen dasselbe Verhalten. Alle diese Bilder lassen 
wohl keinen Zweifel mehr darüber aufkommen, daß es sich hier um 
zwei voneinander unabhängige Elemente handelt. 

Im Gegensatz zu den von Perroncito und Gemelli bei Lacerta be- 
schriebenen Fäserchen, welche nach Gemelli einfach in die Endrami- 
fikationen der motorischen Platte übergehen, bleiben die akzessorischen 
Plättchen, obwohl in derselben Sohlenplatte eingebettet, in bezug auf ihr 
Neurofibrillengerüst immer völlig unabhängig von der motorischen Nerven- 
endplatte. Sie können einander überkreuzen, wie es sogar sehr oft ge- 
schieht, aber so weit man aus den Präparaten schließen darf, bleiben 
die Neurofibrillengerüste immer vollkommen unabhängig voneinander. 
Nirgends fand ich auch nur eine Stelle, wo einwandsfrei ein Zusammen- 
hang beider Systeme zu sehen war. So ist es auch in den Figuren ge- 
zeichnet worden, welche, wie schon in der Einleitung gesagt wurde, so 
genau wie nur möglich, den Präparaten nachgezeichnet sind. 

Wohl hängen die Neurofibrillengerüste der akzessorischen Plättchen 
mit dem oben beschriebenen periterminalen Netzwerke zusammen. 
Das kann uns nicht befremden, wo wir sahen, daß die netzartige 
Differenzierung des periterminalen Netzwerkes durch die ganze Sohlen- 
platte, sowie in der peripheren Sarkoplasmaschicht der Muskelfaser 
sich vorfindet, aber es scheint mir nicht eine ‚Einbettung‘ zu sein, 
wie z. B. die Kerne der Sohlenplatte in dem Netzwerk eingebettet 
liegen, sondern ein wirklicher organischer Zusammenhang, genau so wie 
wir es bei dem Neurofibrillengerüste der motorischen Platte anzunehmen 
senötigt waren. So sehen wir in der Tafelfigur 44 eine Platte aus der 
Zungenmuskulatur einer jungen Maus abgebildet, bei welcher nur der- 
jenige Teil des periterminalen Netzwerkes gefärbt war, das sich um die 
locker gebauten Nervenendigungen herum, besonders um die eine 
Endknospe herum befand. Auch um den locker gebauten Abschnitt 
des Neurofibrillengerüstes der akzessorischen Endigung herum sieht 
man die zarten Maschen des periterminalen Netzwerkes. 

Dasselbe ist in den Figg. 42 und 43 zu sehen. Auch in diesen Figuren 
sind die Maschen des periterminalen Netzwerkes gerade um die End- 
netzchen der akzessorischen Faser af herum deutlich sichtbar. 

Ich habe aber nur wenige Bilder erhalten, in welchen diese Ver- 


430 J. Boeke, 


hältnisse deutlich und klar zutage traten, und werde hier deshalb 
nicht weiter auf die Details dieser Beziehungen zwischen den verschie- 
denen Elementen der Sohlenplatte eingehen. Es bleibt hier noch 
manches zur weiteren Nachforschung übrig. 

Es fragt sich nun, ob diese von mir ,,akzessorische Endplättchen“ 
senannten Nervenendigungen, welche, obwohl hypolemmal und in dem 
Gebiete der Sohlenplatte liegend, doch in ihrer neurofibrillären End- 
ausbreitung völlig unabhängig bleiben von dem Geweihe der motori- 
schen Endplatte, ausschließlich in dem Bezirke der Sohlenplatte des 
motorischen Nerven vorkommen, oder aber auch irgendwo anders auf 
der Oberfläche der Muskelfaser auftreten können. 

In meiner vorigen Arbeit [8] habe ich diese Frage schon gestellt, 
und gezeigt, daß man auch außerhalb des Bezirkes der motorischen End- 
platte kleine, eine zarte Netzstruktur aufweisende Nervenendigungen auf 
der Muskelfaser findet, welche den akzessorischen Endplättchen völlig 
gleichen (1. c. S. 222). Ich werde hier einige weitere Belege dafür geben. 

In der Textfigur 2 ist eine kleine zarte Endplatte gezeichnet, 
welche sich auf der Oberfläche einer Muskelfaser aus der Zunge eines 
älteren Maulwurfembryos befand, völlig unabhängig von einer moto- 
rischen Nervenplatte, aber in einer körnigen Masse, die Sohlenplatte, 
eingebettet, wovon die großen Kerne in der Figur gezeichnet sind. 

Betrachtet man die Tafelfigur 46 vorliegender Arbeit, so sieht man, 
daß die dünne Nervenfaser af, welche auf den zwei detailliert gezeich- - 
neten Muskelfasern im Bereiche der motorischen Platten zwei kleine 
hypolemmale akzessorische Platten bildet, am oberen Ende des ab- 
gebildeten Abschnittes einen feinen Seitenzweig entsendet, welcher auf | 
der oberen Muskelfaser, wovon nur die Konturen gezeichnet wurden, 
ein kleines zartes Endnetzchen bildet, ohne daß die dicke Nervenfaser m . 
da zur Stelle eine motorische Endplatte bildet. Die motorische End- 
platte dieser Muskelfaser befand sich an anderem Orte und entstammte 
einer anderen Nervenfaser. 

‘ Derartige, vollkommen frei liegende, kleine Endplättchen bildete 
ich in meiner vorigen Arbeit ab aus der Zunge einer erwachsenen Fleder- | 
maus und aus der Rückenmuskulatur erwachsener Eidechsen. Hier | 
will ich zum Schluß nur die Aufmerksamkeit lenken auf die Figg. 53, 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 431 


54, 55, und 56 auf Tafel. XXIII. Sie sind gezeichnet nach Präparaten, 
den Augenmuskeln (obliquus sup. und rectus superior) einer einjährigen 
Katze entnommen. Die dünnen Nervenfasern af bilden auf der Ober- 
fläche der Muskelfasern zarte Endnetzchen, welche in ihrer Form voll- 
kommen den oben beschriebenen akzessorischen Endplättchen gleichen, 
und welche, darauf kommt es eben an, von einer körnigen Masse um- 
geben sind, in welcher eine Anzahl Kerne eingebettet sind, welche genau 
das Aussehen haben der Kerne der Sohlenplatte. In der Fig. 56 zeigt 
die Muskelfaser zur Stelle, wo diese Kernansammlung sichtbar ist, 
senau dieselbe Ausbuchtung, welche man bei den motorischen End- 
platten so oft findet. Man wird wohl nicht fehl gehen, wenn man auch 
in den Kernansammlungen dieser Figuren eine Sohlenplatte, eine hypo- 
lemmal liegende Anhäufung des Sarkoplasmas der Muskelfaser sieht. 
Aber dann müssen auch die Endigungen der dünnen Nervenfasern, 
welche sich da befinden, ebenfalls hypolemmal liegen. Sie stimmen 
dann in jeder Hinsicht mit den oben beschriebenen akzessorischen 
Endigungen überein, nur sind sie auch in topographischer Hinsicht 
völlig unabhängig von den motorischen Endplatten. Durch ihre offenbar 
hypolemmale Lage unterscheiden sie sich scharf von sensibelen Endi- 
sungen. Ja, man kann sich abfragen, ob nicht manche von den Autoren 
als sensibele Endigungen beschriebene einfach gebaute auf der Ober- 
fläche der Muskelfaser liegende Scheibchen oder Plättchen am Ende 
dünner Nervenfasern sich bei näherer Betrachtung als hypolemmal 
liegende zum oben beschriebenen System gehörende Elemente heraus- 
stellen würden. 

Auf jeden Fall hat man, wie ich gezeigt zu haben hoffe, das 
Recht, den Satz aufzustellen, daß man aufer den epilemmalen sen- 
sibelen Nervenendigungen bei den quergestreiften Muskelfasern der 
höheren Vertebraten eine Innervation durch zwei Arten von hypo- 
lemmalen Nervenendigungen annehmen muß, die eine die gewöhn- 
liche motorische Nervenendigungen, die motorische Platte Kühnes, 
die andere bei weitem zarterer Natur, aus einem System kleiner zart- 
gebauter am Ende dünner markloser Nervenfasern sich befindender 
Endringen oder Endnetzchen bestehend, die hier als „akzessorische 
Endplättchen“ bezeichnete Endorgane. 


432 J. Boeke, 


Ob diese Endorgane auch bei niederen Vertebraten nachzuweisen 
sind, müssen zukünftige Untersuchungen lehren!). Ich habe mich auf 
die höheren Vertebraten beschränkt, habe sie hier aber in weiter Ver- 
breitung nachweisen können, in den Rückenmuskeln (Lacerta), den 
Thoraxmuskeln (Vögel, Säugetiere, Mensch), Zungenmuskeln (Säuge- 
tiere, Mensch), Augenmuskeln (Vögel, Säugetiere). Es scheint daher 
eine ganz allgemeine Erscheinung zu sein, welche vielleicht allen Muskeln 
zukommt. Das müssen weitere Untersuchungen lehren. 

Daß die akzessorischen Endplättchen, obwohl in ihrem Auftreten 
unabhängig von den motorischen Endigungen, doch meistens zusammen 
mit den motorischen Nervenplatten vorkommen, braucht uns nicht zu 
wundern. Wenn wir die eigentümlichen Erscheinungen der Regenera- 
tion der Nervenendorgane und des primären Auswachsens der embryo- 
nalen Nerven ins Auge fassen, die Anziehung, welche offenbar die End- 
stelle, in casu auch die Muskelfaser, auf die wachsenden und besonders auf 
die regenerierenden Nervenfasern ausübt (c. f. Tello 67), so können. wir 
uns sehr gut vorstellen, daß wenn ein Nervenbündel über die Muskel- 
fasern hinwegzieht, in welchem sowohl motorische Nervenfasern ent- 
halten sind als Nervenfasern, welche die akzessorischen Plättchen 
bilden werden (wie z. B. in der Fig. 2), die beiden Endorgane sich an 
derselben Prädilektionsstelle auf der Muskelfaser bilden und so inner- 
halb derselben Sohlenplatte eingebettet aufgefunden werden. Ziehen 
die verschiedenartigen Nervenfasern nicht in demselben Faserbündel 
- über die Muskelfasern hinweg, so werden sich die zwei Arten von Endi- 
gungen an räumlich gesonderten Stellen auf der Muskelfaser ausbilden 
und zwei voneinander unabhängige Sohlenplatten erzeugen können. 


Woher stammen nun die akzessorischen Nervenfasern ? 

In erster Linie denkt man dabei an die ultraterminalen Fibrillen. 
Nach den schönen Untersuchungen Perroncitos [53] endigen diese von 
den motorischen Platten entspringenden Fasern auf anderen Muskel- 


1) Man konnte sich abfragen, ob nicht die von mir in 1908 beschriebenen (6) 
feinen Nervenfasern, welche zwischen den Muskelplatten des Amphioxus laufen, aus 
den ventralen Wurzeln stammen und einfache Endorgane auf den Muskelplatten 
bilden, von mir damals als sensibele Fasern beschrieben, vielleicht mit den akzes- 
sorischen Nervenfasern homolog sind. 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 433 


fasern (besonders auf den Muskelfasern der neuromuskulären Spindeln)!) 
und bilden da kleine Endplättchen. Sind nicht vielleicht auch die ,,ak- 
zessorischen** Pláttchen solche Endigungen, durch welche also die ver- 
schiedenen Muskelfasern eines Muskels miteinander in nervóser Ver- 
bindung gesetzt werden? — Mir scheint das nicht richtig zu sein. Erstens 
sind die ultraterminalen Fasern selten. Zweitens endigen sie in den aller- 
meisten Fällen (c. f. Perroncito, Cilimbaris) auf den Muskelfasern der 
Spindeln, und werden also die Endigungen der ultraterminalen Fibrillen 
auf gewöhnlichen Muskelfasern zu den grôBten Seltenheiten gehören. 
Drittens sind die von den ultraterminalen Fibrillen gebildeten End- 
pláttchen zwar klein und rudimentär, behalten aber im großen und 
ganzen die Struktur der gewöhnlichen motorischen Endplatten bei?) 
Ich verweise dafür auf die beiden Abbildungen, welche in den Figg.39 
und 40 uns ein Bild geben von den motorischen Endplättchen der dünnen 
Muskelfasern der neuromuskulären Spindeln beim Igel. Wie man sieht, 
wiederholen diese Plättchen, welche höchstwahrscheinlich ultratermina- 
len Fasern von motorischen Platten benachbarter Muskelfasern ent- 
stammen, in verkleinertem Maßstabe die Struktur der motorischen 
Platten (die hier abgebildeten Muskelfasern der Spindel waren sehr 
dünn, ihr Durchmesser betrug nur 44 von dem der gewöhnlichen Muskel- 
fasern des Präparates. Sie wurden bei stärkster Vergrößerung gezeich- 
net); sie sind sofort von den akzessorischen Plättchen zu unterscheiden. 

Und viertens habe ich in meinen Präparaten nie eine Andeutung 
davon gesehen, daß ultraterminale Fasern in Bündeln zwischen den 
Muskelfasern hindurchziehen, aus welchen Bündeln dann wieder Seiten- 
zweige entspringen, welche auf den Muskelfasern kleine Endplättchen 
bilden. 

Und das ist es gerade, was man oft bei den akzessorischen Fasern 
sieht. So war bei dem der Textfigur 4 zugrunde liegenden Präparate 
die akzessorische Faser a bis in ein dickes Nervenbündel, aus gröberen 
und dünneren Fasern zusammengestellt, zu verfolgen. So war in dem 
Präparate der Tafelfigur 47 ein dickes Nervenbündel vorhanden, gröbere 
motorische Fasern, welche Seitenzweige abgeben, von denen eine die 

1) Schon von Bremer wurde es vollkommen richtig abgebildet. 


2) Man vgl. auch den Aufsatz von Cilimbaris (18) über die Muskelspindeln. 
Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXVIII. 28 


434 J. Boeke, 


in der Figur gezeichnete Platte bildet, und äußerst zarte Fasern, von 
welchen eine sich durch das Abgeben eines die akzessorischen Endplatte 
bildenden Seitenzweiges als akzessorische Faser dokumentierte. In 
gleicher Weise zweigten sich die akzessorischen Fasern af der Fig. 51 aus 
einem Bündel feinster Nervenfasern ab, und dasselbe zeiet die Fig. 48, 
ebenso die Fig. 2 aus der Zunge eines Talpaembryos, oder die Fig. 56 
aus dem Augenmuskel der Katze. Kurz, die Nervenfasern, welche die 
akzessorischen Plättchen bilden, verlaufen manchmal in Bündeln 
zwischen den Muskelfasern. 

Es sind dünne, soweit man sehen kann, immer marklose Fasern, 
und ein weiteres Charakteristikum dieser Fasern ist, daß sie in ihrem 
Verlaufe manchmal ovale Kerne aufweisen. Aus den Figg. 48, 53, 54, 
55, 56 geht das deutlich hervor. 

Wir können sie also in folgender Weise beschreiben: 

Die Nervenfasern, welche auf der Oberfläche der Muskelfasern 
entweder im Gebiete der Sohlenplatte der motorischen Nervenendi- 
gung oder für sich allein die hypolemmalen akzessorischen Plättchen 
bilden, sind dünne, soweit man sehen kann, immer marklose Fasern, 
welche hier und da in ihrem Verlaufe Kerne aufweisen, oft in 
Bündeln verlaufen, sich verzweigen, nicht immer mit den dicken mo- 
torischen Nervenfasern gusammengehen, kurz, sie weisen alle die 
Eigenschaften eines bestimmten Systems auf. 

Man würde geneigt sein, wie ich schon in meiner vorigen Arbeit 
- angab, die akzessorischen Fasern und ihre Endigungen als sympathischer 
Art zu betrachten. Für diese Ansicht kann ich zwei Figuren als Belege 
anführen. In der Fig. 49 ist eine Muskelfaser aus dem Interkostal- 
muskel eines jungen Kaninchens abgebildet. Unterhalb der Muskel- 
faser war ein Blutgefäß (bl) im Schnitt setroffen. Auf der Muskelfaser 
sieht man die Endplatte des motorischen Nervenfasers m samt Sohlen- 
platte und Kerne. In die Sohlenplatte tritt eine äußerst feine akzesso- 
rische Faser ein, welche da zur Stelle ein kleines akzessorisches End- 
plättchen bildet. Die dünne Faser af war bis in den perivasalen Plexus 
zu verfolgen. 

In der Fig. 53 ist eine Muskelfaser aus den Augenmuskeln der 
Katze abgebildet. Auch hier ist ein Kapillargefäß (bl) im Schnitt ge- 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 435 


troffen, der Muskelfaser anliegend. Die dünne Nervenfaser af bildet eine 
Endschlinge, welche Varikositäten aufweist und in einer kleinen End- 
netzbildung endigt, welche ganze Schlinge mitsamt einer Anzahl Kerne 
der Muskelfaser aufliegt. Von dem Anfang dieser Faser, welche allem 
Anschein nach dem Systeme der akzessorischen Fasern angehört, geht 
nun ein äußerst feiner Zweig ab, welcher auf die Oberfläche des Kapillar- 
gefäßes übergeht und sich dort verästelt. 

Es scheint daher, daß das System der akzessorischen Fasern zum 
sympathischen Nervensystem gehört, und mit dem sympathischen 
Plexus, welcher auch die Blutgefäße umspinnt, in Verbindung steht. 
Wie ich schon im Anfang dieses Kapitels sagte, hat Bremer in 1882 eine 
analoge Beobachtung schon vollkommen richtig gemacht. 

So wird also die quergestreifte Muskelfaser in zweifacher Weise 
innerviert, — denn die hypolemmale Lage der akzessorischen Endigun- 
gen weist auf eine zentrifugale Erregungsleitung in den akzessorischen 
Nervenfasern hin; das sowohl gesondert, für sich allein, als mit der 
motorischen Platte zusammen Vorkommen schließt meiner Ansicht 
nach eine Erregungsleitung von der motorischen Platte aus, von dieser 
ausgehend, aus. 

Weiter kann man nicht gehen. Ob durch dieses System ein trophi- 
scher Einfluß auf die Muskelfaser ausgeübt wird, oder ob hierdurch die 
tonische Innervation des Muskels bedingt wird, ist einstweilen nicht zu 
sagen. Eine Diskussion dieser Frage gehört auch nicht in den Rahmen 
dieser Abhandlung, welche, wie ich in der Einleitung sagte, nur die 
morphologische Seite des Problems behandelt, zu Hause. 

Daß jedoch auch das morphologische Problem durch die hier mit- 
geteilten Beobachtungen nicht erschöpfend behandelt worden ist, davon 
bin ich mir wohl bewußt. Ist das System der akzessorischen Fasern mit 
ihren Endigungen ein einheitliches System, oder sind verschiedenartige 
Elemente darin vorhanden? Ist es wirklich sympathischer Art? oder 
wie verhält das Kleinhirn als tonisches Zentrum sich dazu? 

So wie fast jeder Punkt der Erforschung der Endigungsweise des 
peripheren Nervensystems, wird auch das Studium der zentrifugalen 
Innervation der quergestreiften Muskelfasern noch manche über- 


raschende Tatsache zutage fördern. 
28* 


436 J. Boeke, Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 


Wie oft sind nicht die sensibelen Endkörperchen der Haut unter- 
sucht worden. Und doch haben nur Crevatin und Dogiel das nach Ruffini 
wahrscheinlich allen Meißnerschen Körperchen zukommende peri- 
korpuskuläre Retikulum markloser Fasern gesehen, das von Crevatin 
so schön abgebildet wurde. Man vergleiche einmal die ausgezeichnete 
Arbeit Ceccherellis über die sensibelen Endorgane der Schleimhaut der 
Mundhöhle in dieser Zeitschrift (Bd. 25, 1908), um su sehen, was hier zu 
erreichen fällt. — Wie unzählige Male ist nicht der Herzmuskel schon 
auf seine Innervation untersucht, — und doch werden nicht nur noch 
immer neue Tatsachen entdeckt, sondern es scheint erst in diesem Jahre 
Michailow [51] gelungen zu sein, neben den Endigungen des Sympathicus 
die wirklichen Enden des Nervus vagus, große verästelte, nach dem 
Typus der motorischen Endplatten gebaute Endigungen, aufzufinden. 

So wird auch an den quergestreifeten Muskelfasern noch manches 
in bezug auf die Innervation zu ermitteln sein. 

Einen Beitrag in dieser Richtung hoffe ich in dieser Arbeit gegeben 
zu haben. 


Leiden, Anatomisches Institut. April 1911. 


Erklärung der Abbildungen auf den Tafeln XVII—- XXIII 


Alle Figuren sind nach den Präparaten mittels stärkster Vergrösserung (Zeiss 

apochr. Oelimmers., Comp. Okular 12 und 8, Vergr.2600 und 2100) gezeichnet und 

meistens nachher bei der Reproduktion etwas verkleinert. Die der Figurenbeschreibung 
beigegebenen Zahlen geben die Vergrösserung der Reproduktionsbilder an. 


Für alle Figuren geltende Abkürzungen: 


a f = Akzessorische Faser P = motorische Nervenplatte 
ap — a Platte M = Muskelfaser 
b = Endöse des Neurof.-Gerüstes pn = Periterminales Netzwerk 
c = retikulierte Endknospe K = Kerne 
h = Hauptast des Neurof.-Gerüstes s = Sarkoplasma 
n= Nebenast , = * so — Sohlenplatte. 
m — motorische Nervenfaser 
Tafel XVII. 
Fig. 1. Erste Entwicklungsstadien der motorischen Nervenplatten aus der Zunge 


eines Embryo von Talpa europaea von 24 mm Länge. Vergr. 2100. 

3 u. 4. Weitere Entwicklungsstadien der motorischen Nervenplatten aus der 
Zunge von Talpa-Embryonen von 30 mm Länge. 

6 u. 7. Motorische Nervenplatten aus den Augenmuskeln einer drei Tage 
alten Taube. In der Fig. 6 ist die H-Form, in den Fig. 5 und 7 der 
doppelschenkelige Haken ausgebildet. Vergr. 2100. 

Im Verlaufe der Nervenfaser eingeschaltete motorische Platte aus der Zunge 
einer jungen Maus. Nergr. 2600. 

Einfache Form der Endplatte, mit teilweise sichtbarem periterminalen Netz- 
werk. Aus der Zunge einer jungen Maus. Vergr. 2600. 

Zwei aus einer Nervenfaser entspringende ganz verschieden gestaltete 
Nervenplatten. Zunge einer jungen Maus. Vergr. 2600. 


Tafel XVIII und XIX. 

— 21.  Motorische Nervenplatten aus den Interkostalmuskeln eines er- 
wachsenen Jgels, die verschiedene Gestalt der ausgebildeten motorischen 
Platten zeigend. Erklärung im Text. In Fig. 12 und Fig. 14 schöne 
„Bischofstabform“ des Plattengerüstes. In Fig. 16 vollkommen homogen 
schwarz gefärbte Endknospe (x). Vergr. 1000. 

u. 23. Motorische Platte aus den Augenmuskeln einer erwachsenen Feder- 
maus (Vesperugo noctula). Vergr. 1800. 


e Fi 


438 
Fig. 


Fig. 


Fig. 


Fig. 


Fig. 
Fig. 
Fig. 


Fig. 


Fig. 


Fig. 


> 


g. 


Fig. 36. 


24. 


25. 


26. 


27. 


28. 


29. 


30. 


31. 


32. 


33. 


J. Boeke, 


Fine Muskelfaser mit zwei motorischen Nervenplatten aus den Interkostal- 
muskeln des Jgels. Vergr. 800. 

Motorische Platte aus den Interkostalmuskeln des 4ge/s, mit großen, 
traubenförmigen Endknospen, und stark hervortretende präterminale An- 
schwellung des Achsenzylinders und darauffolgende starke Verdünnung. 
Vergr. 1800. Ob bei @ eine akzessorische Faser vorliegt, war nicht zu 
entscheiden. 

Motorische Platte aus den Augenmuskeln (rectus sup.) der Katze. Ob 
bei af eine akzessorische Faser vorlag, war nicht sicher zu entscheiden; 
soweit sie zu verfolgen war im Präparat, blieb sie unabhängig von der 
motorischen Faser. Vergr. 1800. 

Motorische Platte aus den Augenmuskeln einer einjährigen Katze. Modi- 
fizierte Form des Bischofstabes mit stark entwickeltem Nebenast und 
Seitenzweigen. Vergr. 1800. 


Tafel XX. 


Eigentümlich gebildete, atypische Nervenplatte aus den Augenmuskeln 
(obliquus sup.) einer einjährigen Katze. Nergr. 1800. 

Motorische Platte aus der Zunge einer erwachsenen Fledermaus (Vesper- 
tilio murinus). Vergr. 2100. 

Motorische Platte aus der Zunge einer jungen nido im Profil ge- 
schnitten. Endnetzchen, den Myofibrillen aufliegend. Vergr. 1800. 
Handförmig verästelte motorische Endplatte aus der Zunge einer Fleder- 
maus, mit Endösen und grossen, retikulierten Endknospen. Deutliches 
periterminales Netzwerk. Vergr. 2600. 

Aus derselben Schnittserie wie Fig. 3l. Flach ausgebreitete motorische 
Platte mit sehr deutlicher Schlingenbildung und deutlichem peritermi- 
nalen Netzwerk. Vergr. 2100. 

Motorische Platte aus der Zunge einer erwachsenen Fledermaus (Vesper- 
tilio murinus), mit sehr deutlicher Schlingenbildung. Weil sie noch mit 
ihrer Basis in die Nervenbahn eingeschaltet ist, wird die Platte an- 
scheinend von zwei Nervenfasern gebildet. Bei X Ueberkreuzungsstelle 
der Neurofibrillen. Vergr. 2100. 


34 und 35. Aus derselben Schnittserie wie die Fig. 33. Deutliche Schlingen- 


bildung und periterminales Netzwerk. Vergr. 2100. 

Motorische Endplatte aus der Schnauzenmuskel eines erwachsenen Maul- 
mwurfes (Talpa europaea). H-Form des Neurofibrillengerüstes mit kleinen 
Endösen und sehr deutliches periterminales Netzwerk. Es ist die obere, 
dem kontraktilen Fibrillenbündel aufliegende Sarkoplasmarinde gezeichnet. 
Von dem darunterliegenden Myofibrillenbündel sind nur die mit dem 
Sarkolemma sich verbindenden Quermembranen (z) gezeichnet. Im Ge- 
biete der Sohlenplatte ist das Netzwerk engmaschiger. Vergr. 1800. 


Tafel XXI. 


Fig. 37 und 38. Motorische Platten aus den Augenmuskeln der Kaíze mit peri- 


terminalem Netzwerk.  Vergr. 2600. 


Fig. 39 und 40. Dünne Muskelfasern aus einem neuromuskulären Spindel der 


Interkostalmuskeln eines erwachsenen Igels. 
se = dicker sensibler Nerv. m = motorischer Nervenast. Die hypolem- 


Fig. 
Fig. 


Fig. 


Fig. 


Fig. 


Fig. 


Fig. 


Fig. 


Fig. 
Fig. 


Fig. 


Beiträge zur Kenntnis der motorischen Nervenendigungen. 439 


male Lage der Platten ist deutlich sichtbar. Vergr. 2100 (Fig. 40) und 
2600 (Fig. 39). 

41. Motorische Platte aus den Augenmuskeln der Katze. Vergr. 1800. 

42 und 43. Motorische Platten aus der Zunge einer jungen Maus. In Fig. 42 
unverästelte Plattenformen (Spatelform). In beiden Figuren akzessorische 
Fasern mit Endplättchen und periterminalem Netzwerk um die End- 
knospen herum. Vergr. 2100. 

44. Motorische Endplatte aus der Zunge einer jungen Maus, mit akzesso- 
rischer Nervenfaser und -Endigung. Vergr. 1800. 


Tafel XXII. 


45. Aus derselben Schnittserie wie die Fig. 44. Motorische Nervenplatte mit 
ultraterminaler Fibrille (w/ und akz. Faser. Vergr. 1800. 

46. Drei Muskelfasern aus der Zunge eines Maulwurf-Embryo (Talpa europaea) 
mit motorischen und akzessorischen Nervenfasern aus zwei aufeinander 
folgenden Schnitten gezeichnet. Vergr. 1800. 

47 und 48. Muskelfasern mit motorischen Nerven, motorischen Platten und 
akzessorischen Fasern aus den Interkostalmuskeln eines jungen (3 Tage 
alten) Kaninchen. Vergr. 1800. 


Tafel XXIII. 


49. Aus dem Interkostalmuskel eines jungen Kaninchen. 
bl = Blutgefäss, teilweise von der Muskelfaser bedeckt. Zusammen- 
hang zwischen der akzessorischen Faser «f und dem perivasalen Plexus. 
Vergr. 1800. 

50. Motorische Nervenplatte mit akzessorischen Fasern und Endigungen aus 
den Augenmuskeln (rectus sup.) der Katze. Vergr. 1800. 

51. Dasselbe aus den Zungenmuskeln einer jungen Maus. Vergr. 1500. 

52. Wachsende motorische Platte mit akzessorischer Endigung aus den 
Interkostalmuskeln eines jungen Staren. (Sturnus vulg. Vergr. 2600. 

53—56. Endigungen dünner markloser Nervenfasern an den Muskelfasern 
des rectus superior oculi der Katze. Die Nervenendigungen liegen inner- 
halb einer körnigen, kernenhaltigen Sarkoplasmaanhäufung. Die Nerven- 
fasern weisen hie und da länglich-ovale Kerne auf. In Fig. 53 ein Blut- 
gefäss (bl), auf welches ein feiner Ast der Nervenfasern af sich ab- 
zweigt. Vergr. 2100. 


10. 


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Referat. 


Von 
Fr. Kopsch. 


Werner Spalteholz, Über das Durchsichtigmachen von menschlichen 
und tierischen Präparaten, nebst Anhang: Uber Knochenfürbung. 
Leipzig 1911. S. Hirzel. Geheftet Mk. 1.—. 


Spalteholz schildert die theoretischen Grundlagen und die praktische Aus- 
führung seiner trefflichen Methode zur Anfertigung durchsichtiger anatomischer 
Präparate. 

Die Methode beruht auf den Gesetzen der Lichtbrechung, und zwar auf der 
bekannten und technisch verwerteten Tatsache, daß ein durchsichtiger Körper, ein- 
getaucht in ein Medium von gleicher Lichtbrechung, unsichtbar wird. Hierauf be- 
ruht z. B. die Aufhellung makroskopischer und mikroskopischer Präparate, welche 
seit langer Zeit in mannigfacher Art im anatomischen Laboratorium geübt wird. 

Es war ein glücklicher Gedanke von Spalteholz, die physikalischen Grund- 
lagen dieser Erfahrungstatsachen aufzusuchen und, auf den erkannten Gesetzen 
fußend, seine Versuche in wissenschaftlicher Weise und systematischer Folge auf- 
zubauen. Dies ist sein großes und bleibendes Verdienst. 

Da die Berechnungsindizes der verschiedenen Gewebsteile tierischer und 
pflanzlicher Körper nicht unbeträchtlich voneinander verschieden sind, so muB 
die Durchtränkungsflüssigkeit entsprechend verschiedenen Brechungsindex haben. 
Dies wird erreicht durch entsprechende Mischung zweier Flüssigkeiten, und zwar des 
schwächer brechenden sogenannten künstlichen Wintergrünöls und des stärker 
brechenden Benzylbenzoats. 

Für entkalkte menschliche Knochen und Zentralnervensystem, für das menschliche 
Feten, für ganze Fische und Frösche und für einen Vertreter der wirbellosen Tiere 
wird das Mengenverhältnis der beiden Flüssigkeiten angegeben. 

Den Beschluß des Büchleins macht eine Färbemethode für Knochen von Em- 
bryonen und Feten. Sie gibt in Verbindung mit der Aufhellungsmethode prächtige 
Präparate über die Verknöcherung des Skeletes. 


| Verlag von Georg Thieme in Leipzig. 


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Anatomie des Menschen“ bei. “Sag EE 


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GIOVANNI VITALI: Le espansioni nervose nel tegumento SOlocorneo o membrana cheratogena dello zoccolo del cavallo. 


Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physiologie. Bd. XXVIII. Tafel III. 


SERGIUS MICHAILOW: Der Bau dezentralen sympathischen Ganglien. Verlag von Georg Thieme, Leipzig, 


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SERGIUS MICHAILOW: 


Ganglien. Verlag von Georg Thieme, Leipzig. 


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Tafel V. 


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Verlag von Georg Thieme, Leipzig, 


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Verlag von Georg Thieme in Leipzig. 
Franz Dietrich: Beitrage zur Histologie der Edentaten. 


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Verlag von Georg Thieme, Leipzig. 


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leGiacomo: Sull’ iperirofia compensatoria e sui fenomeni cellulari nei reni dopo la legatura di un uretere. 


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A. Gasbarrini-Forma particolare di reazione della mucosa uterina 


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Verlag von Georg Thieme, Leipzig. 
S.D'Antona. Contributo allo studio del connettivo lamellare. 


rnat. Monatsschrift für Anat.u.Phvs.Bd. XXVII. Tav. XV. 


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Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phys. Bd. XXVIII. 


E.T. Bell: 


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Tafel XXII. 


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